RIPORTIAMO STRALCI DA UN TESTO USCITO PER LA MANIFESTAZIONE DEL 19 OTTOBRE A ROMA
Da “Reddito garantito e contropotere nella crisi. Dibattito nel movimento” - ottobre 2013
Acrobax
“...A noi spetta far emergere rivendicazioni e strumenti per l’esplosione di quelle soggettività ancora in divenire, apparentemente ancora in bilico tra tensione conflittuale e regressione conservatrice. Partiamo da un’articolazione di lungo periodo, per quanto discontinua, della rivendicazione di reddito garantito come leva di energie liberatrici verso un nuovo modo di intendere i rapporti tra le persone e il loro tempo di vita, nel pieno riconoscimento della loro capacità di autodeterminazione contro il ricatto della precarietà e l’apologia restauratrice del lavoro, anche quando nocivo, dequalificato, malpagato...”
“...Accumulazione e valorizzazione che possiedono come solido prerequisito quello della precarizzazione della forza lavoro e del controllo politico sulla nuova composizione sociale, controllo sui corpi, sulle aspettative, affetti, sui bisogni e sulla loro autodeterminazione...”.
“...In un mercato del lavoro completamente precarizzato il governo dei comportamenti si esercita attraverso la costante insicurezza. Le forme della frammentazione e della scomposizione del lavoro producono conseguenze sulle soggettività precarizzate nella capacità di riconquistare tempo di vita, tempo liberato. Il tempo diviene la vera moneta della contemporaneità. Intrappolati in un eterno presente in questo orizzonte temporale compresso, bisogna ri-significare e ri-modulare continuamente i progetti di vita...”.
“...La precarizzazione sociale è sostanzialmente un dispositivo di comando, di esercizio predatorio nei confronti di coloro che vivono il lavoro precario...”.
“...Abbiamo alle spalle più di un decennio di esperienze, di lotte, mayday, azioni di riappropriazione, ma anche di autogestione di fabbriche occupate, organizzazione metropolitana di sportelli di lotta, punti di informazione e cospirazione precaria, reti sociali contro la precarietà che sotto la potenza immaginifica di san precario e santa insolvenza hanno affermato negli anni nell’evocazione e nelle lotte nuove
ricombinazioni sociali, nuovi spazi mentali e materiali di ricomposizione, immaginari, allusioni e simbolismi potenti di virale diffusione tra le moltitudini precarie...”.
“...Di pari passo dentro la condizione precaria l’unica rivendicazione unificante che progressivamente ha assunto un’egemonia ricompositiva è stata la richiesta di reddito di autonomia, garantito, sociale, di esistenza...”.
“...Crediamo oggi che il nostro compito sia quello di spostare l’asticella, l’orizzonte del conflitto, immaginare un processo di generalizzazione biopolitica delle lotte contro la precarietà e la disoccupazione di massa, di dare corpo alla potenza della soggettività precaria metropolitana anonima, queer e moltitudinaria, sprigionare energia e conflitto, nuova organizzazione e sedimentazione sui territori. Spazio e tempo della lotta, afferrare la possibilità, l’evento possibile che può rompere l’accerchiamento...”
“...Ci dobbiamo interrogare dunque quale via di fuga sia possibile. Qual’ è il tempo delle lotte per aprire un varco, una breccia di generalizzazione del conflitto per una rottura complessiva all’altezza della dimensione e altitudine politica che stiamo incarnando, nel nuovo scontro di classe che stiamo vivendo.
Il tema oggi è come far vivere la leva del reddito garantito come proposta e tensione centrale, sempre aperta alla dimensione del conflitto e delle pratiche della riappropriazione eppur immaginata dentro un possibile nuovo architrave istituente che rovesci l’alchimia negativa di quel fantasma che oggi è il diritto al lavoro formalmente e costituzionalmente riconosciuto. Reddito garantito e di esistenza incondizionato dal ricatto del lavoro, come riconoscimento diretto della produzione sociale e della ricchezza permanentemente prodotta. Reddito di esistenza come spazio di autodeterminazione del tempo di vita come riappropriazione del bottino di quella rendita finanziaria, per una reale redistribuzione del plusvalore socialmente prodotto. Reddito di esistenza per conquistare indipendenza...”.
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Reddito garantito, o, più giustamente
in termini classisti, “salario garantito”, è una necessaria
rivendicazione, soprattutto in questa fase di scarico della crisi da
parte di padroni e governo sui lavoratori, giovani, donne, con
aumento della disoccupazione, licenziamenti, attacchi al reddito
delle masse popolari. Quindi una giusta richiesta, che però non
mette certo in discussione le leggi del lavoro salariato, la sua
“maledizione” e gli attacchi del capitale, restando comunque
all'interno delle leggi e dell'azione del sistema del capitale. Come
si vede, anche settori della stessa borghesia in alcune fasi, come
questa, pensano che bisogna prevedere una certa forma di “reddito
sociale”, che da un lato serva come ammortizzatore sociale delle
contraddizioni sempre più forti sul lavoro/reddito, dall'altro come
possibilità di consumo anche da parte della massa di disoccupati e
senza lavoro.
Lo si è fatto in altri Stati europei –
e questo non ha creato alcuna ”liberazione”, “indipendenza”.
In Italia ora è ripreso dal M5S, da
Sel, cioè da partiti e forze pienamente interno al sistema politico
borghese.
