venerdì 15 ottobre 2010

pc quotidiano 15 ottobre - DAGLI SGOMBERI DI MILANO

La Milano Nera del duo Moratti/De Co-ratto sgombera qui sgombera là e ora di sgomberare loro

Da due giorni in via Savona l’escalation di sgomberi-decreti coprifuoco che da mesi si espandono sul territorio, da via Padova al Corvetto, da via Imbonati a via Triboniano, ha raggiunto un picco notevole. 350 tra poliziotti, carabinieri, finanzieri, più un numero di “intelligence” – leggi digos e ros – da far impallidire, si sono presentati agguerriti e armati di tutto punto (mancavano solo i carr’armati e gli AMX che sicuramente La Russa armerà) per sgomberare la Bottiglieria Okkupata, il “solito covo” di abusivi/devastatori/terroristi, secondo lo sceriffo De Corato, rappresentato dai centri sociali. Il solito allarme sicurezza buono in tutte le occasioni, una volta la si usa per gli studenti che manifestano contro la riforma gelmini; poi è il turno degli islamici che chiedono una moschea; a seguire gli immigrati dichiarati clandestini per legge (Maroni); e non sfuggono nemmeno i lavoratori che occupano le fabbriche per difendere il lavoro. Una pratica di moderno fascismo che marcia da Milano a Roma e che attraversa tutto il Paese, buon viatico da una parte per distrarre e confondere le masse dai veri problemi ovvero una crisi causata dai padroni e che viene scaricata su lavoratori, studenti, donne, pensionati, proletari e non; e dall’altro nascondere il vero volto di speculatori e devastatori (anche della stessa vita di milioni di uomini e donne) o i veri “terroristi” che considerano meno di niente la vita umana, sia che sia quella di un operaio che muore in nome del profitto padronale o di un bambino rom sgomberato in pieno inverno milanese. Ma questa ennesima dimostrazione muscolare comincia produrre crepe, visti i commenti non proprio entusiastici degli abitanti del quartiere intorno a via Savona. Gente incazzata perché uscita da casa alle 11 del mattino ha dovuto aspettare le 19 della sera per rientrarvi; negozianti che non hanno alzato un euro; madri avvisate telefonicamente di non portare i bambini a scuola perché chiusa causa sgombero. E poi è troppo fresca la quasi tragedia del quartiere ripamonti dove un tassista ha rischiato di essere ucciso dal clima forcaiolo che la giunta Moratti e il governo Berlusconi sparge a piene mani. Ma in particolare un lavoratore ha sottolineato come sono “bravi” gli uomini in divisa a manganellare studenti e operai, e non usano nemmeno le manette per politici e padroni corrotti e ladri. Nel 1977 Claudio Lolli cantava “sgomberate le strade dai sogni” che metteva in musica questi metodi, oggi bisogna rifarla cominciando a cambiare il titolo, chiamiamola “SGOMBERIAMO LE STRADE DAI MODERNI FASCISTI E PADRONI”.

Proletari comunisti - MILANO

pc quotidiano 15 ottobre: a Roma il 16: SPECIALE FIAT LE ARMI DELLA CRITICA CONTRO IL FASCISMO PADRONALE


Questo opuscolo/dossier Fiat racconta, analizza e critica giorno per giorno gli sviluppi del fascismo padronale alla Fiat da giugno a settembre, per fornire agli operai, in particolare alle avanguardie operaie, ai militanti del sindacalismo di classe, ai militanti comunisti e al movimento nel suo insieme, strumenti affilati per orientarsi nella lotta, ma soprattutto per sviluppare l'autonomia ideologica e politica non solo da padron Fiat, ma da tutte le specie e varianti del riformismo e della conciliazione presenti nel movimento sindacale e nel movimento operaio in genere.

Noi pensiamo che non si possa realmente combatterlo e vincere con gli strumenti attuali dominanti tra gli operai Fiat e nel movimento operaio in generale.

Questo dossier è una parte del lavoro complessivo della rivista "La Nuova Bandiera", il cui prossimo numero uscirà a novembre.

Il dossier Fiat sarà distribuito il 16 alla manifestazione dai compagni di Proletari Comunisti. Chi non lo trovasse, può richiederlo scrivendo a: ro.red@libero.it oppure a materiali CP 2290 TA/5 - 74100 Taranto.

pc quotidiano 15 ottobre - 31 denunce contro i disoccupati Banchi nuovi

lo stato e i governi locali rispondono con la repressione alla lotta per il
lavoro

31 nuove denunce contro i disoccupati di Banchi nuovi per l'iniziativa di
occupazione di alcuni giorni fa dell'assessorato regionale alle politiche
sociali

solidarizziamo e partecipiamo alla manifestazione del 6 novembre in
preparazione

disoccupati organizzati slai cobas per il sindacato di classe taranto

pc quotidiano 15 ottobre - 10 GIORNI DI SOSPENSIONE A DANTE DE ANGELIS PER SOLIDARIETA' AI TRE licenziati a melfi

nuova provocazione delle ferrovie di moretti
solidarietà al compagno dante


10 GIORNI DI SOSPENSIONE A DANTE DE ANGELIS PER SOLIDARIETA' AI TRE
OPERAI LICENZIATI A MELFI

AVEVA ACCOSTATO VOLONTA' FIAT E FS DI TENERE FUORI LAVORATORI CON STIPENDIO

*

*LE FS SI SONO ACCANITE ANCORA UNA VOLTA CONTRO IL MACCHINISTA
DANTE DE ANGELIS, COLPENDOLO, IERI, CON DIECI GIORNI DI SOSPENSIONE
DAL LAVORO E DALLO STIPENDIO, PER AVER ESPRESSO, IL 23 AGOSTO
SCORSO, LA SUA SOLIDARIETÀ AI LAVORATORI DELLA FIOM LICENZIATI
A MELFI E NON RIAMMESSI IN FABBRICA DOPO IL REINTEGRO*

