Un
commento critico all’intervista «In piazza con i nuovi proletari: altro
linguaggio, stessi problemi» a Lele Rizzo, noto esponente del Centro Sociale
Askatasuna di Torino, apparsa sul quotidiano “Il Manifesto” lo scorso 11/12/13.
Il corsivo è nostro.
Com’è
nata l’idea di partecipare, anche in qualità di «osservatori», alle
manifestazioni che in questi giorni paralizzano Torino?
Siamo stati alle assemblee prima del 9 dicembre, per
capire cosa stesse succedendo. Ci siamo detti: «Andiamo a vedere». Avevamo
intuito che il ritratto fosse ben più articolato rispetto a quello diffuso dai
media.
Infatti
i media hanno costruito ad arte un quadro per niente aderente alla realtà ma
non nel senso che dice Lele Rizzo, al contrario ingigantendo un fenomeno
pressocchè inesistente sul territorio nazionale eccetto i due focolai di Torino
e Barletta, seminando confusione e attribuendo
ad esempio mobilitazioni e blocchi ferroviari di lavoratori e studenti ai
fantomatici “forconi” come successo a Roma.
E scendendo in strada ne abbiamo avuto conferma.
Siamo di fronte a una nuova forma di proletarizzazione della società.
Come
usare le categorie scientifiche marxiane
a capocchia: si confondono i settori sociali scesi in piazza che sono
principalmente piccoli padroncini di piccole aziende “il popolo delle partite
iva” come li chiama Lele Rizzo che appartengono ad una classe ben distinta: la
piccola borghesia, ovvero quella classe i cui appartenenti non vivono di lavoro
salariato ma detengono un piccolo capitale. Ultimamente l’area politica di
riferimento di Lele Rizzo tende a revisionare questa categoria marxiana e al
posto di piccola borghesia parla di “nuovo proletariato”. Il proletariato in Italia
e nel mondo è sempre lo stesso, chi vende la propria forza lavoro al padrone in
cambio di un salario, ne consegue che la base sociale dei cosiddetti forconi,
altro che nuovi proletari, è ceto medio e piccola borghesia impoverita ma
ancora piccola borghesia è! Compreso il proprio punto di vista, istanze e
aspirazioni di classe ovvero mantenere quei privilegi temporaneamente concessi
dal capitale per potersi permettere per l’appunto di vivere non di lavoro
salariato con l’aspirazione di intraprendere la scalata sociale verso il ceto
medio, aspirazione “tradita” in tempo di crisi i cui costi in primis vengono
scaricati sulla classe operaia e sul proletariato tutto, secondariamente e in
parte anche sulla piccola borghesia.
In piazza c’è di tutto, dai mercatari agli studenti,
certo anche elementi poco chiari.
Come
dicevamo Torino è stato un caso particolare e nella massa scesa in piazza è vero
che vi erano anche studenti, ciò che Lele Rizzo sottace sono due elementi
importanti: il primo è che una parte degli studenti scesi in piazza sono
proprio quelli legati al centro sociale di cui Lele Rizzo fa parte. Secondo che
nel resto d’Italia tutti gli studenti organizzati hanno preso le distanze dai
forconi in maniera netta e chiara, da Milano a Roma. Si potrà obiettare che
questo è avvenuto pochi giorni dopo questa intervista, basti dire che Lele
Rizzo e infoaut, l’organo stampa web della
sua area politica di riferimento, non si sono accorti di queste decine di
migliaia di studenti che con la parola d’ordine “Ne maroni Ne Forconi” a Milano
e con slogan simili alla Sapienza di Roma si sono scontrati con le stesse forze
di polizia che davanti ai “forconi”si sfilano il casco. Infine, quali sarebbero
questi “elementi poco chiari”? Ciò che i nostri “osservatori” strumentalmente non
vogliono vedere e chiamare con il loro nome: gruppetti neofascisti, piccoli imprenditori
e sottoproletariato egemonizzato dalla direzione reazionaria di questo “movimento”.
Li accomuna un odio indistinto verso la classe
politica, i sindacati e le istituzioni. Un’analogia rispetto a rivolte in altre
città europee, vedi le banlieue parigine.
Qui
il nostro Lele tocca veramente il fondo. Si parla
genericamente di “odio” senza entrare nel merito se esso è mosso da “destra” o
da “sinistra”. I “forconi” odiano la classe politica borghese perché prima li
ha foraggiati come classe come dicevamo più su, adesso si è ripresa alcuni privilegi concessi precedentemente; i “forconi”
odiano i sindacati. Quali sindacati? Quelli confederali venduti al padrone? No
odiano l’idea stessa di sindacato come organizzazione a tutela dei diritti dei
lavoratori quindi tutti i sindacati compresi quelli di base anzi essendo
piccoli padroncini che finora hanno condotto una vita relativamente agiata
sulle spalle dei propri lavoratori salariati l’odio verso l’idea del sindacato
di classe a difesa dei lavoratori salariati è sicuramente più accentuato in
questi soggetti. I “forconi” odiano le istituzioni, questo è da vedere, le
istituzioni che nell’interesse della borghesia imperialista colpisce la piccola
borghesia sicuramente, sempre per gli stessi motivi di cui sopra, istituzioni
come la polizia sicuramente no, anzi la feccia che in maniere diverse è
mantenuta dal capitale assumendo un ruolo parassitario sia esso piccola
borghesia sia essa mercenario al servizio del capitale al proprio interno si
riconosce.
Cosa
che i compagni di Askatusana guidati dall’ideologia del “movimento per il
movimento” come fine a se stesso (il movimento è tutto il fine è nulla) a forza
di muoversi continuamente non hanno il tempo di fermarsi un attimo e riflettere
anche su queste banalità. Ma il meglio deve ancora venire!
