sabato 21 dicembre 2013

pc 21 dicembre - GRAVISSIMO ATTACCO AL DIRITTO D'ABORTO DEL GOVERNO SPAGNOLO

Controriforma sull’aborto - La Spagna torna indietro

Aborto_Spagna
Il governo di centrodestra guidato da Mariano Rajoy segretario del Paritido Popular ha riportato la legislazione spagnola indietro di quasi trent’anni approvando un disegno di legge che limita il diritto delle donne di abortire liberamente entro le 14 settimane di gravidanza.
Un giro di vite sull’aborto limitato da oggi ai casi di stupro o quando vi sia un pericolo per la salute psicofisica della madre, per tutti gli altri casi l’aborto torna illegale, come ha annunciato il ministro della Giustizia, Alberto Ruiz-Gallardon.
Il via libera alla nuova legge cancella quella varata nel 2010 dal governo di José Luis Zapatero che per approvare la riforma della legge sull’interruzione volontaria di gravidanza aveva creato un ministero ad hoc, quello dell’uguaglianza guidato da Bibiana Aido, assieme ai dicasteri dell’uguaglianza e della salute per elaborare la più moderna riforma sull’aborto raccogliendo suggerimenti da un gruppo di esperti di livello europeo.
Il testo approvato oggi riporta tutto indietro di circa 30 anni, ossia alla normativa in vigore fino al 1985. Anzi, la nuova legge inasprisce addirittura la vecchia, che consentiva l’aborto anche in caso di malformazione del feto, con la nuova legge,invece, la malformazione del feto può consentire l'aborto solo nel caso in cui comporti un pericolo di vita per il bambino - questo, tra l'altro, deciso dopo i tagli degli aiuti ai disabili.

Questo attacco all'aborto, costringendo all'aborto clandestino o a farlo fuori dal paese, diventa inevitabilmente anche una discriminazione di classe, dato che le donne proletarie, le donne povere, le immigrate,le ragazze non avranno alcuna possibilità di fare l'aborto in un altro paese, o da medici a "peso d'oro". 

Con la nuova legge sull’aborto la condizione delle donne torna, quindi, indietro all’epoca della dittatura franchista.
E ancora una volta l'attacco pratico e ideologico alla vita delle donne, con l'attacco all'aborto come cuore della libertà di decidere e di scelta per le donne, diventa la cartina di tornasole di una politica reazionaria che punta a smantellare tutte le conquiste di lotta e a portare indietro tutte le masse popolari. 

pc 21 dicembre - Ilva taranto... l'unica giustizia è quella proletaria

La sentenza della Cassazione dimostra che questo Stato e questa giustizia sono sempre dalla parte dei padroni!

Gli operai, le masse popolari di Taranto non avranno giustizia da questo Stato, nonostante sia giusto pretenderla.
Padron Riva non pagherà per le morti provocate e piano piano riprenderà il controllo pieno della fabbrica che ora mantiene con l'intermediazione di Bondi
A Taranto, con buona pace dei pacifisti volenterosi, serve una vera rivolta popolare che blocchi fabbrica e città per giorni e giorni fino a risultati concreti.
Questa rivolta richiede autorganizzazione di classe e di massa in fabbrica e in città!
In fabbrica l'autorganizzazione passa dal sindacato di classe, di cui lo slai cobas è componente programmaticamente decisiva. La debolezza attuale dello slai cobas è la debolezza degli operai che non hanno voce e peso e non c'è RSU USB che tenga.
In città, nei quartieri poveri e colpiti dall'inquinamento servono comitati popolari combattivi e aggressivi che impongano con la forza le loro rivendicazioni di lavoro, salute, case, reddito.
I partiti parlamentari, sindacati confederali sono parte del potere del padrone e dello Stato dei padroni e quindi sono tutti nemici di operai e masse popolari.
Le forme organizzate fuori dai partiti parlamentari e sindacati confederali si consumano in pratiche che non sono di lotta antagonista ma di volontariato civico impotente.

Circolo proletari comunisti Taranto
dicembre 2013

pc 21 dicembre - a padron Riva vengono restituiti soldi che i magistrati non avevano neanche trovato... perchè dove sono i soldi di Riva lo aveva scrito MC per proletari comunisti

Dove sono i soldi di Riva... Report con un servizio ha fatto vedere qualcosa,  ma l'opuscolo di Margherita Calderazzi per proletari comunisti aveva denunciato e documentato già tutto e meglio!




(Da Sole 24 Ore) - “Per diciassette anni – dal 1995 – l’Ilva è stata usata dai Riva come un bancomat... In pratica i Riva avrebbero distolto dall’Ilva soldi veri... mezzo miliardo di euro, trasferendo negli anni questa cifra in Riva Fire attraverso un contratto di “assistenza tecnica e di servizi”, stipulato fra le due società nel 1999. L’Ilva, società eminentemente manifatturiera, non disponeva di tutte le competenze, tecniche e nel rapporto con il mercato, per funzionare bene. Dunque, per diciassette anni ha acquisito questi servizi dalla controllante, Riva Fire, pagando dei prezzi che ora vengono ritenuti non corretti... Ieri l’Ilva ha depositato la richiesta di risarcimento... La richiesta è stata formulata in via autonoma dall’Ilva nell’ambito di un giudizio civile promosso dalla Valbruna Nederland (la famiglia Amenduni, socia di minoranza di Ilva), che non era per nulla persuasa dei flussi di denaro in uscita dalla controllata verso la capogruppo... La richiesta di risarcimento danni fatta da Bondi viene rivolta a quasi tutto l’albero genealogico dei Riva: Fabio Arturo (latitante in Inghilterra, a Londra il 14 gennaio prossimo l’ultima udienza per l’estradizione), Nicola (ultimo presidente dell’Ilva, prima di Bruno Ferrante), Angelo Massimo, Claudio, Daniele, Emilio Massimo, il fondatore Emilio e il fratello Cesare Federico, per i quali oggi, proprio a Milano, si tiene la prima udienza preliminare per evasione fiscale...”

MA QUESTO E' SOLO UN PEZZO DELLA STORIA. C'E' MOLTO ALTRO!
CHE DIMOSTRA COME ALL'ILVA DI TARANTO RIVA REALIZZASSE I PROFITTI VERI SULLO SFRUTTAMENTO E ANCHE SUL SANGUE DEGLI OPERAI, E COME QUESTI MILIARDI VENISSERO SUBITO OCCULTATI.

MA C'E' ANCHE CHE MENTRE I RIVA FACEVANO OPERAZIONI-TRUFFA PURE IN PIENO AVVIO DELLA VICENDA GIUDIZIARIA, IL GOVERNO AVVIAVA LA POLITICA DEI DECRETI "PRO RIVA", CHE CONTINUA TUTTORA.

Quindi il governo Monti, il governo Letta sono complici dei Riva! 


TUTTO QUESTO PROLETARI COMUNISTI LO HA GIA' DENUNCIATO E DOCUMENTATO.