* EGLI IN UNA MAIL AVEVA ACCOSTATO IL COMPORTAMENTO DELLE
DUE AZIENDE NELLA VOLONTÀ COMUNE DI PAGARE LO STIPENDIO
PUR DI MANTENERLI "FUORI" DALL'AZIENDA*

*LO RITENIAMO UN VERO E PROPRIO ATTO INTIMIDATORIO UN TENTATIVO
DI OSTACOLARE NON SOLTANTO L'ATTIVITÀ SINDACALE, SOFFOCARE IL LIBERO
PENSIERO E LA LIBERTÀ DI ESPRESSIONE MA ANCHE LA SOLIDARIETÀ TRA I
LAVORATORI.
*

*DOMANI COME FERROVIERI SAREMO IN PIAZZA A FIANCO DELLA FIOM CONTRO
L'ODIOSO
RICATTO, DIRITTI O LAVORO E DE ANGELIS SARÀ CON NOI PER INCONTRARE ED
ABBRACCIARE
MARCO PIGNATELLI, ANTONIO LAMORTE E GIOVANNI BAROZZINO
*

*REGISTRIAMO CON PREOCCUPAZIONE CHE IL LA STESSA PESANTISSIMA
PUNIZIONE DI DIECI GIORNI DI SOSPENSIONE È STATA INFLITTA TRE GIORNI
FA ANCHE AD UN ALTRO MACCHINISTA E RAPPRESENTANTE PER LA SICUREZZA,
PER UNA DICHIARAZIONE SUI RISCHI DELLE GALLERIE FERROVIARIE IN PUGLIA"*

*

pc quotidiano 15 ottobre - vogliono scarcerare il criminale nazista Ludwig

Qui un articolo di Marco Sacchi del 10-11-2008

LUDWIG, IL VENETO COME LABORATORIO DI SPERIMENTAZIONE DI TECNICHE DI GUERRA NON ORTODOSSA

Verona è stata la culla di Ludwig, gruppo di killer nazisti che commisero omicidi nel nord est e in Germania tra il 25 agosto 1977 e il 7 gennaio 1984.

Le loro vittime furono barboni, prostitute, quelli che ritenevano i “rifiuti” della società e si accanirono contro discoteche e cinema a luci rosse, una scia di sangue che fece 15 morti e 39 feriti.

I membri del gruppo Ludwig erano figli dell'alta borghesia veronese. Marco Furlan era figlio del primario del centro ustionati di Verona (sintomatico il fatto che molte vittime di Ludwig furono arse vive) ed al momento dell'arresto risultava in procinto di laurearsi in fisica c/o l'Università di Padova. Wolfang Abel era figlio di un consigliere delegato di una compagnia assicurativa tedesca e viveva nella provincia di Verona. Aveva preso una laurea in matematica a pieni voti e lavorava col padre nella medesima compagnia assicurativa del genitore. I due erano parte di un gruppo di giovani che all'epoca, erano soliti incontrarsi nella Piazza Vittorio Veneto di Borgo Trento. Si trattava di un luogo che a livello locale era ritrovo di fascisti come i Parioli di Roma o Piazza San Babila a Milano.

Il gruppo Ludwig non nasce dal nulla, ma dentro una città nera. Il Coordinamento laico antirazzista Cesark, che prende il nome da un immigrato polacco morto asfissiato dentro una catacomba trasformata dentro una catacomba trasformata in dormitorio, in un ex stazione dei bus nel centro storico di Verona, dopo un lavoro durato mesi, nel 2000 presentò un dossier (1). In questo dossier vi si ricostruisce il passato squadrista di alcuni assessori di AN, gli episodi di violenza (a decine) che hanno visto come protagonisti i fascisti veronesi, i finanziamenti pubblici ai concerti nazi e i legami dell'estremismo di destra col carroccio.

A Verona ci sono associazioni tradizionalisti cattolici come Il Sacrum Imperium che si preoccupa di santificare Pio IX e Pio X, Famiglia e Civiltà che si interessa della morale tradizionale e della difesa della famiglia; Gruppi di famiglie cattoliche che si pone a difesa della liturgia tradizionale e pre Vaticano II° celebrata in Latino, il Comitato Principe Eugenio che si pone come baluardo della pretesa islamizzazione in atto in Italia.

Non c'è da meravigliarsi che a Verona sia sorto un gruppo come Ludwig.

Ma c'è qualcosa di più inquietante, molto probabilmente dietro a Ludwig c'è altro, di torbido.

Giovanni Gunella, figlio di Pietro Gunella un professore di filosofia ex repubblichino rifugiatosi negli anni '50 in Argentina e responsabile di una rete di informatori della CIA coinvolti nella strage di P.za Fontana (2), viene citato, all'interno della sentenza ordinaria del Giudice Istruttore di Bologna Leonardo Grassi del 1990, per una conversazione telefonica dove parlava di un terzo uomo del gruppo Ludwig. Questo emerge da una sentenza del Giudice Istruttore di Bologna L. Grassi in data 02.04.90, contro l'organizzazione denominata Ronde pirogene antidemocratiche attiva negli anni '80 a Bologna, dalla lettura di questa sentenza emerge il collegamento tra le Ronde e la destra veronese.

La teoria del fuoco purificatore delle Ronde Pirogene Antidemocratiche coincide con quella del Gruppo Ludwig. Questa impostazione filosofica è analoga a quella della setta Ananda Marga (3).

Torniamo alle coincidenze, Pietro Gunella il padre di Giovanni, come dicevo prima era un informatore della rete CIA faceva da contatto fra Sergio Minetto, 4° e il colonnello Amos Spiazzi (Rosa dei Venti), che nel periodo della fine degli anni era del Nucleo di Difesa dello Stato di Verona, nonché fra questi e Elio Massagrande un membro di Ordine Nero che negli anni '70 si rifugiò nella Spagna franchista.

