sabato 26 maggio 2012

pc 26 maggio: PROLETARI COMUNISTI ALLA MANIFESTAZIONE DI REGGIO CALABRIA

Ora e sempre resistenza
la repressione non ferma ma alimenta la ribellione!

Fascisti carogne tornate nelle fogne - chi tocca uno di noi tocca tutti
contro il moderno fascismo, contro il fascismo padronale
guerra di classe!
La crisi del capitalismo non ha altra soluzione che
la rivoluzione proletaria

Per fare la rivoluzione serve il Partito reparto d’avanguardia della classe operaia basato sulla teoria marxista-leninista-maoista, un Partito Comunista di tipo nuovo, serve un fronte unito delle masse oppresse diretto dal proletariato, serve una forza combattente per rovesciare lo Stato del capitale

proletari comunisti - ro.red@libero.it

pc 26 maggio - ALLA MANIFESTAZIONE DI BRINDISI: SLAI COBAS PER IL SINDACATO DI CLASSE E LE COMPAGNE DEL MFPR


IL NOSTRO IMPEGNO: LOTTARE CONTRO GLI ODIOSI ASSASSINI E QUESTO SISTEMA CHE LI PRODUCE

Siamo lavoratrici, precarie, disoccupate di Taranto dello Slai cobas per il sindacato di classe,
torniamo oggi qui, dopo esserci state alla prima manifestazione e al funerale di Melissa.
Dolore e rabbia sono sempre gli stessi della prima ora e condividiamo ciò che gli studenti hanno detto dal primo momento - con commozione, espressioni di amore per Melissa, ma soprattutto determinazione attraverso la loro unità e forza: “qualunque cosa farete non ci fermerete!”, “non distruggerete il nostro futuro!”...

Respingiamo nello stesso tempo l’ipocrisia e la retorica di governanti, rappresentanti istituzionali, esponenti dei partiti di questo sistema politico/istituzionale marcio, nero che uccide già senza bisogno di questo nuovo crimine, con la disoccupazione, lo sfruttamento, la precarietà, l'attacco alla democrazia e alla vita delle persone,
Respingiamo l'ipocrisia di chi esalta “la funzione della scuola”, mentre con la sua politica di tagli la affossa, che alimenta un humus antisociale che produce uomini che odiano. Nessuno può sentirsi assolto dietro false lacrime e parole.
Respingiamo l'ipocrisia di chi ora grida contro la mafia, ma intanto spesso e volentieri vi convive e ne è colluso nel parlamento, nelle istituzioni.

Gli assassini devono essere fermati e colpiti, ma è la mobilitazione autorganizzata dei giovani, delle ragazze, delle masse popolari che non si deve fermare, il fattore decisivo.


Le lavoratrici, precarie, disoccupate di Taranto
SLAI COBAS PER IL SINDACATO DI CLASSE
cobasta@libero.it - 347-5301704 T/F 0994792086 – TA. 22.5.12

pc 26 maggio: CON LE DONNE, OPERAIE DI POMIGLIANO

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Dalla cronaca del blog Reset Italia
Rosa operaio
25 maggio 2012
di
 
"Da tempo non si sentiva parlare di politica, quella con la “P” maiuscola… i politici ed i sindacalisti di “professione” sono ormai distanti anni luce dalla realtà quotidiana che è “politica”, quella realtà che vivono le famiglie operaie, le famiglie di quella parte del paese offesa da leggi pensate e scritte solo contro di loro, di quella parte del paese che non vuole più subire, ma vuole ritrovare la forza di dire NO…con coraggio.
Pomigliano è storia passata, ma anche resistenza odierna…a Pomigliano esiste ancora quella cultura operaia, quel protagonismo, quella voglia di reagire che ne fa un punto di riferimento, come Arese. A Pomigliano, attorno a Pomigliano, vivono migliaia di famiglie, migliaia di attività commerciali nate e cresciute grazie al lavoro e alle lotte, cresciute non economicamente, ma insieme e coscientemente. Perché lavorare assieme sotto la catena di montaggio, lottare assieme per i propri diritti, vivere assieme le stesse difficoltà e le stesse gioie fa politica, fa coscienza…coscienza di classe.
A Pomigliano si sa cos’è e cosa rappresenta il padrone, cosa vuole e cosa accade se nessuno si ribella…lo sanno gli operai…e lo sanno soprattutto le loro donne.
Sì le donne quelle che senza tuta blu hanno il cuore blu, la testa blu, gli occhi blu…hanno cioè dentro di loro il significato del passato, le difficoltà del presente e la voglia di un futuro migliore per i loro figli.
Nell’aula sindacale dello Slai cobas di Pomigliano era tanta la gente intervenuta che molti hanno dovuto seguire l’assemblea da fuori i balconi. Oggi i protagonisti non erano né i politici né i sindacalisti…i protagonisti, anzi le protagoniste, erano loro, quelle donne mogli degli operai della fabbrica di Pomigliano o anche mogli ed operaie allo stesso tempo, che appena pochi giorni fa scrissero a quelle di Termini Imerese invitandole a smetterla di credere che le “preghiere” al Presidente della Repubblica o le “suppliche” al Papa siano il giusto percorso per ritrovare quella dignità che i mille e più accordi concertativi hanno lentamente tolto a chi lavora onestamente.
Dopo quell’appello, dopo quella lettera dalle donne della Basilicata, dalle mogli degli operai della Fincantieri, da quelle dei Cantieri Navali di Trapani, dalle lavoratrici e dai lavoratori precari siciliani si è alzato lo stesso urlo…la stessa voglia di ricominciare ad essere, a valere, come corpo unico, non più “guidato” da questo o quel sindacato, da questo o quel partito politico…
“Siamo stanche di vedere la nostra famiglia soffrire…di vedere i nostri mariti sconfortati…i nostri figli senza speranze – dice Maria Molinari moglie di un operaio –  i nostri uomini da soli non possono farcela…dobbiamo scendere con loro in piazza…”
“In Basilicata c’è il deserto industriale…chiuse quelle poche realtà che rimangono saremo tutti disoccupati – continua un’operaia della Parmalat – quando noi donne scendiamo in campo difendiamo i veri valori, non quelli legati ai soldi, quelli della vita, della dignità. Questa è una guerra non dichiarata contro di noi, contro i nostri figli, le nostre famiglie…ora tocca a noi entrarci”.
“Ero con i banchi nuovi, un’ organizzazione di disoccupati napoletani…ho lottato per entrare alla Fiat…la Fiat al Sud non voleva le donne…ma non abbiamo mollato…e sono entrata a lavorare – testimonia Antonietta Abate operaia Fiat – Come ho lottato per entrare così so che per mantenere il mio posto di lavoro debbo continuare a lottare…”
“Operaia e moglie di operaio…mi toccano entrambe le cose – è Anna Solimeno che lo dice – quando è arrivato Marchionne, ed eravamo tutti in cassa integrazione, vidi il filmato che la Fiat mandò, per pubblicizzare la “nuova fabbrica Italia”, sulle tv…da operaia, da moglie, da madre non potevo accettare di essere presa in giro così…scrivere mi venne di getto…e quella lettera fece il giro d’Italia…perché veniva dal cuore, quello che solo noi sappiamo cosa essere. Noi sappiamo cosa significa dignità e vediamo, sotto i nostri occhi, le cose peggiorare giorno dopo giorno. Tutta Pomigliano sta pagando le “scelte” della Fiat, chiudono negozi ed attività commerciali, l’indotto è in crisi, noi a stento arriviamo a fine mese. Possiamo, dobbiamo lottare uniti…non abbiamo alternative se vogliamo un futuro diverso”.
Rinasce a Pomigliano, dalle donne, ciò che non è mai morto…il desiderio di vivere ed essere parte concreta della creazione del proprio futuro; la forza arriva dalle donne…quelle che hanno impressa sulla loro pelle la coscienza di cosa significhi soffrire e lottare…
“E’ solo l’inizio di un percorso…vogliamo parlare con la gente, città per città, strada per strada, anche casa per casa…dobbiamo unirci e lottare tutti assieme”…ci vediamo ad Acerra il 2 Giugno!"

