sabato 23 giugno 2012

pc 23 giugno: TARANTO: CAMION DELLA RACCOLTA DIFFERENZIATA SOTTO IL COMUNE

Questa mattina a Taranto i lavoratori della Ditta Castiglia srl dello slai cobas per il sindacato di classe e una rappresentanza dei Disoccupati Organizzati, hanno dato una prima forte dimostrazione di cosa accadrebbe se la prossima settimana non vi sarà la continuazione e l'estensione del servizio di raccolta differenziata S.Vito-Lama.
I lavoratori Castiglia questa mattina verso le 10, appena saputo che il loro contratto di lavoro doveva terminare improrogabilmente sabato 30 giugno perchè la Regione aveva comunicato che non vi erano fondi per la proroga, e che, quindi, già lunedì prossimo vi doveva essere il verbale di trasferimento di tutti i mezzi dalla Ditta Castiglia all'Amiu, hanno bloccato subito il lavoro (che anche oggi doveva durare per troppe ore, con un surplus di straordinario come avviene dal 28 maggio).
Poi con tutti i camion già quasi pieni della raccolta differenziata, sono andati sotto il Comune, occupando tutta il piazzale, suonando i clacson, ecc. e stavano per depositare nella piazza i sacchietti di spazzatura.
La manifestazione improvvisa è durata fino alle 13. E' terminata solo quando il Sindaco Stefano, in fretta e furia, ha preso contatti e incontrato una delegazione dello Slai cobas per il sindacato di classe, e ha comunicato che la Regione aveva poco prima dato assicurazione di aver sbloccato un primo finanziamento per la continuazione della raccolta differenziata.

MA LUNEDI' LA LOTTA CONTINUA:
Vogliamo garanzie che:
- sia effettivamente annullato l'incontro previsto per lunedì tra Castiglia e Amiu per il passaggio dei mezzi;
- i finanziamenti devono servire non solo per la continuazione del servizio, ma contemporaneamente per il raddoppio degli attuali lavoratori, con una nuova assunzione presi dai disoccupati che hanno fatto i corsi di formazione ad hoc; perchè i lavoratori Castiglia non ce la fanno più a fare almeno per 3gg alla settimana 12/14 ore di lavoro, e comunque il servizio, specie ora con l'incremento estivo della popolazione, non può essere fatto bene con il poco personale attuale;
- il servizio deve comunque proseguire con la Ditta Castiglia e non ci deve essere nessun passaggio all'Amiu, perchè con l'Amiu che è piena di debiti, prossima quasi al fallimento, si rischierebbe di buttare soldi pubblici, non avere nessuna garanzia di lavoro e per i cittadini nessuna garanzia di un servizio effettivo di raccolta differenziata.

PER QUESTO:
LUNEDI' 25 è stata indetta un'assemblea all'interno della ditta Castiglia. E i lavoratori con i Disoccupati Organizzati vigileranno che effettivamente non vi sia il verbale di trasferimento mezzi.
MARTEDI' 26 tutti sottto il Comune per avere garanzia della continuità e estensione dell'appalto.

Chi sperava che l'arrivo in queste settimane di decine e decine di denunce, di processi che prevedono condanne per anni e anni di carcere, per le lotte dure che ci sono state in questi anni per il lavoro nella raccolta differenziata, avesse impaurito e fatto 'calmare gli animi', il presidio dei giorni scorsi al Comune e il blocco del lavoro e la manifestazione dei camion di questa mattina, ha sicuramente tolto questa speranza.

pc 23 giugno - tutti il 6 luglio al processo Notav - l'adesione di proletari comunisti

materiali per conoscere e dibattere in vista del processo



Lettera agli imputati Notav

Riceviamo e pubblichiamo una lettera inviataci dagli imputati Notav. Di seguito un documento di approfondimento e condivione su alcuni spunti di discussione in vista dell’inizio del processo Notav che si terrà il 6 luglio presso il tribunale di Torino.
LETTERA AGLI IMPUTATI NO TAV
Cari compagni e compagne,
Siamo alcuni imputati di Milano del processo No Tav. Abbiamo deciso di inviarvi questa lettera per condividere delle riflessioni avute durante alcuni incontri a Milano con altri compagni.
Vorremmo che questa discussione, appena avviata, venisse condivisa il più possibile e che chiunque possa contribuire, nonostante la lontananza fisica.
La vastità territoriale e numerica delle persone colpite non devono essere un ostacolo al tentativo di arrivare uniti al processo. Questa volontà di unità non significa sottostare a una linea comune da seguire ma elaborare costantemente riflessioni sulle scelte processuali, sui meccanismi repressivi e sulle possibilità di difesa.
L’intento è di trovare un equilibrio tra il piano tecnico di difesa e il piano politico in modo non esclusivamente difensivo, ma teso al rilancio della lotta. In questi cinque mesi, la difficoltà portata dalle diverse custodie cautelari ha ostacolato un reale confronto.
La repressione produce isolamento e paura, che talvolta portano ad automatismi: ad esempio il meccanismo di delega di alcune scelte agli avvocati o l’incapacità di vedere questo processo come politico, con possibili risvolti positivi.
Leggiamo l’operazione giudiziaria non come un attacco a dei singoli atti delittuosi, ma come un attacco a tutto il movimento No Tav. Esso ha sempre saputo compattarsi e unirsi pur nelle sue profonde differenze interne. Allo stesso modo auspichiamo un’assunzione maggiore del processo da parte di tutti.
Abbiamo valutato che il dibattimento possa essere un’occasione per portare la lotta contro il Tav al dì fuori del suo contesto territoriale. Pur consapevoli dell’ostilità del terreno giudiziario, siamo sicuri che i No Tav sapranno muoversi con destrezza anche in questo ambito.
Crediamo infatti che il processo sia parte integrante della lotta No Tav e non qualcosa di periferico. Visto che inizierà in concomitanza con il campeggio estivo in valle, invitiamo tutti, imputati e non, a pensare come questi due momenti possano collegarsi. Anche se fisicamente gli incontri saranno difficili a causa delle misure cautelari, vorremmo che questa lettera fosse l’inizio di una corrispondenza che porti ricchezza ai momenti di lotta estivi.
Alleghiamo a questa lettera un documento che approfondisce alcuni punti di discussione.
Un abbraccio caloroso a tutti e tutte.
Per scriverci:
Mirko LAVEZZOLI
via Borsi 10
20143 Milano
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PROCESSO NO TAV
L’operazione giudiziaria del 26 gennaio scorso, secondo le parole del procuratore capo di Torino Caselli, ha voluto colpire dei singoli fatti delittuosi e non il movimento No Tav nel suo insieme. Il reale tentativo è stato quello di isolare dal proprio contesto i fatti del 27 giugno e del 3 luglio, depoliticizzare quelle giornate, colpendo chiunque si trovasse fisicamente ad affrontare la polizia per difendere la Libera Repubblica della Maddalena prima e per cercare di riprenderla poi.
“Portare la valle in città”
La solidarietà agli arrestati si è diffusa in tutta Italia confermando che la lotta No Tav non è solamente una lotta locale, ma trae la sua forza dal collegamento e dalla vicinanza con le altre lotte.
Il movimento No Tav ha assunto la questione repressiva come già aveva fatto dopo il 3 luglio, quando una campagna mediatica si era scatenata per costruire l’identikit del black bloc sbarcato in Val Susa per attaccare la polizia.
Il “siamo tutti black bloc” seguito dal “si parte e si torna insieme” da semplici slogan sono diventate pratiche e modalità condivise. Così anche nella fase processuale, momento particolarmente delicato, è necessario che si rivelino in tutta la loro forza, in quanto patrimonio collettivo.
Il fatto che la maggior parte degli arrestati non fossero abitanti della Val Susa ha provocato l’effetto opposto rispetto a ciò che si auspicavano i magistrati. Dopo gli arresti sono state innumerevoli le azioni di solidarietà diffuse in tutta la penisola e oltre, dai blocchi stradali alle occupazioni di stazioni, passando per i benefit e gli incontri pubblici a sostegno della lotta. Il collegamento del movimento No Tav con il resto del paese si è reso ancora più evidente, ancora più intenso.
Il processo è parte della lotta No Tav
Non sono solo la vicinanza e la solidarietà attiva agli arrestati a fare del processo una parte della lotta No Tav. E’ necessaria un’assunzione da parte di tutti, un’elaborazione comune delle pratiche e delle parole giuste per affrontare ogni fase processuale. Serve un collegamento tra i momenti giuridici, che si reggono su un terreno a noi ostile, e il ritmo della lotta stessa. L’intensità raggiunta con le esperienze vissute durante le varie fasi della lotta costituisce una risorsa preziosa che non possiamo permetterci di disperdere.
Mentre il processo inizierà il 6 luglio, un campeggio sarà già presente in valle, creando un spazio d’incontro dove intensificare i legami già esistenti e conoscere nuovi compagni. La circolazione tra questi due ed altri momenti sarà un’occasione per rafforzare il movimento e trasformare l’operazione repressiva, lanciata dalla magistratura, in un boomerang che le si rivolga contro.
Subire un arresto, dover passare mesi in carcere, sentire la mancanza di un compagno, un amico indispensabile per la lotta ha un peso enorme sulla forza del singolo e della collettività che gli è vicino. D’altra parte sono i momenti difficili a svelare quanto di politico nasconde un’amicizia, quanto è forte e indissolubile prendere dei rischi insieme, stringersi per non sentirsi soli a subire la repressione. Il volto del potere non assume i tratti di un’astratta figura che dirige e impone dall’alto, come un moderno Leviatano, ma è qualcosa di molto più familiare fatto di funzionari che ci negano permessi, poliziotti che ci svegliano nel cuore della notte, comportamenti che a volte noi stessi riproduciamo e dispositivi che ci tengono divisi.
Dagli arresti del 26 gennaio le misure restrittive sono state dure, tenendo ancora in carcere quattro compagni a distanza di quasi cinque mesi, censurando le corrispondenze, respingendo richieste di permessi. L’accanimento repressivo dimostra quanto la lotta No Tav faccia paura, perché capace di rendersi offensiva e non solo resistente, continuativa ma anche attraversata da momenti di accelerazione.
IPOTESI SU UNA DIFESA COLLETTIVA
A Milano alcuni imputati del processo No Tav si sono incontrati con altri compagni per iniziare a confrontarsi su come affrontare il processo che inizierà il 6 luglio al tribunale di Torino.
La volontà di costituire un’unità al processo, non è solo una scelta di difesa ma una possibilità d’attacco, in quanto l’obiettivo della giustizia, come già avvenuto con l’operazione repressiva, è quello di dividerci. Per questo le scelte individuali o le deleghe non consapevoli agli avvocati rischierebbero di depotenziare la difesa collettiva e di prestare il fianco all’accusa.
Unità non vuol dire uniformarsi ad una linea monolitica di difesa o cadere in un frontismo neutro che annulli le divergenze, ma significa arrivare compatti pur nella diversità di posizioni e di sensibilità. L’eterogeneità non deve essere un ostacolo: può diventare un’occasione per elaborare insieme le scelte su ogni passaggio processuale. Il processo dovrebbe essere affrontato con la stessa attitudine con cui il movimento No Tav è riuscito a rimanere compatto nelle sue differenze, anche nei momenti difficili. Così come parte e si torna insieme nei boschi della Clarea, e tra i guardrail dell’A32, con lo stesso spirito dobbiamo affrontare l’infame aula del tribunale.
Difesa comune significa confrontarsi il più possibile tra imputati e avvocati sulle scelte da fare, allargando la presa in carico del processo a tutto il movimento No Tav. Fondamentale è il collegamento con le prossime fasi della lotta, portando tutta la forza che il campeggio saprà esprimere all’interno del tribunale.
Scegliere il rito ordinario è un’occasione per collegare le fasi processuali con la lotta. Andare a dibattimento, portare testimonianze ed elementi difensivi significa entrare in un terreno ostile non come soggetti passivi che attendono il giudizio, ma prendendo parte al processo con lo spirito combattivo che caratterizza il movimento No Tav. Rinunciare a questa opzione e fare la scelta del rito abbreviato preclude ogni possibilità di rendere questo processo un’occasione politica e di rilancio della lotta. Oltre che esporre se stessi e gli altri a rischi maggiori, questo confermerebbe la tesi dell’accusa di trovarsi di fronte ad un movimento frammentato.
Pur consapevoli delle difficoltà soggettive ed emotive che attraversano gli imputati, la posizione più forte che possiamo sostenere è che davanti ai giudici non ci saranno degli individui chiamati a rispondere delle loro azioni, ma un intero movimento di lotta che non si è fermato davanti alle cariche e nemmeno davanti ad arresti e processi.
L’intenzione di questo documento è proporre una discussione rispetto al processo, alle scelte tecniche e un confronto per non arrivare divisi in aula, per non partire già rassegnati alla condanna.