Massagrande risulta aver importato nel veronese la setta Ananda Marga proprio nel periodo era in India come addetto militare il gen. Magi Braschi Adriano Giulio Cesare.

Il generale Magi Braschi è uno dei partecipanti al convegno dell'Istituto Polio sulla guerra non ortodossa nel 1965 dove si elaborò la strategia di quella che fu definita strategia della tensione.

La partecipazione di Magi Braschi al convegno non era una caso, egli aveva frequentato nel periodo 1960/61, il Corso di Psicologia Sociale e c/o l'Università di Bonn e c/o la stessa Università frequentò un corso di Politica Internazionale.

Magi Braschi nel 1962 era considerato dal S.I.F.A.R. uno dei maggiori esperti di guerra psicologica, nel 1963 ebbe un compiacimento da parte dei suoi superiori per l'attività del Nucleo Guerra non Ortodossa.

Carlo Digilio, pentito dopo due decenni, su Piazza Fontana, molto attaccato dopo le sue rivelazioni, e non solo dagli ex camerati, (5) disse ai magistrati che si occupavano della strage di Piazza Fontana che Magi Braschi “...Era considerato, nell'ambiente ordinovista, un ufficiale di grande prestigio ed il rapporto del gruppo con i militari era essenziale per la riuscita del progetto...”. Il progetto che parla è il tentato colpo di statale che avrebbe dovuto essere effettuato dopo il fallito golpe Borghese, fra il 1973 e il 1974.

Con questo non deve essere scartata l'ipotesi che nel Veneto e nell'Emilia Romagna, per le connessioni con Ordine Nuovo, con la rete C.I.A. e con l'accesso anticomunismo delle formazioni come Ludwig, siano state un laboratorio di sperimentazioni di guerra non ortodossa basata sull'uso terroristico di tendenze esoteriche-religiose.

Attualmente il proliferare di gruppi satanisti e altre sette, con attività fatta di omicidi rituali, uso di droghe, lavaggio del cervello potrebbe essere la continuazione della guerra non ortodossa (6).







NOTE

1° Vedere: http://www.cestim.it/argomenti/05verona/05verona_nera.htm

2° Pag. 262, Piazza Fontana La verità su una strage, Fabrizio Calvi e Frederic Laurent, Mondadori.

3° Nel sito che si vede alla nota n.1 c'è una comunicazione di Ananda Marga, dove si nega ogni contatto con l'estrema destra e che la teoria del fuoco purificatore per loro non significa niente, ma ammettono i tentativi di infiltrazione da parte di alcuni elementi di estrema destra.

4° Volontario nella marina del R.S.I., dopo la guerra scappò in Argentina dove entra in contatto con elementi della C.I.A. e con nazisti tedeschi. Dalle inchieste su Piazza Fontana risultò essere il referente della C.I.A. per il Triveneto, cioè il fiduciario di tutti gli informatori che operavano in Veneto, Friuli e Trentino. Membro di un associazione combattentistica Elmetti d'Acciaio, un'associazione paramilitare segreta tedesca, integrata nei “Piani di sopravvivenza” di cui facevano parte i Nuclei di difesa dello Stato.

5° Carlo Digilio dal 1967 fiduciario della C.I.A. nel Veneto, nella seconda metà degli anni '70 direttore del poligono di tiro di Mestre, e membro di Ordine Nuovo veneto.

6° Va tenuto anche conto che i cosiddetti “satanisti”, in carcere sono molto considerati, sono considerati dai malavitosi come dei “saggi

pc quotidiano 15 ottobre - vittoria dei giovani antifascisti palermitani

In seguito all’aggressione architettata dalla Questura sotto richiesta del Preside, contro il pacifico sit-in antifascista di fronte il liceo Umberto I lo scorso sabato, la pronta risposta degli antifascisti non si è fatta attendere.

Sabato 09/10/2010

Fin da sabato pomeriggio si è formato un sit-in spontaneo sotto la questura con la partecipazione di un centinaio di persone chiedendo l’immediato rilascio dei sei arrestati, nel tardo pomeriggio dopo 8 ore vengono rilasciati i primi tre compagni, in serata arriva però la notizia che il pm convalida l’arresto di Cesare, Francesco e Ruggero.

Domenica 10/10/2010

L’indomani tutto il movimento antifascista palermitano si ritrova in presidio sotto la questura, sarà una domenica pomeriggio dove un altrettanto centinaio tra studenti e lavoratori esprimono il proprio dissenso verso l’operazione repressiva e la massima solidarietà agli arrestati, si informa dell’accaduto la cittadinanza con striscioni e slogan convocando per il lunedì mattina un sit-in di solidarietà davanti il tribunale dove si svolgerà l’udienza.
In meno di 24 ore e di domenica a scuola chiusa, gli studenti dell’Umberto organizzano un’assemblea straordinaria di un ora da tenersi lunedì per poi partire in corteo verso il tribunale, contemporaneamente gli studenti dei licei Garibaldi, Cannizzaro e Catalano ne organizzano una al giardino inglese da cui partirà un secondo corteo che si unirà a quello dell’Umberto per raggiungere tutti insieme il tribunale.

