Pubblichiamo
l’appello di un gruppo di lavoratori della Maruti-Suzuki incarcerati a
seguito delle lotte di cui avevamo dato conto mesi fa,
e il documentario «Count on us», che racconta i sogni, le aspettative e
l’esperienza degli operai attraverso le storie di Jitender e Rajesh,
due ex operai della Maruti-Suzuki. L’appello dà voce a decine di
lavoratori ancora rinchiusi nelle carceri indiane dopo i duri scioperi
che li hanno visti protagonisti. Trattenuti con accuse sommarie, privi
di alcun diritto, separati dalle famiglie e dai colleghi e nella quasi
totale indifferenza dell’opinione pubblica indiana, le voci di questi
operai non parlano del lato oscuro dello sviluppo, ma di uno dei suoi
aspetti costitutivi. Esse mettono in luce anche un aspetto del sistema
giudiziario indiano che interessa poco i commentatori italiani,
preoccupati per mesi di salvare l’onore della patria attraverso la
difesa del diritto internazionale in seguito al caso dei due Marò
accusati dell’omicidio di due pescatori al largo del Kerala. Li
pubblichiamo come atto dovuto, dopo aver raccontato l’insubordinazione
operaia che ha visto protagonisti questi lavoratori, perché questo
appello e il documentario chiariscono alcuni contorni della vicenda e
raccontano la rappresaglia che li ha colpiti. Lo facciamo per continuare
la discussione su una delle principali frontiere dello sviluppo, dove
le lotte operaie ingaggiano quotidianamente un duro scontro con gli eroi
del capitale.
Appello dei lavoratori incarcerati della Maruti Suzuki
Siamo i lavoratori di Maruti Suzuki,
siamo dietro le sbarre dal 18 luglio 2012 a causa di una vera e propria
cospirazione, senza alcun tipo d’indagine preliminare. 147 di noi sono
rinchiusi nella prigione centrale di Gurgaon.
Da luglio, ben 2500 lavoratori con un
contratto a tempo indeterminato sono stati licenziati. In questi ultimi
otto mesi abbiamo inviato un appello ai funzionari amministrativi e ai
rappresentanti eletti, tra cui il primo ministro dell’Haryana e il Primo
Ministro dell’India. Ma i nostri appelli non sono stati ascoltati e non
ci è stata concessa la cauzione.
Le accuse presentate dalla polizia di Haryana in tribunale non presentano nomi di eventuali testimoni, e sono quindi incomplete.
Questo è solo un assaggio del continuo
attacco arbitrario ai nostri diritti democratici e vediamo come il
diritto è piegato e si schiera chiaramente con i padroni dell’azienda.
Molti dei nostri compagni di lavoro sono senza genitori e hanno in
carico tutta la famiglia. Molte delle mogli dei lavoratori erano incinta
quando siamo stati messi dietro le sbarre. E anche quando è arrivato il
momento del rilascio, ai lavoratori non sono state concesse né cauzione
né custodia cautelare. Noi non sappiamo quali circostanze abbiano
condotto all’arresto. Diamo alcuni esempi della nostra situazione:
1. Uno dei nostri compagni di lavoro,
Sumit s / o Shri Chattar Singh, non ha nessuno in famiglia se non la
moglie. Anche quando lei ha partorito in un ospedale di Gurgaon, la
richiesta di uscita su cauzione o sulla parola presentata da Sumit è
stata respinta.
2. Uno dei nostri compagni di lavoro,
Vijendra s / o Dalel Singh è l’unico membro nella sua famiglia con un
reddito. Sua madre stava male e non poteva aiutare sua moglie, che era
incinta e ha partorito in un ospedale di Jhajjhar. Anche allora, non è
stata concessa a Vijendra né la cauzione né la libertà vigilata.
3. Nel caso di uno dei nostri compagni
di lavoro, Ramvilas s / o Shri Silak Ram, la nonna, cui era molto
affezionato, si è ammalata dopo che Ramvilas è stato messo dietro le
sbarre ed è morta poco tempo dopo. A Ramvilas non è stata nemmeno
concessa la libertà vigilata per incontrare sua nonna sul letto di morte
o per partecipare al funerale. Dopo alcuni giorni ossia quando sua
moglie ha partorito, la sua richiesta di libertà su cauzione e la
condizionale sono state respinte. Tutto ciò ha causato un forte shock
per lui.
