sabato 7 dicembre 2013

pc 7 dicembre - Dichiarazione del Fronte Democratico Rivoluzionario (RDF India)

a cura del Comitato Internazionale di Sostegno alla GP in India 
info csgpindia@gmail.com


Non dimentichiamo il 6 Dicembre!
Uniamoci, organizziamoci e resistiamo al fascismo comunitarista!
Cancelliamo le caste!

Fronte Democratico Rivoluzionario (RDF)
Comunicato stampa,  6 dicembre 2013


Il tempo non ci farà dimenticare il 6 dicembre. Siamo oggi al termine di un altro anno, che ha mostrato ancora al mondo questa farsa che si definisce la più grande democrazia del mondo. Da oltre 67 anni il subcontinente indiano è testimone di questo esperienza di “democrazia”. Sono passato 57 dalla morte del dottor BR Ambedkar (mahaparinirvana) e 21 anni dalla demolizione della moschea di Babri. Due date storiche che rivelano la vera agenda delle classi dominanti dentro questo regime accuratamente confezionato e consegnato dallo stato coloniale alla grande borghesia indiana. Un’agenda di cui non fanno parte né il superamento delle caste né del tessuto millenario della società indiana.

Sono invece state fomentate, fin dal momento della partizione del territorio, le falangi fasciste della maggioranza indù mascherate da patriottismo, e ora si emarginano apertamente le comunità delle minoranze oppresse in nome della salvaguardia dell’Hindutva. Nel frattempo, il sistema delle caste si radica più profondamente nella nostra società, aprendo a poco a poco squarci sempre più ampi nel tessuto di una società intrinsecamente differenziata.

Non è un caso del destino che le date del Mahaparinirvana di Ambedkar e della demolizione della moschea di Babri coincidano. Dobbiamo ricordare i giorni di violenze che hanno preceduto la demolizione della moschea e tutti i giorni passati da allora, in cui si è perfezionata l’arma elettorale nelle mani del Sangh-giroh. Dopo la partizione, è subito iniziato il canto di Ram Mandir alla moschea di Babri. La destra ha preparato per sé l’immagine di protettrice della patria indù e di tutto ciò che essa rappresentava, come parte della sua lotta per Ramjanmabhoomi. Il governo del Congresso aveva già mostrato le sue credenziali fasciste con lo stato di emergenza dichiarato sotto il regime di Indira Gandhi e ancora nei moti anti-sikh del 1984 a Delhi.

Dunque, l'apertura dei cancelli della Babri Masjid da parte di Rajiv Gandhi nel 1990, seguiva il programma del Congresso di dividere la società per religioni per perseguire i propri interessi di classe e di casta e dare un impulso decisivo alle forze comunitariste. A ciò si e affiancato l'apertura dell'economia alle riforme neoliberiste, che approfittavano queste fratture nella società per creare un blocco sociale urbano fedele, l’emergente ceto medio indù. Se il piano d’attacco della violenza comunitarista negli ultimi mesi del 1989 a Bhagalpur, Uttar Pradesh, è stato scritto e sviluppato dai dirigenti del RSS-VHP e applicato dai quadri del Bjp, i beneficiari andavano ben oltre le file di questo partito e comprendevano le élite indù nazionali.

La violenza ha preso sistematicamente di mira i musulmani, distruggendone vite e mezzi di sussistenza, e con evacuazioni di massa che negli stati coinvolti hanno avuto come effetto uno drammatico riassetto demografico. Il coinvolgimento delle autorità statali nel fomentare la violenza e la successiva partecipazione della polizia e delle forze armate erano chiare agli occhi di tutti. Ad Ayodhya, nel dicembre 1991, sia il governo dello stato di Uttar Pradesh, del BJP, che il governo centrale, del Congresso, prepararono il terreno all’attacco aperto contro la minoranza. Il processo e piani di espansione del rath-yatra di LK Advani e la mano libera data ai karsevaks lo hanno confermato e nei due anni che hanno preceduto la demolizione hanno dimostrato in ogni modo che la violenza era premeditata.

Tutto mondo ha visto nell’attacco alla Babri Masjid dei karsevaks aizzati dal furore comunitarista e dalla certezza dell’impunità, nella frattura della società lungo i confini tra le religioni, anche le forze compratore che preparavano il terreno agli investimenti diretti esteri nel paese. Sarebbe davvero straordinario se qualcuno credesse ancora che la demolizione e le successive violenze erano spontanee o non pianificate. Nel 1992, col diffondersi della violenza in città note come i centri economiche nevralgici del paese, quali Bombay, Kanpur, Surat, Ahmedabad e Delhi, il suo impatto è cresciuto, distruggendo terreni, proprietà, mezzi di sussistenza e innumerevoli vite, e ha lasciato dietro di sé comunità divise e ghettizzate.

La distruzione dell'economia della comunità minoritaria, nello specifico l’incendio dei mulini di proprietà di commercianti musulmani, non lascia spazio a speculazioni sul vero obiettivo delle violenze. La successiva ristrutturazione della società ha confermato che ciò forniva un terreno fertile per le riforme economiche che promettevano un fiume di capitali per le nuove élite urbane che occupano posizioni di potere all'interno dell'economia neoliberista. Così, la marcia verso uno stato fascista è continuata di pari passo con l’ascesa di un blocco urbano che invoca il patriottismo a difesa delle politiche economiche dello Stato. Nelle campagne, in stati come il Bihar, questo fascismo comunitarista ha trovato i suoi più convinti sostenitori tra le élite terriere feudali. Qui, i Bhumihar hanno formato milizie per imporre il loro sfruttamento feudale su terre e risorse e hanno attaccato brutalmente i dalit che osavano resistere.

Oltre i massacri di Bathani Tola nel 1996, di Ranveer Sena a Laxmanpur Bathe nel 1997, grazie al sostegno attivo delle forze dello Stato, queste milizie castali si sono diffuse ai distretti di Jehanabad, Nawada e Aurangabad, accanendosi particolarmente contro donne e bambini dalit, per assicurarsi la piena sottomissione delle comunità oppresse. La natura della violenza ha cambiato forma e dimensione e raggiunto la massima espressione nel febbraio 2002 nello stato del Gujarat. La dimensione di quel pogrom porta alla luce le radici del fascismo nel subcontinente. In passato, era prassi comune per lo stato stare dalla parte delle folle indù. Ma a Gujarat nel 2002 si è avuta prova della partecipazione aperta e impunita della copertura e giustificazione delle rivolte da parte di apparati statali, dell'amministrazione, dell'esecutivo del governo dello Stato, con al timone Narendra Modi del BJP, giù fino alle forze di polizia.

La mobilitazione attiva dei più ampi settori di classi e caste nella violenza, l’attacco e isolamento sistematico della comunità di minoranza e la preparazione della scena della violenza attraverso spazi comunitarizzati, hanno segnato il distaccarsi dal modello generale dei disordini cui si era assistito fino ad allora nel subcontinente. L'esperienza del Gujarat è diventata per lo Stato comunitarista-fascista il nuovo modello di riordino della società secondo le sue esigenze. La minaccia della violenza è bastata a garantire la vittoria elettorale. Il successivo decennio ci ha mostrato come l'apparato statale continua a difendere e giustificare la sua deliberata (in)azione durante i moti comunitaristi.

Questo nuovo modello di violenza è stato adottato dai vari governi per blandire l’elettorato dominante. Nonostante il suo dichiararsi un partito laico, il Congresso, in concorrenza con l’opposizione della del BJP, ha supervisionato alcuni dei peggiori scontri comunitaristi degli ultimi anni. Dal 2011, a Gopalgarh e Bhilwara in Rajasthan, all'inizio del 2013 a Dhule in Maharashtra, come forza di governo statale, fino alle più recenti rivolte in Muzaffarnagar, come muto spettatore. Quale partito al governo centrale, il Congresso ha chiaramente proclamato i suoi interessi di classe e di casta. Così, mentre in alcuni stati il governo del Congresso coinvolge con l’inganno le comunità minoritarie, in altri brucia vivi i Dalit, oppressi ed emarginati, e gli Adivasi.

Così il governo del Gujarat ha difeso l’assassinio in uno “scontro” di Ishrat Jahan nel 2004 e il Partito Samajwadi dell’Uttar Pradesh ha assicurato l'assassinio di Shaheed Khalid Mujahid nel 2013. Così, di fronte alle lotte per difendere la terra e le risorse naturali contro le razzie delle grandi aziende, che continuano da oltre due decenni in India centrale, in particolare contro il regime di Naveen Patnaik in Orissa, nel 2007 il governo di sinistra a parole di quello stato, capeggiato dal PCM, ha orchestrato i sanguinosi attacchi contro i manifestanti di Singur e Nandigram, per imporre la zona economia speciale per la Tata. Così, mentre a Delhi e in tutto il paese si tengono manifestazioni per leggi che proteggano le donne da violenze e stupri, donne come Soni Sori combattono il sistema da dentro una prigione del Chhattisgarh, essendo stata ripetutamente violentata mentre era in custodia della polizia e del sistema giudiziario di quello stato.