pc 23 giugno - una misura fascista a napoli contro due compagni - solidarietà di proletari comunisti - manifestazione il 30 giugno

Napoli. Divieto di soggiorno per i compagni: una misura fascista

E’ gravissimo il divieto di soggiorno a Napoli sanzionato come misura cautelare a due compagni dei precari Bros (Luigi e Francesco) arrestati dopo una protesta contro l’autismo autoritario della Regione Campania, che ha letteralmente sequestrato i fondi ottenuti dalla lotta di migliaia di disoccupati.
Si tratta di un ulteriore passo antidemocratico contro le lotte sociali, quasi un ritorno alle modalità confino del regime fascista. Un precedente che minaccia tutti i movimenti. Luigi e Francesco sono due proletari che hanno scelto la dignità della lotta contro l’umiliazione delle clientele e che si vedono invece rappresentati come “pericoli pubblici”. Come se il problema di Napoli fosse il conflitto sociale degli sfruttati e dei subalterni e non la pax mafiosa degli interessi forti.
Le modalità dell’arresto, dopo la contestazione nel porto di Napoli, erano già state del tutto emergenziali, con un imputazione di “capi organizzatori” che di fatto è un atto di pura discrezionalità della Questura e va a sanzionare il diritto di opinione, di autorganizzazione  e di espressione in quanto tale (i due non avevano nemmeno partecipato materialmente all’iniziativa…).
Ora la misura dell’esilio dalla città, che alla persecuzione politica somma il pesante disagio per proletari che ogni giorno devono ingegnarsi lavori e attività per mandare avanti la famiglia.
In mancanza di risposte politiche anche minime, il governo dell’austerity in salsa nazionale e locale trascina le lotte sociali in “problemi di ordine pubblico”, rafforzando una linea di “tolleranza zero” che sposta ancora più indietro il confine della democrazia reale. Tolleranza zero con chi lotta per i diritti negati, inciuci e sostegno invece alla speculazione come conferma l’ultimo scandalo con il regalo di 355 milioni a Impregilo per l’inceneritore di Acerra.
Contro Luigi e Francesco si è consumata un’autentica rappresaglia, una misura “esemplare”, e i movimenti devono rispondere sul terreno della mobilitazione, della solidarietà e dell’informazione. Perchè questa deriva va fermata! Luigi e Francesco liberi subito!

Comitato promotore manifestazione 30 giugno a Napoli, con concentramento alle ore 16 a Piazza Mancini.


Comitato cittadino:
Usb Campania
Sindacato lavoratori in Lotta
Zona Esperienze Ribelli Zero81
Aula Flex
Aula Lp
Laboratorio occupato Bancarotta
Laboratorio Insurgencia
D.A.D.A.
Rete Commons
Precari Bros Organizzati
Coordinamento Territoriale Soccavo
ASP
CARC napoli
Torneo antifascista Quarto
Libreria “Quarto Stato” di Aversa
Sinistra Critica – napoli
Rete dei Comunisti
Partito della Rifondazione Comunista _ Federazione della sinistra - Napoli
PCL
Comitato Casa Bene Comune

prime Adesioni:
Comitato No Debito Nazionale
Occupy Archeo Tower Taranto
Cpoa Rialzo (Cosenza)
Lsa Assalto (Cosenza)
Csoa Depistaggio (benevento)
Csoa Tempo Rosso (pignataro)
Spazio Sociale Zona 22 (San Vito CHietino)
Unione Sindacale di Base
Ultima modifica Giovedì 21 Giugno 2012 11:40

pc 23 giugno - la sentenza di roma che riammette 145 operai della fiat di pomigliano smaschera il fascismo padronale.. ma nessuna illusione solo la lotta e l'uso della forza li riporterà in fabbrica


