Raid a sfondo razziale in centro accoglienza - tre in manette a Bari | |
BARI -
Tre ragazzi egiziani e una educatrice del Centro di accoglienza Esedra,
in via Capurso a Triggiano, hanno denunciato ai carabinieri una
aggressione violenta durante la quale sarebbero stati picchiati e
insultati con epiteti a sfondo razziale. Tre giovani di 28, 27 e 22 anni sono stati arrestati e sottoposti ai domiciliari. Secondo quanto accertato avrebbero utilizzato un cavo di acciaio e una spranga di ferro. Le accuse nei loro confronti sono di lesioni personali, violenza privata e discriminazione razziale. Dopo una telefonata al 112, i militari sono giunti nel centro per stranieri che si trova in via Capurso. Il gruppetto di giovani aggressori era già fuggito. Non sono ancora chiari i motivi del raid. Le ricerche dei responsabili, sulla base delle descrizioni fisico-somatiche e degli indumenti indossati, hanno consentito di rintracciare i tre nella zona. I giovani sono stati perquisiti e trovati in possesso di un cavo lungo 3 metri e di una spranga poi sequestrati. Su disposizione della Procura della Repubblica di Bari, sono stati collocati agli arresti domiciliari. |
sabato 2 febbraio 2013
pc 2 febbraio - RAID RAZZIALE CONTRO IMMIGRATI A BARI
pc 2 Febbraio- Siamo incazzati ma senza “grilli per la testa”!
Ieri pomeriggio il circolo di
proletari comunisti palermo, proseguendo il percorso della campagna di
boicottaggio elettorale, è stato presente in piazza durante il comizio di
grillo attuando un’azione di controinformazione-denuncia. Di seguito il
volantino distribuito in piazza.
Siamo giunti al periodo caldo della campagna
elettorale. Ogni volta per i partiti, che fanno la corsa verso le poltrone, è
sempre più dura convincere l'elettorato a recarsi alle urne: non a caso il
partito della maggioranza è quello dell'astensionismo.
Tra le forza politiche che, al
momento dell’insediamento del governo dittatoriale dei tecnici Monti hanno
espresso soddisfazione c’è anche Beppe Grillo che non avendo ancora deputati in
parlamento ha auspicato un buon lavoro al professore sicuramente non in buona
fede infatti, molto più recentemente ha auspicato che Monti diventasse il
prossimo presidente della repubblica!
Nel nuovo parlamento, il 77%
degli esponenti politici saranno facce vecchie; il voto a Grillo equivale a
ridare ossigeno quindi a Monti, a Berlusconi, a Bersani ecc; nel suo partito
raccoglie facce nuove ma che, proprio per la loro “freschezza”, sono impedite
da Grillo stesso a rilasciare interviste e a partecipare a dibattiti
televisivi. Bella democrazia!
Ma Grillo non si vantava di voler
creare un movimento dal basso ”anti-sistema” e democratico? Dov'è la novità del
partito (perché questo è) di Grillo, se ambisce come tutti gli altri alle
poltrone in parlamento, tra i corrotti ed i mafiosi?
Ma parliamo del programma: quali
sarebbero gli obiettivi in favore dei proletari?
Grillo parla di stabilire un
tetto massimo del 10% di azionariato per imprenditore, diffondendo i capitali
in modo “equo”, quindi, secondo il cabarettista, possedere il 10% del capitale
di una banca significa combattere la sperequazione del reddito e ridurre le
disuguaglianze? Com’è noto disoccupati e lavoratori sono tutti azionisti…
O forse Grillo pensa a se stesso in quanto azionista del MPS?
Poi passa a parlare di manovre
protezionistiche, del “made in italy”, concetti di natura fascista-leghista, un
protezionismo anti-storico (Forse non a caso il comico apre ai nazisti di
Casapound a lui vicini ideologicamente!) il cui scopo è quello di fomentare la
“guerra tra i poveri”, anziché puntare a risoluzioni concrete.
Se per Grillo il sussidio di
disoccupazione garantito è una grande svolta, noi diciamo che no, non lo è: tutti abbiamo diritto ad un lavoro!
Con la sua idea di diffondere
il “telelavoro” per le donne, ne peggiora considerevolmente le condizioni,
ricacciando le donne a casa, opprimendole ancor di più, perfettamente in
linea con l’ideologia maschilista dominante.
Occorre anche sfatare il mito
degli stipendi non riscossi dai deputati: queste somme non giovano affatto alle
masse, non vengono di certo adoperate per diminuire il costo della crisi
addossata interamente ai proletari, in quanto vengono devolute alla cassa del
partito stesso...
In Sicilia, su Grillo ci abbiamo
messo una Crocetta sopra: il M5S è la più importante stampella del PD,
anch'esso favorevole e tra i maggior sostenitori del governo Monti.
A livello nazionale, le giunte
grilline hanno applicato politiche nuove a parole ma che sono vecchie di fatto,
come le politiche di sfratto (Mira), di aumento dell’addizionale imu (Parma)
ecc ecc.
Come tutti gli altri partiti,
anche quello di Grillo tende a incanalare il partito di maggioranza dell'astensionismo nel recinto delle urne invece
di organizzarlo in forza materiale di lotta realmente antisistema!
Ecco perché noi al contrario boicottiamo
le elezioni ma attivamente, lottando, organizzandoci, per cambiare questo
sistema!
Circolo proletari comunisti Palermo
Via G. del Duca 4 (accanto i
cantieri culturali della zisa)
prolcompa@libero.it
pc 2 febbraio - ricordiamo e invitiamo a partecipare al corteo del 9 febbraio a Teramo
A tutti i gruppi, movimenti, comitati, singoli
Per dare una risposta forte ed unitaria all'ennesimo attacco repressivo subito, abbiamo deciso di organizzare un corteo nazionale, qui a Teramo, per il prossimo 9 febbraio.
La manifestazione avrà quali tematiche centrali e basilari: 1. la solidarietà a tutti i condannati, gli arrestati e gli inquisiti per i fatti del 15 ottobre; 2. la lotta alla repressione che ogni giorno colpisce movimenti ed individui che non chinano la testa e che si ribellanno allo Stato di cose; 3. la battaglia contro il codice rocco in particolare (misure di prevenzione, avvisi orali, devastazione saccheggio ecc.) e la legislazione statale in genarale.
Per ulteriori informazioni, contributi, contatti, adesioni ecc. teramo9febbraio2013@gmail.com
Per dare una risposta forte ed unitaria all'ennesimo attacco repressivo subito, abbiamo deciso di organizzare un corteo nazionale, qui a Teramo, per il prossimo 9 febbraio.
La manifestazione avrà quali tematiche centrali e basilari: 1. la solidarietà a tutti i condannati, gli arrestati e gli inquisiti per i fatti del 15 ottobre; 2. la lotta alla repressione che ogni giorno colpisce movimenti ed individui che non chinano la testa e che si ribellanno allo Stato di cose; 3. la battaglia contro il codice rocco in particolare (misure di prevenzione, avvisi orali, devastazione saccheggio ecc.) e la legislazione statale in genarale.
Per ulteriori informazioni, contributi, contatti, adesioni ecc. teramo9febbraio2013@gmail.com
pc 2 febbraio - documento dei compagni austriaci del Revolutionarer Aufbau
Coscrizione o esercito professionale? Sul
referendum, dal punto di vista democratico.
Con impazienza si batte il tamburo per il
referendum del 20 gennaio sull'esercito federale. Non passa giorno che i
giornali, televisione e Internet non affrontino la questione. Sebbene il tamburo
venga battuto per un "esercito di professionisti" o per la "coscrizione", se si
guarda agli "argomenti" addotti, nasce certamente l'impressione che non siamo
chiamati a scegliere per il servizio militare di leva, ma ad un referendum su
una organizzazione di protezione civile.
Carattere dell'apparato militare in una società
capitalista
Il fatto che una gran parte del dibattito pubblico
ha come contenuto la protezione civile oscura la vera natura dell'esercito
federale. Che i militari siano effettivamente utilizzati in caso di catastrofi,
è vero, ma tali applicazioni sono lontane dal suo compito principale. Se così
fosse, l'esercito nella sua forma attuale si sarebbe sciolto da lungo tempo
(altrimenti a cosa servirebbe l'addestramento alle armi, ecc).
Scopo principale del settore militare è quello di
difendere gli interessi di chi detiene il potere – sia all'esterno che
all'interno. "Verso l'esterno", per esempio, si vede dal fatto che centinaia di
soldati austriaci sono di stanza all'estero, in particolare nei Balcani. Questi
interventi possono essere cento volte descritti come un "intervento umanitario",
ma in realtà aiutano a far passare gli interessi del capitale finanziario
austriaco nell'Unione europea. Essi dovrebbero tenere la popolazione sotto
controllo. A volte succede anche che ci sia scontro con alcune parti della
popolazione, quando protesta contro l'occupazione militare (come negli ultimi
due anni, due volte in Serbia / Kosovo) e chiedono l'auto-determinazione.
L'esempio della Jugoslavia è particolarmente evidente: i beneficiari della
distruzione della Jugoslavia sono per la maggior parte le banche e le
multinazionali austriache che oggi fanno grossi profitti. Le circostanze che
permettono loro di sfruttare i popoli della Serbia, Bosnia-Erzegovina, ecc,
vengono assicurate dall'esercito austriaco che si trova in loco. Le classi
dominanti dell'Austria vogliono essere militarmente più potenti, perciò si
preparano insieme con i partner dell'UE anche per altre missioni all'estero e si
assumono sempre più compiti (Ciad, Libia, ...). Questi interventi all'estero
indirizzati contro i popoli, con o senza mandato delle Nazioni Unite, non sono
nell'interesse delle lavoratrici e dei lavoratori austriaci e degli operai,
proprio come questo spargimento di sangue imperialista, la guerra imperialista,
non è affatto nell'interesse dei popoli. L'apparato militare qui svolge un
compito che serve solo gli interessi di profitto di chi detiene il potere. Solo
questi hanno l'interesse ad opprimere sempre nuovi popoli per poterli
sfruttare.
Vista in questo contesto, la "neutralità" è da
lungo una menzogna, perché, anche quando chi è al potere in Austria agisce
militarmente in modo riluttante sotto la bandiera rosso-bianco-rosso, e invece
in maniera molto più attiva nell'ambito di un mandato delle Nazioni Unite, non
cambia nulla alla cosa. Poiché da chi viene essenzialmente determinata l'ONU, se
non dagli stati imperialisti?! La neutralità è un'illusione e con la crescente
integrazione delle forze armate dell'esercito UE sarà più chiaro di quanto lo
sia già oggi.
"Verso l'interno" il settore militare ha funzioni
simili, ma qui esso è diretto contro le lavoratrici e i lavoratori e gli operai
del proprio paese. Quanto più risolutamente le lavoratrici e i lavoratori
europei hanno protestato contro lo scaricamento della crisi sulle loro spalle,
tanto più nel recente passato è successo che l'esercito è stato impiegato contro
gli scioperanti e manifestanti. E 'stato così in Italia nel 2001 (G8) o due anni
fa in Spagna, dove l'esercito ha semplicemente assalito gli scioperanti senza
lasciare scampo e ha indebolito la loro forza di combattimento. Anche in Austria
la cosa non è esclusa, e chi sta al governo lo sa, dato che la
"contro-insurrezione" viene considerata dall'esercito sempre più importante.
Quindi, anche all'interno il carattere delle forze armate è chiaro: tutela degli
interessi del capitale finanziario, della piccola classe dei detentori del
potere.
Quindi, non fa alcuna differenza quello che si
sceglie al referendum?