Lunedi 11/10/2010

Gli studenti che appena tre giorni prima erano scesi a migliaia contro la riforma Gelmini, dimostrano di avere una coscienza politica che va oltre le questioni prettamente studentesche, all’Umberto viene svolta l’assemblea senza il consenso del preside che ancora una volta dimostra la sua natura reazionaria nei confronti degli studenti, il corteo unificato delle scuole nonostante la pioggia è un successo: in più di 300 arrivano davanti il tribunale scandendo slogan antifascisti e contro la repressione poliziesca! In totale si arriva a più di 500 persone che sotto il tribunale gridano a gran voce l’immediata liberazione e assoluzione dei compagni.
La rabbia e lo sdegno verso le falsità dichiarate dalla questura e dalla digos è enorme, in particolar modo gli studenti dell’Umberto che hanno assistito e sono stati anche oggetto delle intimidazioni e violenze dei servi in divisa e non, esprimono la loro rabbia negli interventi al megafono e con gli slogan. La componente della piazza è veramente variegata e rappresentativa di quella parte di società che respinge il marciume e l’apatia diffusa da questo sistema: studenti medi e universitari, lavoratori della scuola tra cui anche un docente dello stesso liceo Umberto, rappresentanti di proletari in lotta per la casa. I cori di solidarietà arrivano fin sopra l’aula dove si tiene l’udienza centrando l’obiettivo: far sentire ai compagni la vicinanza di centinaia di persone: non sono soli!
Sicuramente tutta questa ondata di solidarietà ha infastidito e non poco i servi in divisa e gli agenti della polizia politica (digos) che hanno testimoniato di aver subito violenze e lesioni (poverini!!!) da parte dei tre studenti universitari, i vigliacchi che hanno sbattuto sul selciato e bloccato con ginocchia sulla faccia dei compagni tentano da passare da aggressori ad aggrediti utilizzando fantomatici referti che si sa, in questi casi la polizia non ha problemi per procurarseli. Tutto ciò porta alla mente i fatti del G8 di Genova del 2001 dove anche in quel caso le “forze dell’ordine” si distinsero per cariche a freddo contro manifestanti pacifici, pestaggi e intimidazioni nella caserma di Bolzaneto, l’irruzione nella scuola Diaz aggredendo nel sonno centinaia di giovani e costruendo ad arte false prove come le molotov introdotte dall’esterno dalla polizia e così via.
Verso le 14 la decisione del giudice Lorenzo Chiaramonte che non convalida l’arresto ritenendolo illegittimo in base a due presupposti ovvero “la non pericolosità sociale degli arrestati” e “l’assenza della gravità del fatto”.
Un vero e proprio schiaffo alle menzogne della questura che nelle ore successive all’arresto aveva dichiarato di essere intervenuta per sedare uno scontro in atto tra fazioni opposte di “rossi e neri”, che secondo la questura erano rappresentati da Red Block e Casapound, falsità smentita dalle decine di testimoni presenti e dalle due parti tirate in ballo, ma oltre a questa palese storiella viene smentita la versione della questura che sarebbero stati gli antifascisti ad aggredire gli agenti della digos e della polizia.
Nonostante l’esito dell’udienza la questura con una nota in serata ribadisce la versione dei 7 agenti feriti e cosi via, questo è indice del clima che si respira nel nostro paese, l’utilizzo di padroni e governo dello stato di polizia per avanzare a tappe forzate verso il moderno fascismo.
È paradossale che un’istituzione dello stato come la questura non accetti il verdetto di un’altra istituzione dello stato preposta a tal fine come il tribunale.
Evidentemente l’hanno fatta grossa e la rabbia e il senso di rivalsa verso le centinaia di persone che per una volta non hanno accettato un sopruso del genere e tanta da portare a tali ridicole dichiarazioni. La più eclatante è quella dove si dice che “gli agenti non hanno fatto cancellare alcun video agli studenti”, peccato che lo stesso video divulgato dal quotidiano “La Repubblica” si conclude con l’immagine di una digossina che sequestra il cellulare al possessore che stava girando il video.
L’esito positivo dell’udienza è frutto dell’enorme rete di solidarietà creatasi attorno ai compagni dal minuto successivo al loro arresto fino al Lunedi mattina.
L’unità del movimento antifascista ha dimostrato la sua efficacia contro le menzogne di digos e sbirri.

Martedi 12/10/2010

Nel pomeriggio si svolge un’assemblea nella facoltà di Scienze Politiche dove si ribadisce il rifiuto di sottostare alle minacce della questura e si afferma la volontà di poter esprimere il proprio pensiero sempre, ovunque e comunque.

Oggi 13/10/2010

Una sessantina di compagni appartenenti all’ Ex Carcere, Red Block, Collettivo 20 Luglio, Collettivo Carlo Giuliani, Cail , Coordinamento Anarchico palermitano, Collettivo Autonomo Studentesco, singoli militanti antifascisti nonché il Collettivo ’68 del liceo Umberto, replicano il sit-in e volantinaggio “non autorizzato” ribadendo che nessuno autorizza la libertà di espressione sancito dalla Costituzione e che l’antifascismo non lo deleghiamo alle istituzioni, le stesse istituzioni che appoggiano gruppi neofascisti e ne coprono e difendono le azioni squadriste.
Dall’altro lato della barricata cosa fanno i fascisti di Azione Universitaria?
Espongono uno striscione ed effettuano un sit-in nella facoltà di Giurisprudenza per…
… l’immediata approvazione della riforma Gelmini a cui si oppongono centinaia di migliaia di studenti dal 2008 fino agli ultimi giorni!!!
Ancora una volta i fascisti si dimostrano quello che sono: servi del potere contro gli interessi delle masse popolari, per questo motivo, per portare qualche studente in piazza hanno bisogno dell’inganno come quello architettato da Casapound e Giovane Italia che sono costretti fin dall’anno scorso ad utilizzare la fantomatica sigla di “studenti in movimento”.
Noi non abbiamo bisogno di tutto ciò e questi ultimi giorni a partire da venerdì scorso, hanno dimostrato che la sinistra di classe cosiddetta “estrema” dalla stampa ha una larga base di massa pronta a inondare le piazze e le strade.
Forti di questo non ci fanno paura le minacce della questura e dei singoli sbirri.
La vicenda di sabato dimostra che non siamo noi quelli ad avere paura, ma questo stato che diventa sempre più antipopolare agli occhi della maggior parte di lavoratori, studenti e masse popolari in genere.