4. Uno dei nostri compagni di lavoro,
Prempal, s / o Shri Chhiddilal, aveva la responsabilità di prendersi
cura della sua famiglia da solo, l’intero sostentamento della sua
famiglia dipendeva solamente dai suoi guadagni. Quando è stato gettato
in prigione arbitrariamente, la figlia di due anni si è ammalata ed è
morta, anche a causa del dolore per l’assenza di suo padre. La ferita
doveva ancora rimarginarsi quando anche la madre, distrutta dalla
prigionia del figlio e dalla morte della nipote, si ammalata ed è morta.
Ma anche dopo tutto questo, Prempal si è visto negare l’autorizzazione
alla libertà vigilata e gli è stata concessa solo un’ora di visita il
giorno dopo il funerale di sua nonna. Sua moglie, rimasta sola in casa e
colpita da questi gravi lutti, si è ammalata ed è stata ricoverata in
ospedale. Sta ancora poco bene e non c’è nessuno disposto a prendersi
cura di lei. Certamente quanto accaduto ha causato una terribile agonia
per Prempal.
5. Uno dei nostri compagni di lavoro,
Rahul, s / o Shri Vinod Ratan, è l’unico figlio maschio dei suoi
genitori. Ha una sorella che si è sposata a novembre del 2012, ma a lui
non è stata nemmeno concessa la possibilità di partecipare alla
cerimonia di kanyadan. Il matrimonio ha avuto così luogo in un contesto di tristezza e Rahul deve ancora riprendersi da questa ferita.
6. Uno dei nostri compagni di lavoro,
Subhash, s / o Shri Lal Chand, era molto vicino alla nonna. Dopo la sua
prigionia, la nonna ha cominciato a digiunare, passando gran parte del
proprio tempo a pensare a suo nipote; è così che è morta di dolore
qualche giorno dopo. Ma a Subhash non è stato concesso nemmeno di
partecipare al suo funerale.
Questi e molti altri fatti che avvengono
ogni giorno nella nostra vita, sono sufficienti per riempire le pagine
di un intero libro.
A proposito di noi: la nostra identità, la nostra famiglia, il nostro lavoro.
Siamo tutti figli di operai e contadini.
I nostri genitori, con grande sforzo e sacrificio, hanno cercato di
assicurarci un’istruzione, ci hanno insegnato a stare in piedi da soli, a
fare qualcosa di degno nella nostra vita, aiutando la nostra famiglia
in difficoltà. Ci siamo ritrovati nell’azienda della Maruti Suzuki dopo
aver superato le prove scritte e orali effettuate dalla Società secondo i
termini e le condizioni stabilite dalla stessa. Prima del nostro
ingresso, la società ha effettuato diversi i tipi di indagine, come la
verifica della polizia della nostra residenza o la presenza di eventuali
precedenti penali. Nessuno di noi ne aveva.
Quando siamo entrati in azienda, lo
stabilimento di Manesar della società era ancora in costruzione.
All’epoca immaginavamo il nostro futuro con lo sviluppo della fabbrica,
abbiamo investito grande energia e dedizione per portare l’impianto di
Manesar a un nuovo livello.
Quando il mondo intero stava lottando
contro la crisi economica, abbiamo lavorato due ore in più al giorno per
raggiungere una produzione di 10,5 milioni di auto in un anno. Siamo
stati gli unici artefici del profitto crescente della società e oggi
siamo trattati come criminali e assassini, quelli senza cervello che
hanno provocato un incendio doloso!
Quasi tutti noi siamo figli di poveri
operai o vediamo da famiglie di contadini la cui sopravvivenza dipende
dal nostro lavoro. Abbiamo lottato per tessere il nostro futuro e quello
della nostra famiglia, per realizzare sogni come quello di una casa, di
una migliore educazione per i nostri fratelli-sorelle e per i nostri
figli, in modo che possano avere un futuro luminoso, garantendo così una
vita confortevole per i loro genitori, che con la loro fatica hanno
permesso tutto questo.
In cambio, siamo stati sfruttati all’interno della fabbrica in tutti i modi possibili. Anche qui, solo alcuni esempi:
1. Se un lavoratore durante i turni non
stava bene, non gli era permesso di andare in infermeria e veniva
costretto a proseguire il lavoro in quelle condizioni.
2. Non ci era permesso andare in bagno durante l’orario lavorativo, si poteva solo all’ora del tè o durante la pausa pranzo.
3. I superiori usavano comportarsi con
gli operai in modo molto scortese, con un linguaggio volgare,
schiaffeggiandoli o ridicolizzandoli per punirli.