Riportiamo alcuni stralci del dossier, intitolato appunto: "L’impero economico della famiglia Riva - quello che ha e soprattutto quello che ha fatto per mettere al riparo i suoi fondi": 


"...la Riva Fire che a sua volta ha il 100% di due società di Lussemburgo, la Stahlbeteili Gungen e la Siderlux, controlla – direttamente (con il 61,62%) e indirettamente (con il 25,38% della Siderlux) – l’87% del capitale dell’Ilva. Mentre la magistratura va avanti, Riva riorganizza le sue società - Alla fine del 2012, in piena bufera giudiziaria, le società lussemburghesi dei Riva sono state oggetto di alcune operazioni che hanno modificato l’assetto del controllo dell’Ilva. Fino allo scorso anno il 25,38% dell’Ilva era controllato dalla Stahlbeteili Gungen - che oltre alla quota nell’Ilva e al 25% della Riva Energia, controlla gli impianti dei Riva in Canada, Belgio, Spagna, Germania e Francia. Amministratore della Stahlbeteili è Fabio Riva, colpito da mandato di arresto europeo per associazione per delinquere e disastro ambientale e in attesa di essere estradato da Londra, dove si era rifugiato (data la collocazione della “testa” dell’impero Riva nelle isole britanniche - è evidente come l’Inghilterra sia un posto sicuro!). Il 26 luglio ‘12 - l’acciaieria di Taranto viene sequestrata e il fondatore del gruppo, l’ottantaseienne Emilio, finisce agli arresti domiciliari. Lo stesso provvedimento tocca al figlio Nicola e a sei dirigenti… La famiglia Riva, il cui business dipende per i due terzi dall’Ilva, sceglie come presidente un uomo delle istituzioni, del tutto digiuno di acciaio e di impresa, come l’ex prefetto di Milano Bruno Ferrante. Proprio quel giorno, il 26 luglio, nelle stanze ovattate di uno studio notarile lussemburghese, prende il via il progetto di fusione fra la StahlbeteiliGungen Holding e la Parfinex, una società lussemburghese dei Riva. Razionalizzazione prevista da tempo? La coincidenza della data è casuale? Il 5 ottobre 2012 – quando è in corso lo scontro tra magistratura e governo sull’Aia e sul sequestro degli impianti e prodotti - in Lussemburgo, prende il via lo scorporo dalla Stahlbeteili Gungen Holding del 25,38% dell’Ilva che viene conferito alla Siderlux, l’altra società controllata al 100% da Riva fire. Mentre nella Stahlbeteili Gungen restano soprattutto le attività estere dei Riva. Il 17 ottobre 2012 - l’assemblea di Riva Fire sancisce la cessione del ramo di azienda che produce e commercializza i prodotti lunghi a favore della controllata Riva Forni Elettrici, a cui peraltro passano anche riserve per 320,6 milioni di euro di Riva Fire. A quest’ultima resta, quindi, il business dei laminati piani a freddo e a caldo. Ma nella Parfinex c’erano soldi dell’Ilva! Infatti tra il 1996 e il 1997 600 milioni di dollari sono spostati dall’Ilva alla controllata lussemburghese Parfinex. Nel 1996 Parfinex viene ricapitalizzata con 98 milioni di dollari provenienti dall’Ilva International Spa e l’anno successivo altri quattro aumenti di capitale a distanza di pochi mesi l’uno dall’altro trasferiscono ulteriori 500 milioni dall’Ilva. Dove sono finiti quei soldi, considerando che nel 2012 Parfinex è stata fusa con la Stahlbeteiligungen? Inoltre. Le società lussemburghesi del gruppo (Ilva International SA, Stahlbeteiligungen Holding, Utia e Parfinex) non hanno dipendenti e da alcuni primi indizi risulterebbero gestite dall’Italia: si tratta quindi di società fasulle, esterovestite, utili solo per le conseguenze fiscali. Infatti, la Stahlbeteiligungen Holding (Stahl) ha effettuato nel 2006 due prestiti all’Ilva per un totale di 470,5 milioni di euro e nel 2012 ha prestato altri 363,7 milioni alla Riva Fire. Non è ancora chiaro se queste operazioni abbiano una motivazione industriale o se, come è più probabile, siano servite soltanto ad abbattere gli utili dell’Ilva e della Riva Fire attraverso il pagamento degli interessi passivi e a ridurre quindi il carico fiscale. 
Vale a dire a nascondere i veri profitti fatti sullo sfruttamento degli operai dell’Ilva!..." 

"...Mentre a Roma, si prova la soluzione “politica”, negli studi dei professionisti dell’Ilva si continua a lavorare. - Se è datato 19 dicembre dell’anno scorso l’atto notarile della scissione del ramo d’azienda da Riva Fire a favore di Riva Forni Elettrici, cinque giorni dopo viene pubblicata sulla G.U. la Legge 231/12 salva-Ilva. Dunque, a questo punto, nelle architetture societarie esistono tre poli di attrazione: l’Ilva, che di fatto è separata da tutto il resto, le acciaierie straniere, i prodotti lunghi, un segmento che nel gruppo Riva è alimentato dai forni elettrici e non dal ciclo integrato di Taranto. Quindi mentre il governo provvedeva a tutelare gli interessi di Riva, questi portava avanti una serie di operazioni straordinarie che rendono più facile disporre del gruppo o di parti di esso, di fatto isolando Ilva e provando a proteggere il resto del gruppo industriale e finanziario da ogni iniziativa giudiziaria. 
Come si vede da tutte le operazioni finanziarie fatte in tutti questi anni, l’Ilva di Taranto è dove si è fatta la produzione, dove vi è la fonte del profitto padronale, ma gli utili, le ricchezze Riva li ha subito spostate altrove...."

pc 21 dicembre - Mentre i telegiornali passano il loro tempo a parlare delle poche manciate di persone del movimento dei forconi, Nelle città italiane il trasporto si ferma per rimanere pubblico


clash city workers
Mentre i telegiornali passano il loro tempo a parlare delle poche manciate di persone del movimento dei forconi, che agitano parole demagogiche e fumose, ieri, in tutta Italia i lavoratori del trasporto pubblico si sono fermati in una protesta dalle rivendicazioni assolutamente reali.
Roma, Milano, Napoli, Torino, Firenze, Venezia, Bologna, Perugia, Palermo, Genova… Nella maggior parte delle città si è trattato di uno sciopero di 4h, anzitutto contro il mancato rinnovo del CCNL, ormai scaduto da 4 anni, e poi contro le continue operazioni di privatizzazione.
sciopero trasporti
Vogliono che si tuteli la funzione pubblica del trasporto.  A Torino, il segnale è stato più forte che altrove – 24h di sciopero –, per dire con forza no alla privatizzazione del 49% del Gruppo Trasporti Torinese. Anche a Napoli, però, il segnale è stato forte, almeno il 90% dei lavoratori ha aderito allo sciopero.
Mesi di arretrati non pagati, condizioni di lavoro disagiate, mezzi pericolosi e privi di revisione.
Così uno dei sindacalisti dell’Orsa: «I comunicati aziendali parlano di riqualificazione del personale ma il piano di rientro approvato dai ministeri prevede tagli agli straordinari che metterebbero in ginocchio alcuni settori strategici per l'azienda sguarniti di personale nei mesi scorsi.
Tra l'altro, dal momento in cui arriveranno i fondi ci vorranno almeno 6 mesi per acquistare i pezzi di ricambio e rimettere in sesto i treni». La lotta è quindi più ampia, diretta ancora una volta contro l’attacco al “salario indiretto”, espressione che qualcuno ritiene antiquata ma che è attualissima nell’agenda dei tagli del governo.

pc 21 dicembre - liberate Bahar .. punto e basta!



Bahar Kimyongür: "Ostaggio del sultano, nel cuore dell’Europa"

  • Bahar Kimyongür
Bahar Kimyongür: "Ostaggio del sultano, nel cuore dell’Europa"
Lo scorso 2 dicembre la corte d’appello di Brescia ha finalmente deciso di liberarmi e relegarmi in “esilio forzato” nell’attesa del dossier turco.
Il giorno dopo nel pomeriggio, ho potuto lasciare la prigione di Bergamo con, in mano, l’ordinanza della Corte, dandomi sette ore per arrivare alla stazione dei Carabinieri di Marina di Massa, mio luogo d’esilio a circa 300 km dalla prigione.
E’ in un quartiere calmo, situato tra il mare e le Alpi Apuane, che dovrò attendere cosa ne sarà del mio destino.
A partire dall’annuncio del mio arresto alle autorità turche, quest’ultime hanno 40 giorni per inviare la loro richiesta formale di estradizione.
Dopodiché , è dalla notifica del Procuratore generale che dipenderà la durata della procedura.
Il Procuratore Generale avrà tre mesi al massimo, dopo il ricevimento del dossier turco, per inviare alla Corte d’Appello di Brescia le sue domande, le sue richieste d’informazioni complementari, o almeno per rispondere con una forma o un’altra alla richiesta di Ankara.
Aggiungendo i 40 giorni massimi di ritardo legale di cui dispone la Turchia per l’invio della sua domanda di estradizione ai tre mesi di cui dispone il Procuratore per inviare le proprie valutazioni alla Corte d’Appello di Brescia, si arriva a quasi quattro mesi di attesa per la prossima udienza. E’ un po’ troppo tempo per un dossier vuoto e considerato tale per la giustizia di diversi paesi.
Sono lontano dalla mia compagna e dai miei bambini.
Per lasciare il mio luogo di residenza, devo (ogni volta) chiedere il permesso ai Carabinieri. La mia libertà di movimento è ristretta a un perimetro delimitato dal mare, una linea di binari, un fiume e un campo d'aviazione comunale.
Questo non è il fascismo, tutt’altro, ma questa relegazione ricorda quanto meno un po’ “Cristo si è fermato ad Eboli” di Carlo Levi.