145 Fiom a Pomigliano
da un articolo di Francesco Piccioni _manifesto
Il tribunale civile riconosce che nello stabilimento campano c'è stata «discriminazione» nelle assunzioni e ordina di «sanare» la violazione
 La Fiom ha ottenuto dal tribunale civile di Roma (non «del lavoro») la «madre di tutte le sentenze»: quella che impone alla Fiat - pardon, alla Fabbrica Italia Pomigliano (Fip) - di assumere 145 ex dipendenti iscritti alla Fiom. Per sovrappiù, la Fiat dovrà corrisponedere a ognuno dei 19 ricorrenti un «danno esistenziale» pari a 3.000 euro. Sentenza inappellabile, subito esecutiva. Un'indicazione anti-discriminazione che vale però anche nei casi di assunzioni al lavoro: nessuno/a può essere svantaggiato a causa delle proprie opinioni o tessere sindacali.
E infatti non c'è eccezione che tenga, nemmeno a Pomigliano. Dove la Fiat, chiudendo e riaprendo come newco («un imbroglio», lo definisce Andrea Amendola, «contro la Fiom e tutti i sindacati dissidenti»), ha riassunto 2.091 dei 4.500 dipendenti originari. Di questi, nessuno tra gli iscritti alla Fiom. La quale, al momento del change aveva 623 iscritti, poi ridottisi a 382 a causa dei ricatti individuali (telefonate, avvertimenti, messaggi trasversali, ecc); ulteriormente scesi di 20 unità quando, di fronte all'alternativa «ti assumo solo se stracci la tessera», altri hanno ceduto. Bene, ha detto il giudice di Roma: 362 iscritti sono l'8,75% dei vecchi dipendenti di Pomigliano, quindi la Fiat deve assumerne almeno 145. In base alle disposizioni che vietano la discriminazione per qualsiasi ragione.
La legge prevede l'esame anche della «prova statistica». E uno statistico ha dimostrato che un'eventualità del genere (nemmeno un iscritto su tot assunti) si verifica una volta ogni 10 milioni. Insomma: la Fiat ha scientificamente scartato tutti quei vecchi dipendenti che avevano avuto qualche frequentazione col sindacato guidato da Maurizio Landini. Per avere una fabbrica popolata di schiavi obbedienti, da sottoporre al «rito dell'acquario» quando sbagliano qualcosa. Come a Guantanamo, pare.
....la Fiom non userà questa sentenza per pretendere il «rispetto di una quota» fissata dal giudice. Le tute blu pretendono invece che a Pomigliano siano riassunti tutti i 4.500 dipendenti che c'erano, senza guardare alle tessere sindacali. «
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Se la legge è uguale per tutti
Loris Campetti
La Fiat ha discriminato gli operai iscritti alla Fiom per le loro idee e per colpire il sindacato da cui hanno deciso di farsi rappresentare. Su 2091 nuovi (si fa per dire) assunti non ce n'è uno solo con quella tessera in tasca. E questo non si può fare da noi, neanche invocando la produttività e la globalizzazione, il dio mercato e la madonna spread. Di conseguenza la multinazionale, già torinese, è costretta dalla sentenza ad assumere subito, oggi, nella nuova società di Pomigliano - nuova solo per mettere fuori il sindacato di Landini - 145 operai iscritti alla Fiom.E a pagare 3 mila euro a ciascuno dei 19 lavoratori che hanno intentato causa all'azienda, l'intero gruppo dirigente dei metalmeccanici Cgil sotto il Vesuvio.
Non basta. Siccome una sentenza precedente targata Torino obbliga la Fiat a riconoscere il diritto della Fiom a eleggere le sue rappresentanze, ora che 145 militanti di questo sindacato rientreranno in fabbrica automaticamente potranno darsi una rappresentanza e riprendere quell'attività democratica che nel castello di sabbia di Marchionne era stata loro impedita. Non è una vittoria della Fiom ma della democrazia perché riconosce ai lavoratori il diritto di scegliere il proprio sindacato e condanna la pretesa della Fiat di decidere al loro posto.
. La controprova della discriminazione messa in atto dalla Fiat sta nel fatto che 20 operai di Pomigliano sono stati assunti solo dopo aver stracciato la tessera della Fiom.
Ciro invece ringrazia le mogli e le compagne degli operai discriminati per aver sopportato e anch'esse resistito. «La cosa più bella questa mattina è stato il pianto a dirotto di mia moglie quando ci hanno telefonato la notizia della sentenza».
Dice Ciro: «Mando un pensiero anche a chi non ce l'ha fatta, a chi preso per la gola ha piegato la testa con la speranza di tornare al lavoro e magari ancora aspetta una chiamata. Non li abbandoneremo. Spero che questa sentenza dia coraggio a chi è stato vinto dalla paura».
Come dice il commosso Landini, che deve il suo successo sindacale e mediatico anche all'orgoglio di questa comunità operaia e lo riconosce, «Marchionne dovrebbe capire che la determinazione, la voglia di lavorare e lavorare bene di queste persone farebbero funzionare meglio le sue fabbriche». Chissà che pensa Marchionne, tutti si chiedono cosa potrà mai inventarsi questa volta. Con quale faccia potrebbe reagire annunciando la dipartita dall'Italia (che sta praticando da mesi) perché vogliono fargli rispettare le leggi e le sentenze? La verità è che dei cinquemila dipendenti della vecchia fabbrica di Pomigliano ne ha riassunti solo duemila, perché la Panda non si vende e la Fiat continua a perdere quote nei mercati italiano ed europeo.
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62 cause per comportamento antisindacale. Sette vittorie
Sara Farolfi
Sessantadue cause, tante quanti sono gli stabilimenti della Fiat in Italia. È dalla firma del contratto unico del settore auto, il 13 dicembre 2011, entrato in vigore il primo gennaio di quest'anno, che la conflittualità tra la Fiom e la Fiat viaggia a tutta velocità anche sul binario delle cause legali. Nel silenzio della politica e delle istituzioni non resta che affidarsi ai giudici. Che finora hanno dato ragione alla Fiom con sette sentenze. Quattordici invece sono quelle vinte dalla Fiat, mentre in un caso, a Modena, il giudice ha riconosciuto le motivazioni della Fiom ma ha chiesto alla Corte costituzionale di esprimersi.
Sessantadue cause, intentate dalla Fiom contro la Fiat per comportamento antisindacale (ex articolo 28). Oggetto del contendere il contratto auto siglato dalla Fiat con Fim, Uilm e Ugl. Il contratto che ha esteso a tutti gli stabilimenti del Lingotto l'ormai noto «modello Pomigliano». Diciotto turni di lavoro, con chiamata anche il sabato, 40 ore in più di straordinario, pause e mensa ridotte al lumicino, in cambio di 600 euro di premio di produzione per quest'anno. Non solo, perchè l'elemento più insidioso del «contratto Fiat» è proprio la norma sulla rappresentanza sindacale, laddove vengono abolite le rsu (rappresentanze sindacali unitarie) e istituite le rsa (rappresentanze sindacali aziendali) nominate dai sindacati firmatari dell'accordo. Fuori dalle fabbriche dunque la Fiom. Fuori dalle fabbriche, soprattutto, i diritti dei lavoratori iscritti alla Fiom.
Così dalla Magneti Marelli di Bologna è partita la prima iniziativa legale. Lì è arrivata anche la prima vittoria, poi seguita da quelle ottenute alla Magneti Marelli di Bari, alla Lear di Caivano, alla Powertrain di Termoli, alla Sevel di Atessa, a Verona e a Pomigliano (per una causa sindacale precedente a quella civile vinta ieri). In quegli stabilimenti la Fiom ha così potuto riappendere le bacheche, nominare le proprie rappresentanze, e ricominciare la propria attività sindacale.
Anche alla Powertrain di Termoli il giudice del lavoro ha dato ragione alla Fiom e ha condannato la Fiat per comportamento antisindacale, riconoscendo il diritto di rappresentanza aziendale della Fiom con l'ultrattività del contratto nazionale unitario firmato nel 2008. Ma la Fiat ha approfittato della sentenza per applicare alle retribuzioni degli iscritti Fiom solo i minimi sindacali previsti dal contratto unitario del 2008. Cosa che, a partire da maggio, ha ridotto le buste paga degli operai con tessera Cgil fino a 300 euro al mese. Non solo: l'assemblea convocata dalla Fiom per mercoledì è stata rimandata dopo che la Fiat, martedì, ha pensato bene di mettere in cassa integrazione la metà circa dei dipendenti dello stabilimento.

23 giugno - da Pomigliano - le denunce dello slai cobas pomigliano smascherano la realtà del padrone



FIAT POMIGLIANO:  “BISCOTTO” ALLA MARCHIONNE

Con la ‘combine’ della medaglia d’argento commissionata a fior di quattrini dalla Fiat all’ accademico Yamashina, il cosiddetto “guru (ma a pagamento) di Kyoto” siamo di fronte ad una risibile farsa: ma s’è mai vista la terzietà del giudice pagato dal giudicato? Sarebbe come credere all’imparzialità dello specchio magico della favola di Biancaneve: “chi è la più bella del reame…? “Tu, mia padrona!

Ma se la farsa-Yamashina è stata indotta dalla necessità della Fiat di ‘rifarsi l’immagine’ per il giustificato crollo della sua credibilità pubblica conseguente le politiche di sfascio industriale ed occupazionale intraprese da Marchionne, ben più grave è l’attacco occupazionale in atto a Pomigliano: i numeri (ed i posti di lavoro) non sono  opinabili!
 SONO OLTRE 1.000  I LAVORATORI “DESAPARECIDOS” A POMIGLIANO

Questi secondo i “dati” della Fiat che dichiara un organico “fuori tutta” di appena 4.134 addetti complessivi nei due stabilimenti Pomiglianesi di Fiat Group Automobiles e Fabbrica Italia! Alla faccia del ‘miracolo occupazionale’ millantato dai sindacati confederali e dalle collegate e compiacenti lobbies politico-istituzionali che hanno confezionato il ‘biscotto avvelenato’ a danno degli operai!