Così mentre la frequenza degli scontri in Uttar Pradesh è aumentata e si è manifestata a Pratapgarh, Faizabad, Bareggio, Lucknow, Allahabad, Kosi Kalan e, da ultimo, a Muzaffarnagar nel 2013, la violenza si estende a forme che includono le espulsioni di massa dalle terre e l’impossessamento da parte delle élites dominanti, la perdita dei mezzi di sussistenza e ripetuti attacchi a donne e bambini per demoralizzare le già devastate minoranze e le altre comunità oppresse. Oggi, questo modello di stato fascista ha trovato simpatizzanti tra quella classe stessa che trae vantaggi da un elettorato polarizzato e una società fratturata, la cerchia di compradori che ha messo gli occhi sulle immense risorse del paese. Gli stretti rapporti tra lo Stato e gradi aziende e il totale disinteresse per la stragrande maggioranza del popolo nel loro processo di “sviluppo” si esprimono ogni volta che si firma un protocollo di intesa per sfruttare i minerali ricche colline dell'India centrale.

Dato che gli squadroni di vigilantes illegali al soldo dello Stato come i Salwa Judum non sono riusciti a scacciare gli adivasi, è lo Stato indiano retto dall’ attuale governo del Congresso che si è assunto il compito di sgombrare il campo alle aziende, con una guerra al popolo dal nome in codice di “Operazione Green Hunt”. In nome della religione e delle caste, l'elite al potere nazionale ha inflitto a dalit e adivasi orrori indescrivibili, come a Laxmanpur Bathe o Jehanabad nel 1997 in Bihar, a Ramabai Colony nel 1997, a hairlanji in Maharashtra nel 2006, a Kandhamal nel 2008, o a Bolangir in Orissa nel 2012, a Paramakudi nel 2011 o a Laxmanpur in Andhra Pradesh e Dharmapuri in Tamil Nadu nel 2012.

La brutalità con cui le lotte delle nazionalità nel Nordest in e Kashmir sono state schiacciate dalle forze armate va vista accanto all’uso da parte dello Stato indiano di quelle stesse leggi coloniali, come AFSPA, legiferate dagli inglesi per la colonizzazione del subcontinente. In nome della difesa della sovranità, queste leggi hanno garantito l’impunità alle forze armate che hanno assassinato e stuprato centinaia di donne a Kunan Poshpora nel 1991, a Manorama Devi in Manipur nel 2004, a Asiya e Nilofer in Shopian, Kashmir, nel 2009. Nonostante questi passi verso uno stato comunitarista fascista, ogni tanto lo Stato indiano continua flebilmente a sciorinare le sue credenziali di stato laico, con più insistenza prima delle elezioni. Non deve sorprendere nessuno che con tutti questi atti di violenza le élite al potere, sotto la bandiera del RSS-VHP, del Bajrang Dal, o di partiti parlamentari come BJP, il Congresso, SP, BJD, AIADMK, o PCM, o in forma di milizie feudali come Ranvir Sena in Bihar, si sono disputate le posizioni elettorali e hanno vinto. Con la creazione di un regime di paura, queste forze fasciste si creano spazi all'interno della gigantesca struttura che si finge una democrazia.

Oggi la natura dello stato è ben evidente di fronte a noi. In vista delle elezioni Lok Sabha il prossimo anno, il paese viene affettato, aperto, diviso su base comunitaria e di casta, e offerto al più alto e più sanguinoso offerente. Gli architetti dello scontro tra comunità usano le fratture socio-economiche non solo per rompere l'unità concreta nelle comunità, ma per spezzare la spina dorsale sociale, economica e culturale della minoranza e delle comunità emarginate e tutti i simboli del loro progresso. Questi simboli sono visti come minacce e ragioni principali per l’ascesa del Rashtra indù. Fascisti come Narendra Modi si dichiarano apertamente eredi del capo del Congresso Sardar Patel Vallabhai.

Questa eredità storica del fascismo comunitarsita che spinge la globalizzazione neoliberista è ben accetto e condiviso dai partiti parlamentari. Le recenti violenze in Uttar Pradesh hanno definito nettamente l'agenda della classe dirigente per i prossimi tempi. Il ruolo della propaganda e della retorica demagogica durante i disordini e quelli dei media di amplificare le posizioni comunitariste, la sottile distorsione e l’abile disinformazione nelle situazioni di tensione, mostrano che il governo al potere è colluso con le forze neofasciste, coccolate dai media maggiori, che spettacolarizzano e caricaturizzano la tragedia umana.

I poveri, gli emarginati, i senza terra, i dalit, le donne e le comunità di minoranza soffrono nella stretta delle classi dominanti. Spetta a noi denunciare questi agenti di morte e i loro solidi interessi elettorali che alimentano le aspirazioni imperialiste in questo stato semi- feudale, semi -coloniale. Oggi, in questo giorno, di fronte alla memoria di Ambedkar e alla faccia brutale del comunitarismo, dobbiamo decidere da quale parte stare. Dobbiamo farci la stessa domanda che Ambedkar rivolse una volta - occorre avere il coraggio di dire agli indù, che ciò che è sbagliato in loro è la loro religione, la religione che ha prodotto in loro questo concetto della sacralità della Casta, mostrerete questo coraggio? Il RDF è solidale con le lotte rivoluzionarie del paese, chiede l'eliminazione delle caste, ed esige la ricostruzione della Babri Masjid nello stesso sito!

Varavara Rao
G N Saibaba

pc 7 dicembre - Dichiarazione del Fronte Democratico Rivoluzionario (RDF India)



Non dimentichiamo il 6 Dicembre!
Uniamoci, organizziamoci e resistiamo al fascismo comunitarista!
Cancelliamo le caste!

Fronte Democratico Rivoluzionario (RDF)
Comunicato stampa,  6 dicembre 2013


Il tempo non ci farà dimenticare il 6 dicembre. Siamo oggi al termine di un altro anno, che ha mostrato ancora al mondo questa farsa che si definisce la più grande democrazia del mondo. Da oltre 67 anni il subcontinente indiano è testimone di questo esperienza di “democrazia”. Sono passato 57 dalla morte del dottor BR Ambedkar (mahaparinirvana) e 21 anni dalla demolizione della moschea di Babri. Due date storiche che rivelano la vera agenda delle classi dominanti dentro questo regime accuratamente confezionato e consegnato dallo stato coloniale alla grande borghesia indiana. Un’agenda di cui non fanno parte né il superamento delle caste né del tessuto millenario della società indiana.

Sono invece state fomentate, fin dal momento della partizione del territorio, le falangi fasciste della maggioranza indù mascherate da patriottismo, e ora si emarginano apertamente le comunità delle minoranze oppresse in nome della salvaguardia dell’Hindutva. Nel frattempo, il sistema delle caste si radica più profondamente nella nostra società, aprendo a poco a poco squarci sempre più ampi nel tessuto di una società intrinsecamente differenziata.

Non è un caso del destino che le date del Mahaparinirvana di Ambedkar e della demolizione della moschea di Babri coincidano. Dobbiamo ricordare i giorni di violenze che hanno preceduto la demolizione della moschea e tutti i giorni passati da allora, in cui si è perfezionata l’arma elettorale nelle mani del Sangh-giroh. Dopo la partizione, è subito iniziato il canto di Ram Mandir alla moschea di Babri. La destra ha preparato per sé l’immagine di protettrice della patria indù e di tutto ciò che essa rappresentava, come parte della sua lotta per Ramjanmabhoomi. Il governo del Congresso aveva già mostrato le sue credenziali fasciste con lo stato di emergenza dichiarato sotto il regime di Indira Gandhi e ancora nei moti anti-sikh del 1984 a Delhi.

Dunque, l'apertura dei cancelli della Babri Masjid da parte di Rajiv Gandhi nel 1990, seguiva il programma del Congresso di dividere la società per religioni per perseguire i propri interessi di classe e di casta e dare un impulso decisivo alle forze comunitariste. A ciò si e affiancato l'apertura dell'economia alle riforme neoliberiste, che approfittavano queste fratture nella società per creare un blocco sociale urbano fedele, l’emergente ceto medio indù. Se il piano d’attacco della violenza comunitarista negli ultimi mesi del 1989 a Bhagalpur, Uttar Pradesh, è stato scritto e sviluppato dai dirigenti del RSS-VHP e applicato dai quadri del Bjp, i beneficiari andavano ben oltre le file di questo partito e comprendevano le élite indù nazionali.

