sabato 29 novembre 2014

pc 29 novembre - Il Palermo in serie A, ma Palermo?

Ci sta pure che una città che ha “sete” esulti perché la sua squadra ritrova la massima serie nel campionato italiano . . . è bello vedere giovani e meno giovani, cantare e gioire con occhi lucidi alla luce di questo evento; a Palermo il calcio è vissuto in maniera sicuramente più moderata che in altre città e tutto sommato il suo stadio può considerarsi un luogo sicuro anche per i bambini.
Detto questo, ci cominciano a sorgere tanti dubbi, da quelli piccoli piccoli a quelli decisamente più grandi . . . iniziamo con i primi.
Il calcio, negli anni è degenerato tantissimo e non vogliamo stare qui a fare un'analisi che è sotto gli occhi di tutti.
Il Palermo ha una bella squadra in serie A . . . una squadra che non ha calciatori di fede e/o nascita palermitana e un presidente veneziano; questa è una grande anomalia nel calcio italiano, dove generalmente i presidenti sono degli imprenditori locali (che chiaramente tirano i propri interessi) che si presume abbiano un certo legame-affetto con i colori della propria città-squadra.
Ma quelli che abbiamo appena citato sono solo due dei tanti piccoli problemi che sicuramente non ci avrebbero portato a scrivere quest'articolo se . . . Palermo non avesse dei seri problemi.
Palermo è una città allo sfascio, amministrata malamente nel peggiore stile democristiano e d'altronde Leoluca Orlando Cascio, questo è . . .
Una città nella quale manca il lavoro e la fonte principale di sopravvivenza non è certo nelle industrie o nel commercio ma nell'intrigato mondo delle istituzioni . . . realizza (o ci prova) una rete tranviaria che oltre a distruggere gran parte del verde che incontra strada facendo, manda in tilt la circolazione già di per se “drammatica” e fa aumentare i livelli di inquinamento in modo paurosamente preoccupante . . . ALLA FACCIA DELL'ISOLA NEL CENTRO STORICO!
Nel momento in cui abbiamo accennato al “centro storico” ci sorge spontanea una domanda: ma questa amministrazione (democristiana e pseudocomunista-revisionista) c'è o ci fa?





Crollano intere palazzine in quartieri che erano l'orgoglio dei cittadini per la loro antica e strana bellezza e il comune cosa fa?
Si lancia a una “caccia alle streghe” cercando eredi degli eredi di proprietari morti da secoli, intimando loro di provvedere nell'arco di qualche settimana alla sistemazione di quelle proprietà delle quali non erano a conoscenza (magari ne avranno altre in buono stato ma le istituzioni non glielo diranno mai).
Orlando e la sua giunta avrebbero la possibilità, creando anche lavoro, di restaurare e ridare a Palermo il suo centro storico e di metterci dentro le centinaia di “senza casa” con un affitto minimo adeguato alle loro risorse . . . ma forse questo a qualcuno da fastidio e quindi NON SI PUO' FARE!

L'elenco dei mali della nostra città, proseguirà nel prossimo futuro, sul nostro blog e sul nostro giornale – è una battaglia che non vogliamo e non possiamo permetterci e non ci faremo tappare la bocca!

Non ci tapperanno la bocca nemmeno “oltre Palermo” denunceremo come facciamo del resto giornalmente, i sanguisuga dello statuto siciliano . . . coloro che forti del risultato elettorale ottenuto e della comoda poltrona strappata “nel piccolo parlamento” ci fanno pagare persino la torta del compleanno del figlio o dell'amico . . . si, parliamo di loro, degli “onorevoli” deputati dell'ARS .
Non sono bastati gli avvisi di garanzia e le denunce di qualche mese fa, per mettere fine al “mangia-mangia” dei nostri politici siciliani . . . scoppiano scandali di giorno in giorno; ne scoppiano tanti che nemmeno i media riescono più a nasconderli ( ed è quanto dire).
Tolto il vitalizio a “totò vasa-vasa” con una escamotage e senza il coraggio di affrontare il problema, il presidente Crocetta si rivela ogni giorno di più “il primo” . . . il primo degli incapaci e probabilmente dei gestori del gioco: UN GIOCO INSANO – CRUDELE - SENZA FINE !

D'altronde abbiamo già detto che questo è ormai chiaramente un 

sistema che non ha opposizioni (se non nelle piazze), è un sistema 

in cui non esiste una sinistra e una destra o un centro: è una 

grande coalizione di malaffare, qualunque sia la sigla con la quale 

provino a differenziarsi!

pc 29 Novembre - RIVOLTA DI FERGUSON: CONTRIBUTI DA DUE ORGANIZZAZIONI RIVOLUZIONARIE AMERICANE


Riportiamo i comunicati di due organizzazioni rivoluzionarie americane, QUI invece la nostra posizione.


Michael Brown, decisione del GRAND JURY: non importa quello che dice lo STATO: l’agente DARREN WILSON è colpevole!
Dichiarazione del Nuovo Partito Comunista (Comitato di Collegamento)

La notizia di ieri che il gran giurì della Contea di St. Louis  non ha incriminato a Ferguson, Mo., poliziotto bianco Darren Wilson per l'omicidio del diciottenne afro-americano disarmato Michael Brown non è una sorpresa. Nonostante diversi testimoni, tra cui l'amico di Brown, Dorian Johnson che era con lui al momento del delitto, che ha visto Brown con le mani alzate in segno di resa, nonostante la registrazione video e audio direttamente dopo la sparatoria che contraddicono i rapporti ufficiali della polizia, a dispetto di un’autopsia indipendente commissionata dalla famiglia Brown che contraddice domande iniziali che Brown è stato colpito in seguito ad una colluttazione con l'ufficiale Wilson, a dispetto di tutte le prove evidenti che contraddicono le dichiarazioni e i verbali, del Dipartimento di Polizia di Ferguson, la Contea di St. Louis  ha deciso di non incriminare l’ufficiale Wilson.

Nonostante i tentativi viziosi di modificare la natura dell’ assassinio da parte del Dipartimento di Polizia di Ferguson e della Contea di St. Louis con la diffusione di un video di sorveglianza di un uomo mentre taccheggia dove sostengono che sia Brown, le masse di Ferguson e i loro alleati non si sono fatti ingannare così facilmente da queste tattiche dei suprematisti bianchi. Quello che è successo a tanti altri giovani di origine africana in questo paese, tra cui Oscar Grant, Trayvon Martin e decine di altri, è stato ancora una volta tentato con Michael Brown.

Invece, la Contea di St. Louis, Missouri e l'apparato statale di repressione degli Stati Uniti hanno ulteriormente dimostrato di più e ancor più alle masse oppresse e sfruttate negli Stati Uniti che siamo stati brutalizzati, cacciati, inseguiti, sistematicamente discriminati e assassinati.
Il fatto che l’ufficiale Wilson, come innumerevoli altri prima di lui e sicuramente altri centinaia dopo, è in grado di uscirsene senza accusa dopo un omicidio a sangue freddo, risuona nelle comunità delle nazioni oppresse negli Stati Uniti.

Mentre lottiamo contro la povertà, l'occupazione e l’istruzione inadeguata; discriminati in quasi tutti gli aspetti della società americana, la nostra lotta è ulteriormente aggravata da una forza di polizia che serve la borghesia e impone un’ oppressione razziale e nazionale, che è chiara come il giorno ad occhio nudo.

È particolarmente evidente quando iniziamo a vedere il governatore del Missouri Jay Nixon dichiarare in anticipo lo stato di emergenza in tutto lo stato, prima della decisione della grande giuria, con la Guardia Nazionale del Missouri, la Pattuglia Autostradale del Missouri, il Dipartimento di Polizia della Contea di St. Louis e il Dipartimento di Polizia Metropolitana di St. Louis convergenti su Ferguson sotto un comando unificato sotto la maschera cinica di "tutela dei diritti civili".
Ma le masse si stancano dell’ oppressione.

Quello che sicuramente accadrà, come quello che è accaduto, è un disagio continuo e una rivolta a Ferguson e in tutti gli Stati Uniti, gli oppressi hanno ragione a ribellarsi. Ma ciò che è necessario ora più che mai è la comprensione rivoluzionaria di alcune conclusioni:

1) Gli Stati Uniti sono un impero colonialista/di coloni capitalista con colonie interne / nazioni oppresse, tra i quali includono la Nazione Nera; questo antagonismo è violento e mortale e la classe operaia di queste nazioni oppresse insieme con la classe operaia euro-americana deve unirsi per formare un fronte unito per combattere non solo l'oppressione nazionale e lo sciovinismo euro-americano, ma il capitalismo stesso, questo processo include la creazione del Partito marxista-leninista-maoista della classe lavoratrice multinazionale.