I numeri parlano chiaro: nella procedura di cassa integrazione guadagni straordinaria per ‘cessazione dell’attività’ (dal 15 luglio 2011 al 14 luglio 2013) attivata da Fiat Gruop Automobiles il 16 giugno 2011 per lo stabilimento di Pomigliano gli organici dei lavoratori interessati  - comprensivi di operai ed impiegati - ammontavano a 4.367 lavoratori. Nella procedura di cassa integrazione guadagni straordinaria per ‘riorganizzazione aziendale’ e avviata, per lo stesso periodo biennale e in pari data, stavolta da Fiat Group Automobiles - sede di Nola - gli organici ammontavano a 305 lavoratori (operai/impiegati). Nel frattempo, da accordi sindacali dovevano essere assunti nella newco di Fabbrica Italia oltre 700 addetti dell’ex Ergom (altra fabbrica ‘inguaiata’ da Marchionne). A conti fatti, in FIP oggi lavorano appena 2.100 addetti per le scelte produttive della Fiat (il tentativo di ‘addossare’ alla crisi le perseguite politiche di ridimensionamento/delocalizzazione  industriale è risibile in quanto la ‘crisi’ era ben presente sin dall’inizio del cosiddetto ‘piano’ dell’a.d. del Lingotto). A conti fatti …i ‘conti’ non tornano e ci troviamo di fronte comunque ad una volontà oggettiva di pericolosi taglio occupazionali ed alla prospettiva di ridimensionamento e successiva chiusura.
Azienda, sindaci, prelati, confederali e lobbie politico-istituzionali e mediatiche avevano solennemente garantito “tutti quanti insieme” il riassorbimento in Fiat di circa 5.300 lavoratori degli organici di Pomigliano e degli stabilimenti ex Ergom e, in sopraggiunta, il cosiddetto ‘polo logistico di eccellenza’ di Nola avrebbe dovuto addirittura implementare gli organici (sic). Oggi ci troviamo con una ‘decurtazione preventiva e di fatto’ degli organici preannunciante l’avvio di licenziamenti di massa da luglio 2013.  Appena 2.100 lavoratori sono occupati in newco FIP e senza garanzie occupazionali future e già si parla di prossime “ferie lunghe” a Pomigliano! Tutti gli altri in ‘cassa’ da anni!
 Slai cobas Fiat Alfa Romeo e terziarizzate - Pomigliano d’Arco, 20/6/2012


Fiat Pomigliano / piano-Marchionne / guru di Kyoto
Dopo le forti denunce dello Slai cobas delle scorse settimane sul crack del piano di Marchionne che sta sfasciando la Fiat a Pomigliano (un buco di bilancio di 28,8 milioni di euro, il fallimento del lancio della nuova Panda e la prospettiva di migliaia di licenziamenti mancando una realistica prospettiva di incremento produttivo per consentire l’assunzione dei 2.500 lavoratori da anni in cassa integrazione per cessazione dell’attività di Fiat Gruop nonché il futuro occupazionale dei 2000 addetti nella newco FIP) ed in Italia e sullo  scandalo dei faraonici guadagni dell’a.d. (235 milioni di euro in 5 anni)  ecco richiamato di nuovo in soccorso il cosiddetto “guru di Kyoto” (Hajime Yamashina ‘accademico’ di professione - guarda caso una delle qualifiche di Monti) nel ben pagato ma disperato tentativo di riconfezionamento mediatico della sputtanata immagine della Fiat (se non fosse da piangere sarebbe da ridere).
Oggi si chiamano accademici, una volta a Napoli li chiamavano magliari. Già ci provò, il Yamashina, ad inizio 2009, conferendo all’uopo, a Pomigliano, la medaglia di bronzo (di bronzo come la sua faccia): e gli effetti in questi anni si sono visti tutti compreso lo sfascio in atto della fabbrica.
A realistico ben vedere questo signore ricorda, da vicino, i sarti imbroglioni della fiaba di Andersen, che offrirono a corte le ‘magnifiche stoffe magiche’. Nell’affollata cerimonia pubblica della immaginifica vestizione del re una moltitudine di cortigiani leccaculo (oggi, a Pomigliano, in sembianze di forze politico-istituzionali e confederali) prese servilmente a lodare le meraviglie dell’inesistente abito senza che proprio nessuno osasse constatare (i cortigiani, in quanto tali, sono fatti così) l’immagine riscontrata dai propri occhi, e che cioè non solo l’imperatore era nudo, ma il suo corpo era deforme, ultracellulitico e, in qualche intima parte, ipotrofico e rattrappito. Lo scandalo - ed il ridicolo per tutti i sodali - scoppiò solo grazie ad un bambino che urlò di fronte a tutti il suo stupore: “il re è nudo”… e, aggiungiamo noi, fa pure schifo!
Intanto Marchionne ha già chiuso Termini Imerese, e Arese (facendo business multimiliardario con la speculazione dei suoli in funzione dell’EXPO 2015). A Pomigliano la newco Fabbrica Italia ha già prodotto un buco di bilancio di 28,8 milioni di euro e ad Avellino la FMA è al collasso e la IRISBUS è in chiusura (nonostante quest’ultima sia l’unica fabbrica italiana a produrre autobus ed in Italia ne circolano 20.000 fuori norma rispetto agli standard europei in materia di emissioni inquinanti ed il governo italiano rischia, per questo, una multa di un miliardo e 700 milioni di euro dalla CEE). La Fiat sta delocalizzando gli impianti Italiani in est Europa ed USA. Si appresta a chiudere Pratola Serra, Grottaminarda e Pomigliano, a ridimensionare Melfi e Mirafiori. Le fabbriche Fiat in Italia (e quelle collegate dell’indotto) sono da anni praticamente ferme con la produzione in funzione pochi giorni al mese (da Mirafiori a Cassino, da Pomigliano a Melfi, da Pratola Serra a Grottaminarda ecc.), con i lavoratori a sottosalario, in cassa integrazione e a futuro licenziamento. 
Monti è uomo della Fiat (per anni dirigente dell’esecutivo nazionale della Fiat insieme a Gianni ed Umberto Agnelli, Gabetti e Stevens) nonché speculatore finanziario della Goldman Sachs, una delle più grandi banche del mondo che generarono nel 2007 la crisi finanziaria con le “azioni spazzatura” (subprime). Col suo governo sta proteggendo la speculazione finanziaria internazionale e la desertificazione produttiva in Italia, prevista dal piano di Marchionne. Monti nei giorni scorsi ha dichiarato che…”il processo di delocalizzazione all’estero della Fiat consentirà in Italia l’avvio della produzione della componentistica dell’auto e dei veicoli commerciali nel triangolo Cassino, Melfi Pomigliano”... QUESTO NON E’ VERO perchè già oggi una consistente parte della componentistica del settore è prodotta all’estero (Cina ed est europeo) e, come per la produzione veicolare, è un processo in progressiva intensificazione. E’ questo il “piano” di Marchionne e del suo “socio” Monti e che i cortigiani di CGIL-CISL-UIL, centrosinistra e centrodestra, fanno finta di non vedere continuando a prendere per i fondelli i lavoratori: il re è nudo !
“MONTI E MARCHIONNE SONO LE DUE FACCE DELLA STESSA MEDAGLIA:
I SARTI IMBROGLIONI DI ANDERSEN!"
Slai cobas - coordinamento provinciale di Napoli - 19/6/2012 

LA FIAT RICHIAMA A POMIGLIANO IL SERVIZIEVOLE YAMASHINA, MA LA BUOTADE DELLA “PREPAGATA” MEDAGLIA SILVER NON SERVIRA’ A RIFARSI L’IMMAGINE, FORTEMENTE SPUTTANATA DAL FALLIMENTO DEL PIANO MARCHIONNE, PERCHE’:
IL RE E’ NUDO… E FA PURE SCHIFO…!
E’ questo il titolo, ed il contenuto, del volantino distribuito dallo Slai cobas stamane al cambio turno alla Fiat Pomigliano. Un vero e proprio dossier-verità di puntigliosa informazione sindacale agli operai, oggi più che ma preoccupati per il loro futuro. Le cifre parlano chiare, dal buco di bilancio di 28,8 milioni di euro della newco Fabbrica Italia Pomigliano dato dal prevedibile fallimento del lancio della ‘nuova Panda’ e dalla mancanza di alcuna realistica prospettiva di incremento produttivo a garanzia della tenuta occupazionale per 5.000 addetti (tra FIP e FGA) nonché quelle dell’insieme dei lavoratori dell’indotto.
Il super pagato Marchionne in 5 anni ha incassato in ‘busta paga’ la faraonica cifra di 235 milioni di euro per fare business con lo sfascio di tutti gli stabilimenti Fiat, appoggiato in questo dal governo Monti (già uomo di punta dei massimi vertici Fiat nonché speculatore finanziario della Goldman Sachs una delle più grandi banche del mondo che generarono nel 22007 la crisi finanziaria con le ‘azioni spazzatura) che a sua volta sta sfasciando l’Italia Analogo ruolo è appaltato a tratti dalla Fiat, nei momenti di ‘crisi mediatica’, all’ (ma una volta non si chiamavano magliari?) Hajime Yamashina che, a dispetto dell’acclarato fallimento tecnico-produttivo si appresta ad assegnare la medaglia-combine d’argento a Pomigliano per… la bontà delle strade e dell’aspetto ‘estetico’ dello stabilimento nonché l’impegno all’obbedienza dichiarato dai lavoratori: i piani di questi tre personaggi ci ricordano da vicino la truffa dei sarti imbroglioni della favola di Andersen che vendettero a corte le “inesistenti e magnifiche stoffe magiche” lasciando il re col culo da fuori e… per terra! E la parte svolta dalle compiacenti forze politico-istituzionali e dai sindacali confederali è oggi  identica a quella dei servili cortigiani di allora. Infatti tutti, ancora oggi, fanno finta di non vedere la banale verità continuando a prendere per i fondelli i lavoratori. Ma fino a quando…?!
L’ennesima e risibile boutade della Mazda che Marchionne ha fatto ‘lanciare’ da asservite forze sindacali locali conferma il precipizio che stanno apprestando per i lavoratori.
Ma i lavoratori, e le loro donne, nella consapevolezza di poter contare esclusivamente sulle loro forze, già - per tempo e con calma- si stanno ben organizzando per accumulare forza ed unità a sostegno delle proprie ragioni: e, allora, sarà sorprendente per questi ‘signori’!
Slai cobas Fiat Alfa Romeo e terziarizzate – Pomigliano d’Arco, 19/6/2012
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pc 23 giugno - la manifestazione a milano del 22 - corrispondenza