Né l'una né l'altra opzione fa la differenza
fondamentale. Già oggi, molti compiti fondamentali militari vengono assunti dai
soldati professionisti o a tempo, e non dalle reclute regolari. In sostanza, non
si tratta quindi, tramite referendum, di una possibile ridefinizione della
organizzazione militare, ma soprattutto di un problema di gestione.
Il carattere della democrazia borghese,
capitalista, porta con sé che una minoranza della popolazione (proprietari di
fabbriche, capitalisti finanziari di tutti i tipi, ...) può assumere tutti i
diritti democratici, mentre la maggioranza assoluta (lavoratrici e lavoratori,
operai, piccoli commercianti, studentesse e studenti, pensionate e pensionati ,
...), vengono sempre più esclusi dall'uso di veri e propri diritti democratici.
Così è anche con l'esercito. Anche se la leva rimane, non si tratta di un
"Esercito popolare", ma un esercito che è costruito secondo gli interessi della
minoranza dominante e agisce secondo i propri interessi. Così è con un esercito
di professionisti. Pertanto, da un punto democratico non ci stanno bene entrambe
le opzioni.
Tuttavia, dobbiamo affermare che un esercito
professionale può essere più facilmente usato contro le lavoratrici e i
lavoratori e i movimenti popolari - in patria e all'estero – rispetto ad un
esercito di leva, che è in gran parte composto da persone provenienti dalla
classe operaia e dal popolo. Chi per professione fa il suo lavoro come soldato,
chi viene esaminato entrando nella professione come un soldato mettendo alla
prova la sua affidabilità e lealtà verso i "committenti" (i detentori del
potere), più facilmente potrà sparare durante uno sciopero o una manifestazione
rispetto a chi viene dal popolo (ad esempio, un muratore, ...), che sta facendo
soltanto il servizio militare. Inoltre, in un esercito costituito principalmente
da operai e dei lavoratori più facilmente ci possono essere richieste
progressiste e si può sviluppare la lotta democratica e politica al contrario
che in un esercito di professionisti. Molte rivoluzioni popolari nella storia, e
movimenti democratici concentrati nelle mani dei lavoratori e dei cittadini
hanno portato in diverse forme ad un armamento generale del popolo. Se tutto il
potere appartiene al popolo, perché si dovrebbe temere un popolo armato (e
quindi se stesso)? Gli eserciti professionali, invece, sono stati spesso
concepiti per esempio dai regimi fascisti, perché sono un modo possibile per
rimuovere dalle mani delle masse il monopolio del potere quanto più possibile.
Dal punto di vista delle lavoratrici e dei lavoratori e del popolo ci sono,
proprio per rigettare entrambi i concetti del tipo di esercito capitalista, più
argomenti per un esercito di leva.
Dal punto di vista democratico, deve essere anche
chiaro che le lavoratrici e i lavoratori e il popolo hanno bisogno di
organizzazioni armate: non ultimo per difendersi contro gli attacchi alle loro
conquiste democratiche e sociali, come quelli portati avanti da fascisti e altre
forze reazionarie. Questo ci dimostra la storia, quando, per esempio, contro
l'incombente nazifascismo, il movimento delle lavoratrici e dei lavoratori
austriaco era per ragioni diverse senza armi. Ecco perché le lavoratrici e i
lavoratori e il popolo non hanno nessun vantaggio decisivo da un esercito
borghese, capitalista. Il nostro obiettivo, quindi, è la forma di esercito
quanto più democratica possibile: un esercito popolare. Questo non si può fare
con il referendum. Tuttavia, l'obbligo di leva ci dà, considerata generalmente,
migliori condizioni generali per la lotta democratica contro la fascistizzazione
e per l'esercito popolare. Anche per questo è tatticamente corretto al
referendum votare per l'esercito di leva.
Va da sé che in un esercito di leva giorno dopo
giorno bisogna lottare anche per i più piccoli diritti democratici economici e
politici immediati dei soldati. Ciò da solo non è sufficiente, perché se non
vengono forniti orientamenti su un nuovo tipo di esercito, che le lavoratrici e
i lavoratori e il popolo in lotta devono creare per il proprio potere coerente
democratico, anche su questo tema non saranno decisivi, ma andranno a vantaggio
dell'amministrazione dell'esercito borghese, capitalista. Pertanto:
• Combattere contro il diritto disciplinare – Via
la giustizia militare!
• Combattere contro la repressione politica -
Diritto alla libera attività politica nell'esercito!
• Ritiro di tutti i militari austriaci
dall'estero! Divieto di invio di militari austriaci in paesi stranieri!
• Sostituzione della polizia e dell'esercito
permanente con armamento generale del popolo!
• Elezione degli ufficiali da parte dei soldati!
Responsabilità degli ufficiali nei confronti dei soldati!
• Le lavoratrici e i lavoratori e gli impiegati
per il tempo che trascorrono nella milizia popolare, devono ricevere una paga
equivalente alla loro retribuzione precedente!
***
nota nostra
su internet i quesiti della
consultazione popolare
a) Siete a favore dell’istituzione di un esercito professionale e
di un anno pagato di servizio civile su base volontaria?
oppure
b) Siete a favore del mantenimento del servizio militare
obbligatorio e del Servizio Civile?
In pratica gli Austriaci devono decidere se eliminare il servizio
di leva, sospeso in Italia dal 2005.
2
venerdì 1 febbraio 2013
pc 1 febbraio- processo NOTAV - CHI PROCESSA CHI ? - Gli imputati abbandonano l’aula. Carica della polizia
ci rivediamo il 14 febbraio ....massima solidarietà nazionale, la repressione non ferma la lotta, ma la alimenta !
proletari comunisti- PCm Italia
proletari comunisti- PCm Italia
L’udienza di stamane presso l’aula
bunker del carcere delle Vallette a danno dei 52 No Tav per i fatti del
27 giugno e del 3 luglio ha visto, a pochi minuti dall’inizio,
l’abbandono dell’aula da parte degli imputati/e a seguito di un
comunicato letto nonostante le proteste del giudice.
Ecco il comunicato che riporta le ragioni delle protesta:
“La scelta di spostare il processo in
questa aula bunker è in sintonia con l’ondata repressiva sostenuta e
legittimata dalla campagna mediatica finalizzata a demonizzare il
movimento NO TAV, tentando di indebolirlo e isolarlo dalle lotte che
attraversano il paese.
Trasferendo la sede del processo voi
state tentando di rinchiudere la lotta NO TAV nella morsa della
“pericolosità sociale” e delle emergenze.
Noi invece, rivendichiamo le pratiche
della lotta ribadendo le ragioni che ci spingono a resistere
contrastando chi vuole imporre il Tav militarizzandola valle con le
conseguenti devastazioni umane, sociali e ambientali.
Le nostre ragioni restano vive, e la vostra scelta di trascinarci in questa aula bunker non ci impedirà di portarle avanti.
Per questo oggi scegliamo di abbandonare tutte/i quest’aula, lasciandovi soli nel vostro bunker.
Giù le mani dalla Valsusa!
Ora e sempre resistenza!”
I No Tav avevano cominciato a rumoreggiare dentro l'aula, che è stata costruita per ospitare i grandi processi di criminalità organizzata e terrorismo, perché - affermavano - alcuni dei loro compagni imputati non avevano ancora varcato i cancelli e l'udienza era cominciata senza di loro. Il presidente Bosio ha cominciato a fare l'appello senza badare alle proteste. Gli imputati hanno poi dato inizio alla lettura di un volantino. Subito dopo hanno lasciato l'aula e il tribunale ha proseguito l'udienza. All'esterno le proteste sono continuate perché la cancellata era rimasta chiusa e quindi una parte dei No Tav era dovuta restare all'interno del perimetro.Dopo aver marciato in corteo intorno alle mura del carcere, i manifestanti si sono avvicinati ai cancelli attraversando un campo e hanno battuto oggetti contro le sbarre metalliche. Alcuni hanno lanciato petardi e fumogeni verso i poliziotti schierati davanti, ma non c'è stato contatto. Intanto all'interno l'udienza è terminata con la riunificazione dei due processi ed il rinvio al 14 febbraio.
I No Tav avevano cominciato a rumoreggiare dentro l'aula, che è stata costruita per ospitare i grandi processi di criminalità organizzata e terrorismo, perché - affermavano - alcuni dei loro compagni imputati non avevano ancora varcato i cancelli e l'udienza era cominciata senza di loro. Il presidente Bosio ha cominciato a fare l'appello senza badare alle proteste. Gli imputati hanno poi dato inizio alla lettura di un volantino. Subito dopo hanno lasciato l'aula e il tribunale ha proseguito l'udienza. All'esterno le proteste sono continuate perché la cancellata era rimasta chiusa e quindi una parte dei No Tav era dovuta restare all'interno del perimetro.Dopo aver marciato in corteo intorno alle mura del carcere, i manifestanti si sono avvicinati ai cancelli attraversando un campo e hanno battuto oggetti contro le sbarre metalliche. Alcuni hanno lanciato petardi e fumogeni verso i poliziotti schierati davanti, ma non c'è stato contatto. Intanto all'interno l'udienza è terminata con la riunificazione dei due processi ed il rinvio al 14 febbraio.
pc 1 febbraio - "...FU SOLO VIOLENZA SESSUALE..." - QUESTO STATO NON E' LA SOLUZIONE MA IL PROBLEMA
L'AQUILA. "Non fu tentato omicidio, ma solo violenza
sessuale: condanna a 8 anni di carcere con le attenuanti generiche". È
la sentenza del tribunale dell'Aquila a carico di Francesco Tuccia,
l’ex militare campano giudicato responsabile delle stupro, nel piazzale
della discoteca «Guernica» di Pizzoli, di una studentessa
universitaria. Il pm aveva chiesto 14 anni e il tentato omicidio perché
la giovane fu lasciata tramortita e sanguinante per le gravi lesioni
subìte. "Otto anni non sono una inezia, ma rispetto la sentenza",
commenta l’avvocato Enrico Maria Gallinaro, legale della ragazza.
La condanna. Oltre agli otto anni di carcere con le attenuanti generiche, il Tribunale ha condannato Tuccia anche alla pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici e a quella dell’interdizione legale per la durata della pena principale inflitta. I giudici, inoltre, hanno condannato l’imputato al risarcimento dei danni cagionati alle parti civili, da liquidarsi in separato giudizio. Tuccia è stato condannato anche al pagamento di una provvisionale di 50mila euro in favore della parte civile (la studentessa universitaria di Tivoli) e altri 2mila in favore del Centro Antiviolenza per le Donne dell’Aquila.
Tuccia non ascolta la sentenza. Quando il collegio ha fatto ingresso in aula, Tuccia, che è agli arresti domiciliari, e la famiglia hanno subito abbandonato l’aula, uscendo da una porta laterale. Dopo la lettura nessun commento da parte dei legali dell’imputato.
La vittima: otto o dodici anni, la mia vita non cambia. "Davanti a questa sentenza la mia vita non cambia, nel senso che otto anni, dieci o dodici per me non sarebbero mai stati abbastanza". Così la giovane studentessa vittima dello stupro. "Mi aspettavo di avere una reazione personale interna diversa, e cioè provare un senso di liberazione visto che è tutto finito. Invece - ha proseguito la giovane - non ho provato questo sollievo, forse è troppo presto, forse bisogna aspettare, intanto continuo a vivere e a fare le cose avendo comunque una prospettiva e cercando di dimenticare giorno dopo giorno". La giovane laziale non ha voluto aggiungere altro, i genitori della ragazza, invece, si sono detti piuttosto delusi dall’epilogo del rito immediato: «Forse ci voleva una sentenza più severa», hanno spiegato. Il legale della giovane, l’avvocato Enrico Maria Gallinaro, ha invece sottolineato che «speriamo che la condanna sia confermata anche in Appello e poi in Cassazione, spiegando anche che comunque il rito immediato non dà diritto a una pena alternativa a quella del carcere».