pc 26 maggio - il grande movimento rivoluzionario degli studenti in Quebec non si arresta e respinge la repressione

Les actes du gouvernement Charest démontrent que ce dernier n’est plus du tout capable de gouverner normalement l’État bourgeois. La loi spéciale 78 exigeant un retour forcé en classe en août là où il y a encore grève montre que ce dernier a subi une défaite. Jusqu’ici, toutes ses manœuvres impliquant l’utilisation du judicaire n’ont fait que mettre de l’huile sur le feu renforçant le mouvement.
Alors que le 16 mai, lors de la conférence de presse annonçant le dépôt du projet de loi, Charest insistait sur une manœuvre sournoise de suspension du conflit, il annonçait déjà des mesures dissuasives. Par contre, on n’aurait jamais soupçonné qu’il aurait voulu se venger à se point-là des étudiantEs contestataires, les dirigeantEs du mouvement, leurs organisation mais aussi leurs alliés. On parle d’amendes allant de 1000$ à 125 000$ selon qu’on soit un individu, unE dirigeantE, ou un regroupement. On limite le droit de manifestation dès maintenant en voulant s’assurer que les trajets, transports en lien à la manifestation soient transmis 8 heures à l’avance. En pratique, la simple participation à une  manifestation non annoncée à l’avance entraîne une amende d’un minimum de 1000$ à un individu y participant.
Le droit de s’organiser pour mener des luttes est aussi sanctionné. Les associations étudiantes accusées de défier la loi pourrait voir la suspension de la perception des cotisations par les établissements d’enseignement; pour chaque jour de défi de la loi, cela entrainerait la suspension d’un semestre de perception obligatoire. Cette disposition n’a pas de fin  dans le temps. Formellement, l’association pourrait toujours demander la cotisation à ses membres individuellement mais la loi prévoit que ces derniers ne seraient pas tenus de la payer. La capacité d’organisation de ces associations plus militantes se trouverait entamée.
L’incitation à la désobéissance civile par un tiers peut entraîner pour ce dernier de fortes amendes. L’article 29 de cette loi affirme « Quiconque, par un acte ou une omission, aide ou, par un encouragement, un conseil, un consentement, une autorisation ou un ordre, amène une autre personne à commettre une infraction visée par la présente loi commet lui-même cette infraction… » et conséquemment est passible des mêmes amendes. Les syndicats, les groupes anticapitalistes et marxistes se trouvent dans la mire de cet article.
Par cette mesure, le gouvernement montre sa crainte de voir le mouvement s’élargir. Il montre qu’il a perdu sa capacité de gouverner normalement. Si on se fie à la détermination de la base étudiante, il n’est pas sûr que cette loi résorbe ce que des commentateurs désignent comme une crise sociale. Par contre, elle mettrait les associations étudiantes et ses dirigeantEs dans une position très difficile les encourageant à étouffer le mouvement; en pratique, ils et elles seraient obligés de policer leur base, autrement, ils et elles seraient accusés en vertu de cette loi.
Quand des tyrans imposent des lois et mesures arbitraires, le peuple a le droit de se soulever et de s’en débarrasser. La jeunesse ne doit pas pliée. Tout le monde doit descendre dans la rue contre ce gouvernement pourri et ces lois scélérates. Allons en masse à la manifestation du 22 mai!
 