COME E’ ANDATA LA MANIFESTAZIONE DEL 22 A MILANO PER LO SCIOPERO GENERALE DEL SINDACALISMO DI BASE

Tante bandiere delle varie sigle sindacali che hanno indetto la giornata di sciopero, Cub-Usb-Usi/Ait-Si Cobas-Slai Cobas, ma i numeri dei lavoratori sono stati di una dignitosa iniziativa, più o meno sui 5mila,. Alla testa del corteo, come è giusto che fosse, gli operai della logistica del Gigante di Basiano brutalmente picchiati e arrestati perché hanno osato ribellarsi allo schiavismo che si vivono i lavoratori, principalmente, immigrati nelle cooperative, ma che questo governo sta diffondendo a tutti i settori, e all’ingiusto licenziamento. Dietro le varie delegazioni della Lombardia, da Varese a Pavia, ma anche testimonianze dall’Emilia del terremoto (vigili del fuoco-ferrari) e dal Veneto; un segnale, a nostro giudizio, positivo la presenza di lavoratori torinesi con le bandiere della Confederazione Cobas, sigla che non ha aderito allo sciopero di oggi; e alcuni lavoratori sparsi iscritti della Cgil stanchi di aspettare lo sciopero generale che la Camusso non indirà
certo anche questa manifestazione è all'interno di una concezione e prassi presenti nel sindacalismo di base
di indizione di scioperi generali che tali non sono, nè possono essere, ma possono essere giuste e necessarie giornate di lotta. Nei trasporti le cose sono andate meglio lo sciopero è riuscito nei trasporti (è stato davvero difficile arrivare al concentro vista l’adesione massiccia dei lavoratori dell’Atm e delle ferrovie). Mille lavoratori dell’ospedale S. Raffaele che avendo fatto degli scioperi nelle scorse settimane non potevano aderire allo sciopero di oggi, e che hanno scelto di fare lo stesso una giornata di sciopero con relativa manifestazione da un’altra parte della città. A fine manifestazione è emerso un altro segnale positivo: questa volta dal palco non sono intervenuti i dirigenti ma hanno preso la parola i lavoratori immigrati, che, al di la delle sigle di appartenenza, e dalle lotte che fanno, hanno parlato di unità di classe- di sindacato
classista contro le logiche di tante sigle- di lotta contro razzismo/stato di polizia- di lotta per l’abbattimento di questo sistema- e qualcuno, ricordando quanto sta avvenendo nelle Asturie ha parlato “metaforicamente” di guerra popolare; altrettanto intervento positivo è stato quello di un vigile del fuoco che ha parlato del tipo di lavoro in cui li vorrebbero coinvolgere in Emilia (organo di controllo e repressione) a cui loro stanno dicendo no, rivendicando la dignità di lavoratori al fianco di altri lavoratori e la loro presenta era a testimonianza di
questo; infine vi è stato l'intervento della Rete Nazionale per la sicurezza di Milano che ha sostenuto due cose: 1) la battaglia per la sicurezza sul lavoro è una delle questioni principali nella lotta contro il governo che riguarda tutti al di la delle appartenenze; 2) l’invito ad aderire e partecipare al presidio al tribunale di Milano il 9 luglio quando si aprirà il processo per la strage all’Eureco di Paderno Dugnano.

di

pc 23 giugno - lo sciopero dei sindacati di base un segnale e un appello alla lotta

2/06/2012
In allegato le immagini delle manifestazioni
SCIOPERO GENERALE: MIGLIAIA DI LAVORATORI IN PIAZZA. A ROMA E MILANO BLOCCATI BUS, METROPOLITANE E SERVIZI
20.000 in piazza a Roma, altrettanti a Milano, per le due manifestazioni centrali dello sciopero generale di 24 ore, proclamato oggi da USB, CUB, Cib-Unicobas, Snater, USI, SI-Cobas e Or.S.A., in tutto il settore pubblico e nelle aziende private. Altre iniziative di mobilitazione si sono svolte in Sicilia ed in Sardegna.
Positivo il risultato dello sciopero, indetto contro le politiche economiche e sociali del governo Monti. Bloccati i trasporti urbani che, in base ai primi dati, vedono a Roma il 75% di astensione in ATAC ed il 50% al Cotral, con la metro A ferma e la B fortemente rallentata. Nella capitale asili nido chiusi al 80% e ripercussioni anche in altri servizi pubblici. A Milano sono chiuse tutte le linee della metropolitana e fermi autobus e tram.
“FERMIAMOLI”, lo striscione di apertura delle due manifestazioni. In testa a quella di Milano, una delegazione dell’Emilia Romagna, esclusa dallo sciopero a causa del sisma. Molte le fabbriche in corteo, fra cui la Fiat Mirafiori e la Fomas di Lecco; presente lo spezzone dei migranti Basiano, recentemente caricati dalle forze di polizia mentre manifestavano per i propri diritti.
A Roma il corteo è stato aperto dai Vigili del Fuoco, in sciopero anche contro i pesantissimi tagli al Corpo nazionale ed al soccorso alla popolazione. Tanti i dipendenti pubblici, fra cui una delegazione dei lavoratori ISFOL al quindicesimo giorno di occupazione dell’Istituto a rischio smantellamento; come pure tanti del settore privato, come i dipendenti aeroportuali e della grande distribuzione, i rappresentanti dei movimenti sociali e per il diritto all’abitare.
Il corteo romano si è concluso in piazza SS Apostoli, che rimane presidiata con le tende per proseguire la protesta  accompagnando l’iter parlamentare della riforma.
Per l’Unione Sindacale di Base, questo sciopero è l’unica lotta messa in campo contro la riforma Fornero, mentre assordante è il silenzio delle organizzazioni che sostengono di essere rappresentative dei lavoratori. Dopo questo sciopero continua il conflitto, in tutte le città e nei luoghi di lavoro, per impedire che questo controriforma venga applicata.

pc 23 giugno - solidarietà ai compagni anarchici arrestati - fermiamo la caccia alle streghe - unità e lotta comune contro la repressione - corteo a Perugiae

riceviamo e diffondiamo:

SCOMODIAMO LA CITTÀ

Anni di torpore sociale hanno fatto di Perugia un contenitore di eventi, svuotato di qualsiasi socialità diversa da quella della merce e della sua incessante riproduzione, la recente crisi globale ha mostrato, qui come altrove, la fragilità del migliore dei mondi possibili in mano ad una manciata di banchieri speculatori e  faccendieri. Evidentemente timoroso della ovvia e necessaria risposta sociale, il sistema di potere esercita le sue consuete misure repressive, celandole dietro slogan populisti, come: “Perugia città sicura”. È sempre più palese come ciò produca continui allarmismi, utili solo ad infondere una paura diffusa, il cui obiettivo è assicurarsi che le persone si occupino unicamente della loro routine quotidiana di lavoro e consumo.

Non ci sorprende affatto come tale clima di tensione abbia come conseguenza una risposta, neanche tanto originale: partendo da ridicole e insistenti denunce per blocchi stradali, manifestazioni e volantinaggi, si arriva alla terribile notte del 13 giugno con l'operazione antiterrorismo (“Ardire”), firmata dalla PM Comodi ed eseguita dall'ormai “famoso“ Generale dei ROS Ganzer, che ha portato all'arresto di dieci anarchici (tre dei quali accusati di far parte della cellula perugina). Costui è lo stesso che è stato condannato in primo grado a 14 anni, perchè:"non si è fatto scrupolo di accordarsi con pericolosissimi trafficanti ai quali ha dato la possibilità di vendere in Italia decine di chili di droga garantendo loro l'assoluta impunità". (Repubblica 27 dicembre 2010).