La rabbia dei presenti nell'aula. La sentenza ha creato malumore in aula da parte delle donne appartenenti a gruppi di solidarietà femminili. Sempre dopo la lettura del dispositivo ci sono stati anche momenti di tensione con i giornalisti presenti alla lettura della sentenza. Per tutelare l’immagine della vittima presente in aula insieme allo stesso Tuccia, alcune donne del Centro antiviolenza dell’Aquila hanno alzato teli e giacche, fino a quando agenti della Procura non hanno invitato tutti a uscire. Dopo la sentenza anche fuori dall’aula ci sono stati dei momenti concitati con alcune persone che hanno gridato contro il condannato, mentre altri sono stati visti piangere.
Lo stupro davanti alla discoteca. La studentessa fu massacrata e abbandonata dietro un cumulo di neve in una notte, quella tra l’11 e il 12 febbraio dello scorso anno, in cui le temperature erano bassissime. A salvarla (intorno alle 4) era stato l’intervento dei «buttafuori» della discoteca, gli stessi che, dopo averle prestato i primi soccorsi e allertato il 118, avevano bloccato l’auto con la quale Tuccia, sui cui vestiti erano visibili delle macchie di sangue, stava andando via in compagnia di alcuni amici, due ragazzi e una ragazza risultati poi estranei alla violenza e al massacro.
L'arresto e il carcere. Tuccia, all’epoca militare all’Aquila, era stato arrestato il 22 febbraio e rinchiuso al carcere di Teramo, nella stessa cella in cui si trovava Salvatore Parolisi, il militare poi condannato all’ergastolo per l’omicidio della moglie Melania Rea. Tre mesi e mezzo dopo, il 22enne aveva ottenuto i domiciliari. Una decisione, questa, che aveva provocato pesanti polemiche.
La condanna. Oltre agli otto anni di carcere con le attenuanti generiche, il Tribunale ha condannato Tuccia anche alla pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici e a quella dell’interdizione legale per la durata della pena principale inflitta. I giudici, inoltre, hanno condannato l’imputato al risarcimento dei danni cagionati alle parti civili, da liquidarsi in separato giudizio. Tuccia è stato condannato anche al pagamento di una provvisionale di 50mila euro in favore della parte civile (la studentessa universitaria di Tivoli) e altri 2mila in favore del Centro Antiviolenza per le Donne dell’Aquila.
Tuccia non ascolta la sentenza. Quando il collegio ha fatto ingresso in aula, Tuccia, che è agli arresti domiciliari, e la famiglia hanno subito abbandonato l’aula, uscendo da una porta laterale. Dopo la lettura nessun commento da parte dei legali dell’imputato.
La vittima: otto o dodici anni, la mia vita non cambia. "Davanti a questa sentenza la mia vita non cambia, nel senso che otto anni, dieci o dodici per me non sarebbero mai stati abbastanza". Così la giovane studentessa vittima dello stupro. "Mi aspettavo di avere una reazione personale interna diversa, e cioè provare un senso di liberazione visto che è tutto finito. Invece - ha proseguito la giovane - non ho provato questo sollievo, forse è troppo presto, forse bisogna aspettare, intanto continuo a vivere e a fare le cose avendo comunque una prospettiva e cercando di dimenticare giorno dopo giorno". La giovane laziale non ha voluto aggiungere altro, i genitori della ragazza, invece, si sono detti piuttosto delusi dall’epilogo del rito immediato: «Forse ci voleva una sentenza più severa», hanno spiegato. Il legale della giovane, l’avvocato Enrico Maria Gallinaro, ha invece sottolineato che «speriamo che la condanna sia confermata anche in Appello e poi in Cassazione, spiegando anche che comunque il rito immediato non dà diritto a una pena alternativa a quella del carcere».
La rabbia dei presenti nell'aula. La sentenza ha creato malumore in aula da parte delle donne appartenenti a gruppi di solidarietà femminili. Sempre dopo la lettura del dispositivo ci sono stati anche momenti di tensione con i giornalisti presenti alla lettura della sentenza. Per tutelare l’immagine della vittima presente in aula insieme allo stesso Tuccia, alcune donne del Centro antiviolenza dell’Aquila hanno alzato teli e giacche, fino a quando agenti della Procura non hanno invitato tutti a uscire. Dopo la sentenza anche fuori dall’aula ci sono stati dei momenti concitati con alcune persone che hanno gridato contro il condannato, mentre altri sono stati visti piangere.
Lo stupro davanti alla discoteca. La studentessa fu massacrata e abbandonata dietro un cumulo di neve in una notte, quella tra l’11 e il 12 febbraio dello scorso anno, in cui le temperature erano bassissime. A salvarla (intorno alle 4) era stato l’intervento dei «buttafuori» della discoteca, gli stessi che, dopo averle prestato i primi soccorsi e allertato il 118, avevano bloccato l’auto con la quale Tuccia, sui cui vestiti erano visibili delle macchie di sangue, stava andando via in compagnia di alcuni amici, due ragazzi e una ragazza risultati poi estranei alla violenza e al massacro.
L'arresto e il carcere. Tuccia, all’epoca militare all’Aquila, era stato arrestato il 22 febbraio e rinchiuso al carcere di Teramo, nella stessa cella in cui si trovava Salvatore Parolisi, il militare poi condannato all’ergastolo per l’omicidio della moglie Melania Rea. Tre mesi e mezzo dopo, il 22enne aveva ottenuto i domiciliari. Una decisione, questa, che aveva provocato pesanti polemiche.
pc 1 febbraio - condanne per gli studenti del 14 dicembre 2010 - solidarietà a mario miliucci
31/01/2013 22:30
Nel tardo pomeriggio di oggi 31 gennaio 2013 ,la 2° sezione del
Tribunale di Roma a fronte del reato di " resistenza" ha emesso contro
Mario Miliucci la selettiva e pesante condanna a 2 anni e 6 mesi.
Insieme a Mario erano giudicati per lo stesso reato altri 5 giovani, per i quali il PM chiedeva 2 anni per uno di loro e 8 mesi per gli altri 4, che la corte invece ha mandato assolti.
Mario risulta dunque l'unico condannato (insieme ad un trentenne, a 4 mesi) dei 23 arrestati il 14 dicembre 2010 con il reato di " resistenza" ! Le altre 3 corti che hanno mandato assolti 21 giovani ben hanno fatto di fronte a prove inesistenti, le stesse che mancavano anche per Mario, che invece è stato trasformato in capro espiatorio su cui scaricare " le colpe" riguardo all'insorgenza giovanile in merito alle misure coercitive ed antipopolari dei governi.
Insieme a Mario erano giudicati per lo stesso reato altri 5 giovani, per i quali il PM chiedeva 2 anni per uno di loro e 8 mesi per gli altri 4, che la corte invece ha mandato assolti.
Mario risulta dunque l'unico condannato (insieme ad un trentenne, a 4 mesi) dei 23 arrestati il 14 dicembre 2010 con il reato di " resistenza" ! Le altre 3 corti che hanno mandato assolti 21 giovani ben hanno fatto di fronte a prove inesistenti, le stesse che mancavano anche per Mario, che invece è stato trasformato in capro espiatorio su cui scaricare " le colpe" riguardo all'insorgenza giovanile in merito alle misure coercitive ed antipopolari dei governi.
Nella mentalità codina che continua ad albergare tra gli inquirenti,
residua la cinicità di questa obbrobriosa sentenza intesa anche a " far
ricadere sui figli le colpe dei padri".
Mario è figlio di Vincenzo, storico antifascista e protagonista negli ultimi 45 anni dei movimenti antagonisti che hanno cercato e tutt'ora cercano, anche per tramite della Confederazione Cobas, di contribuire al riscatto di questo dolente paese e alla trasformazione radicale della società.
Dunque una sentenza vieppiù reazionaria e punitiva per la storia passata e presente, tesa a condizionarne il futuro.
A fronte di siffatta bestialità, la Confederazione Cobas esprime a Mario e Vincenzo incondizionata solidarietà ed affetto, per sconfiggere ovunque similari sentenze e per contribuire alla libertà di tutte/i.
Roma 31.1.2013 CONFEDERAZIONE COBAS
Mario è figlio di Vincenzo, storico antifascista e protagonista negli ultimi 45 anni dei movimenti antagonisti che hanno cercato e tutt'ora cercano, anche per tramite della Confederazione Cobas, di contribuire al riscatto di questo dolente paese e alla trasformazione radicale della società.
Dunque una sentenza vieppiù reazionaria e punitiva per la storia passata e presente, tesa a condizionarne il futuro.
A fronte di siffatta bestialità, la Confederazione Cobas esprime a Mario e Vincenzo incondizionata solidarietà ed affetto, per sconfiggere ovunque similari sentenze e per contribuire alla libertà di tutte/i.
Roma 31.1.2013 CONFEDERAZIONE COBAS
pc 1 febbraio - campagna internazionale per la libertà del prigioniero rivoluzionario libanese Georges I: Abdallah - campagna anche in italia
free revolutionary prisoners in imperialist jail - free Georges I:Abdallah - from La cause du peuple
Nouveau report de la libération de Georges Ibrahim ABDALLAH : la fuite en avant de l'État français
Publié sur : http://liberonsgeorges.over-blog.com
Une nouvelle fois, ce 28 janvier, l'exécution de la décision de justice, qui permettrait à Georges Ibrahim Abdallah de quitter la prison française pour retourner dans son pays, a été différée !
L’État français, au travers de ses magistrats du Parquet, multiplie les procédures dilatoires inédites pour retenir emprisonné Georges Abdallah.
Son départ vers le Liban dépend en effet de la signature d'un arrêté par le ministre de l'Intérieur, laquelle signature se fait attendre depuis le 21 novembre !
Ces incessants reports, ces nouveaux "obstacles" ne font que révéler l'entêtement obtus d'un État qui a fabriqué de toutes pièces l'"affaire Abdallah" depuis près de 30 ans.
De Tunis à Beyrouth, en passant par Ramallah, le soutien au militant révolutionnaire, au résistant Georges Abdallah ne cesse de s'étendre.
En France, l'indignation s'accroît de jour en jour. Les protestations de toutes sortes* se multiplient, dénonçant la chape de plomb qui pèse sur les mensonges d'État : les gouvernements de droite et de "gauche" valident tour à tour les mensonges des précédents, embrassent la même allégeance aux exigences étasuniennes, agissent en puissance qui se croit encore coloniale vis-à-vis du Liban, qui réclame son ressortissant.
Selon le tribunal d'application des peines, la libération de Georges Abdallah est "subordonnée" à la signature d'un arrêté d'expulsion, mais rien n'indique que toute procédure doive être gelée "en attendant" que le gouvernement français reconnaisse les décisions de ses juges.
Nous n'attendrons pas le 28 février pour obliger le pouvoir politique à céder devant la mobilisation internationale. Aujourd'hui, la seule exigence, qui doit se faire entendre plus fort encore, c’est "Libération immédiate de Georges Abdallah !"
Le Collectif pour la libération de Georges Ibrahim Abdallah (CLGIA)
Paris, le 29 janvier 2013
* Hier soir, par exemple, à Asnières, le discours de Manuel Valls a été interrompu aux cris de "Libérez Georges Abdallah !" lancés par une dizaine de personnes présentes dans la salle… et expulsées aussitôt manu militari.
giovedì 31 gennaio 2013
pc 31 Gennaio- Ancora una volta Bersani contestato a Palermo
Un gruppo di lavoratori e studenti del Circolo di proletari comunisti, oggi pomeriggio a Palermo davanti al teatro Zappalà, è stato presente con uno striscione e diversi slogan a contestare P.L.Bersani e la sua "grande ammucchiata". Una contestazione all'ennesima visita indesiderata del candidato premier del PD ovvero del principale partito che ha sostenuto il governo anti-popolare Monti.