Ma non finisce qui…

Venerdi mattina ci si vede nello spezzone contro la repressione nell’ambito dello sciopero generale indetto dai Cobas.

Adesso esigiamo la piena assoluzione dei sei compagni indagati per i fatti dell’Umberto!

Contro il moderno fascismo e lo stato di polizia non un passo indietro!

La repressione non ci spaventa ma alimenta la nostra ribellione!

Viva la rabbia dei giovani studenti!

Viva l’antifascismo militante!

Ribellarsi è giusto!


Red Block
Palermo 13/10/2010

pc quotidiano 15 ottobre - Fincantieri: niente di "Bono" per gli operai

Gli operai della Fincantieri che hanno manifestato al sit-in di protesta organizzato dai componenti unitari dei direttivi di Fiom Fim e Uilm di Palermo in occasione della riunione della VII Commissione Bilancio, hanno provato a dare ancora una scossa all’Assemblea Regionale Siciliana affinché sblocchi la spesa per la ristrutturazione dei bacini del cantiere navale di Palermo.

La situazione di pericolo per lo stabilimento di Palermo viene confermata infatti dall’articolo apparso su Affari&Finanza di Repubblica dell’11 ottobre in cui viene considerato “stabilimento in emergenza, dove malgrado sia stata appena varata la piattaforma petrolifera Scarabeo 8 dell’ENI (“un gioiello di tecnologia italiana” puntualizza Bono) e siano iniziati i lavori per una nave posatubi della Saipem, sono urgenti ristrutturazioni nel bacino di carenaggio e nell’area ‘riparazioni e manutenzioni’ che costituisce il core business della struttura. [E le costruzioni? Il giornalista dimentica che sono proprio queste il core business per gli operai!]. A differenza dei casi precedenti, [Campania, Genova…] dove non si capisce bene se i terreni siano demaniali o privati !!! e non si sa se a tirare fuori i soldi debbano essere stato, regioni, province o azienda, qui il committente è identificato: la Regione. E la giunta Lombardo sta adoperandosi per vedere se riuscirà a stornarli dai residui fondi regionali della Ue di cui ancora gode la Sicilia.”

Nell’intervista apparsa su Affari&Finanza, quindi, l’amministratore delegato Bono, impiegato statale che si atteggia a padrone, cui manca solo la lacrimuccia per completare il quadro del suo dispiacere, si rimangia di fatto quello che aveva detto in occasione dello sciopero del 1° ottobre, sebbene risponda alle domande del giornalista in maniera “rammaricata” per l’attuale situazione di crisi vissuta dall’azienda, ma cerca in sostanza di scaricare le colpe sugli operai, sulle maestranze in generale e sulle strutture obsolete, come se a dirigere tutta la baracca non fosse stato proprio lui negli ultimi anni. E su questa posizione è stato criticato nello specifico dalla Fiom di Genova che ne ha messo a nudo l’incompetenza!
Ebbene, coerenza vorrebbe che si dimettesse subito se sotto la sua direzione si è arrivati a questo punto e il signor Bono non è stato capace né di “prevedere l’andamento del mercato” come piace dire ai padroni, né di garantire in tempo una svolta negli investimenti e nelle ristrutturazioni necessarie.

Sarà stato il grande sciopero degli operai di tutto il gruppo del 1° ottobre scorso (cui non hanno più partecipato Cisl e Uil che hanno colto al volo l’occasione del loro amico Sacconi che aveva fissato un incontro all’ultimo minuto per l’11 ottobre, ma che poi è slittato al 28 ottobre prossimo per permettere al “nuovo” ministro allo Sviluppo economico, Romani di essere presente), sarà perché oramai tutti i dirigenti sono degli attori nati, ma in questa intervista non è lo stesso uomo arrogante, tutto sicuro di sé che fino a qualche tempo fa affermava che l’azienda andava così bene che poteva permettersi di essere quotata in borsa.
Allora l’opposizione ferma degli operai fece fallire questa operazione che avrebbe ridotto l’azienda ad uno spezzatino nelle mani dei grandi finanzieri internazionali senza alcuna garanzia per gli operai.

Da questa intervista però viene fuori che non ci sono vere novità per gli operai, c’è la crisi ecc. ecc., nonostante gli impegni presi rispetto al ritiro del piano industriale che prevedeva il licenziamento di migliaia di operai e la chiusura di alcuni siti produttivi.

Contro questi pericoli reali gli operai si preparano a partecipare alla manifestazione del 16 ottobre a Roma, ma si devono anche preparare per bene per il prossimo incontro con il ministro che si terrà il 28 ottobre prossimo.

giovedì 14 ottobre 2010

pc quotidiano 14 ottobre - licenziamento alla bodega bergamo - la fiat fa scuola...

La vicenda del licenziamento del delegato FIOM dopo la morte per infarto del collega
BODEGA: VINTO RICORSO PER COMPORTAMENTO ANTISINDACALE, MA L’AZIENDA NON RISPETTA LA DECISIONE DEL GIUDICE CHE PREVEDE IL REINTEGRO