Nonostante ciò, il teatrino dell'assurdo ci propone ora uno sfrontato teorema accusatorio: una scritta sul muro, l'affissione di striscioni e l'imbrattamento di un bancomat diventano capi di imputazione per associazione sovversiva finalizzata al terrorismo (art.270-bis), legge di diretta derivazione fascista.

Alla persecuzione giudiziaria si è strumentalmente aggiunto l'accanimento mediatico che, riempendo di menzogne le pagine dei giornali, ha prontamente operato alla costruzione del mostro. I nostri "bravi" giornalisti sono
evidentemente piuttosto miopi, se hanno scambiato semplici lampadine, mollette da bucato e qualche chiodo (“ricco” bottino delle perquisizioni) per materiali esplosivi.
Ci sembra evidente come l'operazione ARDIRE sia finalizzata a distogliere l'attenzione dalle esplosive contraddizioni sociali e a tentare di normalizzare una situazione di forte e legittima conflittualità attraverso la strategia della paura. Rigettando il teorema accusatorio, richiediamo l'immediata liberazione dei compagni/e arrestati.

L'assemblea che si è costituita in seguito a questi fatti, formata da tutti coloro che hanno sentito la necessità di rispondere a quest'ennesimo atto repressivo indice a Perugia un


CORTEO CITTADINO, SABATO 23 GIUGNO, CON PARTENZA DA PARCO
SANT'ANNA (adiacente a piazzale europa) ORE 16:00
VENERDI 22 GIUGNO, ORE 17 ASSEMBLEA PUBBLICA FACOLTÀ DI LETTERE (p.zza Morlacchi)

LIBERI TUTTI E TUTTE




Mar, 19/06/2012 – 21:24

pc 23 giugno - il comunicato è di proletari comunisti PCm Italia - compagni un po' di correttezza

proletari comunisti_PCm italia è la sola organizzazione che ha emesso un comunicato, ha fatto una iniziativa a milano, e un manifesto nazionale in occasione del 19 giugno
ce ne dispiace perchè avremmo voluto che altre organizzazioni facessero il loro, ma non è avvenuto, ma qualche parassita c'è sempre che ha fatto di peggio ha postato in indymedia e fatto circolare il nostro comunicato senza riportarne la firma
ha emesso quest'anno Il 19 giugno 1986 in diverse carceri peruviane 300 prigionieri politici comunisti e rivoluzionari del Partito Comunista del Perù, impegnati nella guerra popolare contro l’imperialismo e il regime reazionario di Alan Garcia, furono attaccati dall’esercito con l’ausilio dell’aviazione e opposero una resistenza eroica. Furono massacrati ma trasformarono le carceri in luminose trincee di combattimento.
Da allora il 19 giugno è divenuta simbolo della lotta dei prigionieri rivoluzionari nelle carceri dell’imperialismo.
Ogni anno questa data si riempe dei contenuti di queste lotte perchè l’esistenza e la resistenza dei prigionieri rivoluzionari è una spina nel fianco dell’imperialismo ed è parte delle lotta, della resistenza , delle guerre rivoluzionarie nel mondo.
Bisogna sviluppare la massima solidarietà con i prigionieri politici rinchiusi nelle carceri imperialiste.
Bisogna sostenerne la difesa delle condizioni di vita e della loro identità politica contro persecuzione, isolamento, torture, in particolare in Italia contro l’applicazione ai prigionieri politici del 41 bis.
Bisogna lottare contro la repressione che colpisce i giovani, proletari e le masse popolari che si ribellano. dalla Grecia al Canada, dalla Spagna alla Svizzera ecc.
Oggi come allora bisogna affermare in questa giornata che la via rivoluzionaria al comunismo è la sola soluzione per il proletariato e le masse oppresse per uscire dalla crisi del sistema capitalista in putrefazione che per sopravvivere produce sempre più morti, miseria, alienazione e guerre imperialiste.
Oggi come ieri in Perù, nelle Filippine in India, Turchia, i popoli conducono guerre popolari, guidate da partiti comunisti maoisti e i regimi asserviti all’imperialismo rispondono con massacri e genocidi, come avviene oggi in particolare in India con l’operazione Green Hunt caccia verde.
In tanti altri Paesi del mondo e nei paesi imperialisti tanti compagni lottano per la costruzione di partiti comunisti rivoluzionari autentici e pagano con il carcere questo loro impegno.

pc 23 giugno - Aldrovandi - condannati i poliziotti assassini

Aldrovandi, la Cassazione conferma le condanne ai poliziotti per omicidio

Tre anni e mezzo per i quattro poliziotti : si chiude così una delle vicende più cupe che abbiamo mai coinvolto gli organi di polizia. Il ragazzo venne pestato a morte mentre rientrava a casa dopo una serata in discoteca
La Corte di Cassazione ha confermato la pena a tre anni e mezzo per i quattro poliziotti già condannati nei primi due gradi di giudizio per la morte di Federico Aldrovandi. Paolo Forlani, Monica Segatto, Enzo Pontani e Luca Pollastri poco prima delle 6 di mattina del 25 settembre 2005 ingaggiarono una violenta colluttazione con il ragazzo di 18 anni, che stava rincasando a piedi dopo una serata in discoteca con amici.
Dopo le sentenze di primo grado del tribunale di Ferrara, il 6 luglio 2009, e quella della Corte d’Appello di Bologna che il 10 giugno 2011 confermò quel verdetto (pena ridotta a sei mesi con l’indulto), ora la condanna è definitiva.
L’udienza davanti alla IV sezione della Corte Suprema era iniziata questa mattina alle 10.30 con la requisitoria del procuratore generale Gabriele Mazzotta. “Schegge impazzite” l’espressione utilizzata per definire gli imputati, che avrebbero agito con un uso eccessivo della forza “nei confronti di una persona inerme”, anziché comportarsi come “responsabili rappresentanti delle forze dell’ordine”’.
“I poliziotti non avevano davanti un mostro – ha insistito la pubblica accusa di piazza Cavour -, eppure si sono avventati in quattro contro un ragazzo solo. Le condotte assunte dimostrano un grave deficit di diligenza e di regole precauzionali. L’agire dei poliziotti ha trasceso i limiti consentiti”. In quei limiti rientrano il “tentativo di depistare le indagini” denunciato dal pg, i due manganelli rotti nel pestaggio e le 54 lesioni che il medico legale constaterà sul corpo di Federico, “ognuna meritevole di un processo a parte”, come le descrisse il giudice di primo grado Francesco Caruso nelle motivazioni della sua sentenza.
Dopo l’intervento di Mazzotta è stato il turno delle arringhe dei difensori (tra i quali è comparso anche Niccolò Ghedini, il legale di Silvio Berlusconi che difende Segatto) che si sono protratte fino alle 15. Dopo ore di attesa la Corte è ricomparsa in aula alle 19.20 e ha emesso la sentenza di rigetto.

venerdì 22 giugno 2012

pc 22 giugno - Palermo in lotta per il lavoro e contro la repressione





LA VOSTRA REPRESSIONE NON CI FA PAURA LA NOSTRA LOTTA SARA' SEMPRE PIU' DURA

IL POSTO DI LAVORO NON SI TOCCA LO DIFENDEREMO CON LA LOTTA

I precari e le precarie delle Coop Sociali, organizzati nello Slai Cobas per il s.c., sono tornati a denunciare con forza stamattina a Palazzo Comitini il comportamento arrogante della
Provincia Regionale di Palermo contro lavoratori che lottano per un diritto sacrosanto qual è il lavoro, in un settore peraltro molto delicato nell'ambito sociale come l'assistenza ai disabili nelle scuole.

Il Presidente Avanti e compagnia in linea con il governo Monti/Fornero pensano di risolvere i problemi facendoli diventare tutti questioni di ordine pubblico: dopo avere annunciato nei giorni scorsi a gran voce per l'anno prossimo tagli alle risorse e licenziamenti hanno risposto alle proteste e lotta dei precari con l'antisommossa, ma i lavoratori non si rassegnano a perdere il posto di lavoro, un diritto basilare per la loro vita.

A sostegno dei precari e contro la repressione in generale sono scesi in strada anche una delegazione di genitori dei ragazzi disabili, ma anche lavoratori scuola, policlinico, ex precarie postali, una delegazione di operai fiom Keller in cassa integrazione e di studenti, i compagni del circolo di proletari comunisti.

Forte solidarietà è stata espressa da tutti i presenti verso i lavoratori, operai, disoccupati… in lotta colpiti dalla repressione nel nostro paese, in particolare verso gli operai immigrati delle cooperative settore logistica in lotta per la difesa del posto di lavoro, ferocemente colpiti a Basiano nei giorni scorsi dalle cariche della polizia davanti la fabbrica "LA LORO LOTTA E'
ANCHE LA NOSTRA LOTTA".

Per diverse volte è stata bloccata la strada antistante il palazzo Comitini con il traffico letteralmente in tilt, slogan continui, megafonaggio continuo, sventolio delle bandiere, ma dobbiamo segnalare che diversi autiomobilisti prendevano volentieri il volantino ed esprimevano solidarietà.