Noi boicottiamo (attivamente) queste elezioni perchè si svolgono sulla pelle dei lavoratori e sappiamo (perchè lo dicono loro stessi) che nessun passo indietro sarà fatto rispetto agli accordi presi con Monti...
probabilmente Monti sarà il capo del governo, chiunque vinca.
Detto questo, alla faccia dell'art. 21 della loro costituzione, che tra le sue righe recita " Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione" siamo stati "minacciati dagli agenti della digos e come al solito rimaniamo in attesa delle "sostanziose multe" che ci propineranno con una scusa qualunque. Ci hanno filmato/fotografato com'è sono soliti fare i servi dello stato, questo non ha impedito una lunga denuncia sul ruolo del PD riguardo le politiche anti-popolari del governo, in particolare la riforma Fornero, l'attacco ai giovani con il taglio alla spesa sociale con gravi ricadute su istruzione e sanità, il ruolo del PD nello scandalo MPS, lo striscione recitava ironicamente sulla falsa riga delle dichiarazioni di Bersani in merito: "Non solo non vi votiamo! Vi sbraniamo".
denunciando l'atteggiamento intimidatorio della digos |
All'arrivo di Crocetta accompagnato da Lumia è partita una contestazione conto il neo-presidente della Regione e la sua "rivoluzione" che consiste nel disinteressarsi dei problemi dei lavoratori negando persino incontri come succede verso molte vertenze in corso. Poco dopo, all'arrivo di Bersani, un ondata di fischi e slogan hanno costretto il candidato premier a entrare in fretta e furia, come del resto ormai è abituato a questo tipo di accoglienze in Sicilia come in molte parti del paese. Il circolo continuerà con la campagna di boicottaggio elettorale attivo senza sconti per nessuno di questi personaggi responsabili dello scaricamento della crisi capitalista sulle spalle della maggior parte del popolo mentre loro contemporaneamente vivono nel lusso. la farsa elettorale va smascherata in quanto tale e contrastata con la lotta attiva per gettare le basi della costruzione del partito rivoluzionario, unica via per il cambiamento reale delle condizioni di vita di operai, lavoratori e masse popolari!
pc 31 gennaio - 2° report da L'Aquila: VERGOGNA!!
VERGOGNA! VERGOGNA! Appena 8 anni allo stupratore/assassino ex militare Francesco Tuccia. Questa è stata la sentenza emessa questa sera al processo de L'Aquila per lo stupro e il tentato omicidio di "Rosa". Neanche i 14 anni chiesti dal PM sono stati dati ad uno che si meritava l'ergastolo! Il fatto più scandaloso è che sia stata fatta cadere l'accusa di tentato omicidio, quando per l'efferata violenza che accompagnò lo stupro, denunciata dai medici che dissero di non aver mai visto una cosa del genere, l'abbandono della ragazza seminuda nella neve, sanguinante, "Rosa", che dichiarò subito "Volevano uccidermi", uscì viva per miracolo.
Le compagne del presidio che hanno potute assistere al momento della sentenza, in aula pur con una grande rabbia nel cuore, si sono subito preoccupate di strigersi attorno a "Rosa" di tenerla al riparo dalla invasione di giornalisti e televisioni, per rispettare la sua volontà di non essere ripresa.
"Rosa" e i suoi famigliari, stretti attorno a lei, hanno risposto con una grande dignità.
Lo stupratore Tuccia all'atto della sentenza era già andato via, salutando suoi commilitoni venuti a "sostenerlo".
La sua squallida e oscena difesa (bravo ragazzo, laureato, "aveva visto una bella bionda", "era andato via perchè vedeva che la ragazza veniva soccorsa da altri...")non ha fatto che confermare lo schifo di persona che è questo ex militare.
Sibito dopo la sentenza, le compagne sono uscite di corsa dal tribunale per gridare con forza "vergogna", anche verso gli avvocati.
A fronte di questa vergognosa sentenza che dimostra che questo Stato, questo sistema sociale sono la vera causa della "guerra di bassa intensità contro le donne", si è alzata oggi davanti e dentro le grige aule del Tribunale la forza delle donne. Questa forza va oltre la miseria di "piccoli miserevoli giudici"!
Dalle compagne del MFPR a L'Aquila
pc 31 gennaio - Lecce, in tribunale il coraggio degli "schiavi" "Abbiamo paura, ma non ci fermeremo"
Si è aperto il dibattimento contro i sette imprenditori e i nove complici accusati del reato di riduzione in schiavitù e sfruttamento dei lavoratori. In aula Yvan Segnet, studente universitario
che guidò la rivolta dell'estate del 2011.
I lavoratori in tribunale
Le accuse a carico delle 16 persone portate alla sbarra dalla Dda sono pesanti: c'è l'associazione a delinquere e la riduzione in schiavitù, l'estorsione, il favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e della permanenza in stato di irregolarità sul territorio nazionale, l'intermediazione illecita e lo sfruttamento del lavoro. E poi il nuovo reato di caporalato, che rende ancora più importante il processo di Lecce, perché porta quel 603 bis scritto tra i capi d'imputazione alla sua prima prova dibattimentale, essendo stato introdotto nel Codice penale nell'estate 2011. Proprio nei mesi roventi in cui, secondo il pm Elsa Valeria Mignone, a Nardò si sarebbero consumati reati terribili, documentati dai carabinieri e denunciati dai braccianti stranieri. Sono loro la vera anima del procedimento. Giunti a Lecce da diverse città d'Italia in cui vivono, quattro già costituiti parte civile nell'udienza preliminare, altri quattro pronti a farlo prima del dibattimento. Per gli avvocati difensori "i presunti lavoratori non hanno titolo a stare in udienza" ma loro vogliono esserci "perché abbiamo lavorato tanto e non siamo stati pagati, anzi siamo stati minacciati e trattati come nessun essere umano meriterebbe". Le minacce sono avvenute tra i filari di angurie ma anche dopo, quando imprenditori e caporali hanno capito che non tutti avrebbero scelto il silenzio. "E continuano a minacciarci ancora adesso" dice Yvan Sagnet, lo studente camerunense del Politecnico di Torino che nell'estate 2011 fu leader della rivolta dei braccianti Di fronte, dietro le sbarre, ci sono due caporali, accanto a pochi centimetri Sabr (l'africano da cui l'inchiesta ha preso il nome), dall'altro lato i fratelli Latino, i più grossi imprenditori del settore. Pantaleo Latino è considerato dalla pubblica accusa "il capo promotore e organizzatore" del sodalizio che sfruttava gli immigrati, è detenuto agli arresti domiciliari e partecipa al processo con nonchalance. I giovani che lo hanno denunciato spostano lo sguardo da lui ai caporali. "Ci guardano in modo strano - dice un sudanese individuato come parte offesa - sembra che vogliano intimidirci ma noi restiamo qui". "Abbiamo paura certo - aggiunge il tunisino che solo oggi ha scelto di costituirsi - venire qui è stata una scelta difficile ma non ci fermeremo". Contro la loro partecipazione attiva al processo si sono scagliati gli avvocati difensori, che hanno contestato anche la costituzione dell'associazione Finis Terrae e della Cgil (già avvenute in udienza preliminare) e la richiesta formulata dalla Regione, considerando che "non esiste interesse specifico da parte dell'ente". Sulla richiesta di costituzione la Corte d'assise, presieduta dal giudice Roberto Tanisi, si è riservata di decidere, dopo aver ascoltato anche le eccezioni preliminari avanzate dai difensori in merito alla presunta genericità del capo d'imputazione e contestate punto per punto dal pm Mignone. L'appuntamento è per il 7 marzo nell'aula bunker del carcere di Lecce, per lo scioglimento delle riserve e l'avvio del dibattimento, durante il quale i lavoratori che hanno denunciato saranno chiamati a testimoniare. Per ripetere, davanti agli imputati, accuse gravissime nei loro confronti. "Sarà difficile - ha dichiarato Yvan Sagnet a nome di tutti i ragazzi - solo ora stiamo prendendo davvero coscienza di quanto coraggio ci vorrà, ma noi ci saremo e racconteremo tutto quello che è successo".
pc 31 gennaio - massima solidarietà a 'la città del sole' devastata a napoli
Mobilitiamoci a difesa del Centro Culturale "La Città del Sole", per una politica nuova di fruizione degli spazi pubblici
Per l’ennesima volta – la nona! – la sede del Centro Culturale “La
Città del Sole” è stata oggetto di violenza e intimidazione: è stata
nuovamente sfondata una delle porte di accesso interne all’edificio;
sono state rubate attrezzature, libri e documenti; è stato messo tutto a
soqquadro e devastato; è stata sparsa dovunque la polvere contenuta
negli estintori con gravi danneggiamenti e con il risultato di rendere
inagibile l’intero spazio.
L’indifferenza e l’assenteismo del Comune non sono più espressione di insensibilità e incapacità ma oggettivo e complice favoreggiamento del disegno e degli atti criminosi ai nostri danni. È intollerabile che non soltanto la Giunta ma anche le direzioni amministrative continuino ad ignorare gli eventi criminosi che vengono consumati – anche con danneggiamenti gravi all’immobile di sua proprietà – per aver consapevolmente omesso il dovuto servizio di vigilanza. Ed è inqualificabile il costante atteggiamento assenteista dei consiglieri comunali – puntualmente informati dei fatti e continuamente sollecitati ad intervenire – che hanno tradito il mandato popolare per farsi ruffiani dell’amministrazione e complici dei suoi reati omissivi.
La magistratura, invece di indagare sulle omissioni del Comune – che sono all’origine della situazione attuale – e costringerlo a tutelare la sicurezza del bene pubblico, delle attività, dei beni e delle persone, ha incaricato delle indagini addirittura la polizia municipale (!!!) e sta perseguendo – nientemeno! – presunti illeciti annonari nell’edificio.
C’è ben altro da indagare su quanto sta accadendo intorno all’ex Asilo Filangieri.
Ormai è chiaro che i furti sono soltanto l’aspetto occasionale di questi fatti criminali: il vero intento è intimidatorio ed è finalizzato a costringerci a cessare la nostra attività e a farci abbandonare quei locali. Questo accanimento criminale nei nostri confronti si verifica nel momento in cui si sta cercando di risolvere in modo tartufesco la situazione all’ex Asilo Filangieri e il nuovo regolamento di assegnazione degli spazi comunali permette di attribuire i nostri locali ad altri. Questa prospettiva reazionaria prende corpo nel momento in cui in città, all'opposto, una sana e fresca ondata di occupazione di spazi pubblici pone con forza la voglia di partecipazione e di protagonismo di massa e l'esigenza di strumenti e luoghi di crescita civile, sociale e culturale.
Per circa tre anni il Centro Culturale “La Città del Sole” – senza un solo euro di sostegno da parte di nessuno e, anzi, dovendo resistere a difficoltà e boicottaggi da parte della vecchia come della nuova giunta comunale – è stato uno “spazio franco”, un’isola di libertà e democrazia a disposizione di tutti. Un numero incalcolabile di associazioni, organismi, collettivi e semplici cittadini hanno avuto la possibilità di utilizzare liberamente lo spazio; migliaia di eventi – i più diversi – sono stati realizzati; collaborazioni e sinergie tra soggetti e iniziative diverse hanno avuto modo di avviare percorsi comuni. Molto prima e molto diversamente dalla vuota demagogia sui “beni comuni” e sulla “democrazia partecipativa” è stato definito molto concretamente un modo assolutamente aperto di fruizione e gestione collettiva di uno spazio, senza censure o autorizzazioni falsamente democratiche di sorta.