Marina di Massa, 10 dicembre 2013 

pc 21 dicembre - ancora polizia contro gli operai immigrati in lotta alla Granarolo Bologna

Bologna. Alla Granarolo la polizia sfonda i picchetti dei lavoratori

Anche venerdì 20 dicembre, i facchini che lavorano per conto della Granarolo hanno picchettato l’ingresso dello stabilimento bolognese.
Intorno alle 9 c’è stato un primo intervento della polizia che ha tentato  più volte di sgomberare il presidio trascinando via i lavoratori, ma alcuni di questi si sono buttati anche sotto i camion per bloccare gli ingressi e hanno resistito.  Ma un’ora più tardi, ntorno alle 10, la polizia ha più volte caricato lavoratori e solidali, riuscendo a sgomberare il picchetto. Un lavoratore è rimasto ferito ed è ricorso alle cure mediche in ospedale.  Il picchetto di oggi rientra nelle iniziative della campagna di boicottaggio “per un Natale senza Granarolo”. I facchini pretendono la fine del sistema di sfruttamento contrattuale che vivono quotidianamente e chiedono l’immediata cessazione dei licenziamenti politici. Guarda il video: http://www.youtube.com/watch?v=l5M2a3IQQIM&feature=youtu.be&a

pc 21 dicembre - massima solidarietà con i migranti in rivolta al Cara di Catania

Catania. E' rivolta al Cara di Mineo. I migranti chiedono dignità


Si è conclusa da poche ore la protesta dei richiedenti asilo del Cara di Mineo che, in centinaia, sin dalle prime luci dell’alba, hanno bloccato per l’ennesima volta la Catania – Gela e le strade che conducono a Mineo; in oltre 600 si sono diretti verso Catania ma, visto che sarebbero state necessarie molte ore per arrivarvi, in considerazione del consistente numero di donne e bambini, si sono diretti verso Palagonia, il centro abitato più vicino. Il transito è stato loro vietato da brillanti tutori del (dis)ordine, che credevano alla fandonia di un supermercato saccheggiato. Dopo e nonostante gli scontri (con 2 donne contuse ed un eritreo agli arresti domiciliari nel Cara), i richiedenti asilo sono poi riusciti ad arrivare a Palagonia e, dopo una tranquillissima assemblea popolare in piazza Municipio, hanno presentato la loro piattaforma con le principali richieste e denunce: tempi certi e brevi nell'esame delle richieste d'asilo, dinieghi sempre più numerosi ed immotivati, consistenti problemi di scarsa assistenza sanitaria, assenza di corsi di lingua italiana, vitto immangiabile e vestiario inadeguato. Le richieste sono state consegnate al sindaco di Palagonia Valerio Marletta che, nel suo applaudito intervento, ha anch'egli denunciato la vergogna del mega-business della pseudo-accoglienza ed ha ribadito la richiesta di una sua chiusura proponendo in alternativa la moltiplicazione di centri di accoglienza e di SPRAR in piccoli e medi centri, per favorire così un reale inserimento sociale, seguendo l'esempio di comuni come Riace nella Locride, a costi molto inferiori e più umani.
E’ stata una giornata di lotta pacifica i cui momenti di inevitabile tensione sono stati ancora una volta amplificati dai media; alcuni si sono distinti nell'ingigantire unilateralmente la "violenza" dei manifestanti, senza verificare le reali dinamiche dei fatti e senza sentire anche il loro punto di vista.
Soltanto ieri, giornata di azione globale contro il razzismo, nel corso dell’assemblea che si è tenuta davanti al Cara, i migranti hanno espresso il loro dolore per il suicidio di Mulue, il giovane eritreo che si è impiccato pochi giorni fa. Al Cara di Mineo, in questi anni le sofferenze di migliaia di richiedenti asilo sono aumentate nell'indifferenza/complicità generale, i tempi di attesa della commissione per l'esame delle richieste si sono quadruplicati ed il bisogno di vedere rispettati i diritti umani, sempre più calpestati dalle disumane politiche governative e dalla incapacità dei soggetti gestori del Cara, si è tradotta sempre più spesso migranti in proteste e, purtroppo, in gesti autolesionisti.
Facciamo pertanto appello ai media perché accendano i riflettori su ciò che avviene dentro il Cara, dando finalmente voce a chi finora non ne ha avuto, cioè ai richiedenti asilo, già vittime delle peggiori ingiustizie planetarie e dei frequenti naufragi (la strage del 3 ottobre a Lampedusa ha prodotto qualche revoca o modifica delle vergognose leggi razziali?).
Facciamo ancora appello alle associazioni solidali del calatino, siciliane e nazionali affinché il Cara della vergogna venga chiuso al più presto..
La storia siciliana ce l'ha insegnato: emigrare non è reato!
                                                                                                                                  Rete Antirazzista Catanese

pc 21 dicembre - Ilva taranto convegno nazionale 11 gennaio - a padron Riva il processo lo facciamo noi !

a fronte della indecente sentenza della cassazione che annulla sequestro:8,1 miliardi cifra stimata  equivalente alle somme che nel corso degli anni la società avrebbe risparmiato non adeguando gli impianti  'generando malattia e morte'


11 gennaio convegno di protesta a taranto
organizza rete nazionale  per sicurezza e salute sui posti di lavoro e territorio
info
bastamortesullavoro@gmail.com
347-1102638


comunicato invito

è convocato un convegno sul processo a riva e soci  del 2014 con l'avvocato dei processi tyssen ed eternit a torino, avv Bonetto -sostenitore rete nazionale sicurezza  e salute sui posti di lavoro e sul territorio.
 -per  protestare con dati di fatto contro la sentenza della cassa
integrazione

-per riportare un bilancio dell'esperienza vincente dei processi Tyssen-Eternit
 -per una piattaforma e un metodo  della costituzione associata come parte civile, gratuita e di massa, degli operai,lavoratori e cittadini
 il convegno aperto a tutti si terrà sabato 11 gennaio 2014 dalle ore 9.30
alle 13 presso sala palazzo di città o biblioteca comunale - da confermare

a cura rete nazionale salute e sicurezza sui posti di lavoro e territorio
sede taranto
bastamortesullavoro@gmail.com
347-1102638