La pressione dei manifestanti ha costretto alla fine la Provincia ad incontrare i rappresentanti dello slai ... MA LA LOTTA CONTINUA

pc 22 giugno - EFFER TARANTO: UN ESEMPIO DI FASCISMO PADRONALE E DEL RUOLO IN ESSO DI CONTROLLO OPERAIO DA PARTE DI FIM, FIOM, UILM.

Erano da “commedia dell’assurdo” se non fosse invece cruda realtà, le facce, le espressioni e le dichiarazioni spaventate e assurde dei massimi vertici dell’azienda metalmeccanica Effer spa, nell’incontro che questi hanno avuto giorni fa con i rappresentanti dello Slai cobas per il sindacato di classe di Taranto.
La proprietaria della Effer affermava con un volto “estremamente preoccupato e funerio” che nel suo giro in fabbrica, aveva notato un “clima di paura, di tensione causato dalla azione dello Slai cobas Effer”  – il quale il 29 maggio aveva semplicemente fatto un presidio/assemblea davanti alla fabbrica in cui tutti gli operai si erano spontaneamente fermati e di fatto avevano trasformato quel presidio in sciopero -; quindi affermava che alcuni “lavoratori (poi, incalzata, ha chiarito che non si trattava di semplici “lavoratori” ma di capi) in un giorno successivo in cui vi era un volantinaggio del cobas, erano “terrorizzati ad uscire dalla fabbrica e sarebbero tornati indietro”, ecc. ecc.
Che il cobas Effer avesse suscitato loro una vera preoccupazione era confermato dal fatto che per scongiurare questa presenza dello Slai cobas questi dirigenti aziendali si erano “impegnati” in prima persona: erano scesi apposta da Bologna, avevano fatto direttamente un’inchiesta tra gli operai (leggi: azione coercitiva, intimidatoria e ricattatoria tra gli operai) per farli cancellare dal cobas e avevano tentato un’opera individuale di convincimento verso quegli operai che si sono tolti dai sindacati confederali, affinchè rientrassero nei ranghi, sicuri e tranquillizzanti, di Fim, Fiom e Uilm.

Sindacati, in particolare Fim e Fiom che, a loro volta, non smentendo i padroni, hanno dato una grossa mano (spontanea…) all’azienda facendo in giro affermazioni false e offensive nei confronti dello Slai cobas per il sindacato di classe, del tipo: "chi si iscrive ai cobas viene licenziato", "se entra lo slai cobas alla Effer questi faranno chiudere l'azienda", "non ti conviene iscriverti allo slai cobas", ecc., per creare un clima di intimidazione tra gli operai e impedire la loro libera organizzazione sindacale.
Un’azione che ha contribuito oggettivamente - non sappiamo se anche soggettivamente - al grave provvedimento di "sospensione dallo stipendio e dal lavoro" ai due operai, Gregorio e Giovanni, iscritti allo slai cobas per il sindacato di classe e i più attivi e riconosciuti del cobas, per “aver con le loro macchine il giorno 29 bloccato i cancelli dell’azienda (che erano e sono rimasti chiusi dall’interno e a cui nessun operaio si era avvicinato per entrare) con le loro macchine (ma sul piazzale vicino ai cancelli vi erano almeno 40 macchine degli operai) e di aver portato un grave danno economico all’azienda! Un provvedimento che il CCNL metalmeccanico inserisce nei “licenziamenti senza preavviso” per gravissime colpe.

Quanto sta accadendo alla Effer è un altro spaccato del clima e dell’azione oggi del fascismo padronale.
In piccolo, l’azione terrorista dell’azienda è della stessa natura di quella di Marchionne alla Fiat Sata: il fatto stesso che si fa azione sindacale vera (ma normale), una semplice fermata della produzione, ma fino al semplice volantinaggio, sono considerati come gravi azioni di “sabotaggio”! Quindi, è la stessa attività sindacale, l’azione di difesa delle condizioni di lavoro e salariali degli operai, lo sciopero, che rappresentano di per sé una provocazione inaccettabile per il padronato!
E’ questa azione, questa organizzazione sindacale degli operai che va cancellata ed è inconcepibile!

Dovevate vedere le facce, le espressioni anche umorali dei vertici della Effer: erano scandalizzate, impaurite ma anche sorprese - come a dire: “chi ha osato fare attività sindacale!? Chi ha osato mettere in discussione l’azione aziendale!?
L’iscrizione degli operai a Fim, Uim, e purtroppo a Taranto nelle fabbriche metal meccaniche anche a Fiom, per l'azienda è una garanzia e un controllo che rassicura che ogni violazione dei diritti non provocherà alcuna reazione sindacale. Il fascismo padronale ha bisogno dei suoi servi…

Ma se anche un volantinaggio, un semplice sciopero viene visto oggi come pericolo, come rottura degli “accordi presi con i sindacati confederali” (come hanno detto i vertici padronali della Effer); se vengono stracciate anche le normali relazione/scontri sindacato/azienda – per cui non conta il fatto in sé (una fermata, uno sciopero) ma la “provocazione” che quel fatto ha significato per l’azienda, la quale si “indigna”, è offesa che tu hai osato rompere la “fiducia” (leggi: stato di subordinazione anche ideologico) su cui l’azienda aveva posto la sua tranquillità per continuare a difendere i profitti scaricando sugli operai tutti gli effetti della crisi vera o, spesso, della crisi strumentale; allora anche gli operai devono farsi i loro conti e tirare le conseguenze necessarie: costruire l’organizzazione sindacale di classe, rispondere alla guerra dei padroni con tutte le armi della guerra di classe, per difendersi e attaccare.

pc 22 giugno - ricordando un assassinio poliziesco milano 30 giugno corteo


Per non dimenticare ...
dopo la verità vogliamo giustizia per Michele
Il quartiere piange un fratello, un compagno di lotte che ha pagato con la vita il suo essere sempre presente e partecipe alle battaglie quotidiane della sua gente.
Come il giorno della sua morte, il 30 giugno 2011 in via Varsavia a Milano, quando la polizia ha risposto con folle e inaudita violenza di fronte ad un uomo indifeso che voleva solo essere libero di poter stare in compagnia dei suoi amici in una calda notte d'estate.
Michele, ennesima e sicuramente non ultima, vittima delle politiche sulla sicurezza di questo Paese, dove in nome e per conto della legalità si riesce solo ad impugnare il manganello.
Un Paese che non ascolta i bisogni dei più deboli, ma riesce a schiacciare sogni ed ambizioni, come quelli di Michele che chiedeva solo, per la sua famiglia e la gente tutta, vedere affermato il diritto alla casa e alla sua felicita’.
Ora la verità di quella notte è chiara a tutti, ma a noi non basta, ai suoi compagni ed al suo quartiere.
Noi chiediamo, PRETENDIAMO GIUSTIZIA per Michele e la sua famiglia e per tutti coloro che ancora oggi sono state e sono vittime di questa assurda e cieca violenza di Stato.
SABATO 30 GIUGNO 2012
CORTEO ORE 21 CONCENTRAMENTO VIA del TURCHINO 20
Amici di Michele, Comitato inquilini mercato pollame

pc 22 giugno - Bergamo:presidio contro la Fornero, contestato duramente Landini Fiom


Giornata di lotta operaia contro il governo Monti-Fornero, nel centro cittadino di Bergamo, per la prima volta si sono visti gli operai della Same e di altre fabbriche in lotta della Fiom, assieme agli operai  dello Slai Cobas s.c. con delegazioni dalle logistiche alle fabbriche metalmeccaniche, i sindacati di base e centri sociali, che dopo la manifestazione per lo sciopero a Milano sono venuti al presidio per contestare il ministro del lavoro invitato a Bergamo dalla federmeccanica per parlare del contratto nazionale dei metalmeccanici assieme ai segretari di cgil-cisl-uil.

Sfugge la Fornero, Landini contestato 

Pomeriggio di contestazione a Bergamo

Proteste al Teatro Donizetti per l'assemblea di Federmeccanica. La rappresentante del Governo entra da un ingresso secondario

Alessandro Belotti
Landini e la Fornero a colloquioLandini e la Fornero a colloquio
BERGAMO – Atmosfera calda, e non solo meterologicamente parlando, in quel di Bergamo. «Buffone», «Traditore», «Venduto»: così i manifestanti anti-Fornero hanno accolto questo pomeriggio il leader della Fiom Maurizio Landini al suo arrivo all’Assemblea di Federmeccanica al Teatro Donizetti. Una contestazione che il leader sindacale non aveva messo in conto, decidendo di fermarsi a parlare con i manifestanti, ossia i giovani del centro sociale Pacì Paciana, della Rsu Fiom della Same Treviglio, i dissidenti della Piaggio di Pontedera e gli operai di aziende come la Fibe. E anche quando Landini si è soffermato a parlare con i cronisti gli è arrivata addosso una salva di insulti, grida e persino qualche gavettone. «Hanno bisogno di farsi un po’ di pubblicità, ma sono lavoratori e io ho rispetto per tutti i lavoratori, tanto è vero che sono passato di qui apposta per sentire le loro ragioni». «Invece di parlare in televisione vieni qui tra gli operai». «Niente compromessi», «Dovete sostenerci, non andare contro di noi», gridavano, facendo da contraltare, i contestatori, che gli hanno anche allungato simbolicamente una penna per firmare un accordo di cui non vogliono nemmeno sentire parlare.