Le omissioni e l’indifferenza del comune e gli atti di intimidazione che ne sono la conseguenza minacciano l’esistenza di questo spazio di libertà.
Continueremo a resistere, a contrastare i farabutti che si fanno strumento di questi disegni, a denunziare all’opinione pubblica i reati omissivi del Comune e la sua oggettiva complicità con quanto sta accadendo, ma pensiamo che sia giunto il momento di una mobilitazione che dia una risposta più chiaramente politica.
Chiediamo a tutti coloro che hanno utilizzato lo spazio – associazioni, collettivi, organismi, singoli operatori culturali e sociali – e a quanti hanno partecipato alle innumerevoli attività e iniziative realizzate di schierarsi attivamente a difesa del Centro Culturale “La Città del Sole”.
Già numerosi amici del Centro hanno espresso solidarietà e determinazione a mobilitarsi. Un gruppo di giovani si è mobilitato per rimettere subito la sede in condizione di riprendere a svolgere il suo ruolo e tutte le attività programmate. Grazie a questo generoso intervento già venerdì potremo far svolgere regolarmente l’iniziativa programmata sull’appropriazione delle terre in Africa.
Chiediamo a tutti di partecipare martedì prossimo, 5 febbraio, alle ore 17,30, ad una assemblea in cui discutere e decidere insieme le azioni di lotta, modalità ancora più avanzate per una gestione condivisa dello spazio, per definire
L’indifferenza e l’assenteismo del Comune non sono più espressione di insensibilità e incapacità ma oggettivo e complice favoreggiamento del disegno e degli atti criminosi ai nostri danni. È intollerabile che non soltanto la Giunta ma anche le direzioni amministrative continuino ad ignorare gli eventi criminosi che vengono consumati – anche con danneggiamenti gravi all’immobile di sua proprietà – per aver consapevolmente omesso il dovuto servizio di vigilanza. Ed è inqualificabile il costante atteggiamento assenteista dei consiglieri comunali – puntualmente informati dei fatti e continuamente sollecitati ad intervenire – che hanno tradito il mandato popolare per farsi ruffiani dell’amministrazione e complici dei suoi reati omissivi.
La magistratura, invece di indagare sulle omissioni del Comune – che sono all’origine della situazione attuale – e costringerlo a tutelare la sicurezza del bene pubblico, delle attività, dei beni e delle persone, ha incaricato delle indagini addirittura la polizia municipale (!!!) e sta perseguendo – nientemeno! – presunti illeciti annonari nell’edificio.
C’è ben altro da indagare su quanto sta accadendo intorno all’ex Asilo Filangieri.
Ormai è chiaro che i furti sono soltanto l’aspetto occasionale di questi fatti criminali: il vero intento è intimidatorio ed è finalizzato a costringerci a cessare la nostra attività e a farci abbandonare quei locali. Questo accanimento criminale nei nostri confronti si verifica nel momento in cui si sta cercando di risolvere in modo tartufesco la situazione all’ex Asilo Filangieri e il nuovo regolamento di assegnazione degli spazi comunali permette di attribuire i nostri locali ad altri. Questa prospettiva reazionaria prende corpo nel momento in cui in città, all'opposto, una sana e fresca ondata di occupazione di spazi pubblici pone con forza la voglia di partecipazione e di protagonismo di massa e l'esigenza di strumenti e luoghi di crescita civile, sociale e culturale.
Per circa tre anni il Centro Culturale “La Città del Sole” – senza un solo euro di sostegno da parte di nessuno e, anzi, dovendo resistere a difficoltà e boicottaggi da parte della vecchia come della nuova giunta comunale – è stato uno “spazio franco”, un’isola di libertà e democrazia a disposizione di tutti. Un numero incalcolabile di associazioni, organismi, collettivi e semplici cittadini hanno avuto la possibilità di utilizzare liberamente lo spazio; migliaia di eventi – i più diversi – sono stati realizzati; collaborazioni e sinergie tra soggetti e iniziative diverse hanno avuto modo di avviare percorsi comuni. Molto prima e molto diversamente dalla vuota demagogia sui “beni comuni” e sulla “democrazia partecipativa” è stato definito molto concretamente un modo assolutamente aperto di fruizione e gestione collettiva di uno spazio, senza censure o autorizzazioni falsamente democratiche di sorta.
Le omissioni e l’indifferenza del comune e gli atti di intimidazione che ne sono la conseguenza minacciano l’esistenza di questo spazio di libertà.
Continueremo a resistere, a contrastare i farabutti che si fanno strumento di questi disegni, a denunziare all’opinione pubblica i reati omissivi del Comune e la sua oggettiva complicità con quanto sta accadendo, ma pensiamo che sia giunto il momento di una mobilitazione che dia una risposta più chiaramente politica.
Chiediamo a tutti coloro che hanno utilizzato lo spazio – associazioni, collettivi, organismi, singoli operatori culturali e sociali – e a quanti hanno partecipato alle innumerevoli attività e iniziative realizzate di schierarsi attivamente a difesa del Centro Culturale “La Città del Sole”.
Già numerosi amici del Centro hanno espresso solidarietà e determinazione a mobilitarsi. Un gruppo di giovani si è mobilitato per rimettere subito la sede in condizione di riprendere a svolgere il suo ruolo e tutte le attività programmate. Grazie a questo generoso intervento già venerdì potremo far svolgere regolarmente l’iniziativa programmata sull’appropriazione delle terre in Africa.
Chiediamo a tutti di partecipare martedì prossimo, 5 febbraio, alle ore 17,30, ad una assemblea in cui discutere e decidere insieme le azioni di lotta, modalità ancora più avanzate per una gestione condivisa dello spazio, per definire
pc 31 gennaio - ancora vili sbirri assassini condannati a Milano
Uccisero senzatetto, condannati due poliziotti
di Luca Fiore
Sono stati condannati a 12 anni di reclusione i due
agenti della polizia ferroviaria arrestati nel 2009 e riconosciuti
colpevoli del pestaggio e dell'omicidio di un clochard a Milano.
Due agenti della Polfer sono stati condannati oggi a 12 anni di carcere dalla Corte d'Appello di Milano per aver picchiato fino a ucciderlo un clochard, Giuseppe Turrisi, nel settembre del 2008 negli uffici di polizia della stazione Centrale, nel capoluogo lombardo. I giudici hanno aumentato la pena inflitta in primo grado a uno dei due imputati (dieci anni), mentre hanno riconosciuto colpevole di omicidio preterintenzionale anche l'altro poliziotto che, in primo grado, era stato condannato a 3 anni per falso.
Stando alle indagini, coordinate dal pm di Milano Isidoro Palma, il senzatetto, di 58 anni e che passava le sue giornate in stazione Centrale da circa tre anni, sarebbe stato pestato a sangue, il 6 settembre 2008, dai due giovani agenti, Emiliano D'Aguanno e Domenico Romitaggio negli uffici della Polfer, dove era stato portato. Secondo l'accusa, i due poliziotti, che erano stati arrestati nell'aprile del 2009 per omicidio volontario (attualmente sono in libertà), avrebbero avuto dei motivi di astio nei confronti del clochard e per questo lo avrebbero picchiato fino ad ammazzarlo, tenendolo dentro gli uffici per 35 minuti. Inoltre, sempre secondo l'accusa, i due agenti nella relazione di servizio su quella sera avevano parlato solo di un clochard che si era sentito male e poi era morto. Gli avvocati difensori dei due, invece, hanno sempre sostenuto che era stato Turrisi ad aggredire i due agenti, dopo aver partecipato ad una rissa con altre persone quella sera. Tesi che non ha retto ne' in primo ne' in secondo grado. Davanti alla Corte d'Assise di Milano, il 15 luglio 2011, era stato condannato per omicidio preterintenzionale a 10 anni solo D'Aguanno, mentre per Romitaggio l'accusa era 'caduta' ed era stato condannato a tre anni per falso relativo ad una relazione di servizio sull'accaduto, con la concessione delle attenuanti generiche. Attenuanti che, invece, in appello non sono state riconosciute a nessuno dei due imputati con i giudici (seconda sezione penale, presidente Anna Conforti) che hanno condannato gli agenti per omicidio preterintenzionale a 12 anni, la stessa pena chiesta in primo grado dal pm Palma (il sostituto pg Ugo Dello Russo aveva chiesto 10 anni per entrambi). I giudici hanno confermato, infine, il risarcimento a carico degli agenti e a favore del figlio della vittima, Omar Turrisi, rappresentato come parte civile dall'avvocato Gianluca Fiorentin
Due agenti della Polfer sono stati condannati oggi a 12 anni di carcere dalla Corte d'Appello di Milano per aver picchiato fino a ucciderlo un clochard, Giuseppe Turrisi, nel settembre del 2008 negli uffici di polizia della stazione Centrale, nel capoluogo lombardo. I giudici hanno aumentato la pena inflitta in primo grado a uno dei due imputati (dieci anni), mentre hanno riconosciuto colpevole di omicidio preterintenzionale anche l'altro poliziotto che, in primo grado, era stato condannato a 3 anni per falso.
Stando alle indagini, coordinate dal pm di Milano Isidoro Palma, il senzatetto, di 58 anni e che passava le sue giornate in stazione Centrale da circa tre anni, sarebbe stato pestato a sangue, il 6 settembre 2008, dai due giovani agenti, Emiliano D'Aguanno e Domenico Romitaggio negli uffici della Polfer, dove era stato portato. Secondo l'accusa, i due poliziotti, che erano stati arrestati nell'aprile del 2009 per omicidio volontario (attualmente sono in libertà), avrebbero avuto dei motivi di astio nei confronti del clochard e per questo lo avrebbero picchiato fino ad ammazzarlo, tenendolo dentro gli uffici per 35 minuti. Inoltre, sempre secondo l'accusa, i due agenti nella relazione di servizio su quella sera avevano parlato solo di un clochard che si era sentito male e poi era morto. Gli avvocati difensori dei due, invece, hanno sempre sostenuto che era stato Turrisi ad aggredire i due agenti, dopo aver partecipato ad una rissa con altre persone quella sera. Tesi che non ha retto ne' in primo ne' in secondo grado. Davanti alla Corte d'Assise di Milano, il 15 luglio 2011, era stato condannato per omicidio preterintenzionale a 10 anni solo D'Aguanno, mentre per Romitaggio l'accusa era 'caduta' ed era stato condannato a tre anni per falso relativo ad una relazione di servizio sull'accaduto, con la concessione delle attenuanti generiche. Attenuanti che, invece, in appello non sono state riconosciute a nessuno dei due imputati con i giudici (seconda sezione penale, presidente Anna Conforti) che hanno condannato gli agenti per omicidio preterintenzionale a 12 anni, la stessa pena chiesta in primo grado dal pm Palma (il sostituto pg Ugo Dello Russo aveva chiesto 10 anni per entrambi). I giudici hanno confermato, infine, il risarcimento a carico degli agenti e a favore del figlio della vittima, Omar Turrisi, rappresentato come parte civile dall'avvocato Gianluca Fiorentin
pc 31 gennaio - Egitto.. forse la rivolta prende la strada giusta
Black Bloc e l'Egitto neorivoluzionario
di Maggie Micheal - Associated Press
L'irruzione sulla scena egiziana di questi giovani
con il volto coperto e' uno degli elementi di maggiore novita'. Gli
islamisti radicali li considerano "nemici da abbattere"
Un nuovo imprevedibile elemento si è inserito nell'onda di disordini politici in Egitto: un misterioso gruppo di giovani mascherati chiamato Black Bloc, il quale si presenta come difensore dei manifestanti che si oppongono al governo islamista del presidente. Si vantano di voler utilizzare la forza per respingere gli islamisti che in passato hanno attaccato i manifestanti o contro la polizia che reprime le manifestazioni. Questi giovani che nascondono il viso dietro maschere nere da wrestler, sono apparsi tra i dimostranti che lanciavano pietre negli scontri con la polizia durante gli ultimi cinque giorni in cui un'ondata di violenza politica ha scosso l'intero paese.