20 dicembre 2013



La Corte di Cassazione ha stabilito che i beni della
holding Riva Fire, società proprietaria di Ilva spa, non andavano
sequestrati e ha annullato senza rinvio il decreto di sequestro confermato
dal riesame nel giugno scorso dal tribunale del riesame di Taranto.La stima
di oltre 8 miliardi era stata formulata dai
custodi giudiziari Barbara Valenzano, Emanuela Laterza, Claudio Lofrumento e
Mario Tagarelli come il costo totale degli interventi necessari al
ripristino funzionale degli impianti dell'area a caldo per un possibile
risanamento ambientale. La società Riva Fire, secondo quanto ricostruito
dagli inquirenti, avrebbe ottenuto negli anni un notevole vantaggio
economico attraverso quella che i magistrati definiscono una "consapevole
omissione" degli interventi nell'Ilva per la protezione e salvaguardia
dell'incolumità
dell'ambiente, degli operai e dei cittadini di Taranto. In sostanza 8,1
miliardi erano i soldi che secondo l'accusa i Riva avrebbero risparmiato
evitando di ammodernare gli impianti della fabbrica che secondo i periti del
tribunale, oggi "genera malattia e morte". , il gip Todisco aveva
autorizzato il sequestro di denaro, conti
correnti, quote societarie nella disponibilità della società Riva Fire, per
le violazioni ambientali alla legge 231/01 che sancisce la responsabilità
giuridica delle imprese per i reati commessi dai propri dirigenti. In realtà
finora, gli uomini della Guardia di finanza erano riusciti a individuare
solo due miliardi rispetto agli otto richiesti. Dal sequestro sarebbero
dovuti rimanere fuori i beni e le finanze riconducibili alla società di Ilva
spa poiché il gip Todisco aveva infatti chiarito che i beni della società
potevano essere aggrediti solo nel caso in cui non siano strettamente
indispensabili all'esercizio dell'attività produttiva nello stabilimento di
Taranto. L'accusa nei confronti di Emilio, Nicola e Fabio Riva è di
associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale, avvelenamento
di sostanze alimentari, omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro.

pc 21 dicembre - ILVA TARANTO lo stato dei padroni in soccorso a Riva assassino - immediata reazione

Ilva, Cassazione annulla il maxi sequestro
gli 8,1 miliardi di euro tornano ai Riva

Accolto il ricorso della famiglia, disposta la restituzione alla holding di tutti i beni
Erano i "soldi sottratti alle opere di ambientalizzazione", quegli 8,1 miliardi di euro sequestrati dalla magistratura che ora torneranno nella disponibilità della famiglia Riva. Lo ha deciso la Cassazione che ha cancellato i sigilli disposti nell'ambito della maxi inchiesta sul siderurgico. La Cassazione ha annullato senza rinvio il provvedimento nei confronti della Riva Fire, la Holding che controlla l'Ilva spa. La sesta sezione penale ha accolto il ricorso presentato di legali della famiglia di industriali dell'acciaio, Franco Coppi e Carlo Enrico Paliero, e ha disposto la restituzione di tutti i beni.

La Corte, con la sua decisione, ha spazzato via l'ordinanza del Tribunale del Riesame che a giugno scorso aveva respinto l'istanza degli avvocati della capogruppo che controlla l'Ilva, confermando il sequestro preventivo disposto dal gip Patrizia Todisco il 24 maggio. Oggi, invece, la Suprema corte ha accolto l'istanza disponendo la restituzione delle somme bloccate.

Il sequestro annullato riguardava i beni e le disponibilità finanziarie della holding, sulla base della quantificazione elaborata dai custodi giudiziari degli impianti dell'area a caldo della fabbrica. Secondo i consulenti della procura, gli oltre 8 miliardi sarebbero una cifra equivalente alle somme che dal 1995 (anno di acquisizione della Italsider pubblica) l'Ilva avrebbe risparmiato non adeguando gli impianti del siderurgico, e in particolare quelli dell'area a caldo (sotto sequestro dal 26 luglio 2012, anche se la fabbrica non si è mai fermata), alle normative ambientali, pregiudicando l'incolumità e la salute della popolazione. La tesi degli inquirenti tarantini è che gli investimenti non eseguiti si siano tradotti in un guadagno illecito: un tesoretto che i Riva avrebbero accumulato risparmiando sulla salute dei cittadini.

In totale sotto sequestro erano finiti beni di cui è custode e amministratore giudiziario il commercialista Mario Tagarelli, per poco meno di due miliardi, di cui le liquidità ammontano a circa 56 milioni di euro. All'indomani dell'esecuzione dell'ordinanza da parte della Guardia di Finanza, a settembre, il gruppo aveva annunciato la chiusura di sette stabilimenti e di due società di servizi e trasporti facenti capo a Riva Acciaio sparsi in tutta Italia, con la messa in libertà di circa 1.400 addetti. Chiusura durata 20 giorni, e revocata dopo la precisazione da parte dei magistrati tarantini che "non è stata posta alcuna preclusione all'uso dei beni da parte del soggetto proprietario".

Grande soddisfazione da parte degli avvocati dell'azienda. "I nostri motivi di impugnazione erano molto articolati - ha spiegato il penalista Coppi - e aggredivano in modo complessivo la ricostruzione che era stata fatta dal gip prima e dal tribunale del riesame di Taranto poi. La risposta data è stata netta. Annullamento senza rinvio. Alla base delle contestazioni - ha proseguito - c'era il fatto di "accomunare la normativa sulla responsabilità delle società e quella dellle persone fisiche, con il ruolo di una holding che non era direttamente interessata rispetto a quello che sarebbe stato compiuto da una società controllata". Il legale ha poi sottolineato: "Abbiamo contestato la mancanza di presupposti, di causalità rispetto al profitto e ribadito che società in questione non era direttamente interessata nella gestione. Ora attendiamo le motivazioni per comprendere meglio".

pc 21 dicembre - contro i padroni assassini - Michelin il reparto che uccide

...dal reparto Z era meglio stare alla larga ”

Al processo contro Michelin sfilano altri testimoni della pubblica accusa che raccontano delle condizioni di lavoro tra gli anni Settanta eOttanta: “guanti sottili e nessuna mascherina. La gomma si lavorava con le mani”
 – C'erano reparti, lo Z, “in cui c'era roba da cui era meglio passarelontano” alla Michelin tra gli anni Settanta e Ottanta. E' il racconto dei cinque testimoni che ieri hanno reso le testimonianze davanti al
tribunale di Alessandria, nel corso del processo contro cinque dirigenti  Michelin, accusati di lesioni personali e omicidio colposo.
In undici hanno testimoniato fino ad oggi, in undici hanno avuto problemi di salute, patologie alla vescica. Starà al giudice stabilire se c'è una connessione con l'ambiente di lavoro e le sostanze usate nelle
lavorazioni. I racconti che si susseguono sono simili tra loro: “usavamo guanti sottili in pelle e nessuna mascherina”.
Ai reparti di Tm e Cx si lavorava il materiale “a mano”, linee a freddo o a caldo. Quando”il materiale usciva dalla pressa, usciva del vapore”. Vapore acqueo? Se “la gomma era calda si usavano guantoni più spessi,
imbottiti”, ma di mascherine neppure a parlarne. Su alcune linee la temperatura delle gomme “arrivava anche a 90 o 100 gradi”, forse meno,“saranno stati 70”.
All'inizio, nei primi anni 70, non c'erano neppure gli aspiratori, introdotti solo successivamente. “Usavate anchealtre sostanze?” è una delle domande del pubblico ministero. “Si, eptano, la pasta platinì, il clorotene”.
“Avevate idea di cosa fossero di preciso? La composizione?” chiede l'avvocato di parte civile? “No, le chiamavamo così e basta”.
La difesa insiste sulla storia lavorativa degli operai prima o dopo Michelin: qualcuno dice di aver fatto l'imbianchino, altri il falegname.
 Un altro ancora ha lavorato in altre aziende metalmeccaniche della provincia. E tutti fumavano, o fumano ancora. Si torna in aula a febbraio, il 4, con altri testimoni


pc 21 dicembre - contro i padroni assassini - Amianto 21 morti all'Alfa di Arese: chiesto il processo alla Fiat

L'ex amministratore delegato della Fiat sotto inchiesta a Milano insieme con i vertici dell'azienda fra gli anni Ottanta e Novanta. L'accusa a loro carico è di omicidio colposo. Sette in tutto gli indagati
Paolo Cantarella, ex amministratore delegato della Fiat, rischia di essere processato per omicidio colposo nell'ambito di un'inchiesta della Procura di Milano su ex operai dello stabilimento di Arese morti per amianto. Il procuratore aggiunto Nicola Cerrato e il pm Maurizio Ascione hanno chiesto nei giorni scorsi il rinvio a giudizio di Cantarella e altri sei indagati, tutti ex manager di Fiat, per 21 decessi legati all'esposizione all'amianto negli anni Ottanta e Novanta. Cantarella ricopre attualmente la carica di consigliere di Finmeccanica.