La violenza ha preso sistematicamente di mira i musulmani, distruggendone vite e mezzi di sussistenza, e con evacuazioni di massa che negli stati coinvolti hanno avuto come effetto uno drammatico riassetto demografico. Il coinvolgimento delle autorità statali nel fomentare la violenza e la successiva partecipazione della polizia e delle forze armate erano chiare agli occhi di tutti. Ad Ayodhya, nel dicembre 1991, sia il governo dello stato di Uttar Pradesh, del BJP, che il governo centrale, del Congresso, prepararono il terreno all’attacco aperto contro la minoranza. Il processo e piani di espansione del rath-yatra di LK Advani e la mano libera data ai karsevaks lo hanno confermato e nei due anni che hanno preceduto la demolizione hanno dimostrato in ogni modo che la violenza era premeditata.

Tutto mondo ha visto nell’attacco alla Babri Masjid dei karsevaks aizzati dal furore comunitarista e dalla certezza dell’impunità, nella frattura della società lungo i confini tra le religioni, anche le forze compratore che preparavano il terreno agli investimenti diretti esteri nel paese. Sarebbe davvero straordinario se qualcuno credesse ancora che la demolizione e le successive violenze erano spontanee o non pianificate. Nel 1992, col diffondersi della violenza in città note come i centri economiche nevralgici del paese, quali Bombay, Kanpur, Surat, Ahmedabad e Delhi, il suo impatto è cresciuto, distruggendo terreni, proprietà, mezzi di sussistenza e innumerevoli vite, e ha lasciato dietro di sé comunità divise e ghettizzate.

La distruzione dell'economia della comunità minoritaria, nello specifico l’incendio dei mulini di proprietà di commercianti musulmani, non lascia spazio a speculazioni sul vero obiettivo delle violenze. La successiva ristrutturazione della società ha confermato che ciò forniva un terreno fertile per le riforme economiche che promettevano un fiume di capitali per le nuove élite urbane che occupano posizioni di potere all'interno dell'economia neoliberista. Così, la marcia verso uno stato fascista è continuata di pari passo con l’ascesa di un blocco urbano che invoca il patriottismo a difesa delle politiche economiche dello Stato. Nelle campagne, in stati come il Bihar, questo fascismo comunitarista ha trovato i suoi più convinti sostenitori tra le élite terriere feudali. Qui, i Bhumihar hanno formato milizie per imporre il loro sfruttamento feudale su terre e risorse e hanno attaccato brutalmente i dalit che osavano resistere.

Oltre i massacri di Bathani Tola nel 1996, di Ranveer Sena a Laxmanpur Bathe nel 1997, grazie al sostegno attivo delle forze dello Stato, queste milizie castali si sono diffuse ai distretti di Jehanabad, Nawada e Aurangabad, accanendosi particolarmente contro donne e bambini dalit, per assicurarsi la piena sottomissione delle comunità oppresse. La natura della violenza ha cambiato forma e dimensione e raggiunto la massima espressione nel febbraio 2002 nello stato del Gujarat. La dimensione di quel pogrom porta alla luce le radici del fascismo nel subcontinente. In passato, era prassi comune per lo stato stare dalla parte delle folle indù. Ma a Gujarat nel 2002 si è avuta prova della partecipazione aperta e impunita della copertura e giustificazione delle rivolte da parte di apparati statali, dell'amministrazione, dell'esecutivo del governo dello Stato, con al timone Narendra Modi del BJP, giù fino alle forze di polizia.

La mobilitazione attiva dei più ampi settori di classi e caste nella violenza, l’attacco e isolamento sistematico della comunità di minoranza e la preparazione della scena della violenza attraverso spazi comunitarizzati, hanno segnato il distaccarsi dal modello generale dei disordini cui si era assistito fino ad allora nel subcontinente. L'esperienza del Gujarat è diventata per lo Stato comunitarista-fascista il nuovo modello di riordino della società secondo le sue esigenze. La minaccia della violenza è bastata a garantire la vittoria elettorale. Il successivo decennio ci ha mostrato come l'apparato statale continua a difendere e giustificare la sua deliberata (in)azione durante i moti comunitaristi.

Questo nuovo modello di violenza è stato adottato dai vari governi per blandire l’elettorato dominante. Nonostante il suo dichiararsi un partito laico, il Congresso, in concorrenza con l’opposizione della del BJP, ha supervisionato alcuni dei peggiori scontri comunitaristi degli ultimi anni. Dal 2011, a Gopalgarh e Bhilwara in Rajasthan, all'inizio del 2013 a Dhule in Maharashtra, come forza di governo statale, fino alle più recenti rivolte in Muzaffarnagar, come muto spettatore. Quale partito al governo centrale, il Congresso ha chiaramente proclamato i suoi interessi di classe e di casta. Così, mentre in alcuni stati il governo del Congresso coinvolge con l’inganno le comunità minoritarie, in altri brucia vivi i Dalit, oppressi ed emarginati, e gli Adivasi.

Così il governo del Gujarat ha difeso l’assassinio in uno “scontro” di Ishrat Jahan nel 2004 e il Partito Samajwadi dell’Uttar Pradesh ha assicurato l'assassinio di Shaheed Khalid Mujahid nel 2013. Così, di fronte alle lotte per difendere la terra e le risorse naturali contro le razzie delle grandi aziende, che continuano da oltre due decenni in India centrale, in particolare contro il regime di Naveen Patnaik in Orissa, nel 2007 il governo di sinistra a parole di quello stato, capeggiato dal PCM, ha orchestrato i sanguinosi attacchi contro i manifestanti di Singur e Nandigram, per imporre la zona economia speciale per la Tata. Così, mentre a Delhi e in tutto il paese si tengono manifestazioni per leggi che proteggano le donne da violenze e stupri, donne come Soni Sori combattono il sistema da dentro una prigione del Chhattisgarh, essendo stata ripetutamente violentata mentre era in custodia della polizia e del sistema giudiziario di quello stato.

Così mentre la frequenza degli scontri in Uttar Pradesh è aumentata e si è manifestata a Pratapgarh, Faizabad, Bareggio, Lucknow, Allahabad, Kosi Kalan e, da ultimo, a Muzaffarnagar nel 2013, la violenza si estende a forme che includono le espulsioni di massa dalle terre e l’impossessamento da parte delle élites dominanti, la perdita dei mezzi di sussistenza e ripetuti attacchi a donne e bambini per demoralizzare le già devastate minoranze e le altre comunità oppresse. Oggi, questo modello di stato fascista ha trovato simpatizzanti tra quella classe stessa che trae vantaggi da un elettorato polarizzato e una società fratturata, la cerchia di compradori che ha messo gli occhi sulle immense risorse del paese. Gli stretti rapporti tra lo Stato e gradi aziende e il totale disinteresse per la stragrande maggioranza del popolo nel loro processo di “sviluppo” si esprimono ogni volta che si firma un protocollo di intesa per sfruttare i minerali ricche colline dell'India centrale.

Dato che gli squadroni di vigilantes illegali al soldo dello Stato come i Salwa Judum non sono riusciti a scacciare gli adivasi, è lo Stato indiano retto dall’ attuale governo del Congresso che si è assunto il compito di sgombrare il campo alle aziende, con una guerra al popolo dal nome in codice di “Operazione Green Hunt”. In nome della religione e delle caste, l'elite al potere nazionale ha inflitto a dalit e adivasi orrori indescrivibili, come a Laxmanpur Bathe o Jehanabad nel 1997 in Bihar, a Ramabai Colony nel 1997, a hairlanji in Maharashtra nel 2006, a Kandhamal nel 2008, o a Bolangir in Orissa nel 2012, a Paramakudi nel 2011 o a Laxmanpur in Andhra Pradesh e Dharmapuri in Tamil Nadu nel 2012.