2) Le masse non possono contare sulla polizia (o qualunque altra rappresentazione dello stato) per la protezione genuina e il servizio; non è nell'interesse della polizia al servizio dei capitalisti proteggere e servire le nostre comunità.

3) Le nazionalità oppresse, ma soprattutto le persone di discendenza africana, sono sempre stati colpiti e brutalizzata; Michael Brown non è un fenomeno unico nella storia dei imperialista- dei coloni-colonialista-capitalista degli Stati Uniti.

4) Le masse hanno bisogno della propria protezione proletaria, delle nostre basi, delle nostre forze, del nostro proprio movimento anti-egemonico: del proprio potere duale. Le masse hanno bisogno di un esercito popolare, e questo esercito può essere guidato solo dal Partito Comunista, e come tale dobbiamo costruire il Partito comunista marxista-leninista-maoista. Le lotte in diverse località dovrebbero costituire gruppi di autodifesa per formare un tentativo di resistenza, come la formazione di poliziotti che vigilano per agire come contrappeso contro la brutalità della polizia, con il riconoscimento che queste forme sono di impatto limitato anche in termini di portata ma che sono necessari a fornire una qualche forma di sollievo materiale alle masse che soffrono di forme brutali di violenza e di esecuzioni extragiudiziali.

Siamo solidali con le masse di Ferguson, Mo., e tutti gli Stati Uniti che organizzano contro il terrorismo della polizia. Ci troviamo in pieno sostegno ai ribelli delle masse oppresse che gridano per un cambiamento fondamentale. Ci troviamo in sostegno inequivocabile per tutti coloro che vedono queste ingiustizie, come ulteriore prova, come ulteriore evidenza, come un atto d'accusa contro la supremazia capitalista-imperialista di natura bianca degli Stati Uniti.

Viva le masse in rivolta di Ferguson!

Viva il popolo oppresso degli Stati Uniti!

Abbasso il capitalismo e l'imperialismo!

Armiamoci!

Resistere allo Stato!



 Comunicato di Kasamaproject:


 Ferguson: incriminare il loro sistema trasformare la rabbia in organizzazione da Nat Wiin, Kasama Projec Gruppo di Lavoro Editoriale.


Il sistema ha formulato il LORO verdetto. Ora, e nei prossimi giorni, la gente darà il NOSTRO verdetto.
E 'passato molto tempo da quando le persone, nella loro grande massa, hanno anticipato e si sono preparati a rispondere all'oppressione e al disprezzo che il governo degli Stati Uniti ha mostrato alla gioventù nera. L'omicidio poliziesco di Michael Brown nel mese di agosto di quest'anno nella cittadina midwest di Ferguson, Missouri, è servito come una chiamata a raccolta per i giovani neri e tutti coloro che sostengono la loro lotta contro l'oppressione. Sia le autorità razziste e la gente per le strade sono stati in trepidante attesa per la decisione di incriminare l'assassino di Brown, che ora è qui.

La guardia nazionale è già stato chiamata fuori. È già stata dichiarata l'emergenza. E la gente per le strade ha costruito insieme per assicurarsi che la parodia della giustizia che ora è su di noi non rimanga senza sfida.

Com'era prevedibile, l'ennesima vita nera è considerato sacrificabile, e il diritto della polizia di intraprendere un regno di terrore sulle comunità nere è stato ancora convalidato con decisione della grande giuria.

Ora, quelli di noi che stanno con i giovani di Ferguson devono dire la verità: per cercare la giustizia, per porre fine all'oppressione - le persone si devono unire e ribellare. Non ci saranno salvatori condiscendenti. Dobbiamo decidere il nostro compito e farlo bene.

Ci sono momenti nella storia in cui "il popolo" corre avanti le forze rivoluzionarie della società. Mentre è chiaro che molti comunisti, anarchici e altre persone dalla mentalità rivoluzionaria hanno rafforzato i legami con le persone a Ferguson e si preparano a rispondere alla decisione della grande giuria che è stata appena definita; è anche vero che la decisione potrebbe potenzialmente portare ad eventi che noi, come un ecosistema rivoluzionario emergente non siamo ancora pronti ad influenzare.

E sì – i rivoluzionari dovrebbero cercare di coinvolgere i movimenti come quello di Ferguson per aiutarli a intraprendere una direzione rivoluzionaria.
Cos’è quindi che i rivoluzionari sono in grado di fornire al popolo di Ferguson e ai loro alleati?

Una crepa in una faglia

La ribellione di Ferguson e le sue conseguenze è il sintomo di un problema più ampio che il governo (a livello nazionale e locale), non può facilmente risolvere o cooptare. Guardate quante volte la brutalità della polizia ha portato a questo tipo di ribellioni all'interno delle comunità nere: la brutalità della polizia è stata la causa di ribellioni urbane nel 1960, tra cui Watts, a Rodney King nel 1990, a Cincinnati nel 2001, a East Flatbush l'anno scorso dopo che Kimani Gray è stato ucciso, a Ferguson oggi.

Perché questo? Perché non è possibile che il governo e i suoi lacchè come Al Sharpton contengano e soddisfino la rabbia dei neri, in particolare i giovani? Non sarebbe facile per il governo di arrestare solo questo poliziotto, portarlo fuori in manette e in prigione? Eppure questo non accade – ed è stata una costante.

La risposta a questo ha a che fare con il ruolo della polizia in relazione alle persone di colore.
I neri sono stati spinti ai margini della società. I governanti degli Stati Uniti non hanno capito il modo in cui integrare i neri nell'economia dalla svolta verso la deindustrializzazione.
Sempre più persone di colore sono disoccupate per la maggior parte della loro vita e prese di mira per il carcere e la pulizia etnica. Essi vengono isolati, spesso spinti in poveri nuclei urbani in enclave in cui vivono circondate e occupate dalle forze di polizia.

Perché sono date alla polizia tutte le attrezzature militari che ora vediamo per il loro utilizzo in Ferguson? Che cosa è tutto questo?

Il fatto è che è il lavoro di questi poliziotti è terrorizzare la gente nera. Questo è quello che sono addestrati a fare. Gli insegnano durante la loro formazione, così come ci viene insegnato attraverso i mass media, che i giovani neri non funzionano, che sono criminali, e che devono essere controllati. Questa non è una quetsione di "alcuni poliziotti cattivi" o di "arruolare i poliziotti dalle comunità in cui pattugliano." I maiali sono maiali. Il loro ruolo è quello di terrorizzare la gente nera e non vi è alcuna riforma da fare in questo fatto di base.

Questo è il motivo per cui la polizia della contea di Ferguson pensa che era giusto uccidere Michael Brown. Questo è il motivo per cui nessun ramo del governo lo arresterà. Che tipo di messaggio sarebbe inviato alla loro polizia, fondamento di questo sistema di repressione? Se la polizia fosse perseguita per brutalizzazione e l'esecuzione di persone di colore, allora la polizia non avrebbe potuto fare il proprio lavoro, non ci sarebbe alcuna fiducia tra la polizia e il loro leader politici e il sistema che opprime i neri non avrebbe funzionato.

Bisogna prima rendersi conto che gli eventi di Ferguson rappresentano una faglia nella società più ampia. Cioè, si tratta di un problema del sistema capitalista di oppressione che non può essere facilmente risolto o cooptato dalle classi dominanti.

La Ribellione è giusta, ma non è la rivoluzione

La ribellione di Ferguson ha ispirato quanti hanno a cuore la liberazione umana.
Ma la lotta di strada non è la stessa della rivoluzione e abbiamo bisogno di incanalare la giusta rabbia dei giovani neri in un'organizzazione rivoluzionaria disciplinata.
Alcune persone sincere avrebbero l'idea che ciò che è necessario è quello di diffondere la ribellione di Ferguson ad altre parti del paese. La loro è la convinzione sbagliata è che la cosa fondamentale e necessaria in questo momento è più Fergusons, più rivolte.
Mentre la diffusione di rivolte in diversi quartieri di periferia urbana nera potrebbe avere un effetto positivo sulla coscienza e spirito combattivo del popolo, queste ribellioni da sole, di per sé, non porteranno alla liberazione. Ovviamente pensiamo che le azioni di solidarietà, tra cui ribellioni urbane con una vera e propria base nella loro comunità, sono buone. Ma sono sufficienti?