Invece da parte di alcune forze
antagoniste viene dato un valore antagonista alternativo globale al
“reddito garantito”, si parla addirittura di “leva
di energie liberatrici verso un nuovo modo un nuovo modo di intendere
i rapporti tra le persone e il loro tempo di vita”. Questo
da un lato impedisce di fare una seria battaglia di
classe su di essa, interna alla battaglia, politica e ideologica, di
unità operai/disoccupati; dall'altro ci si sottrae al lavoro
rivoluzionario per rovesciare il sistema capitalista e liberarsi
realmente delle catene del lavoro salariato.
Questo è economismo, non nuovo nella
storia del movimento proletario, per cui a lotte rivendicative si dà
non solo una valenza politica, ma anche una valenza ideologica, di
nuovi valori antagonisti a quelli della borghesia, ma da realizzarsi
senza la rivoluzione e senza il potere proletario.
Se tanto mi dà tanto, se la
precarizzazione per la borghesia “...è
sostanzialmente un dispositivo di comando, di esercizio predatorio
nei confronti di coloro che vivono il lavoro precario... un controllo
politico sulla nuova composizione sociale, controllo sui corpi, sulle
aspettative, affetti, sui bisogni e sulla loro
autodeterminazione...”, lottare
contro la precarizzazione, liberarsi di questo ricatto attraverso il
“reddito garantito”, è la “liberazione” di tutto. Quindi non
c'è bisogno di fare la rivoluzione.
Su
questa posizione si parte per la tangente: “...sotto
la potenza immaginifica di san precario e santa insolvenza hanno
affermato negli anni nell’evocazione e nelle lotte nuove
ricombinazioni sociali, nuovi spazi mentali e materiali di
ricomposizione, immaginari, allusioni e simbolismi potenti di virale
diffusione tra le moltitudini precarie...”. Ma
in realtà si scambia l'immaginario per il reale, il virtuale, il
simbolico per la vita concreta; facendo di fatto, che se ne sia
cosciente o no, una operazione truffaldina.
Tornando
poi al valore dato alla “leva centrale” del “reddito garantito.
”Il
tema oggi - dicono
i compagni -
è come far vivere la leva del reddito garantito come proposta e
tensione centrale, sempre aperta alla dimensione del conflitto e
delle pratiche della riappropriazione eppur immaginata dentro un
possibile nuovo architrave istituente che rovesci l’alchimia
negativa di quel fantasma che oggi è il diritto al lavoro
formalmente e costituzionalmente riconosciuto.
Reddito garantito e di esistenza incondizionato dal ricatto del lavoro, come riconoscimento diretto della produzione sociale e della ricchezza permanentemente prodotta. Reddito di esistenza come spazio di
autodeterminazione
del tempo di vita come riappropriazione del bottino di quella rendita
finanziaria, per una reale redistribuzione del plusvalore socialmente
prodotto. Reddito di esistenza per conquistare indipendenza...”
La
battaglia attuale per il “reddito garantito”, che, ripetiamo, è
risposta necessaria al diritto al salario per i disoccupati e
licenziati creati dalle leggi del profitto capitalista ed ha anche un
importante valore di unità della classe in controtendenza alla
“guerra tra poveri” utile a questo sistema, facendo invece di
essa un'apologia, viene posta in contrapposizione al diritto al
lavoro e quindi di fatto contro gli operai e i lavoratori.
Si
scrive: “Reddito
garantito e di esistenza incondizionato dal ricatto del lavoro, come
riconoscimento diretto della produzione sociale e della ricchezza
permanentemente prodotta...”, si
parla di:
“redistribuzione del plusvalore socialmente prodotto...”, ma
non si dice che quella produzione, quel plusvalore l'hanno prodotto i
“fessi” che lavorano, gli operai.
Si
combatte “l’apologia
del lavoro”
tout court, ma non si combatte il lavoro salariato.
Questa
è la piccola borghesia che parla che vuole per sè la
redistribuzione della ricchezza prodotta (dai precedenti “fessi”),
che vuole per sé il “reddito senza lavoro” mentre gli operai
devono (se non vengono licenziati) lavorare, diremmo “senza
reddito”; che vogliono la socializzazione della produzione senza
rovesciare il sistema del capitale, del lavoro sfruttato per il
profitto.
Questa nostra critica non è in
contrasto con il carattere di sviluppo antagonista che stanno
assumendo i movimenti di lotta sociali – come abbiamo visto il 19
ottobre.
Potremmo dire, semplificando, che le
masse partendo dai loro bisogni di vita elementari (casa, reddito,
lavoro...), nello scontrarsi con le risposte di negazione/attacco ai
bisogni, ai diritti del governo e con l'azione prevalente di
repressione dello Stato, elevano “spontaneamente” le loro lotte,
diventano antagoniste con il Potere del capitale, quindi vanno avanti
nella coscienza che occorre uno scontro diverso e più elevato; le
“forze economiste”, invece, che, teoricamente dovrebbero dare
coscienza rivoluzionaria e rotta, usano le rivendicazioni per andare
indietro, per teorizzare che è possibile qui ed ora (nel senso in
questo sistema borghese) la soluzione dei problemi di vita delle
masse, per negare, che lo vogliano o no, la necessità della
rivoluzione.
Quindi, sono utili alle masse,
soprattutto giovanili, nei momenti di lotta, ma sono deleterie nella
prospettiva di quelle lotte, di quei bisogni.
MC