Bergamo, mercoledì 13 ottobre 2010

Vinto il ricorso, ancora non è stato attuato il reintegro alla Bodega di Cisano Bergamasco, trafileria per l’estrusione d’alluminio che occupa 220 dipendenti. Il 4 ottobre scorso il Giudice del lavoro del Tribunale di Bergamo ha ritenuto sussistente l’anti-sindacalità del licenziamento del delegato FIOM-CGIL che era stato licenziato all’inizio di luglio, ordinando che venisse reintegrato.
Il ricorso per repressione di condotta antisindacale era stato depositato dalla FIOM-CGIL il 30 luglio scorso. La vicenda risale, infatti, a tre mesi fa, quando, ad inizio luglio, un operaio del reparto magazzino è morto per infarto nello stabilimento di Ca' de' Volpi.
Il giorno successivo, una volta appresa la notizia, il delegato della FIOM-CGIL, da una ventina d’anni al lavoro in Bodega, era andato, insieme al Rappresentante Sindacale per la Sicurezza, nel reparto del collega deceduto per chiedere informazioni, richiedendo verbalmente al proprio caporeparto il permesso per allontanarsi dal suo posto. Una volta raggiunta la responsabile dell’altro reparto, il delegato aveva chiesto informazioni. Il direttore generale dell’azienda, invece, lo accusava di aver compiuto un “blitz” e di aver tenuto un “comportamento minaccioso e insultante” oltre che di aver “causato una crisi di panico e di pianto” alla donna. Per questo era stato licenziato. Il Tribunale ha, invece, ordinato che sia reintegrato.
Eppure, il 5 ottobre, con una lettera indirizzata al delegato, l’azienda ha comunicato di voler presentare ricorso e che, fino all'esito di esso, gli avrebbe corrisposto lo stipendio pari al permesso retribuito, ma di reintegro nemmeno a parlarne.
“Esattamente come alla Fiat Sata di Melfi, anche a Bergamo avviene che il giudice dia ragione alla FIOM-CGIL, riconoscendo la condotta antisindacale del licenziamento del nostro delegato, e che ordini all'azienda il suo reintegro, ma avviene anche che l'azienda non rispetti la sentenza”, spiega Eliana Como della FIOM-CGIL di Bergamo. “D'altra parte, già in Tribunale, il titolare di Bodega aveva espresso al Giudice del Lavoro l'intenzione netta di impedire al delegato di rientrare al suo posto. Questo non fa altro che reiterare la condotta antisindacale nei nostri confronti. Il fatto che l'azienda dichiari nella lettera inviata al lavoratore che gli permetterà comunque di esercitare tutti i suoi diritti sindacali è del tutto pretestuoso, essendo di fatto impossibile esercitarli fuori dal posto di lavoro. Riteniamo, poi, curioso che un’azienda che può permettersi di pagare un dipendente senza farlo lavorare, abbia poi necessità di fare ricorso alla cassa integrazione ordinaria, come abbiamo appreso con la convocazione all'esame congiunto inviata il 1° ottobre scorso. Questo comportamento, a Melfi come a Cisano Bergamasco, ci riporta al passato e cancella la dignità dei lavoratori”.
La FIOM di Bergamo chiede, perciò, all'azienda di rispettare la sentenza di reintegro: “In caso contrario” aggiunge Eugenio Borella, segretario generale provinciale della FIOM-CGIL, “ci vedremo costretti a valutare le vie legali, non escludendo di agire anche in sede penale”.
Inoltre, come ha già fatto la Fiom di Melfi, ci rivolgeremo a tutte le istituzioni democratiche e alle più alte cariche dello Stato, a partire dal Presidente della Repubblica affinchè intervengano presso la Magistratura per ristabilire il rispetto della nostra Costituzione.




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pc quotidiano 14 ottobre - processo thyssen - una presa di posizione

Dopo innumerevoli tentativi di ostruzionismo, da parte dei difensori mercenari della Thyssen fatti di cavillosi espedienti, raggiri, false testimonianze e piagnistei sul pericolo delle presunte minacce ricevute e altrettanto presunte diffamazioni nei loro confronti, si è giunti finalmente alle battute conclusive del processo. Un processo che non ha precedenti nella storia del movimento operaio del nostro Paese perché i dirigenti di una grande azienda, per la prima volta in assoluto, sono accusati di omicidio volontario e non, come spesso accade, soltanto di omicidio colposo. Si, perché nel nostro democratico bel Paese, quando muore un operaio in fabbrica o sul cantiere, la tragedia viene rappresentata soltanto come una disgrazia per la quale i padroni non hanno mai responsabilità dirette e consapevoli. L'attenzione e la grande mobilitazione popolare che è seguita immediatamente dopo la strage dei sette operai della Thyssen Krupp, è stata la prima condizione che ha favorito una relativa rapidità nell'istruire il procedimento e il mantenimento del capo d'accusa. Quell'attenzione e quella mobilitazione popolare che oggi, proprio alle battute finali del processo, sarebbe ancor più necessaria per influire, sia sulle requisitorie dei Pubblici Ministeri e le arringhe dei difensori, che sulle decisioni della giuria popolare.
Durante l'udienza del 5 ottobre scorso, grazie all'appello lanciato dai famigliari delle vittime e sostenuto anche dal nostro collettivo con volantinaggi e locandine, l'aula del tribunale nella parte riservata al pubblico, era finalmente gremita, dopo un anno di udienze durante le quali tra il pubblico, vi si trovavano al massimo 4 o 5 persone ed in presidio all'esterno, come sempre, il Collettivo Comunista Piemontese e la Rete Nazionale per la Sicurezza sui Posti di lavoro. “Assenti ingiustificati”, per tutta la durata del processo, come citava il volantino diffuso dall'ass. Legami D'Acciaio, i sindacati e i partiti che, in una maniera o nell'altra, affermano di rappresentare ancora gli interessi della classe lavoratrice. Infatti, ne la FIOM, nel il PRC, ne il PdCI, ne altri partiti della sinistra, sono andati oltre al presenzialismo facendosi vivi soltanto durante le “occasioni importanti”, quelle occasioni dove la presenza di giornalisti e telecamere era garantita. Partititi e sindacati che, grazie alle loro strutture, avrebbero potuto programmare una presenza assidua e continuata alle udienze, non hanno colto le dimensioni politiche e sociali di questo processo le cui conclusioni ricadranno, non soltanto sulla memoria degli operai uccisi e sui loro parenti o colleghi, ma sull'intera classe operaia. Gli omicidi bianchi (e non le morti bianche come vengono definiti erroneamente)devono essere combattuti concretamente e con determinazione. Non sono sufficienti ( 3 operai muoiono ancora ogni giorno sul posto di lavoro, mentre a centinaia sono gli incidenti gravi) i comunicati, le assemblee, i seminari o qualche sporadico presidio. E' necessario essere presenti sul territorio cercando di contrastare sistematicamente, con la pratica, l'immobilismo o addirittura la complicità del sindacato, l'opportunismo a scopi elettoralistici dei partiti e l'idea per cui, durante un processo contro i padroni, bisognerebbe lasciare tutto in mano alla magistratura borghese e non mobilitarsi lasciando che la “giustizia” faccia il suo corso. Molto probabilmente se il nostro collettivo non fosse intervenuto (rischiando anche querele e denunce)denunciando pubblicamente con estrema franchezza i raggiri e le nefandezze intentate dalla difesa dei dirigenti stragisti della Thyssen, la collusione e concussione di Autorità pubbliche come ad esempio gli ispettori dell'ASL 1, il livello di tensione e di attenzione su queste vicende legate strettamente al processo, non sarebbe stato sufficiente.
Facciamo quindi appello al “rinnovato” interesse di partiti e sindacati dimostrato durante l'udienza del 5 ottobre, affinché questo interesse diventi pratica quotidiana e sia concretamente teso a sostenere le ragioni della classe operaia abbandonando posizioni accomodanti a seconda delle quali gli interessi della classe operaia potrebbero essere coincidenti con quelli dei padroni i quali potrebbero essere più buoni e meno squali. Così non è e non è mai stato, gli interessi dell'una non sono compatibili con gli interessi degli altri. Dove vince l'operaio perde il padrone e viceversa! Non esiste e non esisterà mai un capitalismo migliorabile perché lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo è insito nel sistema stesso. Unica via è lavorare all'abbattimento del capitalismo per sostituirlo con l'unico altro sistema possibile, il SOCIALISMO.
collettivo comunista piemontese