Addirittura
si tirano in ballo le banlieues parigine! Ovvero i quartieri proletari
periferici di Parigi spesso teatro di rivolte scoppiate contro i soprusi della
polizia e che successivamente rappresentano le istanze di tutto il proletariato
francese con tutte le sue contraddizioni, e in alcuni casi come ad esempio nel
2006, si sono estese ai quartieri proletari di molti paesi europei avendo come
obiettivo lo stato e le sue istituzioni. Lele Rizzo è mai stato in una banlieue
parigina? Da quello che dice si direbbe di no. Andasse a fare l’osservatore li
e ci dicesse del “popolo della partita iva” banliesarde e dei “nuovi proletari”;
non ne troverebbe neanche uno. Noi ci siamo stati durante la rivolta del 2006 e
invece abbiamo visto tanti proletari, in particolare giovani ribelli che a
differenza dei “forconi” non hanno da difendere alcun piccolo privilegio
sottratto perché non hanno mai avuto nulla, e per questo quando lottano
vogliono veramente tutto (non solo case e reddito) e per questo colpiscono al
cuore lo stato che è stato costretto com’è noto a riesumare una vecchia legge
del periodo coloniale applicata in Algeria per proclamare lo stato d’assedio a
Parigi e dare più poteri alle forze repressive compreso l’esercito durante i
giorni della rivolta! Se non si capiscono queste cose non c’è da stupirsi sul
fatto che durante quella rivolta alcuni compagni italiani “in movimento”
andavano nelle banlieues con lo spirito da "turista rivoluzionario" e sono stati
letteralmente buttati fuori da quei quartieri a calci in culo. Noi siamo anche
andati, di certo non per “osservare” ma per “fare” e siamo stati accolti e
anche bene.
Perché
Torino è diventata la capitale dei «forconi»?
Perché non c’era stata ancora una vera reazione alla
crisi fortissima che ha colpito la città. Da tempo va tutto a rotoli, le
fabbriche sono un ricordo e i servizi sociali sono decimati.
Due righe di risposta espresse candidamente
sul fatto che nella riorganizzazione mondiale del capitale la borghesia
imperialista italiana per fare più profitto colpisce due volte il proletariato:
chiudendo le fabbriche qui e aprendole in paesi dove estrae più plusvalore alla
classe operaia. Ma già abbiamo capito che il “vecchio proletariato” non è
importante, adesso c’è il “nuovo”…
Come
Askatasuna avete detto che volete «starci dentro e provare a invertire la
rotta». Non è, forse, troppo ambizioso?
I percorsi si iniziano con ambizione, l’alternativa
era stare a casa a dire che sono solo fascisti. Il nostro tentativo è capire e
costruire rapporti con un pezzo di società in lotta.
Invece
i compagni hanno pensato bene di ingrossare le file di un movimento reazionario
con “l’ambizione” (leggi velleità) di trasformarne la natura. Consigliamo a Lele
Rizzo di leggere nella rubrica “storia di classe” di Infoaut il post in merito
alla rivolta di Reggio Calabria dato che i compagni stessi fanno spesso questo
parallelismo tra quella rivolta e gli attuali forconi. Come al solito il troppo
“movimento” fa perdere di vista alcuni “piccoli particolari”: a Reggio Calabria
intervenne un’organizzazione rivoluzionaria come Lotta Continua e non solo per
un totale di centomila militanti rivoluzionari e, cosa più importante,
intervenne direttamente la classe operaia con migliaia metalmeccanici, tentando
di arginare la direzione reazionaria di quella rivolta e prenderne la testa
riorientandola su posizioni classiste e rivoluzionarie. Ci sembra che il
parallelismo non regga…
Da antifascisti, senza nessun rapporto con qualsiasi
rigurgito fascista. A Torino, comunque, la presenza neofascista, come da
tradizione, è risicata rispetto altrove.
Il
problema non sono i gruppuscoli come casapound e forza nuova sono proprio le
masse che vi partecipano che sono reazionarie nello humus e “fasciste” per le
istanze che incarnano.
La
vostra posizione ha sollevato discussione. Una delle critiche è: come si fa a
stare in una piazza dove emergono lampanti contenuti di destra e populisti?
Siamo rimasti alla larga da ogni situazione ambigua.
È difficile starci, ma vogliamo affrontare questa realtà. La nostra allergia
verso il tricolore e il continuo grido «Italia, Italia» non è debellata.
Avremmo preferito pratiche diverse rispetto alle minacce ai commercianti.
Sarebbe stato meglio colpire la grande distribuzione.
Qui
la propria visione ideologica del mondo dettata dalla propria analisi è più
forte della realtà. Si fa finta di non vedere che la massa è reazionaria, che
in quella massa fianco a fianco agli “osservatori”ci sono i fascisti. “Avremmo
preferito…” ma pazienza! L’importante è esserci sempre e comunque, d’altronde
il movimento è tutto e il fine è nulla.
Come
vi ponete rispetto alla polemica sui caschi tolti dai poliziotti?
Non so se ci sia connivenza o meno.
Della serie “o ci sei o ci fai”.
Certo, tolgono il casco per allentare la tensione, se
di fronte non vedono un pericolo.
Ma come?
Prima si equiparano i forconi niente poco di meno che alle rivolte proletarie
delle banlieues parigine e adesso, finalmente, si ammette che la polizia (quell’apparato
repressivo dello stato che ne difende gli interessi) non vede alcun pericolo!
Ed è vero che manifestanti e agenti hanno spesso un
linguaggio comune.
Certo, come dicevamo
prima appartengono alla stessa classe.
Il movimento No Tav è, invece, da subito visto come
un nemico. La differenza è quella.
Chissà
perché!