Cantarella è coinvolto nell'inchiesta in qualità di presidente di Alfa Lancia spa e di Alfa Industriale e di amministratore delegato di Fiat Auto spa tra il 1991 e il 1996. Rispondono in concorso per lo stesso reato i vari vertici del gruppo che si sono succeduti in quegli anni: Corrado Innocenti, ex ad Alfa Romeo spa; Piero Fusaro, ex presidente di Lancia Industriale spa ed ex ad di Lancia Industriale spa; Luigi Francione, ex presidente Alfa Lancia spa; Giorgio Garuzzo, ex presidente Fiat Auto spa; Vincenzo Moro, ex ad Alfa Romeo, e Giovan Battista Razelli, ex ad Alfa Lancia Industriale.

venerdì 20 dicembre 2013

pc 20 dicembre - CRIMINALI IN DIVISA. NON E' UNA NOVITA', MA L'ENNESIMA CONFERMA.

Quel carabiniere ha in mano un lacrimogeno spray?
  • Venerdì, 20 Dicembre 2013 11:22
  • www.zic.it
Le foto di Michele Lapini scattate durante le cariche dei carabinieri contro i manifestanti lo scorso 18 dicembre a Bologna nel corso di una protesta contro i Cie mostrano che i militari usano un gas lacrimogeno portatile. E' una nuova arma antimanifestante in dotazione degli agenti incaricati di presidiare l'ordine pubblico oppure una altrettanto intollerabile iniziativa personale di qualche carabiniere? Un interessante approfondimento del sito bolognese www.zic.it
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In una foto della manifestazione di ieri emerge un particolare inquietante: un militare tiene una bomboletta su cui si legge “Police Cs”.
Cos’è quella bomboletta ripresa in una foto dal reporter di Zeroincondotta in mano a un carabiniere durante la manifestazione al Cie di ieri sera? Sembrerebbe proprio uno spray, ma la sperimentazione sul peperoncino nelle dotazioni a polizia e carabinieri, a quanto è dato sapere, non dovrebbe iniziare che il mese prossimo, essere limitata a Roma, Napoli e Milano, e non riguardare le manifestazioni di piazza.
Ma se si ingrandisce l’immagine, pare di capire che non si tratti di peperoncino. Si legge “Police CS”. E Cs è la sigla che comunemente identifica l’orto-clorobenziliden-malononitrile, ovvero il più tossico dei gas lacrimogeni usati nella gestione dell’ordine pubblico. Quello di cui le forze di polizia abusano da anni in Valsusa, causando intossicazioni anche gravi ai manifestanti. Le convenzioni internazionali lo vietano come un’arma chimica in caso di utilizzo in guerra.
Nell’ordine pubblico in Italia è consentito, ma, a norma del DPR 5 ottobre 1991, n. 359 che regola l’armamento delle forze di polizia, solo usando “artifici per lancio a mano e artifici per lancio con idoneo dispositivo o con arma lunga”. Lo spray non parrebbe rientrare in tale definizione.
Ma se davvero non facesse parte della dotazione dei carabinieri, da dove salterebbe fuori questa bomboletta di Cs? In Italia, a differenza del peperoncino, non è legale per autodifesa, quindi non si trova in vendita. Ma una rapida ricerca su internet ci ha permesso di trovare un articolo molto simile a quello in questione.
E’ in vendita su un sito canadese, dove se ne posso leggere tutte le caratteristiche tecniche: impugnatura ergonomica, grilletto con la sicura, utilizzabile pur indossando i guanti, disponibile con concentrazione del 1% o del 2% di Cs.
In conclusione, pare lecito nutrire il dubbio che il carabiniere abbia in mano un arma chimica fuori dotazione acquistata su internet. Non resta che sperare di essere smentiti.


Foto di Michele Lapini


pc 20 dicembre - L'IMPERIALISMO E' LA PRIMA CAUSA DELLA VIOLENZA SULLE DONNE. UNA TESTIMONIANZA DALL'AFGHANISTAN..

Malalai Joia: “Le donne stavano meglio prima della guerra di ‘liberazione’”
Dieci anni fa era la più giovane a sedere nel parlamento afgano. Oggi vive nella semiclandestinità perché minacciata di morte. Nel nostro Paese ha parlato di come la condizione femminile sia peggiorata dopo dodici anni di cosiddetta 'guerra al terrorismo': "Soltanto le nazioni possano liberare loro stesse"
Malalai ha 35 anni e dieci anni fa era la donna più giovane a sedere nel parlamento afgano. Oggi vive nella semiclandestinità, cambiando continuamente residenza perché costantemente minacciata di morte. Dal parlamento fu espulsa nel 2007, per aver dichiarato in un’intervista che “a differenza degli animali che si trovano in una stalla, quelli che sedevano in parlamento non avevano alcuna utilità“. Si riferiva ai signori della guerra, i criminali che durante i conflitti che hanno segnato l’ultimo trentennio in Afghanistan si sono arricchiti e macchiati di crimini atroci. Come parte delle iniziative per la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne (25 novembre), Telefono Rosa ha invitato Malalai a raccontare la sua storia in diverse città italiane. L’attivista afgana ha così incontrato cittadini e studenti per parlare di come la guerra ha, di fatto, peggiorato la condizione delle donne nel suo Paese. “Sono qui per raccontare le conseguenze di dodici anni di cosiddetta ‘guerra al terrorismo’ da parte degli Stati Uniti e della Nato e della disastrosa situazione delle donne nel nostro Paese – ha dichiarato Malalai – Sono qui per aprire gli occhi e la mente dei cittadini italiani, per incoraggiarli a supportare soprattutto chi, mettendo a rischio la propria vita, si impegna per promuovere l’educazione in Afghanistan”. La possibilità di studiare sembra davvero essere la principale preoccupazione tanto di Malalai che di coloro che al contrario temono l’emancipazione femminile: “Negli anni ’60 e ’70 le donne in Afghanistan godevano di alcuni diritti: vestivano abiti moderni, camminavano per le strade e andavano a scuola, specialmente a Kabul. Ma oggi anche nella Capitale le donne portano il burqa per essere al sicuro, i casi di stupro sono aumentati e molte scuole sono state chiuse”. Per questo il principale strumento di resistenza diventa quello di garantire l’istruzione delle ragazze afgane. “Io faccio del mio meglio affinché le donne con cui entro in contatto diventino consapevoli della loro identità e del loro ruolo nella società. Le incoraggio a studiare perché credo fortemente nel potere dell’educazione che è un elemento chiave contro l’occupazione e verso l’emancipazione” ha spiegato Malalai. La voce dell’attivista si fa ancora più dura quando arriva a denunciare quella che lei definisce “una presa in giro delle democrazia e della guerra al terrorismo”: “La situazione drammatica della condizione della donna è stata una delle scuse per gli Stati Uniti e per la Nato per occupare il nostro Paese. Purtroppo però hanno rimpiazzato il vecchio regime talebano con i signori della guerra che, come i talebani, si oppongono ai diritti delle donne e hanno commesso essi stessi molte violenze contro le donne. I governi occidentali in nome della democrazia hanno massacrato e violato diritti umani. Eppure i signori della guerra sono ancora al potere” conclude amaramente Malalai.
E la condizione delle donne continua a peggiorare, soprattutto nelle aree rurali. Secondo l’Unifem (il fondo di sviluppo delle Nazioni unite per le donne), quasi il 90% delle donne afgane subisce abusi domestici, rendendo il Paese uno dei posti più pericolosi al mondo in cui essere una donna. “Il 25 novembre, mentre nel mondo si celebrava la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, nel mio Paese una donna di 25 anni è stata massacrata, strangolata dal marito” e purtroppo l’elenco delle violenze potrebbe continuare.
Le parole di condanna dell’attivista non risparmiano anche l’Italia: “Anche il vostro governo ha seguito la politica statunitense a supporto dei signori della guerra. E ora che i talebani sono stati invitati a far parte del governo afghano, Roma è rimasta in silenzio”.
Quando interrogata sulla possibilità di vivere fuori dall’Afghanistan, Malalai risponde: “Nonostante i rischi che corro non lascerò il mio Paese, perché credo profondamente che soltanto le nazioni possano liberare loro stesse. Nessuna nazione può donare la libertà a un’altra”. E lei sembra sicura che quella sia la sua missione.