CAMUSSO E FORNERO NEL MIRINO – Ma il leader della Fiom non è stato l’unico bersaglio dei manifestanti: oggetto della contestazione sono stati anche il leader della Cgil Susanna Camusso e il ministro Elsa Fornero, a cui sono stati riservati slogan ed epiteti tutt’altro che ripetibili. E tra le urla e gli improperi dei manifestanti, stipati contro le transenne che li contenevano a fatica, spiccava anche il libro mostrato con orgoglio da Ettore, precario di 21 anni, proprio sotto il naso dei poliziotti che presidiavano la zona e il cui titolo era “Minima Moralia” di Adorno, il celebre filosofo marxista. Alle 15 il ministro Fornero ha scelto di entrare nel teatro dalla porta laterale, non incontrando così i manifestanti che la aspettavano davanti al Donizetti e che intorno alle 17 hanno lasciato la zona del Sentierone, mentre l’incontro, all’interno, era ancora in corso.


Assemblea Federmeccanica
La manifestazione in centro città organizzata per "accogliere" il ministro Elsa Fornero, ospite all'assemblea di Federmeccanica, ha contestato lo stesso segretario Fiom Maurizio Landini che da Bergamo ha annunciato un referendum contro la riforma del lavoro.
Fornero a Bergamo
“Riforma imperfetta”
Corteo contesta Landini
L’articolo 18 non si tocca”. Erano circa 200 i manifestanti che, raccolti davanti al Teatro Donizetti per protestare contro la riforma del lavoro, hanno scandito a più riprese questo slogan. La contemporanea presenza, in occasione dell’Assemblea Generale di Federmeccanica, di tutti i rappresentanti sindacali, del ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali Elsa Fornero e del presidente di Confindustria Giorgio Squinzi ha convinto esponenti di Rifondazione Comunista, attivisti dei centri sociali e la Rsu Fiom della Same a presidiare il piazzale antistante il teatro cittadino per far sentire la propria voce e per chiedere la proclamazione di uno sciopero generale.
Bersagli privilegiati della contestazione sono stati naturalmente Mario Monti, Elsa Fornero e Susanna Camusso. “Monti in un call center, Fornero in fonderia: è questa la nostra democrazia”.
Tra i manifestanti si è presentato anche il segretario nazionale della Fiom Maurizio Landini che, però, è stato duramente fischiato da un gruppo di iscritti alla Fiom che manifestano fuori dal teatro Donizetti. “Venduto, non ci rappresenta nessuno”, gli hanno urlato. La contestazione ha colpito anche il segretario regionale Fiom Lombardia Mirco Rota e il segretario provinciale Eugenio Borella.
All'interno del teatro cittadino di Bergamo, intanto, si sta svolgendo l'assemblea di Federmeccanica, con gli interventi del presidente di Federmeccanica Pier Luigi Ceccardi, del presidente di Confindustria Giorgio Squinzi e del ministro del Lavoro Elsa Fornero che, per sfuggire a fischi e insulti, ha preferito entrare da un’entrata secondaria.
Il presidente di Federmeccanica ha presentato dati allarmanti. La recessione non accenna a mollare la presa e le previsioni future sono tutt’altro che positive. “Nel primo quadrimestre di quest'anno la produzione industriale del settore metalmeccanico e' diminuita del 2,3% sul quadrimestre precedente, del 5,6% sullo stesso periodo del 2011 e del 27,6% sul primo trimestre del 2008''. 'In questa situazione gia' di per se' drammatica - ha aggiunto Ceccardi - si e' ora aggiunto il gravissimo sisma che ha colpito l'area che rappresenta, per quantita' e qualita', uno dei principali gangli vitali dell'industria metalmeccanica italiana''.
Le prime parole del ministro Fornero sono state sugli esodati: “Le cifre sono state superate dai fatti, ma non abbiamo mai ignorato il problema. Il governo sta cercando soluzioni eque e sostenibili”. Poi ha espresso l’intenzione di voler varare la riforma del Lavoro prima del consiglio europeo del 28 e 29 giugno ma poi ha ammesso: "Non e' una riforma perfetta: se ci saranno delle modifiche le faremo pensandole con sano pragmatismo".
Nel frattempo il segretario nazionale della Fiom proprio da Bergamo ha annunciato un referendum se passerà la riforma del lavoro: "Se la riforma del lavoro diventerà legge, la Fiom promuoverà una raccolta firme per un referendum abrogativo. Il governo - ha denunciato il sindacalista - ha posto la fiducia e sta per passare un provvedimento assolutamente inaccettabile che non da nessuna prospettiva. Il rischio e' che saltino interi settori industriali''. Per questo, ha chiarito Landini, ''non abbiamo nessuna intenzione di fermarci. E anche se dovesse passare la fiducia, com'e' probabile, noi non aspetteremo comunque la modifica dell'articolo 18. Continueremo la nostra mobilitazione nel paese, se necessario anche raccogliendo firme per referendum abrogativi su leggi sbagliate''.
Venerdì, 22 Giugno, 2012

pc 22 giugno - manifestazione degli immigrati a bologna il 30 giugno



Noi non ce ne andiamo: appello per un presidio dei migranti e con i migranti, il 30 giugno davanti alla prefettura di Bologna


Il dramma del terremoto ha messo in luce il disastro che si chiama legge Bossi-Fini. 
Noi migranti siamo oltre cinque milioni in Italia, ma siamo considerati uguali agli altri solo per essere sfruttati o quando sacrifichiamo la nostra vita sui posti di lavoro. A causa di questa legge, del contratto di soggiorno, della presenza dei CIE, della minaccia dell’espulsione, noi migranti siamo doppiamente ricattati sui posti di lavoro, nello studio e in ogni ambito della vita. A causa di questa legge, tanti stanno perdendo le condizioni per rinnovare il permesso per sé e per i propri figli nati qui o arrivati da piccoli. Questo succede anche perché le Questure stanno interpretando la legge in maniera restrittiva: chiedendo continui aggiornamenti della documentazione, concedendo permessi della stessa durata di contratti di lavoro sempre più precari. Per chi è senza permesso è invece impossibile ottenerlo e migliaia di persone stanno ancora aspettando una risposta dopo la sanatoria-truffa del 2009.
A causa di questa legge, migliaia di persone, lavoratori e lavoratrici, studenti, bambini che vivevano nelle zone colpite dal terremoto rischiano ora di perdere, oltre alla casa e al lavoro, anche i documenti. La Bossi-Fini è un disastro che rende ancora più insopportabile il dramma del terremoto. È inaccettabile il silenzio del governo sulla moratoria per i permessi di soggiorno. D’altra parte, cambiano i governi ma non la Bossi-Fini, e l’unica differenza è la tassa odiosa sui permessi di soggiorno. Per il resto solo parole e le solite promesse. Tutti però sanno che noi migranti siamo una parte fondamentale di questo paese. Qui lavoriamo, qui nascono, crescono, studiano i nostri figli e le nostre figlie. Se noi migranti non abbiamo sicurezza nessuno potrà averla, perché la Bossi-Fini è una fabbrica di sfruttamento e precarietà che colpisce tutti. In questa situazione è necessario scegliere da che parte stare: noi non accettiamo che questo sia considerato normale.
Per questo non stiamo zitti. Non accettiamo la Bossi-Fini: non accettiamo di essere ogni giorno ricattati dove viviamo e lavoriamo, non accettiamo che il dramma del terremoto diventi un disastro per i migranti. Per questo invitiamo uomini e donne, migranti e italiani, a partecipare al
PRESIDIO DEI MIGRANTI E CON I MIGRANTI, DAVANTI ALLA PREFETTURA DI BOLOGNA, SABATO 30 GIUGNO DALLE ORE 10.30
  • per sostenere e rilanciare la richiesta di una moratoria urgente sui permessi di soggiorno nelle zone terremotate
  • per denunciare l’applicazione della legge da parte di Questure e Prefetture che di fatto spesso impedisce di ottenere il permesso per ricerca lavoro
  • per dire NO alla legge Bossi-Fini e al contratto di soggiorno, per il permesso di soggiorno per tutte e tutti senza truffe né ricatti
Facciamo appello a tutte le realtà e a tutti gli uomini e le donne che hanno sottoscritto la richiesta per una moratoria urgente sui permessi di soggiorno e che possono raggiungere Bologna a essere attivamente con noi quel giorno.
Coordinamento Migranti Bologna e provincia, Coordinamento Migranti Cento, Scuola d’Italiano con migranti Xm24, Sportello medico-giuridico Al-Sirat