Alors que les étudiant-es du Québec mènent le combat pour une 13e semaine de grève dans ce qui se révèle être une lutte particulièrement combattive, le sénateur conservateur Claude Carignan attaque et menace les étudiant-es qui ont massivement et démocratiquement choisi de faire grève. Pour faire plaisir à ses deux fils réactionnaires qui veulent jouer aux scabs et à leurs ami-es, il a pris la tête d'une injonction contre l'Association étudiante et le Collège pour forcer un retour en classe. Puisqu'il est grassement entretenu à même l'argent des travailleurs et travailleuses, touchant plus de 160 000$ par année pour siéger dans un conseil de vieux croutons, il a le loisir de s'en prendre sans frais aux libertés associatives et aux principes de solidarité étudiante au nom de la liberté de quelques jeunes privilégié-es. En date du 14 mai, c'est 300 scabs qui bénéficieront de l'aide de ce bureaucrate pour faire écraser, tabasser, emprisonner et judiciariser les étudiant-es en grève de Lionel-Groulx. Vendredi dernier, les jeunes de Lionel-Groulx et ceux&celles qui sont venus les supporter de l'extérieur, ont empêché la reprise des cours, comme cela a été le cas dans de nombreuses autres écoles. Le sénateur Carignan veut rajouter l'injure à l'insulte; il menace de poursuivre directement les jeunes que lui et sa "gang" se sont amusés à photographier et à filmer, pour mieux les envoyer devant le juge. C'est probablement ce qu'il avait en tête quand il a défendu sur toutes les tribunes qu'il fallait mettre les jeunes contrevenant-es en prison!
 
Comme désormais au Québec il est aussi facile d'obtenir une injonction que de s'acheter un paquet de gomme au dépanneur du coin, de la part d'un juge corrompu et profondément lié au maintien du système d'exploitation et d'oppression, la Grève  aurait pu être menacée par ce processus juridique. Pourtant, dans toutes les régions, des jeunes courageux et courageuses considèrent que la légitimité de leur mouvement n'est à toute évidence pas la légalité des tribunaux, des juges et des injonctions. Alors que les rumeurs de scission et d'annulation de session se concrétisent de plus en plus, il est clair que les étudiant-es les plus déterminé-es à la lutte ne céderont pas le terrain aux politiques fascisantes d'une clique de politiciens et de magistraux véreux. Mais leurs tribunaux pompeux et leurs coups de matraque n'ont toujours pas réussi à nous mater; leurs fidèles laquais ne faisant que tenter de lancer de la poudre aux yeux qui n'aveugle désormais plus personne (On peut y lire la dernière chronique de Richard Martineau)À l'heure d'écrire ces lignes, on ne sait ce que les prochains jours nous réserve, mais il est fort à parier qu'on y verra un affrontement majeur entre les tenants de cette "démocratie pour les riches" et une jeunesse qui défend que le véritable pouvoir est celui du peuple. Les militant-es du MER seront au combat, avec tous les autres qui n'accepteront pas les magouilles, les compromis, les menaces.

À bas le vieux système sénile qui nous dirige tous et toutes!
Notre seule légitimité, c'est celle que nous prendrons dans la rue!

Solidarité avec les camarades arrêté-es dans la lutte :

Depuis le début du conflit, le gouvernement a systématiquement sous-estimé le mouvement de lutte étudiant. À sa décharge, il faut dire que le mouvement de grève défie les prédictions même des plus enthousiastes et qu’il fracasse tous les précédents. Il nous a amené au seuil d’une crise sociale comme le Québec en a rarement vécue. Sa combativité et son refus obstinés de concéder la victoire aux capitalistes gouvernementaux – comme ça a été si souvent le cas dans les dernières décennies – sont exemplaires et suggèrent qu’une nouvelle période historique commence peut-être, que le temps des défaites et des humiliations achève peut-être enfin. « Assez c’est assez, la paix sociale est terminée », ce slogan bien connu résonne aujourd’hui avec plus de force mais surtout plus d’authenticité que jamais. En traduisant ce slogan en actes, le mouvement étudiant affirme ceci : puisque le peuple doit subir des attaques constantes contre ses conditions de vie – son accès à l’éducation y compris –, puisque le capital se sauve de sa propre crise en accentuant de toutes les manières l’exploitation des travailleurs et des travailleuses dont il se nourrit, alors nous rendrons cette société ingouvernable pour la bourgeoisie.

Ça fait maintenant plusieurs semaines que le climat social pourrit et que le fond de l’air est explosif. En rejetant en masse la dernière arnaque gouvernementale – l’entente conclue le 5 mai – le mouvement de grève étudiante vient de franchir une nouvelle étape. Il a renforcé comme jamais sa position d’adversaire irréductible à l’épreuve des manœuvres gouvernementales. Revenons sur quelques aspects de cette prétendue occasion de « sortie de crise » pour comprendre la signification politique du moment.

Le mouvement étudiant refuse de se laisser désarmer
S’il y a dans le refus de cette entente un rendez-vous manqué pour les étudiants et les étudiantes, c’est avec une défaite humiliante. Le seul effet réel et certain de cette entente était de désarmer le mouvement étudiant, de lui confisquer son rapport de force, la grève. Elle prévoyait d’évincer les dizaines de milliers de grévistes et d’étouffer leur lutte en l’enfermant dans le cadre d’un Conseil de gestionnaires et d’agents de la bourgeoisie où une petite délégation étudiante aurait été réduite à l’impuissance et à l’insignifiance. Si toutes ces semaines de grève n’ont pas pu faire plier le gouvernement, que peut-on espérer d’un mécanisme complètement dominé par les ennemis affirmés des revendications étudiantes ? Cette partie de l’entente a été comprise pour ce qu’elle est : une aberration et une insulte.

Entre les lignes, l’entente proposait un deuxième horizon aux revendications étudiantes, celui des élections. En effet, en repoussant de quelques mois les effets de la hausse des frais de scolarité, la négociation tablait sur le fait que l’enjeu premier du conflit – la hausse, le gel ou la gratuité scolaire – se jouerait dans l’arène d’une campagne électorale. On s’en remettrait au choix de l’électorat pour la solution préconisée par l’un ou l’autre des grands partis bourgeois. C’est une issue sans doute particulièrement souhaitée par la FECQ et la FEUQ qui ont toujours été des forces auxiliaires du Parti québécois et se sont fait les agents de mille sabotages des luttes de la base et de mille récupérations politiques.