4. Se un lavoratore era costretto a
stare a casa 3-4 giorni per motivi di salute, o a causa di qualche
incidente, o per un grave problema in famiglia, o per la morte di un
parente, metà del suo stipendio, che ammontava a quasi 9000 Rupie,
veniva detratto dall’impresa.
A causa di questo continuo sfruttamento,
i lavoratori hanno sentito il bisogno di formare un sindacato. La
società Maruti Suzuki era però contro l’idea di un sindacato e per
questo ci sono stati tre scioperi dei lavoratori nel 2011. Dopo il terzo
sciopero, trenta dei nostri compagni lavoratori sono stati costretti a
dare le dimissioni perché avevano partecipato agli scioperi. Ma alla
fine di febbraio 2012 siamo riusciti ugualmente a ufficializzare il
nostro sindacato, grazie all’allora Direttore delle Risorse Umane Late
Shri Awanish Dev Kumar, che ci ha aiutato. La società, adirata a causa
dall’atteggiamento disponibile del signor Dev nei nostri confronti, lo
spinse a rassegnare le dimissioni. Ma l’azienda non ha accettato perché
le sue dimissioni rischiavano di far emergere i misfatti nascosti
dell’azienda. Per schiacciare il sindacato e per rimuovere il signor Dev
dalla sua carica, l’azienda, con un piano premeditato, ha chiamato
buttafuori e teppisti all’interno dei locali della fabbrica il 18 luglio
2012 permettendogli di provocare l’«incidente».
La situazione attuale dei lavoratori all’interno del carcere.
Noi, in totale 147 lavoratori, siamo
stati messi dietro le sbarre senza alcun tipo d’indagine, e ora siamo
qui da più di 8 mesi. All’interno del carcere siamo psicologicamente
stressati. Molti di noi sono affetti da malattie come la tubercolosi,
molti di noi sono affetti da gravi forme di depressione.
A causa di questo le nostre famiglie
stanno rischiando di morire di fame. L’educazione delle bambine e dei
bambini è ora sospesa, sono sospesi, quindi, i loro diritti
fondamentali. Il futuro delle nostre famiglie è immerso nel buio. Tutti i
membri della nostra famiglia sono mentalmente troppo turbati. Abbiamo
paura che facciano qualche passo falso a causa dello stato di pressione
mentale in cui si trovano.
La situazione attuale dei lavoratori al di fuori del carcere
Oltre a mettere 147 addetti dietro le
sbarre, la società ha terminato il rapporto con quasi 2500 lavoratori
regolari e a contratto, tutto ciò senza un’indagine nazionale, e questi
lavoratori ora sono disoccupati. Anche la condizione delle loro famiglie
è molto grave. Il fatto è che ora questi lavoratori non hanno alcuna
prova di esperienza lavorativa, chi di loro si fa avanti per sostenerci
viene arrestato e incarcerato immediatamente così la loro carriera è
condannata (come l’arresto di Iman Khan, un membro del comitato di
lavoro provvisorio della MSWU e il cui nome non era in alcuna relazione
delle forze di sicurezza; come altri 65 lavoratori che sono sotto
mandato di cattura). Nessuno dei lavoratori incarcerati o dei lavoratori
licenziati ha più un’occupazione capace di garantire il sostentamento
delle persone a loro carico e questo sta mettendo tutti sotto pressione.
Ciò nonostante, la lotta per la
giustizia dei nostri compagni di lavoro ci dà speranza ed energia dietro
le sbarre. In questa lotta, che è riuscita a uscire anche fuori dalla
fabbrica, nella società, da ormai più di 8 mesi, la notizia della
solidarietà ricevuta da varie parti del paese da parte di lavoratori e
di gente comune continua a dare speranza ed entusiasmo al nostro
spirito.
Non vi è alcuna porta, di qualsiasi
rappresentante eletto, cui non abbiamo bussato nell’arco di questi 8
mesi. Abbiamo portato il nostro appello di giustizia al ministro
dell’industria, al Primo Ministro, ma il governo è schierato con la
direzione aziendale e con i padroni, invece di ascoltare noi lavoratori.
Facciamo appello al governo per l’ultima
volta al fine di ottenere la giustizia che ci è dovuta, prima di essere
costretti ad assistere ai suicidi o alle morti di altre persone.
Speriamo di avere la vostra solidarietà.
Maruti Suzuki Workers Union
(Il sindacato MSWU è dietro le sbarre
del carcere centrale di Gurgaon)