La Tunisia è in pieno
clima elettorale, si sono da poco concluse le elezioni legislative lo scorso 26
Ottobre e si terranno quelle presidenziali il prossimo 23 Novembre. Dopo la
rivolta popolare del dicembre 2010-Febbraio 2011 che ha avuto il merito di cacciare
il regime autocratico di Ben Alì legato
all’imperialismo occidentale, la situazione politica prodotta dalla rivolta è
stata normalizzata con le elezioni dell’Assemblea Costituente da cui è uscito
vincitore il partito islamista di Ennahda (rinascita n.d.a.) facendo entrare il paese
nel cosiddetto “periodo di transizione” che dovrebbe concludersi con le attuali
elezioni.
Il governo islamista ha
avuto vita breve a causa di un rifiuto diffuso da parte di molti settori della
società tunisina la quale fin dai tempi dell’indipendenza è considerata la più
laica nel mondo arabo e islamico. I partiti politici laici di diversa
estrazione da Nida Tounes (partito creato nell’Agosto 2012 che accoglie molte
personalità politiche e non del vecchio regime) al Fronte Popolare (coalizione
dei principali partiti della sinistra borghese sedicenti marxisti,
marxisti-leninisti, panarabisti ecc.) hanno cavalcato l’onda anti-islamista per
propri fini politici e perché attaccati fisicamente dai jihadisti di Ansar
al-Sharia e dalle Leghe di Difesa della Rivoluzione, ala militare/illegale di
Ennahda. Proprio il giorno prima delle elezioni in un sobborgo periferico di
Tunisi c’è stato uno scontro a fuoco tra le forze di sicurezza e una cellula di
5 miliziani di Ansar al-Sharia che ha lasciato sul terreno quattro jihadisti e
un poliziotto, invece qualche giorno dopo le elezioni lo stesso gruppo
terrorista ha condotto un’imboscata contro un pullman dell’esercito nella città
occidentale di El Kef causando la morte di 4 militari e il ferimento di 14
persone.
L’ostruzionismo in sede di Assemblea Costituente e nelle strade con grandi scioperi ha portata Ennahda a rassegnare le
proprie dimissioni dal governo. Tale decisione è stata presa anche in base a
quanto successo recentemente in Egitto con il colpo di stato militare che ha
portato al massacro dei Fratelli Musulmani che come Ennahda avevano vinto le
elezioni dopo la caduta di Mubarak, Il partito islamista ha quindi preferito cedere il passo ad un governo
“tecnico” presieduto da Jomaa, uomo d’affari legato a doppio filo con la
finanza internazionale e l’imperialismo francese in particolare che ha prestato
servizio nella grande azienda francese Hutchinson e per la multinazionale petrolifera francese Total S.A. diventando in seguito direttore
generale della Hutchinson Aerospace
Dopo questo passaggio
di consegne molti analisti e think-tank hanno definito la Tunisia come l’unico
paese che sta avendo una transizione più o meno pacifica verso la “democrazia”
dopo la “Primavera Araba”. Nei mesi scorsi si sono susseguite visite di stato
da parte di capi e membri di governo e di stato delle principali potenze
imperialiste (Francia, USA, Russia, Italia), da parte delle petromonarchie del
golfo (in particolare il Qatar ha interessi molto forti nel paese) e di paesi
minori, tutti questi paesi fanno a gara ad appoggiare ed approvare la “miracolosa”
transizione che a differenza di quanto avvenuto in Libia, Egitto e Siria non
si è conclusa in guerra civile. A conclusione di questi pellegrinaggi il
segretario delle Nazioni Unite Ban Ki Moon si è recato a Tunisi lo scorso 10
Ottobre per sincerarsi che la macchina organizzativa elettorale fosse pronta.
Entriamo nel merito di
queste elezioni, le prime svoltesi con la nuova costituzione in vigore reputata
positiva più o meno allo stesso modo da tutte le forze politiche che hanno
contestato le elezioni, da Ennahda a Nida Tounes financo dal “marxista” Fronte
Popolare.