Sous cet angle, le refus massif de l’offre par les grévistes constitue un violent désaveu du parlementarisme bourgeois et de ses prétentions à jouer le rôle d’arbitre légitime et démocratique des conflits sociaux. Ils et elles ne s’y sont pas trompéEs : cette forme de gouvernement n’est pas le pouvoir populaire. Il est au contraire l’instrument de la domination du capital qui réduit le peuple à un rôle de spectateur tandis qu’une poignée de politiciens bourgeois décident de tout. Ils et elles ont eu raison de n’avoir confiance, pour faire triompher leurs justes revendications, qu’en leur pouvoir collectif et direct dans la lutte.

Les élections, éteignoirs des luttes
Dans tous les pays, les grands partis bourgeois se succèdent au pouvoir au fil des ans dans une alternance de couleurs qui est en fait une parfaite continuité. À chaque élection, les partis d’opposition se présentent en porte-parole des mécontents, en instrument d’un vrai changement et d’une manière de faire la politique autrement. Une fois au pouvoir, ils appliquent systématiquement le programme de la bourgeoisie, ils veillent essentiellement à la prospérité du capital. 

 

pc 26 maggio - Brindisi .. valutazioni

Stiamo qui ad aspettare di sapere chi diavolo ha messo quella bomba stragista che ha falciato la vita di una ragazza di 16 anni e ferito gravemente molte sue compagne di scuola.
E ogni giorno che passa, ogni voce che s'alza, ogni ipotesi che s'avanza... si consolida la sensazione che anche questa volta sia in atto un depistaggio spettacolare. Intendiamoci: pensiamo che gli inquirenti su Brindisi, nel loro insieme, stiano facendo il loro lavoro seriamente. Hanno tutto l'interesse personale e anche deontologico e civile ad arrivare a un risultato concreto. Magari non tutti, come ci ha insegnato la storia di questo paese...
Ma un attentatore che se ne va in giro sotto le telecamere senza neppure curarsi di camuffare un po' il volto, l'auto usata, ecc, dà la chiara impressione che si muova come qualcuno che si sappia "intoccabile". L'alternativa - che non abbia notato le telecamere nella preparazione dell'attentato - svapora a ogni nuova notizia: time sofisticato, bombole svuotate e riempite, ecc, indicano progettazione fredda, conoscenze tecniche, capacità di studiare il terreno, senza lasciar spazio all'improvvisazione.
proviamo a mettere in fila le nostre valutazioni.
*****
Terrore di stato o "sovversione violenta"?
L’attentato di Brindisi, la pioggia di lettere minacciose, la “sperimentata” gestione emergenziale che ne fanno il governo e il Quirinale, confermano come l’obiettivo degli ultimi eventi sia più quello del terrore che del terrorismo. Un modo subdolo e sanguinoso di tenere sotto controllo e pressione una società dove serpeggia rancore e rivolta sociale.
Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, intervendo oggi nella ricorrenza del 160° anniversario della fondazione della Polizia di Stato, ha affermato che quanto avvenuto in passato nel nostro paese sia monito a mantenere alto il livello di attenzione rispetto a pericolose forme di violenza destinate a sfociare in atti di terrorismo.
A passare dalle dichiarazioni generiche a quelle in dettaglio, ci ha pensato il Capo della Polizia Manganelli, secondo il quale "La minaccia anarcoinsurrezionalista é assolutamente da non sottovalutare. Oggi è il vero terrorismo che può offendere il Paese", ha detto Manganelli poco prima della Festa della Polizia. Sul recente e sanguinoso attentato alla scuola di Brindisi, Manganelli ha denunciato come “La gestione mediatica” delle indagini su Brindisi “ha lasciato molto a desiderare. Anticipare le indagini sui giornali passo dopo passo non fa bene”. “Sono sicuro del buon esito di una indagine partita da una analisi intelligente. La foto? Anche da questo elemento deriverà la soluzione” ha detto Manganelli ai giornalisti .Anche secondo il Ministro dell'Interno Cancellieri, "Siamo tutti chiamati a tenere alta la guardia contro le derive violente, ponendo a presidio dei valori costituzionali una unità di intenti". “Resta il fatto che la nostra società è resa vulnerabile dalle attuali congiunture" e per questo bisogna tenere alta la guardia. "Un imperativo diventato ancor più inderogabile - dice il ministro - dopo il vile e atroce attentato di Brindisi".
Ma qualcosa di più aveva detto nei giorni scorsi il direttore dei Servizi Segreti.
Il direttore dell'Aisi, Giorgio Piccirillo, nel corso di una audizione presso la Commissione Affari costituzionale della Camera, ha affermato che “Dopo una fase, anche breve, di minor attivismo ci sarà una graduale ripresa dell'offensiva della Federazione anarchica informale con nuovi attacchi di obiettivi indicati nei recenti documenti ad obiettivi rappresentativi dello Stato greco in Italia e, forse, italiani in Grecia e della galassia Finmeccanica”. Il direttore dell'Aisi ha poi aggiunto che, potenzialmente, sono numerosi gli obiettivi che potrebbero essere al centro di possibili azioni violente come apparati giudiziari, istituti di credito, enti finanziari o banche. È difficile - ribadisce il generale - fare valutazioni su numeri dei soggetti eversori, anche perché non hanno una struttura. Ma “negli ultimi tempi abbiamo qualche riferimento in più dovuto al fatto che si sta passando da una situazione generalista a una più organizzata, probabilmente si riuscirà ad avere altri elementi”. Il direttore dei servizi segreti ha poi previsto “l'incremento di documenti minatori apocrifi come quello di qualche giorno fa siglato Fai ed indirizzato ad un quotidiano calabrese. C'è emulazione e il tentativo di inserirsi in un dibattito. Si tratta di gesti da seguire con attenzione perché innalzano il clima di allarme”. Secondo i servizi segreti “potrebbero verificarsi anche episodi di sigle inedite ed è da attendersi un incremento di documenti minatori apocrifi, anche ispirati a documenti di anni di piombo”. La conferma è arrivata puntualmente con un comunicato recapitato alla redazione del giornale romano Il Tempo a firma di un gruppo anarchico che si firma Kommando Bestia-Fai e poi con una lettera firmata Br con tanto di stella a cinque punte recapitata all’Ansa di Ancona. Lettere “da un altro mondo” abbiamo scritto sul nostro giornale. Un mondo parallelo a quello nel quale viviamo tutti i giorni e che dalla fine degli anni Sessanta a oggi non ha mai smesso di inviare segnali simbolici al suo interno e sanguinosi all’esterno. Con il primo si tratta, contro il secondo è invece lotta mortale per mantenere integro un sistema di dominio, soprattutto in tempi di crisi economica che rende più labile la credibilità e la legittimità delle istituzioni e dei poteri forti del sistema di dominio stesso. Il fatto che tutte le stragi di Stato siano rimaste senza colpevoli non è un dettaglio.
Lo stato delle indagini sull’attentato di Brindisi
Le attenzioni degli inquirenti che indagano sull'attentato di sabato scorso a Brindisi sono concentrate in queste ore sul contenuto delle bombole di gpl utilizzate per l'esplosione. Si sta cercando di verificare se oltre al gas, una delle tre bombole contenesse anche altro materiale utile a comporre una miscela esplosiva, ad esempio diserbanti o nitrato di ammonio. Questa mattina tecnici della Polizia scientifica hanno eseguito alcuni rilievi nel punto in cui si è verificata l'esplosione, misurando in particolare le dimensioni di un paio di piccoli crateri causati dallo scoppio. Ieri infatti si era diffusa la notizie che le bombole con carica esplosiva che hanno ucciso la giovanissima studentessa Melissa Bassi non avrebbero contenuto gpl. Una tesi confermata da un esperto interpellato da Il Sole 24 Ore. In caso contrario, gli effetti della deflagrazione sarebbero stati devastanti e avrebbero letteralmente incendiato persone e cose in un raggio di almeno cento metri. Non si tratta di un dettaglio insignificante. Interessanti ma in attesa di riscontri sono le dichiarazioni di due testimoni in merito alle modalità con cui sarebbero state depositate davanti alla scuola le bombole esplosive e il cassonetto che le conteneva. Di sicuro per compiere questa operazione è plausibile che sia stato utilizzato un furgone o un pickup e non non poteva farlo un solo uomo. Gli inquirenti sperano che il veicolo sia stato immortalato dalle telecamere presenti nella zona.
Relativamente alla pista mafiosa – che qui e là viene talvolta alla luce -  nei giorni scorsi è stato ascoltato il padre di Selene, una delle studentesse ferite e che si trova ancora in ospedale. L'uomo si chiama Vincenzo Greco e il primo luglio del 2010 fu gravemente ferito in un agguato. Suo fratello, Antonio, è diventato collaboratore di giustizia: i due fatti potrebbero essere collegati. E l'attentato potrebbe essere una vendetta contro la famiglia del pentito. "E' da escludere un coinvolgimento della Sacra Corona Unita nella vicenda di Brindisi. Non l'hanno mai fatto e non lo faranno mai. Siamo genitori, abbiamo figli e nipoti e non faremmo mai una cosa del genere" ha detto a 'Tgcom24' la moglie del boss Pino Rogoli, il fondatore della Sacra Corona Unita, che attualmente si trova in regime di detenzione 41 bis. Non pare difficile crederle. Come noto, la criminalità evita come la peste attirare l’attenzione di poliziotti, investigatori, Procure nazionali, sul territorio dove opera con il proprio criminal-business. Ma quello della criminalità è un ambiente rigido e poroso allo stesso tempo, sensibili agli argomenti e al lavoro sporco che potrebbe essergli commissionato in cambio di contropartite e coperture. E’ accaduto, può continuare ad accadere.