La brutalità con cui le lotte delle nazionalità nel Nordest in e Kashmir sono state schiacciate dalle forze armate va vista accanto all’uso da parte dello Stato indiano di quelle stesse leggi coloniali, come AFSPA, legiferate dagli inglesi per la colonizzazione del subcontinente. In nome della difesa della sovranità, queste leggi hanno garantito l’impunità alle forze armate che hanno assassinato e stuprato centinaia di donne a Kunan Poshpora nel 1991, a Manorama Devi in Manipur nel 2004, a Asiya e Nilofer in Shopian, Kashmir, nel 2009. Nonostante questi passi verso uno stato comunitarista fascista, ogni tanto lo Stato indiano continua flebilmente a sciorinare le sue credenziali di stato laico, con più insistenza prima delle elezioni. Non deve sorprendere nessuno che con tutti questi atti di violenza le élite al potere, sotto la bandiera del RSS-VHP, del Bajrang Dal, o di partiti parlamentari come BJP, il Congresso, SP, BJD, AIADMK, o PCM, o in forma di milizie feudali come Ranvir Sena in Bihar, si sono disputate le posizioni elettorali e hanno vinto. Con la creazione di un regime di paura, queste forze fasciste si creano spazi all'interno della gigantesca struttura che si finge una democrazia.

Oggi la natura dello stato è ben evidente di fronte a noi. In vista delle elezioni Lok Sabha il prossimo anno, il paese viene affettato, aperto, diviso su base comunitaria e di casta, e offerto al più alto e più sanguinoso offerente. Gli architetti dello scontro tra comunità usano le fratture socio-economiche non solo per rompere l'unità concreta nelle comunità, ma per spezzare la spina dorsale sociale, economica e culturale della minoranza e delle comunità emarginate e tutti i simboli del loro progresso. Questi simboli sono visti come minacce e ragioni principali per l’ascesa del Rashtra indù. Fascisti come Narendra Modi si dichiarano apertamente eredi del capo del Congresso Sardar Patel Vallabhai.

Questa eredità storica del fascismo comunitarsita che spinge la globalizzazione neoliberista è ben accetto e condiviso dai partiti parlamentari. Le recenti violenze in Uttar Pradesh hanno definito nettamente l'agenda della classe dirigente per i prossimi tempi. Il ruolo della propaganda e della retorica demagogica durante i disordini e quelli dei media di amplificare le posizioni comunitariste, la sottile distorsione e l’abile disinformazione nelle situazioni di tensione, mostrano che il governo al potere è colluso con le forze neofasciste, coccolate dai media maggiori, che spettacolarizzano e caricaturizzano la tragedia umana.

I poveri, gli emarginati, i senza terra, i dalit, le donne e le comunità di minoranza soffrono nella stretta delle classi dominanti. Spetta a noi denunciare questi agenti di morte e i loro solidi interessi elettorali che alimentano le aspirazioni imperialiste in questo stato semi- feudale, semi -coloniale. Oggi, in questo giorno, di fronte alla memoria di Ambedkar e alla faccia brutale del comunitarismo, dobbiamo decidere da quale parte stare. Dobbiamo farci la stessa domanda che Ambedkar rivolse una volta - occorre avere il coraggio di dire agli indù, che ciò che è sbagliato in loro è la loro religione, la religione che ha prodotto in loro questo concetto della sacralità della Casta, mostrerete questo coraggio? Il RDF è solidale con le lotte rivoluzionarie del paese, chiede l'eliminazione delle caste, ed esige la ricostruzione della Babri Masjid nello stesso sito!

Varavara Rao
G N Saibaba

pc 7 dicembre - Noi non dimenticheremo i prigionieri rivoluzionari che furono brutalmente assassinati il 19 dicembre 2000 nelle prigioni in Turchia!

iniziative a Palermo - Taranto - Milano
info pcro.red@gmail.com

Noi non dimenticheremo i prigionieri rivoluzionari che furono brutalmente assassinati il 19 dicembre 2000 
nelle prigioni in Turchia!

Nel dicembre 2000, le forze di sicurezza dello Stato fascista turco hanno iniziato una sanguinosa operazione contemporaneamente in 22 carceri, che è sfociata nell'uccisione di 28 prigionieri rivoluzionari. La direttiva di questa sanguinosa operazione è stata data dal governo di coalizione di allora DSP, ANAP e MHP, e durante l'operazione centinaia di prigionieri sono stati feriti. Nelle carceri come quelle delle province di Diyarbakir, Buca, Ümraniye e Ulucanlar venne messo in atto, dopo il 19 dicembre, il sistema di celle di Tipo-F (sistema di isolamento) - che era stato pianificato da tanto tempo. Dal momento della messa in funzione del sistema carcerario di Tipo-F e fino ad oggi è continuata la repressione contro i prigionieri rivoluzionari.

Le prigioni di Tipo-F significano: isolamento, “rieducazione” mentale, una politica di controllo del pensiero e della mente dei prigionieri rivoluzionari per farli arrendere. Il sistema di Tipo-F non era solo una politica contro le carceri ma una politica contro l'intera società. È stato soprattutto il prodotto di una strategia a lungo termine della politica imperialista per controllare e sopprimere la società. Nonostante tutta l'oppressione e i massacri i prigionieri rivoluzionari non si sono piegati al sistema di isolamento. Anche se hanno perso diritti conquistati hanno mostrato un atteggiamento deciso nella loro resistenza, nonostante tutte le grandi difficoltà. Dopo la strage del 19 dicembre, 122 persone sono morte per lo sciopero della fame fino alla morte dentro e fuori le carceri, centinaia sono diventate disabili permanenti a causa dell'intervento forzato.

Il periodo delle prigioni di Tipo-F, iniziato con il massacro del 19 dicembre, continua fino ad oggi. Il governo fascista AKP da 11 anni al potere – pratica e impone il sistema delle prigioni di Tipo-F: isolamento, divieto di visite, divieto di libri e riviste, divieto di lettere; i prigionieri sono sotto sorveglianza video, si attuano trasferimenti arbitrari verso altre prigioni senza informare i parenti o i loro avvocati e gli esuli. I prigionieri politici si trovano ad affrontare tutti i tipi di trattamenti inumani e le torture. Inoltre, molti prigionieri hanno ricevuto l'ergastolo da quando l'AKP è salito al potere. Come risultato di queste politiche oppressive e repressive, 162 prigionieri soffrono di malattie terminali e 544 sono malati. A causa di questo trattamento arbitrario il ministero della giustizia e le amministrazioni carcerarie stanno bloccando i trattamenti urgenti per i prigionieri malati.

Mentre la fame, la povertà, la miseria e la disoccupazione sono in aumento ogni giorno nel paese, il governo AKP si fa avanti con le bugie come il "pacchetto democratico" da imporre alla società, ma continua con nuovi massacri. Nel 13° anniversario del massacro del 19 dicembre noi ancora una volta condanniamo le politiche fasciste, razziste e oppressive del governo dell'AKP. Facciamo appello a tutte le organizzazioni e istituzioni rivoluzionarie e democratiche ad essere attivi contro la repressione nelle carceri.
  • Rilascio immediato di tutti i prigionieri malati e immediato inizio delle cure sanitarie!
  • Fine delle punizioni disciplinari nelle celle!
  • Fine delle torture e cure sanitarie!

Mettere fine al sistema di celle di Tipo-F - Libertà per tutti i prigionieri politici!Noi non abbiamo dimenticato e non dimenticheremo la Strage del 19 dicembre

pc 7 dicembre - Insieme a sostegno delle popolazioni delle Filippine colpite dal tifone Hayan

Dichiarazione a sostegno delle popolazioni delle Filippine colpite dal tifone Hayan