pc quotidiano - Marlane Praia a mare - la relazione denuncia a un convegno slai cobas

Marlane Marzotto di Praia a Mare: 100 morti di cancro e disastro ambientale

PER ROMPERE IL SILENZIO

Relazione introduttiva mara malavenda alla Assemblea Pubblica a Paola 11 ottobre

In questi giorni è arrivato ad una svolta importante il processo ai responsabili della Thyssenkrupp di Torino dove nel dicembre 2007 sono bruciati vivi 7 operai.

È stato riscontrato il dolo con la conseguente ipotesi di omicidio volontario per la consapevole scelta di omissione delle obbligatorie misure antinfortunistiche a determinare la strage. L’azienda, pur rappresentandosi la concreta possibilità di esporre i lavoratori ad incidenti mortali come conseguenza della sua condotta ha accettato il rischio scegliendo di non prevenirlo mentre non poteva nutrire alcuna fiducia che i possibili eventi mortali non si verificassero.

La stessa logica è stata messa in atto in questi decenni dalla Marlane Marzotto di Praia dove i primi morti per cancro risultano avvenuti nel 1973, ben 37 anni fa.

Ancora oggi il processo stenta a decollare: domani mattina, al Tribunale di Paola, si tiene l’ennesima udienza - dovrebbe essere quella conclusiva - sulla richiesta di rinvio a giudizio dei responsabili aziendali.

La Marlane ha fatto di tutto in questi anni nel tentativo di occultare le proprie responsabilità, ritardare all’infinito il processo per puntare alla prescrizione dei reati, silenziare, far sparire dai media la voce dei lavoratori e occultare una vera a propria strage operaia ancora in corso e che, ad anni dalla dismissione degli impianti, vede ancora crescere a dismisura il numero dei lavoratori morti e di quelli che continuano ad ammalarsi.

E’ passato ben più di un decennio da quando costituimmo lo Slai cobas in fabbrica. Fu una scelta obbligata dalla necessità di rompere la ragnatela di complicità e connivenze realizzata dall’azienda con tutte quelle forze che invece avrebbero dovuto essere preposte alla tutela dei lavoratori.

In questi anni, con caparbia, abbiamo imposto il processo e saputo fronteggiare potenti e inquietanti regie occulte e trasversali.

E oggi più che mai bisogna ancora scuotere la coscienza civile di molti, troppi, tra lavoratori e cittadini per rompere la cortina di silenzio e diffusa complicità con l’azienda delle parti sociali, politiche ed istituzionali che ancora si stringono a difesa degli inquisiti nel processo.

E’ anche per questo che lo Slai cobas si è costituito parte civile, e questo è il senso di questa difficile e coraggiosa assemblea: dare forza e voce alle ragioni dei lavoratori e dei loro congiunti e onorare il ricordo dei troppi morti ammazzati dallo sfruttamento padronale.

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Bisogna impedire il tentativo strisciante messo trasversalmente in atto da varie forze politiche, istituzionali, sindacali e giuridiche che vogliono trasformare questo processo in un processo “di scambio”, a perdere, con esito morbido per l’azienda e a discapito dei lavoratori” nel tentativo di
“non sporcare il marchio” della Marzotto di Valdagno e, con essa, quella dell’imprenditoria veneta leader del settore.

Infatti oltre al sindaco di Praia a Mare Carlo Lomonaco, responsabile, dal ’73 all’88 del “reparto della morte” (la Tintoria), tra i nomi “eccellenti” dei 14 responsabili aziendali imputati figura il gotha del “Gruppo di Valdagno” e delle aziende venete e confindustriali:

Il cavaliere del lavoro Pietro Marzotto già conte di Valdagno, “re” del tessile ed erede della omonima dinastia, già vicepresidente della Confindustria, già presidente dell’Associazione Industriali di Vicenza e dell’Associazione Industria Laniera Italiana, presidente della Fondazione Marzotto.

Antonio Favrin vicepresidente vicario della Confindustria Veneta, già consigliere Safilo, azionista della Valentino, con partecipazioni nella catene alberghiere Jolly Hotels.