pc 26 maggio - Napoli -NO ALLA CRIMINALIZZAZIONE DEI LAVORATORI, DEI DISOCCUPATI E DEI SINDACALISTI


NO ALLA CRIMINALIZZAZIONE DEI LAVORATORI, DEI DISOCCUPATI E DEI SINDACALISTI CHE SI MOBILITANO PER L’APPLICAZIONE REALE DELL’ART. 1 DELLA COSTITUZIONE: “L’ITALIA È UNA REPUBBLICA FONDATA SUL LAVORO”!
Vincenzo Cinque, Francesco Liguori (dirigenti nazionali del Sindacato Lavoratori in Lotta e lavoratori dell’ASTIR), Salvatore Di Nardo (del sindacato SCO e lavoratore dell’ASTIR) e Katiuscia Sabatino (disoccupata organizzata del Sindacato Lavoratori in Lotta), oggi subiscono il processo che li vede imputati per “violenza e resistenza a pubblico ufficiale”, secondo le forze dell’ordine, perché lo scorso 24 novembre hanno “osato” manifestare in difesa del posto di lavoro, contro la chiusura dell’ASTIR e ARPAC Multiservizi e per la conquista di un lavoro utile e dignitoso, quindi per l’applicazione reale dell’art. 1 della Costituzione italiana!
La giunta Caldoro vuole chiudere le aziende pubbliche che si occupano di monitoraggio e bonifica ambientale (ASTIR e ARPAC), invece di potenziare un servizio utile, come la tutela dell’ambiente, in una regione devastata e saccheggiata dai poteri forti, dai politicanti di destra e di sinistra e dalle organizzazioni criminali. La manifestazione del 24 novembre fu repressa a suon di manganelli e di arresti: ecco come la giunta Caldoro risolve il problema del lavoro e dell’ambiente in Campania.
Oggi 25 maggio 2012 presso il Tribunale di Napoli si è tenuto un presidio di solidarietà con i Lavoratori e Disoccupati sotto proceeso, il presidio a visto la partecipazione di circa 80 persone tra compagni/e lavoratori e disoccupati.
Il processo che doveva tenersi alle ore 9,30 è stato rinviato per assenza dei testi dell’accusa al 16 novembre 2012.
Non sono le intimidazioni e i processi che fermeranno la sacrosanta lotta per la difesa e per la conquista di un lavoro utile e dignitoso per tutti!
Avanti fino alla vittoria!
La solidarietà è un’arma, Usiamola!