Lo scorso 8 novembre il tifone Hayan (conosciuto come Yolanda all'interno del Paese) ha spazzato alcune aree delle Filippine a oltre 300 chilometri orari, con onde alte 5 metri, uno dei più forti e disastrosi mai visti che abbia colpito la terra.
Fin da subito si è capito che la devastazione di esseri umani e cose era impressionate e, adesso, dopo oltre due settimane, i dati ufficiali parlano di 5500 vittime, ma i feriti sono molti di più di quelli ammessi all’inizio: oltre 26.000. Ancora migliaia sono i dispersi e alcuni esperti internazionali dicono che per la completa ricostruzione potrebbero essere necessari fino a 10 anni.
Ufficialmente nove milioni di abitanti, ovvero il 10% di tutta la popolazione, sono stati interessati dall’evento, ma l’Onu porta la cifra a 13 milioni. Oltre quattro milioni i senzatetto.
Le aree più colpite dell'arcipelago sono le isole Leyte, Samar e Cebu Negros, Visayas Orientale, centrale e occidentale, circa 5 regioni e 36 province, e in particolare la città di Tacloban, aree delle zone costiere e montane tra le più povere in tutto il paese, dove la maggior parte sono contadini poveri, lavoratori agricoli disoccupati, piccoli pescatori e popolazioni indigene.
Davanti a questa tragedia le organizzazioni politiche e sindacali filippine che si battono per la difesa delle condizioni di vita e di lavoro del popolo si sono immediatamente mobilitate portando sostegno e invitando alla mobilitazione generale nel paese e all'estero per un coordinamento adeguato al fine di distribuire opportunamente aiuto e materiali, acqua, cibo, riparo, cure mediche e aiuti per ricostruire le case, recuperare animali da fattoria, raccolta di tuberi alimentari a chi ha maggiore e più urgente bisogno di aiuto a cominciare dai bambini e dagli anziani. E il Partito comunista delle Filippine ha anche dichiarato un cessate il fuoco unilaterale di due mesi per permettere e agevolare in ogni modo i soccorsi. Appello al quale il governo non ha ancora risposto.
Il governo delle Filippine del Presidente Aquino, che nonostante le informazioni e l'allerta diramata dall'Osservatorio di Manila che diceva “Può essere necessaria una massiccia evacuazione di aree residenziali sui terreni bassi entro 8 a 16 km del litorale” non ha preso le adeguate misure (aveva dichiarato pomposamente "zero vittime") ed è poi intervenuto con notevole ritardo nei soccorsi, da un lato stanziando fondi insignificanti per una tale catastrofe e dall'altro riempiendo queste zone di mezzi e bunker militari e check-point, invece di costruire immediatamente case e aiutare le popolazioni colpite dalla tragedia in aree anche difficili da raggiungere, ha di fatto aggravato le condizioni generali delle popolazioni colpite, minimizzando tra l'altro costantemente il numero delle vittime. La rabbia di queste popolazioni sta montando quanto più i ritardi diventano fatali per salvare altre vite e dare risposte immediate ai bisogni del  momento. In alcune occasioni il presidente Aquino ha avuto il coraggio di criticare i filippini perché si sono fatti trovare impreparati! e sta facendo una sperticata propaganda populista ai fondi a sua immediata disposizione, come il Fondo Sociale del Presidente e il Fondo per l'Accelerazione degli Investimenti, che dice falsamente di aver usato per i soccorsi, per avere la scusa di aumentarli.
Anche in queste terribili ore il governo Aquino non ha smesso un attimo di continuare a militarizzare la campagne di Mindanao e in tutto il paese con le sue operazioni, come quella definita "Organizzazione delle Comunità per la Pace e lo Sviluppo" e a perseguitare, attraverso una vera e propria guerra di sterminio, con l'operazione che porta il nome di "Oplan Bayanihan" - aumentando sul campo la potenza di fuoco e distraendo soldi per milioni di dollari e mezzi dello Stato - i militanti del Partito Comunista delle Filippine che in queste zone è presente con diversi governi popolari locali. Il governo, grazie anche ad una stampa asservita, ha continuato ad utilizzare la farsa degli attacchi subiti e degli scontri con i combattenti per denigrare la guerra popolare soprattutto in zone che sono state praticamente abbandonate dal governo reazionario.
Questa militarizzazione degli aiuti, in stile Haiti, il governo la sta portando avanti permettendo anche alle forze armate degli Stati Uniti di intervenire direttamente nelle aree colpite. Gli imperialisti degli Stati Uniti stanno ancora una volta approfittando della tragedia per intensificare in maniera "legittima" la presenza nell'area che hanno inserito nella loro strategia cui hanno dato il nome di "Asia Pivot" (l'Asia al centro). Infatti hanno schierato nelle Filippine non meno di sei navi da guerra tra cui il fiore all'occhiello degli USA, la portaerei George Washington che trasporta almeno 80 caccia a reazione e elicotteri da guerra, oltre a 5000 soldati di marina. La  portaerei sarà accompagnata dalla USS Antietam, USS Coepwns, USS Mustin, dall'incrociatore con missili guidati Lasses. Altri militari USA si stanno spostando da porti nella zona come Hong Kong verso le Filippine e stanno invadendo la capitale e hanno preso in consegna l'aeroporto di Tacloban. L'imperialismo americano mantiene da tantissimi anni una straordinaria presenza militare nella zona e considera le Filippine un altro "cortile di casa propria".
Anche l'imperialismo inglese ha inviato la nave da guerra HMS Daring e un Boeing C-17 da trasporto militare.
L'imperialismo coglie ogni occasione per rafforzare la propria presenza militare e garantirsi il controllo delle aree strategiche per salvaguardare i profitti delle multinazionali.
La potenza mai vista del tifone, causato anche dalla distruzione ambientale in corso a livello mondiale, e in particolare nelle Filippine fatta di disboscamento selvaggio per fare posto all'agroindustria e alle miniere che arricchiscono i padroni del mondo e impoveriscono e lasciano in condizioni inumane quantità impressionanti di popolazioni, ha messo in ginocchio milioni di persone che adesso si devono risollevare, puntando sulle proprie forze e su una genuina solidarietà internazionale che sappia indirizzare gli aiuti nella ricostruzione di case e condizioni di vita.
La solidarietà che esprimiamo consiste nel sostenere la dignità di un popolo cosciente che deve lottare per risollevarsi e liberarsi dei parassiti nazionali e internazionali. Per questo sarà necessario impegnarsi in una campagna di denuncia e informazione quanto più vasta possibile da portare ai proletari dei paesi imperialisti e di tutto il mondo.
Esprimiamo una solidarietà capace di denunciare con forza l'interventismo militare del governo Aquino contro le proprie popolazioni e quello dell'imperialismo, Usa innanzi tutto.
È con questo tipo di solidarietà nel cuore che esprimiamo la massima vicinanza, in questo particolare momento, alle masse Filippine che hanno subito questa immane tragedia.

Atik Turchia/Europa 
Slai Cobas per il sindacato di classe Italia - 
Frap - Francia

Invitiamo ad indirizzare gli aiuti a: Ufficio internazionale del Fronte Democratico Nazionale delle Filippine
Titolare del conto: NDF ST. INT. Informatie
Numero di conto: 39 45 70 642
Nome Banca: Rabobank
Filiale Banca: Utrecht, Paesi Bassi
IBAN: NL 70 RABO 0394 5706 42
BIC: RABONL2U
Si prega di indicare "Haiyan / Yolanda Relief Funds"


pc 7 dicembre - la informazione, la denuncia e l'azione del Partito comunista delle Filippine - nella devastazione del Tifone Hayan


Filippine
Supertifone Hayan/Yolanda
8 novembre 2013
Raccolta di documenti e comunicati
sulla catastrofe annunciata
Partito Comunista delle Filippine
Fronte Democratico Nazionale delle Filippine
a cura di proletari comunisti
http://proletaricomunisti.blogspot.it/

pc 7 dicembre - Libertà incondizionata per tutti i prigionieri politici in India! 25 gennaio 2014 grande giornata internazionale di solidarietà e sostegno !

Libertà incondizionata per tutti i prigionieri politici in India!
25 gennaio 2014 grande giornata internazionale di solidarietà e sostegno!

In India oltre 10.000 sono i prigionieri politici presunti maoisti rinchiusi nelle prigioni indiane, a questi si aggiungono altre migliaia di prigionieri implicati nei movimenti di liberazione nazionale (Kashmir, Manipur, ecc.) e di altri movimenti democratici.
Insieme a dirigenti, quadri, militanti del Partito Comunista dell'India, o appartenenti all'esercito del popolo, oltre il 90% di questo numero sono uomini e donne dei villaggi Adivasi che hanno resistito all'evacuazione forzata; contadini in lotta contro i protocolli di intesa firmati dai governi e dalle multinazionali per sfruttare il popolo e proseguire la rapina capitalista e imperialista delle risorse; attivisti delle minoranze nazionali organizzati contro la crescente minaccia del fascismo indù; studenti, intellettuali, artisti appartenenti al Fronte Democratico Rivoluzionario e a diverse organizzazioni democratiche, colpevoli solo di stare dalla parte del popolo nella guerra scatenata dallo Stato contro il popolo indiano; donne del popolo, femministe che si sono unite per ribellarsi contro l'enorme aumento degli stupri, condotti in parte dalle truppe del governo e dalle squadre paramilitari fasciste al servizio del governo nella guerra al popolo.
In carcere, i prigionieri subiscono ogni genere di vessazione, torture, negazione di assistenza, condizioni di vita disumane, trasferimenti arbitrari, brutali pestaggi e isolamento prolungato e ingiustificato e le prigioniere vengono spesso stuprate. Nonostante la condizione di feroce detenzione che subiscono, i prigionieri stanno resistendo e lottando con spirito rivoluzionario e trasformando le oscure galere in cui sono richiusi in un fronte di battaglia contro il fascismo montante in India e il regime indiano.
Battersi per la loro liberazione incondizionata è compito urgente per tutte le forze solidali e per gli amici del popolo indiano, ed è parte integrante del sostegno alla vittoria della sua guerra di liberazione.