Le nostre responsabilità
Alcune persone dalla mentalità rivoluzionaria  hanno lanciato appelli per un'azione a livello nazionale con la speranza di diffondere la ribellione nei quartieri dove sono. E 'questa la cosa fondamentale che i comunisti dovrebbero fare? Esistono reti di comunisti con i legami reali con le persone in modo che tali chiamate possano avere l'effetto desiderato? Se non questo invito all'azione, allora che cosa?

Quello che Ferguson espone è la necessità urgente di un’organizzazione comunista.
Abbiamo bisogno di fare un lavoro vero e proprio per sviluppare reti di persone che possono rispondere a eventi come Ferguson e abbiano una reale influenza sui dibattiti nella società più ampia in cui eventi come Ferguson avvengono. Fingendo che tali reti già esistono non funzionerà.
Per essere chiari, ci sono reti emergenti in formazione tra i rivoluzionari e questo è ovviamente positivo. Tuttavia questo non sostituirà reti tra i rivoluzionari e le persone più ampie, che sono attualmente primitive. Se le persone sono impegnate in combattimenti di strada, allora dovrebbero essere sostenute e unite, ma non possono essere sostituite da piccole reti rivoluzionarie sparsi in tutto il paese che cercano di accendere queste ribellioni per pura forza di volontà.

L'indignazione della gente ha bisogno di essere trasformata in un'organizzazione rivoluzionaria, combattente ma non solo coraggiosa ma disorganizzata. Le persone in Ferguson stanno vedendo la necessità dell'organizzazione e la creazione di essa. Ma ci deve essere un'organizzazione rivoluzionaria. Questi possono includere organizzazioni a diversi livelli: progetti di organizzazione al livello di strada, progetti di aiuto reciproco, progetti di media forti, arte rivoluzionaria, la musica, la capacità di indagine rigorosa in economia politica del 21 ° secolo, e altro ancora.

Tutto ciò comporta fusione idee comuniste con persone provenienti da diversi background ed esperienze. Abbiamo bisogno di avere un senso di direzione - direzione verso lo sviluppo della strategia e programma in grado di sfidare l'ordine esistente delle cose, e veramente cominciare a liberare le persone di colore e tutti coloro che soffrono per la disuguaglianza, alienazione, e la miseria del capitalismo.

Linee di faglia come spazi in cui l’organizzazione comunista possa mettere radici.

Aperture per collegare le idee comuniste, con una parte del popolo che non sono distribuiti in modo uniforme in tutta la società. Quei problemi della società che sono molto difficili da risolvere per le classi dirigenti hanno un potenziale sproporzionato per i comunisti per sviluppare collegamenti con sezioni più ampie della popolazione. L'abbrutimento e l'omicidio di persone di colore da parte della polizia ha provocato da tempo resistenza militante e più volte, è corretto organizzarsi intorno a questa linea di faglia.

A Ferguson la gente ha guardato la canna della pistola della polizia e hanno resistito sul campo. Ci sono coloro che hanno sostenuto che non vi è alcuna possibilità di un cambiamento rivoluzionario negli Stati Uniti. Si dice che la maggior parte della società è venduta, più interessata a possedere le nuove sneakers iPhone o Nike che alla lotta per la liberazione.
Cosa avrebbero da dire questi scettici su Ferguson, circa la volontà del popolo di rischiare l'arresto e danni fisici per chiedere giustizia per un giovane ucciso dalla polizia nella loro piccola città? Sembra chiaro che Ferguson in realtà rivela qualcosa di profondo sul potenziale di lotta. Ma come diventa fondamentale la natura di questa lotta adesso è la chiave.
Noi comunisti Lavoriamo dalla comprensione che le persone di Ferguson e di tutto il mondo hanno bisogno di liberazione. Le nostre responsabilità non sono solo di coda dietro la spontaneità della ribellione. Abbiamo bisogno di essere e costruire i tipi di organizzazione e lo sviluppo delle reti sofisticate che possono sfidare questa società e dei suoi governanti che perpetrano l'omicidio poliziesco dei neri. Quello che possiamo offrire al meglio è una strategia e un programma per la liberazione su cui molte persone possono unirsi intorno.

Illusioni circa il potenziale della giustizia  capitalista negli USA stanno stretti in posti come Ferguson. 
Questo è un momento dove è importante cristallizzare quello che le masse oppresse ci insegnano ogni giorno circa il modo in cui il mondo funziona con modi di sostenere la lotta e puntando verso la vittoria.

pc 29 novembre - La lotta degli operai della Maruti Suzuki - notizie, mentre prosegue la campagna di solidarietà promossa dallo slai cobas per il sindacato di classe - info slaicobasta@gmail.com

Maruti Suzuki Cars, Manesar, India: cronaca dell’attuale lotta degli operai in fabbrica

24 Novembre 2014

Quella che segue è una cronaca e una riflessione su un recente episodio della storia della classe operaia che ha prodotto qualcosa di clamoroso, non da ultimo all’interno della classe operaia stessa. Ha dato origine a diverse interpretazioni, nei resoconti che i partiti politici di sinistra e altre organizzazioni della società civile ne hanno fatto e nel modo in cui i media elettronici e la stampa l’hanno riportata, comprese le cronache dettagliate e le analisi del foglio operaio Faridabad Majdoor Samachar (FMS). La nostra ricostruzione attinge principalmente a FMS e a nostre conversazioni con persone ad esso legate.

Il sogno del figlio del primo ministro Indira Gandhi, Sanjay, di produrre in India piccole auto non è mai decollato e, dopo la sua morte, nel 1983 la società da lui fondata fu nazionalizzata. Fu firmato un accordo di collaborazione con la Suzuki Motor Corporation in e quello stesso anno il primo esemplare usciva dalle fabbrica di Gurgaon, in Haryana. Nel 2007 il secondo stabilimento della società veniva inaugurato nella Industrial Model Town (IMT) di Manesar.

Nel 2011 nello stabilimento di Manesar c’erano 950 lavoratori a tempo indeterminato, 500 in formazione, 200 apprendisti, 1200 lavoratori dell’appalto di lavorazioni direttamente coinvolte nel processo di produzione e circa 1500 lavoratori assunti da appaltatori per varie lavorazioni ausiliarie. I ritmi di lavoro erano tali che si montava una macchina ogni 45 secondi. Alcuni lavoratori a tempo indeterminato tentarono di organizzarsi in un altro sindacato, contro il sindacato ufficiale. Le pressanti manovre della direzione per far accettare il sindacato già esistente ai lavoratori a tempo indeterminato (la maggior parte dei quali neppure sapevano del tentativo di formare un’altra organizzazione sindacale) produsse un clima carico di tensioni. Il malcontento generale precipitò in un’improvvisa fermata del lavoro. Il 4 giugno 2011 i lavoratori dei turni A e B, ancora tutti dentro la fabbrica, occuparono tutti i varchi in entrata e uscita. Oggi la maggior parte degli operai nelle fabbriche del subcontinente sono lavoratori precari - la percentuale dei lavoratori a tempo indeterminato varia dallo 0% al 5% fino al 25% della forza lavoro. Quel 4 giugno si unirono i lavoratori a tempo indeterminato, quelli in formazione, gli apprendisti e i precari dell’appalto, e prese così forma l’organizzazione operaia adatta alla situazione data, sorpassando le normative di legge per cui solo i lavoratori a tempo indeterminato possono essere membri del sindacato di una fabbrica. Si potrebbe definire quella che iniziò quel 4 giugno e continuò per 13 giorni una “de-occupazione” della fabbrica. Per tutti quei giorni circa 3000 operai vissero in un’atmosfera liberata all’interno della fabbrica.

L’azienda e il governo furono presi alla sprovvista. Durante la “de-occupazione” si svilupparono forti legami tra tutti i lavoratori con contratti diversi. Per riprendere la produzione l’impresa fu costretta a fare un passo indietro e revocare la risoluzione del contratto per 11 lavoratori.

In fabbrica ci fu un brusco cambio di clima. I legami tra i lavoratori continuarono a crescere e i capi erano sempre più sulla difensiva. L’azienda fu costretta a fare i suoi piani e manovre per riprendere il controllo. Andò presso gli istituti tecnici industriali più lontani a reclutare in segreto centinaia di ragazzi. Il 28 agosto, giorno di riposo settimanale, 400 agenti di polizia arrivarono nottetempo. I capi erano già lì ad attenderli. Con lamiere d’acciaio blindarono la fabbrica come una base militare. La mattina del 29, all’arrivo degli operai del turno delle 7, annunciarono licenziamenti e sospensioni, e che potevano entrare solo a quei lavoratori a tempo indeterminato che firmavano un impegno scritto a tenere una buona condotta.