sll napoli

pc 26 maggio - 8-9 giugno mobilitazione contro il governo e parlamento dei sindacati di base

proletari comunisti sostiene tutte le iniziative di lotta reale che in queste due giornate saranno possibili
siamo per l'assedio del parlamento, delle prefetture, blocci e presidi sui posti di lavoro

RIUNIONE SINDACATI DI BASE FIRENZE 21 MAGGIO 2012

25/05/2012
Le organizzazioni sindacali di base che si sono incontrate lunedì 21 maggio a Firenze per proseguire la discussione sulla fase e sulle iniziative da intraprendere, avviatasi con la riunione del 19 aprile, hanno concordato nell’analisi della situazione sia sul piano internazionale che italiano, mantenendo un giudizio negativo durissimo sull’operato del governo Monti che rappresenta gli interessi del capitale internazionale ed in particolare è un fedele esecutore dei diktat della BCE e dell’Unione Europea.
In particolare il giudizio negativo è stato espresso sull’aggressione al diritto alla pensione, alla riforma del lavoro attualmente in discussione, all’articolo 18, sull’introduzione dell’IMU – vera patrimoniale sui lavoratori e le famiglie –sull’insopportabile carico fiscale che grava unicamente sui lavoratori dipendenti, sull’operato di Equitalia Spa nel recupero dei crediti per conto della pubblica amministrazione.
Le organizzazioni del sindacalismo di base hanno inoltre espresso un giudizio durissimo sull’operato delle organizzazioni sindacali complici Cgil, Cisl, Uil, Ugl, che stanno accompagnando tutti i processi di devastazione del welfare e dei diritti conquistati dal movimento dei lavoratori,  stanno consentendo la deregolamentazione totale delle attuali salvaguardie dai licenziamenti discriminatori sia nel settore privato che in quello pubblico, che stanno producendo il più alto tasso di disoccupazione dal dopoguerra ad oggi, che allargano la precarietà e restringono le tutele per chi perde il lavoro.
Questa situazione va affrontata con la lotta e la mobilitazione. Il movimento dei lavoratori deve ritrovare la forza e la capacità di azione per continuare nell’azione di forte contrasto alle politiche del governo sostenuto da PD, PdL, Terzo polo anche con lo sciopero generale che è nell’agenda delle organizzazioni riunitesi a Firenze e la cui data di effettuazione sarà decisa nei prossimi giorni.
Nell’immediatezza della necessità di contrastare e battersi contro il varo della controriforma Fornero, le organizzazioni hanno comunque deciso di proseguire ed intensificare le lotte in corso e di convocare due giorni di mobilitazioni, lotte, scioperi per l’8 e 9 giugno, in concomitanza con la discussione per la sua approvazione in Parlamento.

venerdì 25 maggio 2012

pc 25 maggio - Ponte Galeria: le sbarre più alte



di  Medu




Un rapporto stilato a maggio dall'associazione Medici per i Diritti Umani svela le intollerabili condizioni di detenzione amministrativa degli immigrati all'interno del centro d’identificazione ed espulsione di Ponte Galeria, a Roma.


Il 25 luglio 2011 vengono
pubblicate alcune foto (questa è una di esse ) che mostrano una giovane tunisina trattenuta nel CIE di Ponte Galeria con evidenti segni di percosse (ecchimosi figurate) sulla schiena e sul braccio sinistro. Le foto risalgono al mese precedente alla pubblicazione e secondo quanto riferisce la ragazza, le lesioni sono la conseguenza dei colpi da manganello ricevuti da agenti della forza pubblica intervenuti a sedare un diverbio tra lei e un’altra trattenuta. In base al racconto della giovane, il litigio – seguito da una colluttazione – sarebbe insorto mentre le ragazze giocavano a calcio. 
Fonte: Fortress Europe e testimonianze raccolte dagli operatori


I centri di identificazione ed espulsione garantiscono il rispetto della dignità e dei diritti fondamentali dei migranti trattenuti? A quattordici anni dall’istituzione dei CPTA/CIE, quali sono la rilevanza e l’efficacia dell’istituto della detenzione amministrativa nel contrasto dell’immigrazione irregolare? Un’analisi articolata del centro di Ponte Galeria non può prescindere da una valutazione complessiva del sistema dei centri di identificazione ed espulsione in Italia. Le conclusioni di questa indagine confermano quanto rilevato dai tre precedenti rapporti di Medici per i Diritti Umani (MEDU): il CIE di Ponte Galeria si dimostra una struttura inefficace per i suoi scopi dichiarati (secondo i dati forniti dalla Prefettura, nel 2011 su 2.049 transitati nel centro solo il 39% è stato effettivamente rimpatriato, mentre sono stati ben 265 gli stranieri che sono riusciti ad allontanarsi dal CIE), costosa e congenitamente incapace di garantire il rispetto della dignità e dei diritti fondamentali della persona. Le stesse considerazioni possono essere estese al sistema dei CIE in generale come indicano in maniera sufficientemente oggettiva, sistematica e coerente le indagini più significative realizzate da attori indipendenti e istituzionali nel corso degli anni e come sostanzialmente confermano i primi dati del 2011 sul rendimento dei CIE a livello nazionale e le visite recentemente effettuate da MEDU in altre strutture (Bologna e Torino). Un sistema, quello dei centri di identificazione ed espulsione, che in base ai dati oggettivi (nel 2010 gli stranieri effettivamente rimpatriati attraverso i CIE sono stati appena lo 0,7% del totale dei migranti in condizione di irregolarità che si stima siano presenti nel nostro Paese) si dimostra di scarsa rilevanza nel contrasto dell’immigrazione irregolare.
Il diritto alla salute per i trattenuti appare ancora meno garantito che in passato in ragione del fatto che l’ente gestore del CIE romano è in grado di assicurare solo un’assistenza sanitaria di primo livello, che il personale sanitario della ASL non ha accesso al centro e che il periodo massimo di trattenimento è stato prolungato a 18 mesi. Il caso clinico riportato in questo rapporto dimostra poi come i gravi ritardi nel percorso diagnostico-terapeutico accumulati nel circuito carcere-CIE possano comportare delle serie conseguenze sugli esiti e sulla prognosi di una malattia progressiva come, ad esempio, una neoplasia maligna. Le numerose testimonianze e i dati raccolti delineano in modo ancor più evidente che in passato i tratti oppressivi di un nuovo tipo d’istituzione totale chiusa al mondo esterno, luogo generatore di violenza e di esclusione. In questo senso, il prolungamento a 18 mesi del trattenimento sembra aver contribuito unicamente ad esacerbare gli elementi di violenza e disumanizzazione di queste strutture. Un sistema che dunque sembra essere deputato non tanto ad identificare ed espellere quanto piuttosto a sorvegliare e punire.
MEDU ritiene che le criticità ripetutamente rilevate nel corso degli anni sulla natura e il funzionamento dei CPTA/CIE abbiano una tale rilevanza e pervasività da rendere indispensabili e urgenti sia l’abbandono dell’attuale sistema di detenzione amministrativa, sia l’adozione contestuale di strategie di gestione dell’immigrazione irregolare più razionali, articolate e rispettose dei diritti fondamentali della persona.