Ma tutta l'India è sempre di più trasformata dalla classe dominante in una 'prigione dei movimenti'
Dalla metà del 2009 , le classi dirigenti indiane sotto la guida e con l'assistenza degli imperialisti hanno lanciato in tutto il paese l'offensiva più fronti chiamata Operazione Green Hunt – una guerra al popolo per spazzare via il movimento maoista e reprimere le lotte popolari.
Se la repressione delle masse oppresse è il marchio distintivo di ogni Stato basato sullo sfruttamento ed è stata caratteristica di sempre dello Stato indiano, la operazione Green Hunt ha superato tutte le precedenti offensive sia per dimensione che brutalità.
Migliaia di dirigenti e militanti di organizzazioni di massa rivoluzionarie e democratiche sono stati assassinati, torturati e imprigionati, accusati con montature giudiziarie, molti scontano pesanti condanne. I massacri, gli stupri di gruppo, la razzie e la distruzione di villaggi da parte delle forze armate sono diventati fatti quotidiani.
Nelle dichiarazioni, la guerra al popolo scatenata sotto il nome di operazione Green Hunt, avrebbe lo scopo di cancellare il movimento maoista, ma in realtà colpisce e punta a sopprimere qualsiasi movimento e rivendicazione democratica e popolare, implicandole in procedimenti connessi con il CPI (Maoista) e perseguendole con leggi sempre più reazionarie adottate dai governi centrali e locali, che marchiano dirigenti e militanti delle lotte del popolo come 'nemici della nazione e terroristi'.
Basta con l'operazione Green Hunt - Basta con la guerra contro il popolo !

Ma la guerra di liberazione delle masse popolari in India non può certo essere fermata dalla repressione selvaggia, anzi allarga verso di essa la solidarietà politica e morale
Ci sono state molte iniziative e sforzi internazionali in solidarietà e sostegno la loro lotta per la liberazione, tra cui la grande Conferenza Internazionale di Amburgo e le Giornate Internazionali di azioni organizzate dal Comitato Internazionale di Sostegno. Iniziative che hanno avuto ripercussione in tutto il mondo e impatto nella stessa India, assestando colpi all'imperialismo e al regime indiano, che oggi reagisce chiedendo ai governi in primis in Europa di fermare le iniziative di solidarietà.
Proprio per questo oggi più che mai è necessario consolidare ulteriormente ed estendere la solidarietà,
Per questo facciamo appello a una grande Giornata internazionale di solidarietà e lotta per la liberazione incondizionata dei prigionieri politici in India per il 25 gennaio 2014 da tenere ovunque è possibile nel mondo, in tutte le forme possibili, decise dai comitati e forze solidali a livello nazionale,
con azioni di piazza, che chiamino le masse a partecipare, e con iniziative di controinformazione e protesta a verso ambasciate, consolati, ministeri degli esteri, sedi della stampa estera, sedi di organizzazioni umanitarie ecc che si svolgano in tutta la settimana che precede la GIORNATA INTERNAZIONALE
Comitato internazionale di sostegno alla guerra popolare in India

adesioni e info
nuovo blog in inglese : icspwindia.wordpress.com
blog italiano http://guerrapopolare.blogspot.com

pc 6 dicembre - L'Aquila, report processo per stupro

Otto anni di carcere confermati in appello per Francesco Tuccia, a fronte della richiesta di 11 anni presentata dal pg Picardi per l’aggravante di crudeltà e sevizie e di quella di assoluzione da parte della difesa di Tuccia per presunto"consenso" di Rosa (a farsi massacrare)

L’aggravante della crudeltà e sevizie è stata riconosciuta, ma la Corte d’appello ha derubricato le lesioni da dolose a colpose e quindi tutto come prima, se non peggio. Secondo l’Avvocato di Tuccia Valentini, che durante l’udienza ha diffuso dei dati sensibili (ossia dove vive adesso Rosa, cosa che non sapeva nessuno se non la famiglia e le compagne più vicine!), il padre di Rosa gli avrebbe rivolto dei commenti ingiuriosi e lui ha promesso querela.


Tuccia è stato anche condannato alla interdizione perpetua da tutti i tipi di incarichi di tutela e curatela, ma pare che ciò non impedirà al tipo di continuare, durante i domiciliari, a usufruire del permesso, senza restrizioni, per uscire e andare a lavorare come autista di ambulanze!

La presenza delle donne e della solidarietà a Rosa è stata forte e determinata, sia dentro l’aula (il processo si è svolto a porte aperte), che fuori, dove sono stati esposti striscioni e cartelli e diffusi volantini e la risposta della gente è stata accogliente e positiva. In 60-70 abbiamo sostenuto Rosa da vicino. Nell’aula c’era una sproporzione enorme di presenze nelle file di destra, dove sedeva il Tuccia con la sacra famiglia e in quelle di sinistra, dove eravamo noi. A destra le sedie erano vuote, a sinistra ci siamo dovute sedere per terra o rimanere in piedi. Li abbiamo fatti sentire come degli appestati, perché merde sono.

Simona Giannangeli, l’avvocato del centro antiviolenza ha fatto una requisitoria stupenda, fortissima, difficile da sintetizzare. Ha in primo luogo smontato le pretese della difesa, e non solo, di ribaltare il processo contro gli stupratori a un processo alle donne, la doppia violenza che queste e nella fattispecie Rosa, subiscono durante i processi, attraverso indagini sulla loro vita privata, sulla loro “moralità”, sul fatto che in fondo se la sono cercata.
 Di fronte alle attenuanti generiche che la difesa ha addotto come motivazione per l’assoluzione - giovane età del tipo, lo stato di ubriachezza, lo “spavento” che ha indotto il bastardo con le mani e le braccia insanguinate a svignarsela lasciando Rosa nuda al gelo e sanguinante - ha risposto con vigore che anche Rosa è molto giovane, che anche Rosa, se aveva bevuto un po’ troppo non poteva difendersi e che lui, un militare addestrato a “servire la patria”, che magari poteva essere assegnato a compiere missioni all’estero (dove sangue ne avrebbe visto correre a fiumi), appena ha visto un po’ di sangue se l’è svignata. Lui, un militare che ha praticato su Rosa uno stupro di guerra, una tortura, il fisting, che tanti altri militari italiani, addestrati a servire la patria, hanno inflitto alle donne in Somalia o in Bosnia-Erzegovina.
 L’Avvocato di Rosa, Gallinari, ha sottolineato come a Tuccia  non gliene fregasse proprio niente della vita di Rosa, come egli abbia agito nel completo disprezzo della giovane donna

Gli interventi della difesa di Tuccia, Valentini dell’Aquila e Villani di nome e di fatto, ve li risparmio per ora, sono stati un lungo e sofferto mal di pancia, che ci hanno spinto numerose/i ad abbandonare l’aula per evitare che fosse la Corte a sgomberarla. La lapidazione o l’impalamento gli ci vorrebbe, al Tuccia e ai suoi avvocati! ha commentato una lavoratrice presente con me al processo. Per le “perle” dei porci della difesa di Tuccia, ci vorrebbe un capitolo a parte. Ora sono/siamo ancora troppo incazzate
PS. A Rosa e a Elisabetta, la madre, ha fatto molto piacere ricevere la foto delle lavoratrici di Palermo in presidio davanti la Regione. Ho lasciato a Rosa anche il foglio doppio del 6 luglio e lei se lo è guardato con interesse e molta cusiosità. Stavolta ci ha donato il suo sorriso. E' stata un'emozione grandissima

Luigia

venerdì 6 dicembre 2013

pc 6 dicembre - Filippine - Gli operai rivoluzionari si impegnano per una intensificata lotta contro il regime US- Aquino



Il regime US- Aquino è marcio come il sistema che rappresenta ... davanti al peggioramento della fame e della povertà inflitta dal regime, i lavoratori e le masse lavoratrici sono più determinate che mai nel fare avanzare la rivoluzione ad un nuovo e più alto livello.

COMUNICATO STAMPA
del Consiglio Rivoluzionario dei Sindacati*
4 Dicembre 2013

Il RCTU [Revolutionary Council of Trade Unions] dà il via alle celebrazioni per il 45° anniversario del PCF
Gli operai rivoluzionari si impegnano per una intensificata lotta contro il regime US- Aquino


Per dare il via alla commemorazione del 45° anniversario della ricostituzione del Partito Comunista delle Filippine (PCF), gli operai rivoluzionari guidati dal Consiglio Rivoluzionario dei sindacati (RCTU) hanno tenuto un comizio lampo tra i lavoratori e le comunità povere urbane di Baclaran, Paranaque City questa mattina.