Durante le proteste di lunedì al Cairo, giovani mascherati hanno festeggiato attorno ai blindati della polizia in fiamme al centro di piazza Tahrir, agitando le mani con le due dita alzate in segno di vittoria.
La loro apparizione ha provocato anche la preoccupazione di alcuni membri dell'opposizione, i quali temono che il gruppo possa scatenare la rappresaglia degli islamisti o che si possano infiltrare nei loro movimenti. I sostenitori islamisti del presidente Mohammad Morsi hanno definito il gruppo una milizia cominciando a dipingere l'opposizione come una forza violenta che demolisce il paese. In oltre, alcuni islamisti hanno minacciato in risposta, di formare dei gruppi di vigilanza creando il potenziale per una spirale di violenza tra "milizie" rivali.
L'apparizione del Black Block giunge in un momento in cui l'opposizione vive un crescente senso di frustrazione, rispetto a Morsi, il primo presidente egiziano eletto democraticamente, e rispetto ai Fratelli Musulmani e agli altri islamisti i cui critici li accusano di aver imposto un monopolio sul potere. La rabbia ha alimentato l'esplosione della violenza che inizialmente si è concentrata nella giornata di venerdì, secondo anniversario dell'inizio del sollevamento che ha portato alla caduta del dittatore Hosni Mubarak.
Successivamente la tensione è ulteriormente salita con i disordini scoppiati nella città di Port Said, vicino al canale di Suez, e provocati da giovani furiosi per la sentenza di morte decretata da un tribunale contro degli ultras locali accusati di esser stati responsabili dei sanguinosi scontri da stadio dell'anno scorso. Morsi ha cercato di ristabilire il controllo, invocando lo stato d'emergenza nelle tre province dell'area del canale di Suez. Questo Black bloc, si ispira agli omonimi gruppi anarchici esistenti in Europa e negli Stati Uniti e che hanno partecipato alle proteste anti globalizzazione durante l'ultimo decennio.
In Egitto, la segretezza del gruppo e la voluta struttura dispersa rende difficile stimarne le effettive dimensioni: comunica principalmente tramite i social media. Nessuno ha mai visto i volti dei suoi membri e la loro identità resta anonima, dunque è difficile confermare l'autenticità di chi pretende di parlare in loro nome.
È anche impossibile stabilire se ogni giovane mascherato appartenga al blocco o se si tratta di un dimostrante che vuole semplicemente coprirsi il volto, o se addirittura questa distinzione conta davvero. Lunedì, a Tahrir, alcuni ambulanti vendevano maschere nere e i giovani si accalcavano per comprarle. "Noi siamo il Black Bloc.. vogliamo la liberazione del popolo, la fine della corruzione e la caduta del tiranno" proclamava un video che annunciava la formazione del gruppo, caricato online giovedì. Mostrava dei giovani vestiti di nero che marciavano in fila nella città di Alessandria.
"Ci siamo sollevati per fronteggiare il tiranno fascista del regime dei Fratelli Musulmani e la sua ala militare" diceva il video, intimando la polizia di non intervenire "altrimenti risponderemo senza esitazione". Gli ufficiali della Fratellanza, politici islamisti e media pro governativi hanno accusato il gruppo per diversi episodi di violenza, dal tentativo di appiccare il fuoco al palazzo presidenziale e di attaccare gli uffici della confraternita al saccheggio di edifici pubblici, come anche di cercare di bloccare dei treni e di aver sostenuto degli scontri a fuoco con la polizia. Il caos degli ultimi cinque giorni, è stato segnato da questo tipo di episodi, ma non è chiaro quale ruolo abbiano avuto i membri del Black Bloc o se le voci che il gruppo sia armato siano fondate o meno. Alcuni ufficiali della sicurezza hanno dichiarato di aver arrestato un sospetto membro del blocco che portava con sé delle munizioni al Cairo, nella giornata di domenica.
Il giornale di stato Al Ahram, che ha descritto il gruppo come alimentatore delle violenze, ha scritto che i membri del Black Bloc hanno cercato di fare irruzione in un hotel a cinque stelle, vicino a Tahrir e di aver sparato alcuni colpi in aria, quando gli altri manifestanti hanno cercato di fermarli.
Uno studente universitario di nome Sherif el-Sherafi ha dichiarato di essere uno dei fondatori del gruppo in un intervista con il giornale El-Watan, sebbene le sue affermazioni non possano essere confermate indipendentemente. Egli ha anche sostenuto che il blocco possiede circa 10.000 membri in tutto il paese, organizzati in gruppi di circa venti persone ciascuno, ma senza una catena di comando. I membri vengono addestrati all'autodifesa e a fronteggiare i lacrimogeni.
"La violenza non è un'azione ma una reazione" ha detto. Ha dipinto la situazione come un inevitabile scontro tra l'opposizione e il governo. "Il peggio deve ancora venire".
I membri dicono che il gruppo è stato creato in risposta agli scontri del 4 Dicembre, quando sostenitori dei Fratelli Musulmani hanno attaccato un sit-in di protesta davanti al palazzo presidenziale, scatenando ore di guerriglia urbana che hanno lasciato sul terreno almeno dieci morti e centinaia di feriti. Molti in seno all'opposizione, hanno visto questo incidente come un punto di svolta, un segno che gli islamisti e la Fratellanza volevano utilizzare la violenza contro i critici di Morsi. Lunedì sera, svariati dimostranti hanno elogiato gli uomini in maschera a piazza Tahrir.
"Non sono qui per sabotare o compiere atti di vandalismo, ma per proteggerci dalle milizie dei Fratelli Musulmani" ha dichiarato Ahmed Ali, un ingegnere. Ali sostiene che la polizia ora "reprime la rivoluzione agendo per conto dell'assassino Morsi.. per questo abbiamo bisogno di uomini per difendere la rivoluzione".
Hossam Al Hamalawy, un noto attivista di sinistra, ha dichiarato che i giovani del Black Bloc "sono sinceri, vogliono il cambiamento e hanno visto molti dei loro amici uccisi.. (quindi) hanno deciso di incaricarsi personalmente della questione". Poi però ha aggiunto che "potrebbe essere pericoloso per la rivoluzione" avvertendo che "questo potrebbe portare le persone a prendere le armi" verosimilmente in risposta al Black Bloc". "Coloro che rovesciano il regime sono le masse" non gruppi sotterranei, ha detto Hamalawy, dei Socialisti Rivoluzionari, uno dei principali gruppi dietro la sollevazione anti Mubarak.
L'ufficio di Morsi e la fratellanza hanno fortemente asserito per mesi che l'opposizione sta utilizzando la strada per ribaltare i risultati delle elezioni che gli islamisti hanno ampiamente vinto. Ora additano al Black Bloc, come prova che i loro oppositori vogliono ricorrere alla violenza. Sulla sua pagina di Facebook, l'assistente di Morsi per gli affari esteri Essam el Haddad ha accusato il Black Bloc "di violenza sistematica e crimini premeditati in tutto il paese" e l'opposizione di giustificarli. I Fratelli Musulmani, in una nota hanno denunciato " gruppi di teppisti e milizie di gang in nero" accusate di attacchi alle istituzioni dello stato, alla polizia e alla proprietà privata; "il silenzio dell'opposizione politica su tali crimini..ne prova il sostegno".
Gli alleati più radicali di Morsi sono stati ancora più severi: "Il Black Bloc deve'essere liquidato completamente. Questi gruppi devono essere trattati con forza e violenza" ha dichiarato Mohammad Abu Samra, capo del partito del Jihad Islamico che già una volta ha lanciato una campagna di violenza militante in Egitto.
Alcuni ultraconservatori hanno accusato i cristiani di essere dietro al blocco, in linea con i loro passati tentativi di infiammare la loro base ammonendo che la minoranza cristiana sta cercando di rovesciare il regime. Un altro gruppo jihadista, la Gam'a Islamiya ha minacciato di voler metter in piedi delle ronde. Tareq El Zomr, una figura di spicco nel gruppo ha dichiarato che se le forze di sicurezza non riporteranno l'ordine " sarà diritto del popolo egiziano - e noi saremmo in testa- di istituire dei comitati popolari" per proteggere la proprietà e "opporsi alle aggressioni". Anche una pagina Facebook ha annunciato la formazione di una nuova milizia chiamata "Brigata Islamica" sebbene non sia possibile confermare l'esistenza del gruppo. In un video presente sulla pagina, un gruppo di uomini armati di fucili e mascherati ha annunciato di essere al corrente di piani dei nemici dell'Islam e di una cospirazione dei Cristiani per trasformare l'Egitto in uno stato cristiano ed hanno accusato il Fronte di Salvezza Nazionale di aiutarli a "bruciare l'Egitto".
da Nena News
Un nuovo imprevedibile elemento si è inserito nell'onda di disordini politici in Egitto: un misterioso gruppo di giovani mascherati chiamato Black Bloc, il quale si presenta come difensore dei manifestanti che si oppongono al governo islamista del presidente. Si vantano di voler utilizzare la forza per respingere gli islamisti che in passato hanno attaccato i manifestanti o contro la polizia che reprime le manifestazioni. Questi giovani che nascondono il viso dietro maschere nere da wrestler, sono apparsi tra i dimostranti che lanciavano pietre negli scontri con la polizia durante gli ultimi cinque giorni in cui un'ondata di violenza politica ha scosso l'intero paese.
Durante le proteste di lunedì al Cairo, giovani mascherati hanno festeggiato attorno ai blindati della polizia in fiamme al centro di piazza Tahrir, agitando le mani con le due dita alzate in segno di vittoria.
La loro apparizione ha provocato anche la preoccupazione di alcuni membri dell'opposizione, i quali temono che il gruppo possa scatenare la rappresaglia degli islamisti o che si possano infiltrare nei loro movimenti. I sostenitori islamisti del presidente Mohammad Morsi hanno definito il gruppo una milizia cominciando a dipingere l'opposizione come una forza violenta che demolisce il paese. In oltre, alcuni islamisti hanno minacciato in risposta, di formare dei gruppi di vigilanza creando il potenziale per una spirale di violenza tra "milizie" rivali.
L'apparizione del Black Block giunge in un momento in cui l'opposizione vive un crescente senso di frustrazione, rispetto a Morsi, il primo presidente egiziano eletto democraticamente, e rispetto ai Fratelli Musulmani e agli altri islamisti i cui critici li accusano di aver imposto un monopolio sul potere. La rabbia ha alimentato l'esplosione della violenza che inizialmente si è concentrata nella giornata di venerdì, secondo anniversario dell'inizio del sollevamento che ha portato alla caduta del dittatore Hosni Mubarak.
Successivamente la tensione è ulteriormente salita con i disordini scoppiati nella città di Port Said, vicino al canale di Suez, e provocati da giovani furiosi per la sentenza di morte decretata da un tribunale contro degli ultras locali accusati di esser stati responsabili dei sanguinosi scontri da stadio dell'anno scorso. Morsi ha cercato di ristabilire il controllo, invocando lo stato d'emergenza nelle tre province dell'area del canale di Suez. Questo Black bloc, si ispira agli omonimi gruppi anarchici esistenti in Europa e negli Stati Uniti e che hanno partecipato alle proteste anti globalizzazione durante l'ultimo decennio.