pc 25 maggio - Chiudere i CIE, cancellare la Bossi-Fini. Assemblea a Modena


Chiudiamo il Cie di Modena, assemblea pubblica

Le tante realtà che sul territorio modenese si riconoscono nella Rete Primo Marzo hanno convocato per il prossimo 7 giugno un'assemblea pubblica per chiedere senza se e senza ma la chiusura del Cie di Modena

L'INCONTRO. Una realtà vergognosa alle porte di Modena. Una realtà poco distante dal centro cittadino, alcuni chilometri insufficienti per non percepire il dolore e l’angoscia di chi vive al suo interno, trattenuto fino a 18 mesi per la mancanza di permesso di soggiorno e spesso proveniente da vicende personali di miseria e umiliazione.
Una realtà da anni legittimata dalla legge italiana, che non rispetta e non fa onore alla nostra preziosa costituzione. Una realtà insopportabile. Come possiamo non sentirci sdegnati da una legge come la “Bossi Fini”? Siamo nati in Italia per una fortunata coincidenza, ma l’Italia e la Terra appartengono ai suoi abitanti. Come possiamo ancora tollerare che una parte di questi viva in condizioni di forte ingiustizia sociale?

I confini tracciati dagli uomini sono stabiliti da regole economiche che spesso non rispettano i diritti di ogni essere umano. Chi parte dal proprio paese per immigrare, spera di trovare condizioni di vita minime migliori, tenta di sfuggire alla fame, spesso alla guerra. Non possiamo pensare e permettere che strutture come il CIE risolvano i problemi legati al fenomeno inarrestabile dell' immigrazione. C’è bisogno di maggiore conoscenza di tutti i meccanismi che stanno alla base del fenomeno migratorio, di maggiore consapevolezza dei cambiamenti strutturali sociali avvenuti negli ultimi anni in tutto il mondo, di più curiosità per comprendere e interagire con ogni cultura e religione, di maggiore responsabilità personale nei comportamenti quotidiani in relazione alle persone e all’ambiente in cui viviamo, di più umanità e solidarietà con ogni essere. C'è bisogno di buona politica, arte del governare un paese. Dobbiamo scegliere in quale mondo vogliamo vivere, impegnarci seriamente per costruirlo, abbattendo strutture come i Cie.

COSA PROPONIAMO. Nell’ambito di una generale riflessione sugli effetti della globalizzazione, sulle migrazioni, sui rapporti tra culture diverse, sulle nuove forme di cittadinanza e di identificazione nell’epoca della crisi dello Stato-Nazione, ci sembra urgente e necessario agire subito. Un intervento che superi la legge “Bossi-Fini”, ritenuta artefice di una larga parte della produzione di clandestinità amministrativa nel nostro paese, nell’ottica del rispetto delle convenzioni internazionali firmate, ma inapplicate dall’Italia, come quelle contro la tortura, contro la violazione dei diritti umani, seguendo l’idea espressa nel recente pronunciamento della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato.

Dal punto di vista della riduzione dei problemi d’identificazione, proponiamo percorsi che puntino alla riduzione della clandestinità. Al via un confronto fra pratiche e legislazioni per trovare delle alternative a strutture di identificazione ed espulsione rivelatesi costose ed inefficaci sia dal punto di vista sicuritario, sia nella garanzia e nel rispetto dei diritti umani. Allo stesso tempo riteniamo utile una campagna di solidarietà con segnali concreti a sostegno dei bisogni delle persone che si trovano recluse nei Cie, in accordo con le associazioni di volontariato già attive.

I DETTAGLI. L'appuntamento è: giovedì 7 Giugno 2012 alle ore 20.30 presso Casa delle Culture di Modena, Via Willigelmo, 80 – Modena. Per aderire all'iniziativa, come singoli o associazionim enti etc., scrivere ad Antonia Massimini all'indirizzo email primo.marzo.ufficio.stampa@gmail.com. specificando in oggetto "Adesione assemblea 7 Giugno 2012"

Il Fatto Quotidiano > Emilia Romagna 

Fughe e rivolte infinite, il fallimento dei Cie. La Regione: “Chiudiamoli”
Tra i centri di Bologna e Modena sono decine i clandestini scappati. L'assessore Marzocchi: "L'esperimento è fallito". Un comitato modenese organizza un incontro per sabato prossimo: "Situazione inumana, abroghiamo la legge Bossi-Fini che ha inventato questi lager"


di Giovanni Stinco | Modena | 23 maggio 2012

Fughe frequenti e rivolte ormai all’ordine del giorno. Al Cie di Bologna la settimana scorsa alcuni migranti hanno aggredito le forze dell’ordine durante un controllo delle camerate. Questa notte dal Centro di Identificazione e Espulsione di Modena sono invece scappati in 26 dopo aver superato la resistenza dei militari di guardia con bastoni e altri oggetti. Tre agenti sono rimasti contusi nello scontro. Pochi giorni fa sempre a Modena un controllo ha trovato quattro seghetti per tagliare le sbarre e una scala, creata con le lenzuola, lunga oltre 10 metri e con tanto di arpioni alle estremità ricavati con pezzi di lavandino. Una situazione, quella dei Cie, insostenibile per chi nei centri è rinchiuso da mesi senza sapere nulla sul proprio futuro, difficile per chi quei centri li gestisce, e complessa anche per le istituzioni locali, che più volte si sono dette contrarie ai Cie ma anche impotenti, essendo i centri di esclusiva pertinenza del Ministero dell’interno. “L’esperimento è fallito, occorre cambiare queste strutture che non hanno più senso di esistere”, ha spiegato due settimane fa l’assessore alle politiche regionali dell’Emilia-Romagna Teresa Marzocchi.