Inutile dire che queste
elezioni sono state precedute da una massiccia propaganda ideologica sulla
necessità di recarsi alle urne per contribuire alla conclusione del “periodo di
transizione”, locuzione che per i tunisini ha un significato estremamente
negativo e si traduce con insicurezza, microcriminalità, terrorismo islamista,
sporcizia nelle strade, disordine in generale. La retorica dominante è quella
che il nuovo governo che uscirà dalle elezioni, qualunque esso sia, metterà fine
a questo periodo di caos e risolverà i problemi del popolo.
Ovviamente tutti i
partiti che hanno contestato le elezioni hanno condiviso questa impostazione
avendo inoltre come base comune l’idea che la nuova costituzione rappresenta un
punto di partenza da implementare (ognuno secondo le proprie interpretazioni
del mondo e della società).
A questo si è aggiunto
l’ulteriore propaganda ideologica del “voto utile” in funzione anti-islamista
rivolta in particolare ai giovani e ai delusi verso tutto l’arco istituzionale,
incitandoli dunque ad andare a votare, una vera e propria campagna contro l’astensionismo.
I dati ufficiali
parlano di un’affluenza alle urne del 69% al cui interno c’è un 2% di schede
lasciate in bianco e un 3% di voti nulli. Questi ultimi due dati aggiunti alla
percentuale dell’astensionismo elettorale portano al 36% l’elettorato che per
protesta si è rifiutato di andare a votare o ha respinto l’intero processo
elettorale disilluso e contrariato dagli sviluppi che ha intrapreso la
“rivoluzione” come viene comunemente definita la rivolta in Tunisia. Alcuni
analisti sono preoccupati dal fatto che questo 36% è formato prettamente da
giovani, ma non erano stati proprio i giovani l’anima della rivolta? I conti
tornano…
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i 3 compagni maoisti arrestati per la campagna di boicottaggio elettorale |
Unica voce
controcorrente che si è fatta carico del malcontento popolare e giovanile è
rappresentato da alcuni gruppi e partiti marxisti-leninisti-maoisti e
rivoluzionari e che agiscono al di fuori delle istituzioni che, messe da parte
le divergenze politico-ideologiche hanno dato vita ad un Comitato di Boicottaggio
delle Elezioni, conducendo azioni di propaganda anti-elettorale e di
boicottaggio attivo.
Dovrebbe fare pensare
come durante la campagna elettorale non si siano registrati problemi tra
militanti dei diversi partiti alcuni di essi teoricamente antitetici e che
invece durante un volantinaggio anti-elettorale di fronte la stazione centrale
di Tunisi a piazza Barcellona, i compagni siano stati prima provocati da
militanti islamisti di Ennahda e subito dopo tratti in arresto dalla polizia
che ha incriminato 3 di loro per turbativa elettorale e manifestazione e
riunione (quella che ha dato vita al comitato) non autorizzata.
Per quanto concerne i
risultati elettorali il partito che ha ottenuto la maggioranza relativa è Nida
Tounes guidato dall’ottantasettenne Béji Caid Essebsi, uomo politico già
collaboratore di Bourguiba negli anni ’50 e Presidente della Camera dei
Deputati sotto il regime di Ben Alì, si considera un liberale e laico. il
partito ha ottenuto il 39,17% delle preferenze aggiudicandosi 85 seggi sui 217
totali.
Segue Ennahda con il
31,80% delle preferenze e 69 seggi.
Il terzo partito è l’Unione Patriottica
Libera che ha ottenuto 16 seggi. Questo partito è legato alla persona di Slim
Rihai, magnate del calcio tunisino e uomo d’affari, fondatore di questo partito
populista di destra che strizza l’occhio ad Ennahda.
Al quarto posto con 15
seggi si piazza il Fronte Popolare, seguono i liberali di stampo classico di
Afek Tounes con 8 seggi, infine si aggiudica solo 4 seggi il Congresso Per la
Repubblica, partito di Marzouki ormai ex Presidente Provvisorio della Repubblica
e candidato alle prossime presidenziali. I restanti 20 seggi vanno a partiti della
cosiddetta “diaspora destourienne” o bourguibista.
Se analizziamo questi
risultati elettorali da un punto di vista prettamente “geografico” il paese è
praticamente diviso a metà. Nida Tounès ha vinto in tutte le regioni del
centro-nord ed Ennahda in tutte quelle del sud.