Tutti gli operai, sia a tempo indeterminato che precari, rimasero fuori della fabbrica. All’interno c’erano solo i nuovi assunti e degli operai trasferiti dalla fabbrica di Gurgaon della stessa azienda, più pochi lavoratori a tempo indeterminato dello stesso impianto di Manesar. Avevano allestito dormitori per tenerli in fabbrica tutto il tempo. Capi, quadri, dirigenti e vigilanti dovevano lavorare alla catena insieme agli operai in turni di 12 ore. Una mossa ben studiata della direzione nella partita a scacchi contro gli operai, per ammorbidirli e imporre le sue condizioni.

Ci furono ripetute provocazioni per istigare i lavoratori alla violenza. Gli operai le respinsero, ma comunque alcuni di loro, chiamati dal governo dello stato a negoziare, furono arrestati seduta stante.

Fuori della fabbrica, più 3000 di lavoratori si autorganizzarono in picchetti con turni di 12 ore. In qualsiasi momento del giorno o della notte c’erano più di 1500 lavoratori che presidiavano i varchi di ingresso del personale. Si andò avanti così per tutto settembre 2011. C’erano discussioni di ogni tipo. I legami tra i lavoratori delle diverse categorie di fecero un ulteriore salto. Ogni tipo di tendenza politica era presente ai cancelli della fabbrica: sinistra parlamentare, sinistra extra-parlamentare, radicali, attivisti di organizzazioni per i diritti democratici e civili, studenti universitari e sindacati ufficiali. Il dato più significativo è che gli operai prendevano il posto dei contadini, entrando prepotentemente nella scena socio-politica del subcontinente. Gli operai, tutti intorno ai vent’anni di età, non erano né demoralizzati né ammorbiditi, neanche dopo un mese di picchetti fuori della fabbrica. La partita a scacchi studiata dalla direzione era un punto morto. Da parte loro, gli operai non avevano raggiunto i lavoratori delle altre fabbriche per aumentare la loro forza. Si era in una situazione di stallo. In questo contesto, il 30 settembre fu firmato un accordo tripartito tra il sindacato ufficiale, azienda e dipartimento del lavoro del governo dello stato. I lavoratori lo accettarono. Quando, il 3 ottobre 2011, gli operai tornarono in fabbrica, come previsto dall’accordo, lavoratori a tempo indeterminato, in formazione e apprendisti furono ripresi in servizio, ma 1500 lavoratori precari assunti attraverso gli appalti furono tenuti fuori. Un’altra mossa da scacchista dell’azienda.

L’azienda aveva anche sospeso 44 lavoratori a tempo indeterminato. La mattina del 7 ottobre, l’aggressione a un lavoratore sospeso cambiò di nuovo completamente la situazione. Mentre gli operai dei turni A e B erano ancora tutti all’interno della fabbrica, occuparono ancora una volta tutti i varchi di entrata e uscita. La fabbrica era “de-occupata” per la seconda volta. Questa volta non ci fu solo questa de-occupazione, contemporaneamente altre 11 fabbriche della zona furono de-occupate dai lavoratori.

Ancora una volta, azienda e governo furono presi alla sprovvista. La fabbrica della Maruti Suzuki fu de-occupata dai lavoratori nonostante la presenza di 400 poliziotti e di centinaia di altri vigilanti. La contemporanea de-occupazione di altre 11 fabbriche apriva nuove possibilità, anche nelle migliaia di altre fabbriche della IMT. Fecero ogni tipo di pressione e, in sette fabbriche, la de-occupazione ebbe fine, ma continuava nei quattro stabilimenti del gruppo Suzuki. L’elezione per un seggio parlamentare fermò temporaneamente la mano del governo. Appena dopo il voto del 13 ottobre, la sera stessa, alla Maruti Suzuki di Manesar furono inviati di rinforzo altri 4000 poliziotti.

I leader delle diverse forze dichiaravano a gran voce che se il governo avesse usato la polizia per cacciare gli operai dalla fabbrica, avrebbero fermato l’intero comparto industriale, in tutto lo stato. Per tutto il 14 ottobre, i lavoratori della Maruti Suzuki di Manesar tentarono ripetutamente di contattare questi leader, invano. Né le ordinanze di liberare la fabbrica da parte dell’Alta Corte dello stato né i tentativi della direzione di convincere i lavoratori a obbedire alle ordinanze del tribunale ottennero alcun effetto. Dopo aver resistito per l’intera giornata alla pressione dei 4000 poliziotti supplementari, il 14 ottobre, intorno alle 20, gli operai decisero di lasciare la fabbrica e di unirsi ai loro compagni fuori dell’impianto, 1.500 lavoratori temporanei, per fronteggiare la nuova situazione.

Ciò che colpisce è come né l’azienda né il governo siano stai in grado di comprendere le mosse dei lavoratori. Le crepe si andavano diffondendo ed erano evidenti i rischi della situazione per il governo. Il governo impose un terzo accordo. I 1500 lavoratori precari degli appalti furono ripresi. L’azienda pagò segretamente una notevole somma di denaro ai 30 lavoratori a tempo indeterminato che riteneva responsabili e il governo dello stato assicurò loro un altro posto di lavoro, per ottenerne le dimissioni. Questi lavoratori avevano conquistato la fiducia dei loro compagni di lavoro, grazie al ruolo attivo svolto nei sei mesi di lotte. Liberando la fabbrica da questi lavoratori, di fatto azienda e governo allontanavano dai lavoratori quella che avrebbe potuto essere una potenziale leva per roversciarli. Il 22 ottobre la produzione nei 4 stabilimenti riprese.

“Che cosa vogliono gli operai?” Per il governo e l’azienda era incomprensibile. L’azienda aveva fatto concessioni dopo concessioni. Ora, invece che 45 secondi, il tempo previsto per la produzione di un’auto era stato portato a un minuto. Tutti i salari per i lavoratori in formazione, apprendisti e precari degli appalti erano stati aumentati. Ai lavoratori a tempo indeterminato erano stati promessi aumenti significativi. Anche i genitori erano stati inclusi nei piani di copertura sanitaria. Il numero delle ferie per anno era stato aumentato. I pesanti tagli alla paga per 1 o 2 giorni di assenza erano stati cancellati. La direzione aveva inviato i suoi funzionari ad agevolare la registrazione di un secondo sindacato dei lavoratori a tempo indeterminato. L’azienda aveva riconosciuto subito il nuovo sindacato e avviato la trattativa per un accordo a lungo termine. I nuovi rappresentanti non avevano molto credito ma neanche trovavano opposizione tra i lavoratori, erano considerati un organismo ad hoc per la trattativa. Nel frattempo, aveva inizio della produzione nel secondo reparto di assemblaggio della fabbrica, portando il numero di lavoratori a più di 4000.

È stato detto che le de-occupazioni di giugno e ottobre 2011 hanno portato alla ribalta questioni importanti connesse alla condizione, ai tempi, alle relazioni, alla rappresentanza, all’articolazione, alla vita di fabbrica. Così diceva un lavoratore:

“I giorni dal 7 al 14 ottobre sono i più belli in fabbrica alla Maruti Suzuki. Non più tensione sul lavoro. Non più pressioni sull’orario di entrata e uscita. Non più stress per prendere un posto sull’autobus. Non più lagne su cosa cucinare. Non più questioni se oggi la cena deve essere servita alle 19 o alle 21. Niente più angoscia su che giorno o che ora è. Parlavamo tanto con gli altri, anche di cose personali. In quei sette giorni tutti siamo stati più vicini l’uno all’altro di quanto eravamo mai stati prima”

Sulla stessa scia, alla fine di ottobre, dopo che si era conosciuta la vicenda dei 30 lavoratori, un altro operaio diceva:

“Prima eravamo abituati a rivolgerci al direttore, al segretario generale, al caporeparto ed ad aspettare la risposta. Ora invece ogni lavoratore si dà le risponde. Su ogni questione, ognuno dà la sua opinione. L’atmosfera è cambiata”

Già in febbraio-aprile 2012, nonostante le numerose e importanti concessioni fatte dall’azienda, i lavoratori cominciavano a sentire e a dire che in realtà non era cambiato nulla. Qualsiasi discorso sull’importanza delle concessioni fatte era considerato un discorso filo-aziendalista. Anche dopo aver lottato così tanto, i lavoratori salariati erano rimasti lavoratori salariati. Che cosa era cambiato? Questo è il contesto degli eventi del 18 luglio 2012.