pc 20 Dicembre - LELE RIZZO E LA FIERA DELLE SCIOCCHEZZE

Un commento critico all’intervista «In piazza con i nuovi proletari: altro linguaggio, stessi problemi» a Lele Rizzo, noto esponente del Centro Sociale Askatasuna di Torino, apparsa sul quotidiano “Il Manifesto” lo scorso 11/12/13. Il corsivo è nostro.

Com’è nata l’idea di partecipare, anche in qualità di «osservatori», alle manifestazioni che in questi giorni paralizzano Torino?

Siamo stati alle assemblee prima del 9 dicembre, per capire cosa stesse succedendo. Ci siamo detti: «Andiamo a vedere». Avevamo intuito che il ritratto fosse ben più articolato rispetto a quello diffuso dai media.

Infatti i media hanno costruito ad arte un quadro per niente aderente alla realtà ma non nel senso che dice Lele Rizzo, al contrario ingigantendo un fenomeno pressocchè inesistente sul territorio nazionale eccetto i due focolai di Torino e Barletta, seminando confusione e  attribuendo ad esempio mobilitazioni e blocchi ferroviari di lavoratori e studenti ai fantomatici “forconi” come successo a Roma.

E scendendo in strada ne abbiamo avuto conferma. Siamo di fronte a una nuova forma di proletarizzazione della società.

Come usare le categorie scientifiche marxiane a capocchia: si confondono i settori sociali scesi in piazza che sono principalmente piccoli padroncini di piccole aziende “il popolo delle partite iva” come li chiama Lele Rizzo che appartengono ad una classe ben distinta: la piccola borghesia, ovvero quella classe i cui appartenenti non vivono di lavoro salariato ma detengono un piccolo capitale. Ultimamente l’area politica di riferimento di Lele Rizzo tende a revisionare questa categoria marxiana e al posto di piccola borghesia parla di “nuovo proletariato”. Il proletariato in Italia e nel mondo è sempre lo stesso, chi vende la propria forza lavoro al padrone in cambio di un salario, ne consegue che la base sociale dei cosiddetti forconi, altro che nuovi proletari, è ceto medio e piccola borghesia impoverita ma ancora piccola borghesia è! Compreso il proprio punto di vista, istanze e aspirazioni di classe ovvero mantenere quei privilegi temporaneamente concessi dal capitale per potersi permettere per l’appunto di vivere non di lavoro salariato con l’aspirazione di intraprendere la scalata sociale verso il ceto medio, aspirazione “tradita” in tempo di crisi i cui costi in primis vengono scaricati sulla classe operaia e sul proletariato tutto, secondariamente e in parte anche sulla piccola borghesia.

In piazza c’è di tutto, dai mercatari agli studenti, certo anche elementi poco chiari.

Come dicevamo Torino è stato un caso particolare e nella massa scesa in piazza è vero che vi erano anche studenti, ciò che Lele Rizzo sottace sono due elementi importanti: il primo è che una parte degli studenti scesi in piazza sono proprio quelli legati al centro sociale di cui Lele Rizzo fa parte. Secondo che nel resto d’Italia tutti gli studenti organizzati hanno preso le distanze dai forconi in maniera netta e chiara, da Milano a Roma. Si potrà obiettare che questo è avvenuto pochi giorni dopo questa intervista, basti dire che Lele Rizzo e infoaut, l’organo stampa web della sua area politica di riferimento, non si sono accorti di queste decine di migliaia di studenti che con la parola d’ordine “Ne maroni Ne Forconi” a Milano e con slogan simili alla Sapienza di Roma si sono scontrati con le stesse forze di polizia che davanti ai “forconi”si sfilano il casco. Infine, quali sarebbero questi “elementi poco chiari”? Ciò che i nostri “osservatori” strumentalmente non vogliono vedere e chiamare con il loro nome: gruppetti neofascisti, piccoli imprenditori e sottoproletariato egemonizzato dalla direzione reazionaria di questo “movimento”.

Li accomuna un odio indistinto verso la classe politica, i sindacati e le istituzioni. Un’analogia rispetto a rivolte in altre città europee, vedi le banlieue parigine.

Qui il nostro Lele tocca veramente il fondo. Si parla genericamente di “odio” senza entrare nel merito se esso è mosso da “destra” o da “sinistra”. I “forconi” odiano la classe politica borghese perché prima li ha foraggiati come classe come dicevamo più su, adesso si è ripresa  alcuni privilegi concessi precedentemente; i “forconi” odiano i sindacati. Quali sindacati? Quelli confederali venduti al padrone? No odiano l’idea stessa di sindacato come organizzazione a tutela dei diritti dei lavoratori quindi tutti i sindacati compresi quelli di base anzi essendo piccoli padroncini che finora hanno condotto una vita relativamente agiata sulle spalle dei propri lavoratori salariati l’odio verso l’idea del sindacato di classe a difesa dei lavoratori salariati è sicuramente più accentuato in questi soggetti. I “forconi” odiano le istituzioni, questo è da vedere, le istituzioni che nell’interesse della borghesia imperialista colpisce la piccola borghesia sicuramente, sempre per gli stessi motivi di cui sopra, istituzioni come la polizia sicuramente no, anzi la feccia che in maniere diverse è mantenuta dal capitale assumendo un ruolo parassitario sia esso piccola borghesia sia essa mercenario al servizio del capitale al proprio interno si riconosce.
Cosa che i compagni di Askatusana guidati dall’ideologia del “movimento per il movimento” come fine a se stesso (il movimento è tutto il fine è nulla) a forza di muoversi continuamente non hanno il tempo di fermarsi un attimo e riflettere anche su queste banalità. Ma il meglio deve ancora venire!
Addirittura si tirano in ballo le banlieues parigine! Ovvero i quartieri proletari periferici di Parigi spesso teatro di rivolte scoppiate contro i soprusi della polizia e che successivamente rappresentano le istanze di tutto il proletariato francese con tutte le sue contraddizioni, e in alcuni casi come ad esempio nel 2006, si sono estese ai quartieri proletari di molti paesi europei avendo come obiettivo lo stato e le sue istituzioni. Lele Rizzo è mai stato in una banlieue parigina? Da quello che dice si direbbe di no. Andasse a fare l’osservatore li e ci dicesse del “popolo della partita iva” banliesarde e dei “nuovi proletari”; non ne troverebbe neanche uno. Noi ci siamo stati durante la rivolta del 2006 e invece abbiamo visto tanti proletari, in particolare giovani ribelli che a differenza dei “forconi” non hanno da difendere alcun piccolo privilegio sottratto perché non hanno mai avuto nulla, e per questo quando lottano vogliono veramente tutto (non solo case e reddito) e per questo colpiscono al cuore lo stato che è stato costretto com’è noto a riesumare una vecchia legge del periodo coloniale applicata in Algeria per proclamare lo stato d’assedio a Parigi e dare più poteri alle forze repressive compreso l’esercito durante i giorni della rivolta! Se non si capiscono queste cose non c’è da stupirsi sul fatto che durante quella rivolta alcuni compagni italiani “in movimento” andavano nelle banlieues con lo spirito da "turista rivoluzionario" e sono stati letteralmente buttati fuori da quei quartieri a calci in culo. Noi siamo anche andati, di certo non per “osservare” ma per “fare” e siamo stati accolti e anche bene.