Questo elemento non è
secondario e ci aiuta a interpretare meglio il risultato elettorale: fin dai
tempi dell’indipendenza, se non già da prima, il paese si divide
sostanzialmente in un nord più ricco in particolare le città costiere, oggetto
di investimenti per il settore turistico (Tunisi, Hammamet, Sousse,
Monastir, Mahdia, Tabarka e Bizerte a cui si è aggiunta la meridionale isola di Djerba) e un sud prettamente agricolo e
sottosviluppato. Anche nei poli industriali di Sfax e nei centri minerari di
Gafsa e Metlaoui i profitti derivati dallo sfruttamento dei lavoratori sono
andati direttamente nelle casse del governo centrale di Tunisi che li ha
investiti principalmente sulle città costiere settentrionali. Questa è stata
una precisa scelta politica di Bourguiba, perseguita anche dal regime di Ben
Alì.
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Jasmin: la spiaggia turistica di Hammamet |
Da ciò si spiega la
vittoria di Nida Tounes (leggi RCD, il nome del partito al potere durante il
regime di Ben Alì) al nord dove sono presenti funzionari statali e del terzo
settore in particolare turistico che hanno ancora legami clientelari con i
personaggi riciclati del vecchio regime e dove si teme un’eventuale
islamizzazione della società che cambierebbe gli stili di vita della
popolazione delle città costiere più “occidentalizzate” rispetto alla
popolazione del sud del paese sicuramente più conservatrice.
Il conservatorismo da un lato e la giusta voglia di rivalsa dall'altro ha fatto si che il movimento di rivolta a sud sia
stato capitalizzato da Ennahda che per l’appunto utilizzando la retorica
islamica promette una “rinascita”. Innanzitutto morale, contro l’immoralità degli
“atei” Bourguiba e Ben Ali, rinascita intesa come un ritorno ad una società che
si basi sulla shari’a (la legislazione islamica). Ovviamente i politici di
Ennahda che hanno subito la dura repressione sotto i precedenti regimi e che
hanno imparato bene dall’esperienza dei loro omologhi in Algeria e in Egitto, pubblicamente
si presentano come aperti e vengono definiti dai media “islamici moderati”. In
realtà questo equilibrismo nasconde la loro vera natura reazionaria e legata al
jihadismo di Ansar al-sharia (durante il governo Ennahda i jihadisti tollerati
e poco controllati sono stati in grado di uccidere sotto casa prima Chokri
Belaid nel Febbraio 2013 e dopo pochi mesi Brahmi nell’agosto dello stesso
anno, entrambi personaggi di spicco di partiti facenti parte del Fronte
Popolare). Molti giovani tunisini dicono
che il concetto di “islamista moderato” è prettamente occidentale, in Tunisia
vengono percepiti come islamisti e basta.
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miniere di fosfati a Metlaoui |
Altro motivo della vittoria di
Ennahda in queste zone del paese è dato dall’assenza o dalla condotta del
Fronte Popolare e del suo corrispettivo sindacale l’UGTT.
Questi partiti
sedicenti marxisti all’interno del fronte, invece di giocare un ruolo di
avanguardia della classe operaia ne stanno alla coda, durante gli scioperi
spontanei nelle miniere di Gafsa nel 2008 (avvenimento che molti considerano il
vero inizio della rivolta) l’UGTT dopo aver perso ad unirsi alla rivolta
spontanea dei minatori, ha svolto il ruolo del sindacato rivendicativo
economicista quando alcune frange dei lavoratori criticavano apertamente il
regime politico dimostrandosi molto più avanzate del sindacato stesso (e dei partiti
sedicenti marxisti che lo dirigono).
Adesso che i partiti di
sinistra sono apertamente legali, essi hanno come fine principale quello di
entrare nelle istituzioni e nel parlamento tramite elezioni, “tattica” adatta
alla contingenza come dicono loro e come prima di loro da un paio di secoli
hanno detto tutti i riformisti e i traditori del movimento operaio. Quindi la
classe operaia di queste città meridionali ed emarginate che prima era
saldamente organizzata nell’UGTT semi-clandestina sotto Ben Alì adesso guarda
in parte ad Ennahda e in parte ha contribuito al dato del boicottaggio
elettorale.
Più in generale la
vittoria a livello nazionale di Nida Tounes è spiegabile con un duplice significato: la volontà di
uscire dal “periodo di transizione” punendo Ennahda che nonostante i proclami
iniziali di considerarsi un’alternativa non ha fornito significativi segnali
che indichino una “rinascita” del paese.