Quella mattina accadde un fatto di tutti i giorni, una lite tra un supervisore e un operaio. Il lavoratore fu sospeso e fu avviata la trattativa tra la direzione e il sindacato. Il dipartimento del lavoro del governo dello stato inviò un funzionario in fabbrica per facilitare una soluzione. Arrivò l’ora del cambio-turno e anche gli operai del turno B. I lavoratori a fine turno si rifiutarono di lasciare la fabbrica. Gli operai dei turni A e B erano ancora tutti insieme. Tutte le tensioni accumulate presero slancio e verso esplosero in tempesta. I rappresentanti che trattavano con la direzione non sapevano che fare. Nelle loro stesse parole: “se cerchiamo di fermare gli operai, saremo i primi a essere picchiati”.

Dopo tutte le concessioni fatte dall’ottobre-novembre 2011 in poi – concessioni da ogni punto di vista molto significative, nel sistema del lavoro salariato – i lavoratori si ribellavano contro l’essere lavoratori salariati. Gli operai attaccarono i due simboli del sistema del lavoro salariato: i dirigenti e gli uffici della direzione. I numerosi vigilanti e 60-70 poliziotti rimasero spettatori silenziosi. Nessuna guardia o poliziotto fu ferito. Non era l’azione di un gruppetto di 20 o 50, ma di migliaia di lavoratori, nuovi e vecchi, a tempo indeterminato e precari, che partecipavano alla rivolta. Per puro caso è accaduto il 18 luglio – lo stesso avrebbe potuto accadere 15 maggio o il 25 agosto. Di fatto i dirigenti e gli uffici erano solo simboli della realtà delle relazioni sociali che essi esprimevano ma, nella pratica, prima le forme incarnate e tangibili diventano bersagli e poi, attraverso questo, appaiono le relazioni sociali. Dopo un attacco durato 30-45 minuti, i lavoratori si dileguarono dalla fabbrica … i padroni erano in ambasce, non solo nella capitale dello stato, anche altrove.

Lo stato ha dislocato permanentemente alla IMT di Manesar 600 commandos di cento uomini l’uno. 147 lavoratori sono stati arrestati, e per altri 65 sono stati emessi mandati di cattura. 546 lavoratori a tempo indeterminato sono stati licenziati e i 2500 lavoratori precari assunti negli appalti sommariamente liquidati. Ancora a metà ottobre 2014, a nessuno dei lavoratori rinchiusi in carcere è stata concessa la libertà a su cauzione. I mandati di arresto per gli altri 65 lavoratori sono ancora in esecuzione. Secondo il presidente della Maruti Suzuki: “Questa è guerra di classe”. Secondo un operaio della Maruti Suzuki di Manesar: “Se il 18 luglio ci fosse stato in tutta la IMT di Manesar, allora sì che sarebbe davvero successo stato qualcosa”.

In sintesi: al 18 luglio 2012 erano state riconosciute a tutti i lavoratori quelle che si potrebbero considerare concessioni molto significative, nel sistema del lavoro salariato. I lavoratori a tempo indeterminato erano garantiti ed erano in corso trattative che li avrebbero resi tra i meglio pagati nella regione. La fabbrica aveva iniziato la produzione nel 2007 e tutti i lavoratori avevano intorno ai vent’anni di età. I lavoratori non sono stati diretti o sotto il controllo di questo o quel gruppo / organizzazione / tendenza. L’azione operaia non è stata uno scoppio improvviso di rabbia. Non è stata una reazione a una qualche iniziativa dell’azienda. Lavoratori a tempo indeterminato, in formazione, apprendisti, lavoratori precari assunti negli appalti, nuovi operai assunti per lavorare nel secondo impianto di assemblaggio - la sera del 18 luglio 2012 tutti questi operai, circa 4000, con un’azione deliberata hanno attaccato due simboli del sistema del lavoro salariato: dirigenti e uffici. Non era questo o quel capo cattivo il bersaglio, ma piuttosto ogni e qualsiasi padrone. Quindi, centinaia di dirigenti, i dirigenti in quanto tali, sono diventati un bersaglio. È questo che rende gli eventi alla fabbrica Maruti Suzuki di Manesar di importanza generale. Che la repressione generi ribellione è cosa ben nota, ma il rifiuto in massa delle concessioni è un fenomeno nuovo. È un punto partenza radicalmente nuovo. I fatti alla Maruti Suzuki Manesar sono un grande esempio, ma ciò che è più importante è che tra i lavoratori di fabbrica nella regione della capitale nazionale dell’India fatti simili, in diverso stadio e a diversi livelli, si stanno facendo strada.

Nei giorni successivi, le duemila fabbriche della IMT Manesar offrivano una base importante per gli operai, per incontrare altri operai e legarsi a loro. E invece … le centrali sindacali sono intervenute immediatamente spostando la sede della mobilitazione a 25 km, a Gurgaon, costituendo un comitato di 16 dirigenti sindacali, che avrebbe deciso quali passi intraprendere. I 546 lavoratori a tempo indeterminato licenziati, quelli rimasti fuori del carcere, sono stati ridotti a galoppini di questa commissione. Altre forze che rappresentano / sostengono gli operai, critiche verso i sindacati centrali ma che guardano ai lavoratori come a povere vittime prive di coscienza, hanno cancellato il ruolo attivo dei lavoratori del 18 luglio. Dicono invece che l’azienda è stata la forza attiva, che ha complottato e assunto dei tirapiedi per attaccare i lavoratori e provocarli. I poveri lavoratori avrebbero agito solo per in reazione a questi e così sarebbero caduti nella trappola tesa dalla direzione. 60-70.000 volantini pieni di queste falsità sono stati distribuiti tra i lavoratori della IMT di Manesar, Gurgaon, Delhi e Faridabad. Consapevolmente o no, queste anime belle hanno spinto i lavoratori a prendere strade faticose ed inconcludenti. Petizioni, manifestazioni, proteste dei familiari dei lavoratori licenziati e imprigionati, scioperi della fame, marce di protesta in bicicletta … iniziative che hanno dato un certo sostegno alla causa degli operai, ma che, se ci si affida esclusivamente a queste, non fanno che stancare e demotivare i lavoratori. A fronte dell’inefficacia del comitato dei 16, le posizioni più di sinistra hanno guadagnato terreno. Allora la sede è stata spostata a 200 km di distanza, in una zona prevalentemente contadina.

Nel luglio 2013 la completa bancarotta di tutti quelli che considerano i lavoratori povere vittime sfruttate è arrivata al punto che le loro “azioni di lotta” hanno fatto una fine ingloriosa: il 18 luglio 2013, in una veglia a lume di candela fatta in pieno giorno in un parco assegnato dal governo, hanno portato in corteo il ritratto del manager morto nel 2012 ...

È molto significativo come, nel riflettere sulle azioni degli operai alla Maruti Suzuki di Manesar, un lavoratore dalla lunga esperienza ha commentato: “chiamare queste azioni semplicemente una ‘occupazione’ è come guardare a quello che i lavoratori stavano facendo attraverso una lente che lo riduce. ‘Occupazione’ è termine sbagliato, fuorviante. Occupazione è il modo in cui le gerarchie sociali esistenti mantengono la loro posizione. Le aziende e i governi oggi si affannano per impadronirsi di tutto. Quello che vogliamo è creare un bene comune. In questo contesto, chiamare quello che i lavoratori della IMT di Manesar hanno fatto una ‘occupazione’ è rifiutare l’essenza delle loro azioni; è come calpestare le possibilità che hanno creato”.

I lavoratori della Maruti Suzuki hanno testimoniato abbondantemente che tra il 7 e il 14 ottobre, quando avevano sciolto la fabbrica dal controllo della direzione e del governo, hanno provato una gioia di vivere che di solito neppure immaginavano. Il significato di ciò che i lavoratori hanno fatto, quindi, sta nell’essere stato un punto di partenza a cui sono seguite una serie di altre de-occupazioni. Visto attraverso questa lente, appare chiaro il significato dello stesso movimento ‘Occupy’, iniziato negli Stati Uniti, come l’essere in effetti un movimento che chiede de-occupazione, una presa di distanza dal controllo che le imprese e i governi esercitano.