Quasi a prenderla in parola a Modena c’è chi sta organizzando un’assemblea per chiudere i Cie. Non fisicamente, come fecero nel 2002 i movimenti che assaltarono e smontarono pezzo per pezzo il centro di Bologna (allora si chiamava Cpt, centro di permanenza temporanea). Ma tentando di smontare la legge Bossi-Fini sull’immigrazione con proposte che puntino ad annullare il fenomeno della clandestinità e a trovare alternative concrete a strutture, spiegano gli organizzatori dell’iniziativa, “rivelatesi costose ed inefficaci sia dal punto di vista della sicurezza, sia nella garanzia e nel rispetto dei diritti umani”. L’obiettivo è semplicissimo: abrogare la Bossi-Fini, “legge artefice di una larga parte della produzione di clandestinità amministrativa nel nostro paese”. Per arrivarci si pensa anche ad una class action di massa, idea che sarà discussa il 7 giugno nella Casa delle Culture di Modena.

Nei Cie, è il ragionamento degli organizzatori, i migranti vengono rinchiusi non per avere commesso qualche reato specifico, ma perché sprovvisti di un regolare permesso di soggiorno. Eppure le condizioni dei centri di identificazione e espulsione sono simili a quelle delle carceri, ci sono state ripetute denunce di violazioni dei diritti umani e il periodo di permanenza può arrivare anche a 18 mesi. Senza considerare che spesso le persone trattenute sono poi liberate senza rimpatrio. Secondo il dossier 2011 Caritas Migrantes solo il 48% dei rinchiusi nei centri è poi riportato al proprio paese. Tutti gli altri invece restano in Italia senza documenti, una condizione che rende impossibile cercare lavoro e molto più facile avvicinarsi al crimine. Insomma, il fallimento stesso del concetto di identificazione e espulsione, ma anche delle politiche di prevenzione dei reati. Per non parlare di quelle di accoglienza e integrazione.

“Come possiamo non sentirci sdegnati da una legge come la Bossi Fini? – si chiede il comunicato degli organizzatori dell’assemblea di Modena – Siamo nati in Italia per una fortunata coincidenza, ma l’Italia e la Terra appartengono ai suoi abitanti. Come possiamo ancora tollerare che una parte di questi viva in condizioni di forte ingiustizia sociale? I confini tracciati dagli uomini sono stabiliti da regole economiche che spesso non rispettano i diritti di ogni essere umano. Chi parte dal proprio paese per immigrare, spera di trovare condizioni di vita minime migliori, tenta di sfuggire alla fame, spesso alla guerra. Non possiamo pensare e permettere che strutture come il Cie risolvano i problemi legati al fenomeno inarrestabile dell’ immigrazione. Dobbiamo scegliere in quale mondo vogliamo vivere, impegnarci seriamente per costruirlo, abbattendo strutture come i Cie”.

pc 25 maggio - massimo sostegno alla manifestazione NOTAV di arquata scrivia

SABATO 26 MAGGIO,

sei anni dopo la marcia Serravalle - Arquata contro il Terzo Valico alla quale parteciparono 2.500 persone,
SECONDA MARCIA attorno ad Arquata toccando alcuni luoghi che subiranno sconvolgimenti irreparabili sull’ambiente e sulla vivibilità di quei territori.
Ovviamente Arquata è il simbolo di ciò che avverrebbe lungo l’intera tratta, oltre a rappresentare l’unico Comune in cui non si chiedono contropartite in rotatorie, strade e campetti di calcio, ma si dice chiaramente NO secco a un’opera inutile, dannosa, costosissima e senza alcun beneficio per i 100.000 abitanti che le vivono accanto.
Un beneficio ci sarà, però, e riguarderà chi la costruirebbe (senza controlli, senza rischi, senza problemi di gestione) , per i partiti e i politicanti che hanno ricevuto tangenti, per i sostenitori della cosiddetta “crescita” fatta di calcestruzzo, di distruzioni ambientali, di cementificazione dei terreni agricoli, di particolarismi gretti, di offuscamento delle intelligenze, della solidarietà, e del legame uomo-ambiente-storia che crea una comunità.
L’appuntamento è per le ore 15 dinanzi alla stazione ferroviaria di ARQUATA.
Hanno aderito molte associazioni, la FIOM e il sindaco di Arquata.
Per coloro che ritengono di non essere coinvolti,  per coloro che pensano che tanto ci pensano altri, per chi ritiene che i tempi siano lunghi o che “Tanto se hanno deciso di farlo lo fanno”, e quindi si defilano, vorrei riproporre una poesia che è una frustata per i pigri mentali, per i lagnosi, per i torpidi, per coloro che sanno solo delegare.

Prima sono venuti a prendere gli zingari,
e noi non abbiamo protestato perché non eravamo zingari;
poi sono venuti a prendere gli ebrei,
e noi non abbiamo protestato perché non eravamo ebrei;
poi sono venuti a prendere i comunisti,
e noi non abbiamo protestato perché non eravamo comunisti;
poi sono venuti a prendere gli omosessuali,
e noi non abbiamo protestato perché non eravamo omosessuali;
infine sono venuti a prendere noi,
e non c’era più nessuno capace di protestare.

Martin Niemöller