In Egitto, la segretezza del gruppo e la voluta struttura dispersa rende difficile stimarne le effettive dimensioni: comunica principalmente tramite i social media. Nessuno ha mai visto i volti dei suoi membri e la loro identità resta anonima, dunque è difficile confermare l'autenticità di chi pretende di parlare in loro nome.
È anche impossibile stabilire se ogni giovane mascherato appartenga al blocco o se si tratta di un dimostrante che vuole semplicemente coprirsi il volto, o se addirittura questa distinzione conta davvero. Lunedì, a Tahrir, alcuni ambulanti vendevano maschere nere e i giovani si accalcavano per comprarle. "Noi siamo il Black Bloc.. vogliamo la liberazione del popolo, la fine della corruzione e la caduta del tiranno" proclamava un video che annunciava la formazione del gruppo, caricato online giovedì. Mostrava dei giovani vestiti di nero che marciavano in fila nella città di Alessandria.
"Ci siamo sollevati per fronteggiare il tiranno fascista del regime dei Fratelli Musulmani e la sua ala militare" diceva il video, intimando la polizia di non intervenire "altrimenti risponderemo senza esitazione". Gli ufficiali della Fratellanza, politici islamisti e media pro governativi hanno accusato il gruppo per diversi episodi di violenza, dal tentativo di appiccare il fuoco al palazzo presidenziale e di attaccare gli uffici della confraternita al saccheggio di edifici pubblici, come anche di cercare di bloccare dei treni e di aver sostenuto degli scontri a fuoco con la polizia. Il caos degli ultimi cinque giorni, è stato segnato da questo tipo di episodi, ma non è chiaro quale ruolo abbiano avuto i membri del Black Bloc o se le voci che il gruppo sia armato siano fondate o meno. Alcuni ufficiali della sicurezza hanno dichiarato di aver arrestato un sospetto membro del blocco che portava con sé delle munizioni al Cairo, nella giornata di domenica.
Il giornale di stato Al Ahram, che ha descritto il gruppo come alimentatore delle violenze, ha scritto che i membri del Black Bloc hanno cercato di fare irruzione in un hotel a cinque stelle, vicino a Tahrir e di aver sparato alcuni colpi in aria, quando gli altri manifestanti hanno cercato di fermarli.
Uno studente universitario di nome Sherif el-Sherafi ha dichiarato di essere uno dei fondatori del gruppo in un intervista con il giornale El-Watan, sebbene le sue affermazioni non possano essere confermate indipendentemente. Egli ha anche sostenuto che il blocco possiede circa 10.000 membri in tutto il paese, organizzati in gruppi di circa venti persone ciascuno, ma senza una catena di comando. I membri vengono addestrati all'autodifesa e a fronteggiare i lacrimogeni.
"La violenza non è un'azione ma una reazione" ha detto. Ha dipinto la situazione come un inevitabile scontro tra l'opposizione e il governo. "Il peggio deve ancora venire".
I membri dicono che il gruppo è stato creato in risposta agli scontri del 4 Dicembre, quando sostenitori dei Fratelli Musulmani hanno attaccato un sit-in di protesta davanti al palazzo presidenziale, scatenando ore di guerriglia urbana che hanno lasciato sul terreno almeno dieci morti e centinaia di feriti. Molti in seno all'opposizione, hanno visto questo incidente come un punto di svolta, un segno che gli islamisti e la Fratellanza volevano utilizzare la violenza contro i critici di Morsi. Lunedì sera, svariati dimostranti hanno elogiato gli uomini in maschera a piazza Tahrir.
"Non sono qui per sabotare o compiere atti di vandalismo, ma per proteggerci dalle milizie dei Fratelli Musulmani" ha dichiarato Ahmed Ali, un ingegnere. Ali sostiene che la polizia ora "reprime la rivoluzione agendo per conto dell'assassino Morsi.. per questo abbiamo bisogno di uomini per difendere la rivoluzione".
Hossam Al Hamalawy, un noto attivista di sinistra, ha dichiarato che i giovani del Black Bloc "sono sinceri, vogliono il cambiamento e hanno visto molti dei loro amici uccisi.. (quindi) hanno deciso di incaricarsi personalmente della questione". Poi però ha aggiunto che "potrebbe essere pericoloso per la rivoluzione" avvertendo che "questo potrebbe portare le persone a prendere le armi" verosimilmente in risposta al Black Bloc". "Coloro che rovesciano il regime sono le masse" non gruppi sotterranei, ha detto Hamalawy, dei Socialisti Rivoluzionari, uno dei principali gruppi dietro la sollevazione anti Mubarak.
L'ufficio di Morsi e la fratellanza hanno fortemente asserito per mesi che l'opposizione sta utilizzando la strada per ribaltare i risultati delle elezioni che gli islamisti hanno ampiamente vinto. Ora additano al Black Bloc, come prova che i loro oppositori vogliono ricorrere alla violenza. Sulla sua pagina di Facebook, l'assistente di Morsi per gli affari esteri Essam el Haddad ha accusato il Black Bloc "di violenza sistematica e crimini premeditati in tutto il paese" e l'opposizione di giustificarli. I Fratelli Musulmani, in una nota hanno denunciato " gruppi di teppisti e milizie di gang in nero" accusate di attacchi alle istituzioni dello stato, alla polizia e alla proprietà privata; "il silenzio dell'opposizione politica su tali crimini..ne prova il sostegno".
Gli alleati più radicali di Morsi sono stati ancora più severi: "Il Black Bloc deve'essere liquidato completamente. Questi gruppi devono essere trattati con forza e violenza" ha dichiarato Mohammad Abu Samra, capo del partito del Jihad Islamico che già una volta ha lanciato una campagna di violenza militante in Egitto.
Alcuni ultraconservatori hanno accusato i cristiani di essere dietro al blocco, in linea con i loro passati tentativi di infiammare la loro base ammonendo che la minoranza cristiana sta cercando di rovesciare il regime. Un altro gruppo jihadista, la Gam'a Islamiya ha minacciato di voler metter in piedi delle ronde. Tareq El Zomr, una figura di spicco nel gruppo ha dichiarato che se le forze di sicurezza non riporteranno l'ordine " sarà diritto del popolo egiziano - e noi saremmo in testa- di istituire dei comitati popolari" per proteggere la proprietà e "opporsi alle aggressioni". Anche una pagina Facebook ha annunciato la formazione di una nuova milizia chiamata "Brigata Islamica" sebbene non sia possibile confermare l'esistenza del gruppo. In un video presente sulla pagina, un gruppo di uomini armati di fucili e mascherati ha annunciato di essere al corrente di piani dei nemici dell'Islam e di una cospirazione dei Cristiani per trasformare l'Egitto in uno stato cristiano ed hanno accusato il Fronte di Salvezza Nazionale di aiutarli a "bruciare l'Egitto".
da Nena News
pc 31 gennaio - dalla Grecia una indicazione di lotta da seguire anche in Italia - le cariche, gli arresti alimentano la lo lotta, non l'arrestano.. ma vallo a dire a i sindacati di base in Italia. che inneggiano gli altri ma all'occasione si tirano indietro
Grecia: lavoratori occupano ministero, cariche e arresti
Un gruppo di sindacalisti occupa il Ministero del
Lavoro ma viene caricato dalla Polizia, i feriti portati via dalle
ambulanze. Alla fine 40 i lavoratori arrestati. Da domani riprendono gli
scioperi di medici, agricoltori, dipendenti dell'azienda elettrica e
statali.
Mentre in Grecia, dopo settimane di scioperi, i trasporti
pubblici sembrano tornare lentamente alla normalità dopo la
precettazione dei lavoratori e l'intervento della polizia contro un
picchetto in un deposito della metropolitana, nuovi scioperi e
agitazioni si preannunciano nel mondo del lavoro in particolare per gli
agricoltori, i medici, i marittimi e gli statali.Un primo passo verso la normalizzazione nel settore dei trasporti pubblici di Atene é stato fatto ieri dopo la decisione dei conducenti dei filobus della capitale di rinviare lo sciopero finché non saranno concluse le trattative con la direzione dell'azienda. "Vogliamo accettare l'invito al dialogo", ha detto all'agenzia Ana il presidente del sindacato dei tecnici e dei lavoratori del settore, Apostolis Raftopoulos.
Ad arroventare la situazione sono intervenuti anche gli agricoltori che con i loro trattori sono scesi da giorni nelle strade di molte regioni della Grecia minacciando "di tagliare in due il Paese" bloccando l'autostrada che collega Atene con il Nord del Paese. Fino a ieri la polizia sembrava essere riuscita ad impedire ai dimostranti di entrare nelle autostrade con i loro veicoli ma oggi i trattori hanno bloccato alcuni tratti autostradali.
In agitazione anche i dipendenti dell'azienda elettrica (PPC) il cui sindacato per giovedì ha proclamato uno sciopero di 24 ore per solidarietà con i lavoratori dei trasporti pubblici. Da giovedì anche i marittimi incroceranno le braccia per 48 ore contro il piano del governo per le compagnie di navigazione costiera, ovvero quelle che collegano le isole. Anche i medici e il personale sanitario degli ospedali pubblici sciopereranno giovedì per 24 ore contro la decisione del governo di realizzare un forte taglio all'assistenza sanitaria pubblica chiudendo decine di reparti ospedalieri in tutto il Paese. Il giorno seguente si asterranno dal lavoro i medici e il personale dei centri diagnostici convenzionati mentre i dipendenti statali aderenti al sindacato Adedy si asterranno dal lavoro dalle 12 alle 16.
Intanto già stamattina un folto gruppo di lavoratori pubblici aderenti al sindacato comunista Pame e ad altre realtà sindacali hanno fatto irruzione all'interno del Ministero del Lavoro, assediandolo, per chiedere un incontro urgente con il ministro Vroutsis e protestare contro i pesanti tagli al settore pubblico, in particolare contro la cancellazione del contratto collettivo di lavoro. Ma contro di loro è intervenuta pesantemente la polizia, e i reparti antisommossa hanno più volte caricato i lavoratori e gli attivisti politici concentrati davanti agli ingressi del ministero e fatto uso di gas lacrimogeni, visto che i sindacalisti e i dipendenti pubblici si rifiutavano di interrompere la protesta. I celerini non hanno esitato a manganellare anche alcuni rappresentanti politici e addirittura parlamentari di Syriza presenti.
Si sono registrati otto feriti, di cui alcuni con lesioni gravi, tra i lavoratori, alcuni dei quali sono stati portati via con le ambulanze solo dopo molti minuti. Alla fine 40 manifestanti sono stati fermati e portati dai MAT, i reparti speciali, all'interno del quartier generale della polizia (GADA). Sul posto sono immediatamente arrivati numerosi attivisti e dirigenti politici dei diversi partiti della sinistra - KKE, Syriza ed altri - e i lavoratori hanno deciso di marciare fino alla questura centrale in Viale Alexandra, seguiti da decine di poliziotti in tenuta antisommossa, per chiedere la liberazione immediata dei loro colleghi arrestati e la fine della repressione violenta contro ogni forma di protesta dei movimenti popolari nel paese. Nel corso del pomeriggio il numero dei manifestanti è cresciuto, e a chiedere la liberazione degli arrestati - 35 dei quali militanti del sindacato comunista Pame - sono arrivate migliaia di persone, che hanno completamente occupato il tratto di strada antistante l'enorme edificio del quartier generale della Polizia. Tra i manifestanti numerosi dirigenti di Syriza e la segretaria generale del Partito Comunista Greco, Aleka Papariga.