La ricostruzione ed analisi qui proposte riuniscono gli elementi critici che definiscono gli eventi del 18 luglio e ne estrapolano anche le possibilità e potenzialità per un’azione operaia più estesa e radicale, che vada al di là del sindacato, centrato sulle richieste di concessioni e riforme all’interno del sistema esistente, attaccando le fondamenta stesse della società capitalistica, vale a dire il sistema del lavoro salariato. Inoltre, ciò non è visto come il risultato meccanico di una particolare congiuntura storica, ma come un evento che porta in primo piano dal lato della classe operaia l’imperativo dell’attività cosciente e dell’autorganizzazione. Infine, ciò che si descrive è, non in minima parte, il prodotto di un pensiero che lo ha voluto, lo si può comprendere se vi si riconosce una potenzialità che insiste più generalmente nelle caratteristiche particolari della fase contemporanea dello sviluppo capitalistico a livello globale.

Circa 200 anni fa, l’uso del carbone e dell’energia del vapore al posto della forza umana e animale è stato un grande salto delle forze produttive, che ha staccato i produttori dai loro attrezzi e instaurato il lavoro salariato. Successivamente, il petrolio e macchinari elettrici produssero altri significativi incrementi delle forze produttive, ma il salto prodotto dall’elettronica è incomparabile. A livello globale, l’elettronica ha cambiato la vita sociale al punto che cose di uso comune solo pochi anni fa oggi sembrano già antiche.

In America, Europa e Giappone l’elettronica è entrata nella produzione negli anni 70. In Cina dieci anni dopo. Dieci anni dopo la Cina, l’elettronica è entrata nella produzione in India. Nel 1992 c’era in Giappone un dibattito tra i padroni su lavoratori precari e a tempo indeterminato. I lavoratori a tempo indeterminato sono costosi, ma sviluppano una certa fedeltà verso l’azienda. I lavoratori precari costano meno, ma non hanno alcuna fedeltà nei confronti dell’azienda. Questi erano alcuni dei temi in discussione. È la crescente debolezza delle aziende e dei governi che si manifesta nella loro incapacità di mantenere lavoratori a tempo indeterminato. In tutto il mondo in questi 10 anni il numero di lavoratori precari è aumentato enormemente. Inoltre, l’ingresso dell’elettronica nella produzione ha rapidamente accelerato il ritmo delle nuove invenzioni. La crescente possibilità di introduzione di nuove macchine ha ulteriormente ristretto lo spazio per l’assunzione di lavoratori a tempo indeterminato. Fabbriche che per più di cento anni hanno continuato a crescere sempre di più, oggi sono facilmente suddivise in centinaia di unità produttive disperse nel territorio. Le piattaforme dell’auto, come quelle di Gurgaon, Pune, Chennai, in India come altrove nel mondo, sono espressione di questa tendenza. È significativo che, come già sottolineato, il crescente numero di lavoratori temporanei non sia indice della forza di aziende e governi, ma piuttosto della loro debolezza. La totale assenza di fedeltà all’azienda, l’esperienza di lavoratori di 20 a 25 anni di età in 10 o anche 20 posti di lavoro diversi, distruggono molte illusioni e rendono i lavoratori precari un pericolo per aziende e governi. In altre parole, questo scenario, insieme ai legami creatisi negli anni alla Maruti Suzuki tra i lavoratori precari e a tempo indeterminato, rafforzati dalle esperienze condivise nella ‘de-occupazione’ della fabbrica, hanno prodotto la scintilla dei fatti del 18 luglio e costituiscono una base potenziale per un’azione radicale della classe operaia in futuro, qui e altrove. Innumerevoli esempi di queste azioni, che hanno luogo dentro e intorno a Delhi, sono sempre più visibili.

pc 29 novembre - Il regime fascista di Al Sisi assolve il suo predecessore per continuare l'attacco e l'oppressione del popolo egiziano

Egitto, Mubarak prosciolto: non ha fatto uccidere i 239 manifestanti
L'ex presidente egiziano era a processo per verificare la responsabilità riguardo alle morti durante le manifestazioni della Primavera Araba del 2011. Assolto anche dalle accuse di corruzione per tangenti e vendita di gas a Israele

di F. Q. | 29 novembre 2014

 Hosni Mubarak, l’ex presidente egiziano, non doveva essere processato. E’ quanto deciso dal giudice della Corte d’Assise del Cairo, stabilendo il proscioglimento per l’ex capo di Stato che per 30 anni, dal 1981 al 2001, ha guidato il Paese. Una decisione , scrive Al Jazeera, dovuta a un “errore tecnico” della Procura. Sentenza diversa, invece, per l’ex ministro dell’Interno, Habib al-Adli, e per sei agenti dei servizi segreti egiziani che sono stati tutti assolti dalle imputazioni a loro carico. Nè assolto nè condannato, quindi, dall’accusa di responsabilità per la morte di 239 manifestanti, durante la Primavera Araba del 2011, che portò alle dimissioni di Hosni Mubarak. Assoluzione anche per le accuse di corruzione in un caso di vendita di gas a Israele e per tangenti. Mubarak, però, rimane in carcere per scontare una condanna definitiva a 3 anni di reclusione per sottrazione di fondi pubblici che dovevano essere impiegati per il restauro del palazzo presidenziale.
L’ex presidente 86enne è arrivato al Tribunale del Cairo in elicottero dall’ospedale militare Maadi, dove sta scontando la sua pena.

pc 29 novembre - I padroni sono sempre ASSASSINI, non solo per l'insicurezza sul lavoro ma anche quando licenziano

Livorno, vertenza Cooplat: tenta suicidio dopo preavviso licenziamento

Questo è solo l'ultimo episodio legato al caso della ditta che gestisce il servizio di spazzamento delle strade. L'appalto scadrà tra due mesi. Venerdì in consiglio comunale è scoppiata l'ennesima protesta. "La giunta ci prende in giro", ma il sindaco Nogarin replica: "Stiamo facendo il massimo"

“Basta, salgo sul tetto e mi getto giù”. Dopo aver ricevuto il preavviso di licenziamento ha minacciato di lasciarsi cadere dal tetto del Comune di Livorno se non avesse ottenuto garanzie sul futuro della propria ditta. Soltanto dopo tre ore di tensione e apprensione una 52enne, monoreddito con due figli, è stata convinta a scendere e poi portata al pronto soccorso per accertamenti. “Sta un po’ meglio, ma è ovviamente molto stanca” riferisce in serata il segretario provinciale Fp-Cgil Giovanni Golino. Sia il sindacalista che il sindaco Filippo Nogarin hanno seguito il caso dai primi minuti: “Le abbiamo parlato dalla finestra vicina – racconta il primo cittadino – cercando di calmarla”.
Questo è solo l’ultimo drammatico episodio legato alla vertenza Cooplat, ditta che gestisce per conto di Aamps (100% in mano al Comune) il servizio di spazzamento delle strade. L’appalto scadrà tra due mesi e nelle ore scorse i 78 dipendenti della cooperativa hanno ricevuto una lettera con cui si preannuncia il licenziamento a partire appunto dal prossimo 31 gennaio (“solo un atto formalmente dovuto” ha rassicurato Nogarin). Venerdì in consiglio comunale è scoppiata l’ennesima protesta. “La giunta ci prende in giro” è il ritornello. “Stiamo facendo il massimo” ha controbattuto Nogarin.
La protesta annunciata si è però arricchita di un capitolo imprevisto. Intorno alle 15 la 52enne ha infatti salito le scale di Palazzo civico fino al terzo piano per raggiungere un tetto interno che si affaccia su una chiostra e ha minacciato di gettarsi giù. Appena appresa la notizia i colleghi si sono radunati davanti alla sede del Comune. “Mi ha chiamato al cellulare, dicendomi solo che si sarebbe gettata giù dal tetto” riferisce il collega Luca Lombardi. Al centro della questione il rinnovo dell’appalto: i lavoratori chiedono che nel nuovo bando siano garantite le stesse condizioni attuali, ossia quelle garantite dal contratto nazionale Fise (1300 euro mensili per 36 ore settimanali più quattordicesima). Il bando scritto da Aamps (offerte da presentare entro il prossimo 5 dicembre) prevede una clausola di salvaguardia per tutti i 78 dipendenti ma non il mantenimento del contratto in questione. Soltanto Cooplat avrebbe l’obbligo di garantire il Fise: gli altri soggetti interessati al bando potrebbero invece proporre altre soluzioni. “Evidente alterazione della concorrenza” sostiene Cooplat che quindi si è appellata al Tar (camera di consiglio il 10 dicembre). La donna salita sul tetto ha chiesto che il bando sia riscritto affinché tutti i soggetti in gara siano costretti a applicare il Fise. Il timore dei lavoratori è infatti che un vincitore diverso da Cooplat possa applicare contratti più penalizzanti come ad esempio il Multiservizi: “Perderemo 300 euro al mese”.
Gli spazzini accusano Comune e Aamps: “4 mesi di sole promesse” afferma Ivo Palestri. Silvia Di Fraia e Anna Goti puntano invece il dito contro l’atteggiamento di Nogarin: “Appena saputo che la nostra collega era salita sul tetto il sindaco ha fatto uscire tutti noi lavoratori e i giornalisti presenti, sostenendeno che era in atto un vero e proprio attacco mediatico”. Anche i consiglieri d’opposizione come Marco Cannito (Cittàdiversa), Monica Ria (Pd) e Andrea Raspanti (Buongiorno Livorno) attaccano la giunta. “No alla deregolamentazione: chiunque vinca la gara deve assicurare il Fise” scandisce l’ex segretario del Pd Jari De Filicaia. Il prossimo tavolo tra azienda, istituzioni e sindacati è in programma per lunedì. Nogarin in serata ribadisce però che il bando non potrà essere modificato: “Siamo costretti da ragioni tecniche: ci esporremmo in caso contrario a un elevato rischio di ricorso”. Il sindaco infine chiarisce: “Ho chiesto a dipendenti e giornalisti di uscire dai saloni del Comune per tutelare la donna stessa. Ci siamo trovati davanti a una situazione estremamente delicata: la tensione e la pressione non avrebbero permesso di agire nel migliore dei modi per salvare la lavoratrice”.
di David Evangelisti | 29 novembre 2014