"Con estrema gioia, i lavoratori si uniscono al popolo filippino nel celebrare il 45° anniversario della ricostituzione del loro partito, il PCF. Per 45 anni, il PCF ha vittoriosamente guidato i lavoratori e il popolo filippino nella lotta per la la libertà, la democrazia e il cambiamento sociale contro lo sfruttamento straniero e nazionale", ha dichiarato Juan de Mayo, portavoce del RCTU.

Nel celebrare l'anniversario del PCF, gli operai rivoluzionari si sono impegnati nell'intensificare la loro lotta contro il regime USA- Aquino che, dicono, rappresenta coloro che governano il paese - gli imperialisti, la borghesia compradora e i proprietari terrieri.

"Il regime USA- Aquino è tanto marcio quanto il sistema che rappresenta. Ha mostrato di non essere diverso dai precedenti regimi fantoccio, corrotti e antipopolari. In questi tre anni di potere Aquino ha difeso il sistema semicoloniale e semifeudale, devastato dalla crisi, che ha sottoposto i lavoratori e il popolo filippino alle peggiori forme di sfruttamento e di oppressione" ha affermato de Mayo.

Il RCTU ha detto che Aquino dovrà affrontare una recrudescenza di sindacalizzazione dei lavoratori così come degli scioperi, delle proteste e di una resistenza armata intensificata nei suoi restanti anni al potere poiché le forze rivoluzionarie perseverano nel fare avanzare la rivoluzione nazionale democratica.

"Con il peggioramento della fame e della povertà inflitta dal regime US- Aquino, i lavoratori e le masse lavoratrici del popolo filippino sono determinate come non mai nel fare avanzare la rivoluzione ad un nuovo e più alto livello. I prossimi anni di potere di Aquino vedranno una recrudescenza della lotta rivoluzionaria dei lavoratori contro il suo regime antipopolare e antioperaio", ha detto de Mayo.

Nel frattempo, il RCTU incoraggia gli operai e i poveri delle città a perseverare nel fare avanzare la rivoluzione democratica popolare prendendo parte alla lotta armata nelle campagne e ad unirsi ai ranghi del Nuovo Esercito del Popolo (NEP).

"Se la storia ci ha insegnato una cosa, è che solo attraverso la rivoluzione armata possiamo ottenere la vittoria sul dominio e il controllo straniero. Solo prendendo le armi possiamo abbattere regimi dispotici e oppressivi. Ecco perché facciamo appello a tutti i lavoratori e alle nostre masse lavoratrici a partecipare alla lotta armata condotta dal NEP", ha affermato de Mayo.

Il Partito Comunista delle Filippine è stato ricostituito il 26 dicembre 1968 e da allora è stato in prima linea nella lotta del popolo filippino per la libertà nazionale, la democrazia e il socialismo.

* Il Consiglio Rivoluzionario dei sindacati è un'organizzazione collegata al Fronte Nazionale Democratico delle Filippine.





pc 6 dicembre - solidali con gli scioperanti di Basiano - oggi al tribunale

Presidio in tribunale a fianco degli scioperanti di Basiano


Venerdì 6 dicembre alle 13 ci sarà la sentenza contro uno degli scioperanti di Basiano (11/6/2012) massacrati e poi arrestati per essersi opposti al proprio licenziamento. E' la prima sentenza sui fatti in questione e farà da apripista per altri 19 che seguiranno.
Le udienze svoltesi finora (anche grazie all aproiezione del video che fu giratto in diretta dai partecipanti e trasmesso da tutti i media) hanno permesso finora di far emergere gran parte della verità, e cioè la natura di classe della violenza che ha prodotto la mattanza di Basiano e, più in generale, la violenza antiproletaria dello stato borghese, ben rappresentato, in quell'occasione come in altre, dalla santa alleanza fra padroni, stato e sindacati confederali.
La sentenza però è tutt'altro che scontata, lo sappiamo. Il peso della solidarietà di classe invece lo è.
Facciamoci sentire, facciamoci vedere. Ore 13, tutti in Tribunale (aula VIII - ingr. via Manara, Pian terreno, in fondo al corridoio Arianna).
SI Cobas - coord. prov. milanese

pc 6 dicembre - carcere assassino - Presidio dopo la morte di Federico Perna a napoli


La morte di Federico Perna (34 anni) è stata un omicidio di Stato. Sono le parole di sua madre, ma anche la verità dei fatti per un giovane assassinato due volte, quando malato di cirrosi epatica, con complicanze respiratorie e circolatorie, è stato tenuto in carcere malgrado lo stesso parere negativo dei medici di Velletri e Poggioreale e quando in questi stessi carceri è stato massacrato di botte come testimoniano le foto dell'autopsia!
Le storie dei Federico Perna, Stefano Cucchi e tanti altri, non sono certamente casi isolati: sono già 139 i morti nelle carceri italiane dall'inizio del 2013!!
Tanti di più continuano la propria agonia dietro le sbarre come Vincenzo di Sarno, affetto da tumore al midollo spinale, e rinchiuso anch'egli nel carcere di Poggioreale nelle note condizioni di sovraffollamento bestiale.
E' la contabilità di una guerra contro i più deboli e i più marginali, contro tutti quelli il cui padre non ha in tasca il cellulare di un ministro da far intervenire...
Perchè al di là delle retoriche securitarie la realtà ci dice che il carcere è la discarica sociale in cui seppellire la subalternità definita "deviante": oltre due terzi dei detenuti sono immigrati e tossicodipendenti grazie a leggi liberticide come quella sull'immigrazione e sul consumo di sostanze, quasi tutti nascono nei quartieri popolari delle metropoli italiane, alcuni scontano in galera l'essersi ribellati allo sfruttamento e alla precarietà.
Dati che ci raccontano come sia il carcere la vera malattia e come la battaglia per l'indulto/amnistia sia sempre più necessaria come quella contro una società classista ed ingiusta.
Per denunciare ancora la morte di Federico e tantissimi altri, per esprimere solidarietà ai detenuti

INVITIAMO TUTTI E TUTTE
Giovedi 5 dicembre alle ore 10.00
PRESIDIO SOTTO IL CARCERE DI POGGIOREALE






pc 6 dicembre - Domiciliari a Bahar


bahar-web-191x300BAHAR -Bahar Kimyongur è fuori dal carcere. Il compagno turco-belga, in galera a Bergamo dal 21 novembre scorso su mandato internazionale della Turchia, ha ricevuto i domiciliari dal Tribunale di Brescia. Ora Bahar si sta recando a Massa, città toscana dove attenderà il processo vero e proprio riguardante la richiesta di estradizione in Turchia, legata alla sua attività di denuncia e controinformazione nei confronti dei crimini perpetrati sia ad Ankara che nel vicino ginepraio siriano proprio dal governo di Erdogan, padrone – padrone della Turchia.
Bahar dovrà rimanere  in una casa a Marina di Massa, in attesa del pronunciamento della Corte. Lo Stato Turco dispone di 40 giorni, a partire dal 21 novembre, giorno in cui l’attivista e giornalista belga è stato arrestato dalla Digos quando è arrivato all’aeroporto di Bergamo, per trasmettere all’Italia i documenti che corredano la richiesta di estradizione.
Da quando è stato arrestato il Clea – il Comitato per la libertà di espressione e associazione – ha organizzato petizioni e manifestazioni a Bruxelles. Oggi in un comunicato il Clea afferma che “la lotta in favore di Kimyongur dovrà necessariamente ora fare un salto di qualità”.
Presidi fuori dal Tribunale si sono tenuti anche a Brescia, in due diverse occasioni

pc 6 dicembre - Grecia: aumento del partito, crollo del movimento?.. si è così, ma bisogna dire che si tratta di partiti socialdemocratici da Syryza a Evo Morales - altrimenti si fa solo demagogia 'di movimento'


Giovedì 05 Dicembre 2013 18:36da infoaut

Grecia: aumento del partito, crollo del movimento?


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    La democrazia diretta delle piazze ha lasciato il posto alla politica dei partiti – uno sviluppo pericoloso, come ci insegnano le esperienze dell’America Latina.