Parlamentari dei partiti di sinistra e giornalisti hanno denunciato che nel corso del pomeriggio agenti dei reparti speciali si sono presentati nei locali del Pronto Soccorso dove erano stati portati i manifestanti feriti per identificarli. Ma hanno dovuto rinunciare dopo la forte e indignata reazione dei parenti e degli amici dei ricoverati, di medici e infermieri. In serata le autorità hanno deciso di trasformare in arresto tutti i fermi realizzati, con l'accusa di disordini e danneggiamenti.
pc 31 gennaio - PRIMO REPORT DAL PRESIDIO DE L'AQUILA
DAL PRESIDIO DE L'AQUILA
Il presidio sotto il Tribunale de
L'Aquila dove si sta svolgendo il processo contro lo stupratore ma
anche quasi assassino di “Rosa”, l'ex militare Tuccia, iniziato
verso le 9,30 è tutt'ora in corso e probabilmente durerà per tutto
il pomeriggio. Dalle 13,30 vi è una pausa e quando si riprenderà vi
saranno le arringhe degli avvocati di “Rosa” e dello stupratore.
Poi la sentenza.
E' importante e significativa la
partecipazione al presidio, oltre le donne de L'Aquila sono venute
compagne, lavoratrici, disoccupate da tante città, tra cui Bologna,
Milano, Taranto, Teramo, Roma, Viterbo, facendo anche lunghe ore di
viaggio, per dire a “Rosa”, e ai suoi genitori, che non è sola,
e per pesare con la loro presenza sulla sentenza che deve essere
dura, anche se non potrà mai dare giustizia a “Rosa” e a tutte
le donne.
La madre di “Rosa” prima di entrare
in Tribunale ha voluto con emozione ringraziare tutte, altrettanto
emozionate.
Ad un certo punto della mattinata, per
far arrivare a “Rosa” nell'aula forte la voce delle donne, e
perchè il presidio non fosse di semplice testimonianza, le compagne
del Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario, con una compagna
di Bologna, si sono spostate dall'entrata principale del Tribunale
per arrivare sotto la finestra dell'aula in cui era in corso il
processo, e qui hanno fatto vari interventi col megafono.
E' stato un momento importante e
toccante. Una compagna di Taranto ha legato questo processo all'altro
significativo processo anche questo tutt'ora in corso a Taranto
contro gli stupratori di Carmela Cirella di 13 anni suicidata, cioè
“uccisa” nell'aprile 2007; Carmela dopo 6 anni ancora non ottiene
verità e giustizia, con giudici troppo compiacenti con gli
stupratori e i loro avvocati, ha informato che l'8 febbraio vi sarà
una nuova udienza e che le compagne del mfpr saranno come sempre al
Tribunale. Un'altra compagna disoccupata sempre di Taranto ha parlato
della lotta delle disoccupate non solo per il lavoro ma contro tutti
gli attacchi alla vita delle donne che questo sistema, i governi, i
padroni, lo Stato fanno ogni giorno e che creano l'humus migliore
perchè sempre più vi siano “uomini che odiano le donne” - come
era scritto in un loro cartello; e parlando della condizione sempre
più da “moderno medioevo” che tocca tutte le donne, in Italia,
come in ogni paese del mondo, ha ricordato i recenti atroci stupri e
uccisioni in India ma anche le imponenti manifestazioni che sono
seguite – su questo le compagne del MFPR stanno distribuendo a
L'Aquila un foglio che con vari articoli testimonia il “ponte”
che dall'India all'Italia a tutto il mondo occorre costruire per
scatenare la furia delle donne come forza poderosa per la
rivoluzione. Altri interventi sono susseguiti.
Ad un certo punto il giudice del
processo di “Rosa” ha mandato a dire che se non smettevano con il
megafono, lui avrebbe interrotto il processo...
(continua).
Dalla telefonata da L'Aquila di
Concetta di Taranto - ore 13,30
pc 31 gennaio - TUTTE A L'AQUILA CON "ROSA"
Oggi a L'Aquila vi sarà l'ultima udienza di un importante processo contro
uno stupro e tentativo di uccisione avvenuti il 12 febbraio 2012.
Da Taranto, da Milano sono andate a L'Aquila compagne lavoratrici/disoccupate del Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario.
In contemporanea, oggi, vi saranno a Palermo e a Taranto iniziative.
E' importante contro questa "guerra" fatta di violenze sessuali e uccisioni che le donne si uniscano, dal nord, al centro e al sud, e che nessuna si senta sola.
PER QUESTO FACCIAMO APPELLO, A PARTIRE DALLE DONNE DI TARANTO CHE SI STANNO MOBILITANDO CONTRO LA VIOLENZA "INQUINAMENTO" DELLA POLITICA PADRONALE DELL'ILVA E DELLE ISTITUZIONI SUI NOSTRI CORPI E SU QUELLI DEI NOSTRI FAMILIARI, A VENIRE AD UN PROCESSO SIMILE A QUESTO DELL'AQUILA, CONTRO GLI STUPRI E LA "UCCISIONE" DI CARMELA CIRELLA (morta a 13 anni a Paolo VI il 15 aprile 2007), CHE SI TERRA' L'8 FEBBRAIO AL TRIBUNALE DI TARANTO, PER DIRE NO ANCHE A QUESTA CONTINUA VIOLENZA SULLE NOSTRE VITE.
Da Taranto, da Milano sono andate a L'Aquila compagne lavoratrici/disoccupate del Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario.
In contemporanea, oggi, vi saranno a Palermo e a Taranto iniziative.
E' importante contro questa "guerra" fatta di violenze sessuali e uccisioni che le donne si uniscano, dal nord, al centro e al sud, e che nessuna si senta sola.
PER QUESTO FACCIAMO APPELLO, A PARTIRE DALLE DONNE DI TARANTO CHE SI STANNO MOBILITANDO CONTRO LA VIOLENZA "INQUINAMENTO" DELLA POLITICA PADRONALE DELL'ILVA E DELLE ISTITUZIONI SUI NOSTRI CORPI E SU QUELLI DEI NOSTRI FAMILIARI, A VENIRE AD UN PROCESSO SIMILE A QUESTO DELL'AQUILA, CONTRO GLI STUPRI E LA "UCCISIONE" DI CARMELA CIRELLA (morta a 13 anni a Paolo VI il 15 aprile 2007), CHE SI TERRA' L'8 FEBBRAIO AL TRIBUNALE DI TARANTO, PER DIRE NO ANCHE A QUESTA CONTINUA VIOLENZA SULLE NOSTRE VITE.
VOLANTINO
Il 31 gennaio a L’Aquila:
ultima udienza del processo per lo stupro di Pizzoli
Il
31 gennaio 2013 si tiene a L’Aquila l’ultima udienza del processo
per lo stupro di “Rosa”, una ragazza di 20 anni, che nella notte
del 12 febbraio scorso, fuori della discoteca di Pizzoli (AQ), fu
brutalmente violentata, seviziata e abbandonata
sulla neve seminuda e insanguinata, fino a rischiare di morire.
Accusato
di questa aggressione e tentato omicidio è Francesco Tuccia, un
militare del
33/o reggimento Artiglieria Acqui, impiegato nell’operazione
“strade sicure”.
Le
atrocità commesse sul corpo di Rosa da militari impiegati
nell’operazione “Strade sicure”, gli stupri, i femminicidi in
continuo aumento e sempre più efferati nel nostro paese e nella
nostra città (solo un paio di settimane fà, proprio vicino al
tribunale di L’Aquila è stata uccisa
Hrjeta
Boshir
dal suo ex- marito), rendono questa vicenda emblematica di quale
“sicurezza” questo Stato parli.
- quella delle aule di
tribunale, dove la donna viene stuprata e offesa una seconda volta
con affermazioni del tipo “se
succede le donne se la sono cercata", "si è trattato di un
rapporto amoroso consensuale"…
- delle questure, dove le
donne vengono scoraggiate a denunciare i loro stupratori, soprattutto
se appartenenti alle forze dell’ordine: “non
è il caso di sporgere denuncia”,
hanno risposto dalla Questura di L’Aquila a una ragazza che voleva
denunciare il tentativo di stupro da parte dell’amico e commilitone
di Tuccia, Stefano Buccella, poi coinvolto insieme a Tuccia nello
stupro di Pizzoli.
-
delle procure, dove si va dagli arresti domiciliari per gli stupri
anche reiterati, all’istigazione allo stupro e ai femminicidi, con
affermazioni come quella del Procuratore di Bergamo, Francesco
Dettori: "sarebbe
bene che di sera le donne non uscissero da sole..."
- delle caserme, delle
carceri e dei cie, dove sempre più donne, senza diritti (perché
prostitute, o immigrate, o semplicemente prigioniere), vengono
ricattate e stuprate impunemente
della chiesa, che
giustifica
il femminicidio con “l'atteggiamento
provocante delle donne”
(vedi
Don
Corsi, parroco di San Terenzo a Lerici)
-
del governo, dello Stato dei padroni, della sacra famiglia, embrione
e puntello di questo sistema sociale, dove si amplificano le
contraddizioni e si concentra la violenza (7 donne su 10 uccise in
famiglia)
e i governi, di destra e di sinistra, continuano a propinare
interventi a “favore della famiglia” con licenziamenti -
soprattutto di donne - carovita, tagli a scuola, sanità, servizi
sociali, ecc.,
ricacciando
le donne tra le mura domestiche, condannandole al continuo ricatto,
ad un futuro senza prospettive di emancipazione e di liberazione
dalla violenza domestica. Intanto fuori, con la militarizzazione,
creano
città invivibili e desertificate, in cui sono bandite le normali
libertà, la socialità tra i giovani, tra le persone, spingendo a
una concezione individualista, antisociale della vita, compagna di
strada della sopraffazione, di una ideologia comunque reazionaria,
razzista e fascista che nei confronti delle donne si esprime sempre
come maschilismo e violenza...".
Le
violenze contro le donne poi si
amplificano negli ambienti militari, improntati costituzionalmente al
machismo, al rambismo, ad una ideologia maschilista e fascista, in
cui gli stupri, le violenze sulle donne sono considerati “normali”,
“medaglie” da mettersi sul petto e coperte da tutta la struttura
militare (vedi tutta la feccia emersa nell’inchiesta sull’omicidio
di Melania Rea).
Non
di isolate "mele marce", dunque, si tratta, ma di una
guerra sistemica contro le donne!
Dall’India
all’Italia, al mondo intero
scateniamo
la furia delle donne come forza poderosa della rivoluzione!
Non
è quindi questo Stato che può difendere noi donne, che può
reprimere i “suoi” stupratori e impedire le violenze sessuali.
Questo Stato borghese è la causa, non la soluzione del clima moderno
fascista che alimenta stupri e femminicidi.
Solo
noi donne possiamo e dobbiamo invertire questa rotta! Con la nostra
lotta complessiva e radicale contro questa società capitalista, che
produce e si alimenta di violenze sessuali e femminicidi, che ci
vuole “puttane” o “angeli del focolare” ricacciandoci in un
moderno medioevo.
Noi
che non abbiamo alcun sistema da difendere, noi che non abbiamo voti
da conquistare, diciamo oggi con più forza, che siamo chiamate a
rispondere direttamente a questa guerra scatenata contro le donne. E
di fronte a una guerra sistemica, la nostra lotta non può che essere
rivoluzionaria.
Siamo
al fianco di Rosa e vogliamo la condanna dello stupratore,
come passo in avanti della lotta complessiva delle donne contro
questo sistema sociale.
Per ogni donna stuprata e offesa, siamo tutte parte lesa!
movimento femminista proletario rivoluzionario