pc 29 novembre - I compari della Camusso, quelli dello "sciopero" del 12, un'accozzaglia di ladri e traffichini. E' ora che i lavoratori li prendano a pedate

Uil tra mogli, figli e congiunti: ecco la parentopoli dentro il sindacato

La lunga lista di parentele dentro l'Unione italiana dei Lavoratori. A cominciare dal neosegretario Carmelo Barbagallo: il figlio lavora al fondo Formatemp. La moglie di questo in Fonder, formazione per i religiosi. In entrambi i casi i vertici sono in parte nominati dai confederali. E poi tesoriere e figlio, segretari locali e mogli. Barbagallo ironizza: "Se ci date un posto da voi, li mandiamo tutti al Fatto".


“La famiglia è una cosa importante”. Non ha alcun dubbio il tesoriere della Uil, Rocco Carannante, quando non gli è ancora chiaro il motivo della telefonata. Del resto nella Uil la famiglia è una cosa più che importante, importantissima. Basta andare a vedere cosa fanno figli e parenti di chi è ai vertici dell’organizzazione. Molti di loro hanno un ruolo nel sindacato stesso, o sono stati piazzati in strutture collegate le cui nomine dipendono dalla Uil. Vedi alla voce Barbagallo, tanto per cominciare. Carmelo Barbagallo, il neosegretario generale, è nella segreteria nazionale da 14 anni. E suo figlio Filippo che fa? È un responsabile d’area in Formatemp, il fondo per la formazione dei lavoratori interinali in cui la Uil può scegliere due membri del cda. Filippo ha una moglie, Alessandra Lo Dico, che invece ha un posto da responsabile dell’amministrazione in Fonder, il fondo per la formazione continua negli enti religiosi, un altro organismo a cui le aziende versano contributi per legge e che quindi opera grazie a risorse pubbliche, secondo la definizione data dal ministero. In Fonder, come in Formatemp, parte dei vertici sono nominati dai sindacati confederali. Ma non finisce qui. Perché il vicepresidente di Fonder è Giovanni Bellissima, figlio di Romano, il segretario nazionale della categoria dei pensionati della Uil.
“Che male c’è? – commenta al telefono Carmelo Barbagallo – stiamo parlando di giovani che hanno trovato un posto di lavoro, e lavorano”. Fortuna loro, in un paese dove più del 43% degli under 25 alla ricerca di un posto non riescono a trovarlo. “Per questo mi batto”, assicura il segretario generale. Come fa per le persone vicine a voi? “Se, come dice lei, loro le abbiamo già sistemate, ora ci stiamo battendo per gli altri”. In attesa che la battaglia dia gli stessi frutti cresciuti nella Uil, torniamo a Giovanni Bellissima. Come detto, è vice presidente di Fonder. E poi presidente di Arcadia concilia, la società al 100% Uil che si occupa di mediazione nelle cause di lavoro. Sua moglie Sara lavora nella segreteria nazionale della Uil ed è stata alle dirette dipendenze di Carmelo Barbagallo fino alla sua elezione a leader al posto di Luigi Angeletti. “Era in quel ruolo già prima che diventasse moglie di mio figlio – sostiene Romano Bellissima – e poi che c’entra? La confederazione fa le nomine, non la categoria dei pensionati: sono ruoli distinti. Nemmeno ai criminali viene impedito di occupare posti nelle organizzazioni. Se lo vietassimo ai figli, sarebbe una discriminazione. E loro non sono dei criminali”.
Arcadia Concilia, dicevamo. Tra i consiglieri di amministrazione c’è Rocco Carannante, che in quanto tesoriere siede nei cda di tutte o quasi le società dell’universo Uil, oltre che in quello della holding del gruppo Unipol e della sua controllata Unisalute, di cui è vicepresidente. Vista la situazione sembra che certi incarichi vengano assegnati in base alla parentela anziché al merito, non le pare? “Io del figlio di Barbagallo non so nulla – garantisce – e queste decisioni non vengono prese dal mio servizio”. E allora veniamo al figlio di Rocco, Emilio Carannante, che al lavoro di poliziotto a un certo punto ha affiancato la passione per il sindacato, fino a ottenere il distacco per poi diventare segretario nazionale della Uil polizia. “Sono entrato nell 1987 nel reparto mobile, sono stato tre anni per strada, facendo ogni cinque giorni una notte. Credo di essermi guadagnato tutto quello che ho fatto poi. Ho iniziato a fare attività sindacale dopo vent’anni di onorato servizio”, garantisce Emilio, che non ha dubbi sui propri meriti. Come del resto non ce li ha Barbagallo sul suo Filippo: “E’ laureato e ha fatto la sua gavetta. È un dipendente che fa il suo lavoro, non è un dirigente. Avessi piazzato il figlio a fare il dirigente di una grande società pubblica, cosa avreste detto?”. Beh, non poteva trovare un posto svincolato dalla Uil? “I miei figli si sono dovuti spiantare dalla Sicilia per venire a Roma con me, perché lì l’aria era piuttosto pesante. Sono stato anche sotto scorta”.
Siamo arrivati alla Sicilia. Qui il segretario generale è Claudio Barone. E sua moglie Luisella Lionti? Anche lei è un membro della segreteria regionale, nonché tesoriera della Uil Temp Sicilia, il sindacato dei lavoratori atipici. “Sto esaminando la possibilità di divorziare”, scherza Claudio Barone, prima di spiegare che la moglie ha lavorato per anni come sindacalista: “E’ stata eletta nella segreteria perché ha fatto bene il suo lavoro”. Da una moglie all’altra. Quella di Guglielmo Loy, uno dei segretari nazionali appena riconfermati, si chiama Stefania Picari ed è presidente della Sotur, la società all’80% della Uil Lazio e al 20% del sindacato dei lavoratori edili Feneal Lazio. Con un giro di affari che nel 2013 ha superato i 2,3 milioni di euro, Sotur opera come tour operator con il logo ‘Ed è subito viaggi’ e ha contribuito a organizzare il recente congresso stravinto da Barbagallo insieme ad Arcadia Eventi. Questa è un’altra azienda in orbita Uil, visto che le sue quote sono nel portafoglio della società che gestisce i Caf Uil e della società immobiliare Uil Labor. Dietro al suo caso, spiega Loy, non c’è alcun favoritismo: “Ho conosciuto mia moglie anni fa, quando era già direttrice dell’agenzia viaggi promossa della Uil di Viterbo. Io ero segretario regionale. Non avrei dovuto sposarla? O avrei dovuto impedire la sua carriera professionale? Non me la sono sentita e lei è rimasta a fare quello che faceva prima di conoscermi”. I viaggi sono al centro anche dell’attività di Uil Tempo libero Campania. La responsabile è Eva Gallo, nuora del segretario generale di Uil Campania, Anna Rea: “Mi occupavo dei servizi e delle attività del tempo libero già prima che avessimo un rapporto di parentela”, dice Eva Gallo prima di sbattere giù il telefono. Tutto questo non è quantomeno inopportuno? “Se ci date un posto voi – replica Carmelo Barbagallo – li mandiamo tutti al Fatto Quotidiano”.