La Tunisia va incontro
a due scenari circa il possibile governo di transizione:
Béji Caid Essebsi, l’uomo
che personifica la vittoria elettorale potrà scegliere o un governo che abbia
il proprio minimo comun denominatore nel laicismo anti-islamista e che quindi
comprenda Nida Tounes, il Fronte Popolare e Afek Tounis. Il rischio da valutare
è l'eterogeneità delle tre forze politica (una rappresentante direttamente l'ex regime, una di centro-sinistra repressa dall'ex regime e una di centro-destra) e la conseguente polarizzazione con l’altra fazione della borghesia tunisina
quella reazionaria, islamista e filo Qatar rappresentata da Ennahda
Oppure un governo di
unità nazionale con Ennahda ma che nella sostanza sarebbe instabile, in quanto
dovrebbe conciliare gli interessi della borghesia filo-occidentale con quelli
della borghesia che guarda più ai paesi del Golfo. Inoltre ricorderebbe molto l’ultimo
governo “tecnico” Jomaa in cui vi era tutto e il contrario di tutto, un governo
che sostanzialmente ha “rassicurato” la Banca Mondiale, il Fondo Monetario
Internazionale, la finanza internazionale in generale, senza però poter
intraprendere nessuna direzione nell’arena internazionale proprio per queste
contraddizioni interne, limitandosi a gestire il potere per poco meno di un
anno con l’obiettivo principale di organizzare le attuali elezioni e dare una
parvenza di stabilità al paese. Un governo del genere rappresenterebbe una stagnazione/continuità
del famoso “periodo di transizione”, ciò verrebbe accolto da un malcontento
generalizzato tra la popolazione, malcontento che si andrebbe ad aggiungere a quello peraltro già presente in particolare
tra i giovani causato dal risultato elettorale che ha sancito il ritorno dello
RCD sotto nuove forme.
Per il momento Essebsi
prende tempo, ha dichiarato infatti che non discuterà della natura del governo
di coalizione prima delle elezioni presidenziali il cui esito darà un’indicazione
e indirizzerà tale decisione.
In entrambi i casi
saremmo di fronte ad un governo facente gli interessi della borghesia
burocratica e compradora tunisina legata alle potenze straniere siano esse
l’imperialismo occidentale e/o le petromonarchie del golfo Qatar in testa.
Data la “quota di
maggioranza” posseduta da Nida Tounes, qualsiasi governo che verrà formato sarà
espressione di restaurazione del vecchio regime, sia se esso lo faccia in
maniera aperta sia se lo faccia in maniera più velata e “pluralista” con il
sostegno degli islamisti, nel senso che i problemi posti dalle masse e dalla
rivolta quali “khobz w me’w
Ben Alì lè!” (pane, acqua, no a Ben Alì), quindi
vita dignitosa e libertà non saranno mai soddisfatti da un governo al servizio
del capitale straniero sia esso filo-occidentale o filo-“orientale”.
Per quanto ci riguarda
in questa situazione complessa e “confusa” scorgiamo due segnali positivi in
particolare:
il primo è dato dai
tanti giovani in particolare del sud che non hanno votato nessun partito rifiutando
in blocco quest’operazione di restaurazione gattopardiana rappresentata dalle
precedenti elezioni della costituente e dalle attuali legislative e
presidenziali.
Il secondo è quello di
un primo passo di unità d’azione da parte delle forze realmente rivoluzionarie
in Tunisia con la creazione del Comitato di boicottaggio Elettorale. Questo può
essere da un lato un primo passo per l’unità dei rivoluzionari tunisini che
permetterebbe un salto di qualità nella loro azione rivoluzionaria, dall’altro se
questo elemento si legasse al primo organizzando le masse di giovani, donne,
operai, minatori, contadini poveri e disoccupati ci sarebbero le reali
potenzialità di spazzare via i reazionari islamici e laici, i riformisti
sedicenti di sinistra e dare continuità alla rivolta erroneamente chiamata
“rivoluzione” ma che finalmente prenderebbe la forma di una vera Rivoluzione di
Nuova Democrazia in Tunisia, ciò avrebbe un enorme impatto non solo in Nord
Africa ma anche in Medio Oriente e per certi versi anche in Europa.