Perché Torino è diventata la capitale dei «forconi»?

Perché non c’era stata ancora una vera reazione alla crisi fortissima che ha colpito la città. Da tempo va tutto a rotoli, le fabbriche sono un ricordo e i servizi sociali sono decimati. 

Due righe di risposta espresse candidamente sul fatto che nella riorganizzazione mondiale del capitale la borghesia imperialista italiana per fare più profitto colpisce due volte il proletariato: chiudendo le fabbriche qui e aprendole in paesi dove estrae più plusvalore alla classe operaia. Ma già abbiamo capito che il “vecchio proletariato” non è importante, adesso c’è il “nuovo”…

Come Askatasuna avete detto che volete «starci dentro e provare a invertire la rotta». Non è, forse, troppo ambizioso?

I percorsi si iniziano con ambizione, l’alternativa era stare a casa a dire che sono solo fascisti. Il nostro tentativo è capire e costruire rapporti con un pezzo di società in lotta.  

Invece i compagni hanno pensato bene di ingrossare le file di un movimento reazionario con “l’ambizione” (leggi velleità) di trasformarne la natura. Consigliamo a Lele Rizzo di leggere nella rubrica “storia di classe” di Infoaut il post in merito alla rivolta di Reggio Calabria dato che i compagni stessi fanno spesso questo parallelismo tra quella rivolta e gli attuali forconi. Come al solito il troppo “movimento” fa perdere di vista alcuni “piccoli particolari”: a Reggio Calabria intervenne un’organizzazione rivoluzionaria come Lotta Continua e non solo per un totale di centomila militanti rivoluzionari e, cosa più importante, intervenne direttamente la classe operaia con migliaia metalmeccanici, tentando di arginare la direzione reazionaria di quella rivolta e prenderne la testa riorientandola su posizioni classiste e rivoluzionarie. Ci sembra che il parallelismo non regga…

Da antifascisti, senza nessun rapporto con qualsiasi rigurgito fascista. A Torino, comunque, la presenza neofascista, come da tradizione, è risicata rispetto altrove. 

Il problema non sono i gruppuscoli come casapound e forza nuova sono proprio le masse che vi partecipano che sono reazionarie nello humus e “fasciste” per le istanze che incarnano.

La vostra posizione ha sollevato discussione. Una delle critiche è: come si fa a stare in una piazza dove emergono lampanti contenuti di destra e populisti?

Siamo rimasti alla larga da ogni situazione ambigua. È difficile starci, ma vogliamo affrontare questa realtà. La nostra allergia verso il tricolore e il continuo grido «Italia, Italia» non è debellata. Avremmo preferito pratiche diverse rispetto alle minacce ai commercianti. Sarebbe stato meglio colpire la grande distribuzione.

Qui la propria visione ideologica del mondo dettata dalla propria analisi è più forte della realtà. Si fa finta di non vedere che la massa è reazionaria, che in quella massa fianco a fianco agli “osservatori”ci sono i fascisti. “Avremmo preferito…” ma pazienza! L’importante è esserci sempre e comunque, d’altronde il movimento è tutto e il fine è nulla.

Come vi ponete rispetto alla polemica sui caschi tolti dai poliziotti?

Non so se ci sia connivenza o meno.

Della serie “o ci sei o ci fai”.

Certo, tolgono il casco per allentare la tensione, se di fronte non vedono un pericolo. 

Ma come? Prima si equiparano i forconi niente poco di meno che alle rivolte proletarie delle banlieues parigine e adesso, finalmente, si ammette che la polizia (quell’apparato repressivo dello stato che ne difende gli interessi) non vede alcun pericolo!

Ed è vero che manifestanti e agenti hanno spesso un linguaggio comune. 

Certo, come dicevamo prima appartengono alla stessa classe.


Il movimento No Tav è, invece, da subito visto come un nemico. La differenza è quella. 

Chissà perché!

pc 20 dicembre - Dal nord al sud il Belpaese della corruzione e del malaffare... il caso di Alessandria

Dal nord al sud Italia, dalla Lega di Bossi e Cota, dal Pid di Maira in Sicilia al Pdl, dal Pd a tutti gli altri partiti e ambienti politici, dai carabinieri ai finanzieri sono diversi i casi di corruzione e della delinquenza di tanti uomini dello Stato…


ALESSANDRIA: AL PROCESSO CONTRO ALESSANDRO REPETTO, EX AD DI AMAG, EMERGE COME LUI E LA SUA CRICCA HANNO PORTATO AL DISSESTO IL COMUNE
Alessandro Repetto è l’ex sindaco di Castelletto d’Orba (Al), ma alle cronache giudiziarie è conosciuto per essere stato l’ad di Amag (Azienda Multiutility Acqua Gas) e soprattutto l’eminenza grigia della precedente amministrazione comunale del capoluogo, quella che vedeva nella carica di sindaco il forzitaliota Piercarlo Fabbio.
Nel corso della passata legislatura cittadina, la ‘finanza creativa’ dei due soggetti menzionati è arrivata ad un livello tale che la primo cittadino attuale, la sedicente democratica Maria Rita Rossa, è stata costretta a dichiarare il dissesto economico della città.
Terminato il mandato, il Repetto si trova adesso a dover rispondere per alcune delle malefatte compiute ai danni della cittadinanza: è accusato dei reati di truffa ed abuso di ufficio, nel procedimento a suo carico aperto il 19 giugno scorso presso il Tribunale di Alessandria, e condotto dal pm Riccardo Ghio.
La finanza creativa comprendeva, tra l’altro, anche alcuni aggiustamenti sui rimborsi per i suoi spostamenti dal luogo di residenza a quello di ‘lavoro’.
In base a calcoli approssimativi, questo losco personaggio dichiarava di essere costretto a percorrere la distanza di quaranta chilometri al dì per giungere da un posto all’altro; peccato che la distanza tra i due centri è valutabile tra un minimo di trentuno ed un massimo di trentaquattro chilometri: questo significa che giornalmente incassava rimborsi non dovuti per almeno, nella migliore delle ipotesi, dodici chilometri.
Una ‘cresta’ di circa sedicimila Euro in quattro anni, dal 2008 al 2011; tenuto conto che il suo stipendio arrivava alla discreta sommetta di circa 250.000,00 (duecentocinquantamila) Euro annuali, ci si domanda se avesse proprio bisogno di lucrare così sfacciatamente.
Ma il quadro accusatorio contro il Repetto non si esaurisce certo qui; nella documentazione raccolta a suo carico dalla Guardia di Finanza figura persino una trasferta a Roma effettuata, nello stesso giorno, sia in treno che con la sua automobile, una Audi A8: resta da capire come abbia fatto - visto che questo ‘signore’ non risulta essere dotato del dono dell’ubiquità - ad essere contemporaneamente sul treno ed in macchina.
Per ultimo, ma non certo ultimo in ordine di importanza, vi è la vicenda dell’abuso di ufficio: per spiegare bene questa parte della vicenda, vale la pena affidarsi alla cronaca di Giulia Boggian, giornalista del quotidiano online Alessandria News (http://www.alessandrianews.it).
Si cerca di fare luce sulla gestione amministrativa di Lorenzo Repetto all'Amag anche relativamente alla questione “assunzioni facili”: tra il 2008 e il 2009, quindi in 2 anni, sono 34 le assunzioni “dirette”, ovvero senza gara pubblica, contestate dal pubblico ministero Riccardo Ghio. “Nel 2008 – ha spiegato la test, dipendente nell'ufficio personale dell'azienda Amag – sono sicuramente stati regolarizzati alcuni lavoratori precari, circa 8. Ci sono stati poi alcuni casi di pensionamento, con relative sostituzioni. Poi si sono iniziate tutta una serie di attività che prima erano esternalizzate (come ad esempio quella sulla gestione del depuratore)”. Tra queste 34 assunzioni anche un rapporto parentale: un padre e due figli, ma due di loro risultano essere passati in Amag “in quando precedentemente assunti dall'azienda che gestiva il depuratore prima della internalizzazione”. “E come avvenivano queste assunzioni?” ha chiesto il pm.
“Era lo stesso Repetto a chiedere di fissare dei colloqui dopo aver visionato e scelto i curricula che arrivavano. Eravamo poi noi dell'ufficio personale a contattare le persone, ma il colloquio era con l'ex presidente”. Da quando sono partite queste assunzioni “dirette”? “Dal 2003-2004, quando l'azienda è passata da municipalizzata a Società per azioni a noi è stato detto che non vi era più l'obbligo della gara pubblica” ha spiegato la testimone. Anche la Guardia di Finanza negli atti ha confermato una “crescita” delle assunzioni in azienda nel periodo di gestione sotto Repetto, rispetto ad altre.
Da tutto questo quadro accusatorio - che certamente deve essere provato al di là di ogni ragionevole dubbio, ma che chi è cittadino di Alessandria non ha alcuna difficoltà a riconoscere come vero - appare il profilo di un personaggio dedito al malaffare, che per semplice tornaconto personale, suo e della sua cricca, ha sprofondato il capoluogo del Basso Piemonte in una crisi di dimensioni pesantissime; l’auspicio è che si arrivi presto a far pagare, a lui ed al resto dei suoi accoliti della Giunta retta dalla destra radicale e fascista, tutte le sue colpe.
Bosio (Al), 20 dicembre 2013