di Luigi Franco | 29 novembre 2014

pc 29 novembre - GLI OPERAI PIU' COSCIENTI... DA PILLOLE COMUNISTE

I proletari d'avanguardia vanno oltre la lotta sindacale, si occupano degli interessi generali, sono colpiti dai fatti generali, se ne interessano e sentono il bisogno di fare qualcosa


da Pillole comuniste - 2
2.3.14

pc 29 novembre - CHI PRODUCE RICCHEZZA SOCIALE? IL CAPITALISTA O L'OPERAIO? - "IL CAPITALE" COME ARMA DI LOTTA CONTRO LE "IDEE" DOMINANTI

Abbiamo cominciato da questa settimana il nuovo ciclo di formazione operaia, su "Il Capitale" di Carlo Marx. Questo studio, come per il primo corso di formazione e a maggior ragione per questo, non è di "acculturazione" degli operai (ma anche più in generale di tutti i lavoratori, dei giovani, ecc.), non ha essenzialmente lo scopo di fornire elementi di conoscenza, ma ha soprattutto l'obiettivo di fare della teoria, come abbiamo detto, arma di lotta, di emancipazione politica, teorica, ideologica degli operai perchè siano indipendenti, autonomi, perchè senza un pensiero autonomo - che affonda nella ricca storia della lotta di classe del proletariato - gli operai sono succubi dei padroni, dello Stato, dei governi, delle loro idee dominanti, come delle teorie e politiche fallimentari dei partiti di "falsa sinistra", dei sindacati collaborazionisti, di forze non di classe.
Ma, oggi più che mai è un'ARMA DI LOTTA! Contro le idee che pervicacemente, volutamente, padroni, governo, Stato, attraverso i mass media, in particolare la televisione, internet, i pennivendoli intellettualini al loro servizio, portano avanti e cercano di rendere "idee vere", "idee certe, inconfutabili", allo scopo di "imbrogliare" gli operai e la loro visione della realtà, impedire una vera lotta di classe, e soprattutto la costruzione del partito della classe, il partito comunista rivoluzionario marxista leninista maoista di tipo nuovo.
A QUESTO SERVE LO STUDIO DE "IL CAPITALE".

Già dalla prima parte, pubblicata giovedì scorso, viene chiaramente dimostrato che chi produce merci, chi produce valore sono gli operai con il loro lavoro.
Cosa è contenuto nella merce prodotta, cosa ne dà un valore in modo che quella merce si può scambiare con altre: il tempo di lavoro in essa contenuto.
Quindi questa semplice iniziale comprensione scientifica deve fare piazza pulita di tutte le concezioni, parole, che invece dicono che è il capitale fattore della produzione, della ricchezza di un determinato paese, che se va bene il capitale vanno bene i lavoratori, e, viceversa, se va male il capitalista, va male ai lavoratori (non è certo colpa del capitalista... O, no...!).
Marx fin dalle prime pagine de "Il capitale" dimostra invece che è tutto il contrario.

Può stare una massa di soldi, possono stare le macchine, gli impianti, ma se non c'è la forza lavoro, se non ci sono gli operai che con il loro lavoro producono le merci (siano abiti, siano alimenti, siano tubi di acciaio, automobili, ecc.), i soldi, le macchine possono rimanere per anni ad "arrugginire" e non producono alcuna ricchezza.
E un bene ha valore soltanto perché in esso viene oggettivato, o materializzato, lavoro umano.

Quindi chi produce valore sono gli operai, chi si appropria del lavoro-valore prodotto dagli operai sono i capitalisti, che su questo lavoro sociale (sullo sfruttamento della forza-lavoro, come vedremo di nuovo e ancor meglio nel prosieguo dello studio de "Il Capitale") realizzano i loro profitti privati.

MA IN QUESTO SISTEMA CAPITALISTA...
Chi, con il suo lavoro, è fattore della ricchezza sociale, produce l'immane massa di merci, beni che servono per vivere, sono gli operai - ma vengono considerati un mero braccio esecutivo dei "veri produttori" che sarebbe i capitalisti.
Chi è parassita e si appropria di questo lavoro e per i mantenere i suoi profitti distrugge anche grandi quantità di merci, insieme alla distruzione della principale "merce" la forza-lavoro (la "distruzione", qui può avvenire solo parzialmente, perchè i capitalisti non possono esistere senza gli operai), sono i padroni - ma si considerano e vengono considerati dal governo, dallo Stato, ecc. i dominus centrali e imprescindibili dello sviluppo della società, e "datori di lavoro", che vanno costantemente "ringraziati"...

QUESTO PORTA E DEVE PORTARE ECCOME A CONSEGUENZE... 
MA QUESTO LO VEDREMO DOPO.

pc 29 novembre - Donne in miniera - massimo sostegno

Iglesias. 37 donne occupano la miniera

Iglesias. 37 donne occupano la miniera

37 donne, in Sardegna, hanno indossato passamontagna, casco e sciarpe e sono scese in miniera per occuparla. Lanciando così il grido di un'isola – un'intera regione – che sta affondando nella disoccupazione e che quindi vede con rabbia un presidente del consiglio irridente che parla a vanvera di “posti di lavoro creati”.
Le lavoratrici che dall'alba di ieri hanno chiuso alle proprie spalle il cancello della miniera di Monteponi, protestano perché – da dipendeti Igea – non hanno visto arrivare gli stipendi di ottobre e novembre. Ma è innanzitutto il futuro produttivi dell'azienda – che, ricordiamo, è di proprietà della Regione Sardegna e si occupa di manutenzione e bonifiche di siti come le ex miniere o la cava di Furtei, nel Medio Campidano – a preoccupare di più.
La stessa forma di lotta era stata adottata qualche settimana fa a Lula, in provincia di Nuoro, dagli operai della stessa Igea, che non avevano ricevuto lo stipendio neppure dopo aver raggiunto l'ennesimo “accordo” alla Regione.
La miniera di Villamarina, occupata dalle donne ieri, è stata più volte teatro di clamorose proteste negli ultimi quindici anni. Ed un altro gruppo ha occupato il “pozzo T” della miniera di Campo Pisano, da cui si controllano le pompe per l'acqua destinata ad Iglesias. Di conseguenza, il gestore dell'acqua ha chiuso le fornitura fino alle cinque di stamattina; ma da stasera alle 22 dovrebbe essere di nuovo sospesa.
"L'iniziativa da parte delle donne - spiegano le lavoratrici - nasce dalla volontà di volere far emergere le difficoltà che quotidianamente si trovano ad affrontare come madri, compagne, mogli e lavoratrici sfatando il luogo comune secondo cui alle donne tradizionalmente era precluso l'accesso al sottosuolo". Sotto accusa è la Regione (che naturalmente rinvia tutto al taglio dei trasferimenti decisi dal governo nazionale), responsabile "dell'ennesimo venir meno degli impegni assunti".
Se la situazione non verrà sbloccata rapidamente le donne si dicono pronte all'occupazione a oltranza: "Noi non abbiamo paura". L'assessore all'Industria, Maria Grazia Piras, ha convocato i sindacati per martedì. Ma ha anche premesso che l'impegno della giunta Pigliaru, attualmente alla guida della Regione, è "trasformare Igea in una società con costi e ricavi in equilibrio. Questa Giunta, che ha ereditato una situazione disastrosa, ha fatto una scelta ben precisa: tenere in vita l'azienda e ridarle un ruolo".
In queste ore fioccano naturalmente le rassicurazione verbali, ma le lavoratrici e i loro colleghi vogliono vedere impegni chiari, scritti nero su bianco. La Regione si dice impegnata a garantire risorse adeguate nel bilancio 2015. Ma la gestione è in mano a un commissario liquidatore, peraltro non ancora pienamente operativo, incaricato di stendere un piano per portare l'azienda l'azienda a un equilibrio finanziario.
Insomma: tra “rassicurazioni” e azioni concrete della Regione c'è un baratro enorme, da cui emana un forte odore di presa per i fondelli, finalizzata a ridurre la conflittualità, prendere tempo e creare una situazione di fatto irreversibile.