    Ero in piazza Syntagma [piazza centrale di Atene, il cui nome significa “Costituzione”, n.d.t.] ad Atene durante la lunga estate del 2011. Così come le altre centinaia di migliaia di partecipanti, ero colpito dall’abilità con cui persone del tutto comuni – fino ad allora estranee al gioco politico – riuscivano a riunirsi spontaneamente e organizzarsi nella più grande assemblea popolare che Atene abbia mai visto, cercando di rovesciare le misure della austerity neoliberale che il governo avrebbe presto votato, inventando modi in cui la democrazia diretta potesse funzionare in quanto forma deliberativa al di là dello spazio limitato della piazza.
    Questo processo orizzontale e autonomo divenne realtà senza alcuna risorsa finanziaria particolare e senza il supporto degli attori politici tradizionali come sindacati o partiti, caldamente interdetti dalla piazza. Avvenne tutto spontaneamente, senza leaders, e dal basso. Non successe solo ad Atene, ma in tutte le piazze della Grecia – formando quello che divenne conosciuto come “il movimento delle piazze” (e non aganaktismenoi, gli “indignados” greci, come li chiamavano i media, un nome respinto dal movimento stesso. In quei giorni, un enorme striscione pendeva sopra Syntagma con un messaggio chiaro: “non siamo indignati, siamo determinati!”).
    Un anno dopo, insieme a Jerome Roos, siamo ritornati a Syntagma con l’intenzione di intervistare alcuni dei protagonisti del movimento, oltre che per esplorare più approfonditamente come, effettivamente, l’occupazione fosse riuscita a decollare. “Dobbiamo trovare la persona che aveva portato il microfono!” era la mia ossessione principale in quel momento, che pensavo che il movimento sembrasse spontaneo, ma in realtà qualcuno stava là con un microfono e un sound system già dal primo giorno, quindi se fossimo riusciti a trovare “quello che aveva portato il microfono”, avremmo forse capito chi stava dietro alla chiamata per l’occupazione della piazza. Era, il mio, un ragionamento degno di un San Tommaso.
    Parlando con attivisti di Syntagma riuscimmo finalmente a trovare una risposta al nostro interrogativo, ma non era affatto quello che ci aspettavamo: il microfono era stato portato a Syntagma nel corso della prima assemblea da… un musicista di strada spagnolo, che era capitato nella vicina “assemblea greco-spagnola” a Thissio, e che offrì la sua attrezzatura per la vera, prima assemblea popolare di piazza Syntagma. Più tardi, gli anarchici di Exarchìa portarono un impianto migliore, ovviamente, ma l’intera vicenda ci dimostrò che l’occupazione della piazza era a tutti gli effetti quello che sembrava: un movimento senza leader, spontaneo, orizzontale per la vera (diretta) democrazia; un movimento che insegnò alle persone capitate nella piazza in quei giorni che c’è un altro modo per fare politica, non attraverso “rappresentanti” e “leaders” ma tramite la propria partecipazione.
    Nonostante questo  approccio democratico e diretto non fosse ovviamente privo di limiti, era comunque uno sforzo “proveniente dalle persone”, come ci disse Dimitris – uno dei facilitatori alle assemblee – nel corso di un’intervista per il documentario Utopia on the Horizon (2012) della ROAR. Altrettanto ovviamente questo esperimento radicale e democratico rese il “popolo” l’attore principale di un cambiamento, per quel poco che durò, escludendo gli attori tradizionali della vita politica e screditando definitivamente il sistema politico del paese. Ma l’estate di Syntagma  non durò per sempre, anche se i 72 giorni e notti di occupazione l’hanno reso la più lunga tra le grandi occupazioni del Movimento per la Democrazia Reale del  2011-2013.
    Due anni e mezzo dopo, il 10 novembre 2013, venne lanciato un altro appello per l’occupazione di piazza Syntagma. Questo volta però non c’era bisogno di indagare su chi avesse lanciato l’appello, e nemmeno su chi avesse “portato il microfono”. L’intero evento era stato organizzato dal partito di sinistra radicale Syriza per sostenere la sua mozione di sfiducia contro il governo che stava venendo votata dentro al parlamento (una mozione di sfiducia a proposito della quale nessuno capì perché venisse presentata, visto che non c’era alcuna possibilità per il governo di non sopravvivervi – ma questa è un’altra storia).
    Ovviamente, il partito aveva fatto in modo di avere un grande palco (e un costoso impianto) cosicché i suoi esponenti potessero rivolgersi alle folle, oltre ad aver invitato numerosi artisti ad esibirsi nella piazza. Naturalmente non c’era alcuna assemblea popolare – l’attrazione principale della serata fu il discorso del leader di Syriza Alexis Tsipras dall’interno del parlamento. Tuttavia, nonostante Syriza avesse già pensato all’impianto audio e non vi fosse il bisogno per alcun musicista girovago spagnolo di farsi deus ex machina per salvare la situazione, l’appello del partito a occupare la piazza non venne partecipato che da una piccola frazione della folla che frequentava le assemblee popolari di due anni prima, né aveva la stessa passione, creatività, o speranza. Ad ogni modo, l’happening di Syriza dimostrò una cosa: che i “partiti” e lo “stato” sono di nuovo il fronte principale di resistenza politica oggi in Grecia, e Syriza è l’espressione principale di questa tendenza.
    Molti nella sinistra europea e nordamericana guardano a Syriza con speranza e meraviglia. Ma è davvero un buon segno che un partito abbia “rubato la piazza” dei movimenti usurpandone l’energia? Non dovremmo preoccuparci del fatto che l’esperimento diretto e orizzontale delle piazze sia stato fragorosamente soppiantato dalle vecchie forme gerarchiche della politica elettorale e rappresentativa? Non dovremmo essere turbati da come le assemblee popolari siano state sostiuite dai discorsi di un leader di partito nel parlamento? Forse dovremmo osservare le esperienze di un altro continente – l’America Latina – che ha già una lunga storia in proposito, e imparare una o due lezioni.
    Nel suo ottimo libro Territories in Resistance: A Cartography of Latin American Social Movements, Raùl Zibechi esamina il decennio della “marea rosa” in America Latina giungendo alle seguenti conclusioni. Primo, in tutti i paesi toccati dalla “marea rosa” (che ha portato al potere governi di sinistra in Brasile, Argentina, Bolivia, Uruguay, Nicaragua, Ecuador e altri), e nonostante le molte differenze tra un paese e l’altro, c’era un carattere fondamentale comune a tutti gli stati: il ritorno dello stato ad agente principale del cambiamento. In secondo luogo, i movimenti protagonisti delle più importanti mobilitazioni tra i la fine dei ’90 e l’inizio dei 2000 (i piqueteros in Argentina, i partecipanti alle guerre dell’acqua e del gas in Bolivia, i lavoratori senza terra in Brasile, e così via) sono stati marginalizzati o neutralizzati attraverso la repressione dello stato o la cooptazione, aprendo la via al “partito” come massima espressione dei bisogni e desideri popolari, e all’allineamento della lotta radicale per l’emancipazione dei movimenti stessi.
    Per quanto riguarda l’Argentina nello specifico, laddove gli esperimenti di democrazia diretta degli anni 2001-2003 lasciarono il posto al neo-peronismo della Kirchner, Benjamin Dangl scrisse che “la Kirchner distribuiva le briciole, mentre quello che molti chiedevano era la rivoluzione”. In Bolivia, invece, Oscar Olivera – portavoce del Coordinadora por la Defensa del Agua y la Vida durante la leggendaria Guerra dell’acqua di Cochabamba – descrisse in questo modo il primo anno del governo di Evo Morales:
    “Ora che il Movimento per il Socialismo [di Morales] occupa lo spazio statale, ha cominciato a cooptare e controllare i movimenti, così da smobilitarli tramite le loro stesse rivendicazioni specifiche e legarli agli interessi del governo. Lo stato sta espropriando delle capacità che avevamo restaurato a costi molto alti: la capacità a ribellarsi, mobilitarsi, organizzarsi e avanzare proposte. Danno posizioni istituzionali a portavoce dei movimenti, ambasciate a leader del sociale, e si disfano o stigmatizzano quelli di noi che non vogliono entrare nelle istituzioni, ma piuttosto rompere con esse, alludendo che siamo finanziati dalla destra.”
    Le briciole della Kirchner e le offerte di Evo sono riuscite a fermare qualsivoglia processo rivoluzionario fosse in atto sotto la superficie sociale, conducendo a chiederci ancora una volta perché i movimenti sociali si perdano sostanzialmente ogni qual volta il centro-sinistra arrivi al potere. Stiamo assistendo allo svolgersi di un processo simile in Europa adesso, col sorgere di Syriza in Grecia? I movimenti di emancipazione radicale si stanno facendo allineare in favore dei partiti e della conquista elettorale del potere statale? L’esperienza latinoamericana è lì ad avvertirci, e faremmo bene a farvi attenzione. Altrimenti, saremo condannati a ripetere gli stessi errori ancora, e ancora.
    di Leonidas Oikonomakis

    tradotto da AteneCalling.org