Stefano Ghio - Proletari Comunisti Alessandria/Genova


pc 20 dicembre - unità ideologica e di stile di lavoro...il passaggio attuale delle scuole quadri di 'proletari comunisti-PCm Italia'

...Il nostro lavoro è per costruire in Italia, il Partita comunista rivoluzionario, che per noi è un partito comunista di tipo nuovo, un partito comunista marxista-leninista-maoista, che ha il compito di fare una guerra rivoluzionaria di lunga durata nel nostro paese per il potere proletario e socialista, in marcia a livello mondiale per il comunismo..
.. la guerra rivoluzionaria si fa con gli strumenti adatti ad essa nel nostro paese..lo Stato borghese usa la forza contro chi vuole rovesciarlo e quindi l'uso della forza di parte proletaria è l'essenza della rivoluzione proletaria. ... La Scuola Quadri è quindi una scuola ..atta a creare una solida unità ideologica, un adeguato stile di lavoro uguale in tutta l'organizzazione....
I comunisti, dice Marx, non nascondono mai le loro idee e i loro progetti, altrimenti ingannano le masse.
I comunisti devono essere conseguenti e agire a queste idee e a questi progetti nel rapporto con i proletari e le masse...
Unità di stile di lavoro e ideologica è e deve essere la caratteristica del ns Partito in formazione. Engels dice che la libertà è coscienza della necessità. Noi quindi abbiamo la libertà di scegliere di stare dentro questo partito necessario in formazione ....
Lo stile di lavoro, influenza anche lo stile di vita. Unità di stile di lavoro e ideologica è l'essenza della SQ, che si riflette e si deve rifrettere sempre più nell'attività politica e organizzativa. Questo lo dobbiamo realizzare.
Unità ideologica si manifesta in un comune atteggiamento verso le cose che interessano la lotta di classe e il legame con le masse. Lo scopo quindi delle SQ è questo tipo di unità di partito da costruire che diventa riconoscibile nellalotta politica e nel movimento proletario e di massa...

dicembre 2013




pc 20 dicembre - IL 70% DELLE OPERAIE CINESI HA SUBITO MOLESTIE SESSUALI

Capitalismo cinese: a Guangzhou (Canton) il 70 per cento delle operaie cinesi  ha subito molestie sessuali.

In base ad una indagine effettuata da un gruppo che si occupa di diritti sul lavoro nella città di Canton, il 70 per cento delle lavoratrici occupate nelle fabbriche di questa città  ha subito molestie sessuali. La questione è cosi grave che il 15 per cento di loro non ha avuto altra scelta se non quella di lasciare la propria occupazione per sfuggire al molestatore.
L'indagine, che riguarda un campione di 134 lavoratrici impiegate per lo piu' nella catena di montaggio, rivela che il 70 per cento di loro è stato soggetto a commenti offensivi, volgari battute o fischi e un 32 per cento a  contatti molesti. Un 25 per cento afferma di aver ricevuto telefonate o messaggi osceni e ad un 30 per cento sono state mostrate immagini a sfondo sessuale. Alcune donne sono state costrette a subire la vista di esibizioni oscene o a ricevere proposte indecenti da parti di altri lavoratori.

Circa il 40 per cento delle intervistate ha dichiarato di aver subito in silenzio mentre il 47 per cento ha affermato di aver attivamente opposto resistenza alle violenze. Comunque quasi tutte sono d'accordo nel dire che ne il proprio datore di lavoro ne il sindacato ne la federazione delle donne ne la polizia sarebbero in grado di fornire un aiuto efficace nell'affrontare il problema.
Otto intervistate, ad esempio, hanno affermato che: "Alla fabbrica non interesserebbe e alla polizia manca semplicemente il tempo per potersene occupare".

Più dei due terzi delle donne protagoniste dell'indagine hanno detto di provare disgusto e di detestare il proprio molestatore. Altri commenti includono frasi del tipo: "Voglio uccidere quell'uomo e toglierlo di mezzo". "Queste persone disgustose sono canaglie e psicopatici" e "Ho molta paura. Non riesco a dormire bene e continuo ad avere incubi. Voglio solo scappare".

Più della meta di queste donne afferma di voler ricevere un qualche tipo di formazione per poter contrastare le molestie sessuali e molte di loro richiedono una maggiore comprensione e consapevolezza del problema da parte della società nel suo complesso.

Il sondaggio del  Sunflower Women Workers Centre comprendeva anche un elenco delle misure legali volte a proteggere le donne dalle molestie sessuali ma chiaramente queste disposizioni sono inefficaci e scarsamente applicate.

L'indagine di quattro pagine, 广州女工性骚扰调研报告 stata pubblicata il 25 novembre, giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne.

Tradotto qui dal China Labour Bulletin.

pc 20 dicembre - a milano presidio al consolato turco - assemblea proletaria a Taranto al canto di bellaciao - Noi non abbiamo dimenticato e non dimenticheremo la Strage del 19 dicembre!


  • Rilascio immediato di tutti i prigionieri malati e immediato inizio delle cure sanitarie!
  • Fine delle punizioni disciplinari nelle celle!
  • Fine delle torture e cure sanitarie!

Mettere fine al sistema di celle di Tipo-F - Libertà per tutti i prigionieri politici!


 Taranto
erano presenti tutti i rappresentanti dei lavoratori dello slai cobas con operai, donne, ma anche attiviste dello sciopero delle donne all'assemblea per ricordare il 19 dicembre dei martiri prigionieri rivoluzionari nelle carceri turche e per rilanciare la lotta per la loro liberazione
in tutte le carceri imperialiste i prigionieri comunisti e rivoluzionari vengono torturati e rinchiuse per cancellarli e le loro lotte eroiche represse, per questo serve una campagna permanente e prolungata
il canto di bella ciao in turco ha concluso la serata

pc 20 dicembre - Libertà per i prigionieri politici Turchi


 Sit-in ieri pomeriggio a Palermo a Piazza Massimo con diffusione di centinaia di volantini per informare sulla realtà della repressione e delle carceri turche e scambio di opinioni con persone interessate.

PER NON DIMENTICARE LA STRAGE DEL 19 DICEMBRE 2000 NELLE CARCERI TURCHE - PER UNIRSI E CONTINUARE A COMBATTERE CONTRO LA REPRESSIONE DELLE AVANGUARDIE POLITICHE E SOCIALI