Silvano Storer già direttore generale della Stefanel, con forti interessi nella Nordica (scarponi da sci) e nella Benetton Sportsystem.

Jean De Jaegher consigliere dell’ Euretex (Associazione Europea delle Industrie Tessili), già nominato Consigliere Economico della Casa Reale Belga, Presidente della Marzotto USA dal ’95 al ’98.

Lorenzo Bosetti consigliere delegato e vicepresidente della Lanerossi

Per ossequio nei confronti dei citati e forti poteri economici e finanziari (e con evidente disprezzo delle ragioni dei lavoratori e dei cittadini) il Ministero dell’Ambiente, la Regione Calabria, la Provincia di Cosenza e lo stesso Comune di Praia a mare (col sindaco indagato) non si costituiscono parte civile - come di dovere - nel processo!

Sarà anche per questo che, tra i nomi degli avvocati che difendono gli imputati - e contro la difesa dei lavoratori - spicca quello di Giuliano Pisapia, di Rifondazione Comunista e candidato a sindaco di Milano alle prossime amministrative?

Eppure qua siamo di fronte ad una vera e propria strage di operai protratta negli anni, di una fabbrica che ha prodotto prevalentemente omicidi (cosiddetti bianchi) piuttosto che indumenti.

Infatti, secondo quanto dichiarato dagli stessi medici aziendali (dato evidentemente sottostimato per scopo difensivo-processuale) sono 50 i lavoratori morti per cancro tra i dipendenti della Marlane Marzotto di Praia a Mare.

La Procura ha individuato 107 casi di morte o malattia “sospetta” tra i dipendenti ex Marlane Marzotto (tumori alla laringe, leucemie, carcinomi polmonari, iperplasia alla prostata, cancro ai reni, neoplasie alla mammella, patologie a fegato ed intestino ecc.). Ma la reale quantificazione del numero dei lavoratori deceduti per patologie direttamente attribuibili all’azienda è ancora al di là da venire e potrebbe ragionevolmente raggiungere e superare i 150 casi.

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Dagli stessi preti del paese risulta che sono stati celebrati circa 80 funerali tra gli operai ex dipendenti dello stabilimento praiese.

Una equipe di medici di base ha riscontrato che, sul territorio, su 12.590 persone in carico al servizio sanitario nazionale, ci sono stati 241 casi di cancro: una percentuale 4 volte superiore alla media nazionale. Patologie che hanno colpito sopratutto persone tra la fascia di età di 34/40 anni.

Quale incidenza nel “picco tumorale” del territorio può aver avuto lo smaltimento in discariche abusive, poi messe sotto sequestro dalla magistratura, di tonnellate di inquinanti tossici residui del ciclo di lavorazione quali: zinco, piombo, rame, cromo esavalente, mercurio, arsenico, amianto?!

Le inquietanti vicende delle ‘navi dei veleni’ (di cui la Cunsky affondata al largo di Cetrara e la Jolly Rosso lasciata sulla spiaggia di Amantea e svuotata dalle sostanze tossiche che trasportava poi sotterrate in tutta fretta in una vicina cava di sabbia) confermano l’esistenza nel territorio di una strutturata organizzazione, locale e nazionale, preposta allo ‘smaltimento’ criminale dei rifiuti industriali ad alta tossicità.

Al numero già individuato o dichiarato di decessi e patologie sospette tra gli ex lavoratori della Marlane Marzotto vanno aggiunti i molti, troppi morti o ammalati in silenzio di questa fabbrica che ha costruito un vero e proprio reticolo - ancora attivo, esistente e vitale - di pervasivo controllo sociale inducendo una sorta di ricatto, disperazione e rassegnazione tra i lavoratori e le loro famiglie, che ha troppo spesso consentito il silenzio in cambio della promessa di ingresso al lavoro dei figli dei dipendenti morti o ammalati.

Dalla perizia dello Slai cobas, depositata al Tribunale di Paola, e commissionata a consulenti tecnici di fiducia, già nel 2008 si riscontrava che:

“ Dagli atti processuali siamo oggi in grado di risalire alle tipologie di lavorazioni così come si attuavano e alla presenza degli agenti chimici cancerogeni usati. Mentre l’incidenza di tumori maligni in Italia rappresenta un indice inferiore allo 0,005% per ogni 100.000 abitanti, la stessa incidenza nella regione Calabria è prossima alla 0,003%, nettamente inferiore al dato nazionale. La maggiore incidenza di tumori si ha nelle regioni a maggiore industrializzazione e la Calabria, che ha una realtà industriale molto rarefatta presenta uno dei minori tassi di incidenza per malattie tumorali in Italia.

Nello stesso tempo, tra i lavoratori della Marlane Marzotto, anche considerato il dato grossolanamente sovrastimato dalla direzione aziendale che dichiara circa 1.000 occupati dal 1960 fino alla chiusura dello stabilimento, si è in presenza - nei soli atti giudiziari - di ben 42 casi dichiarati di patologie neoplastiche che indicano tra i dipendenti dello stabilimento un picco di incidenza di tumori maligni del 4%. Questo ignorando volutamente gli altri moltissimi casi di neoplasie maligne di cui i lavoratori, i loro eredi e la nostra organizzazione sindacale ha comunque notizia. Ma già se si riportassero questi soli dati, già fortemente sottostimati, ad una popolazione teorica di 100.000 unità, avremmo una incidenza per i tumori totali pari a ben 4.100, ossia più di 11 volte il tasso di incidenza complessivo della popolazione residente in Calabria. E’ evidente che i casi di malattie neoplastiche alla ex Marlane non possono essere considerati come “casuali” e riferibili alla normale incidenza di patologie cancerose nella popolazione, come tenta di sostenere l’azienda nelle sue tesi difensive, ma sono chiaramente correlati alle sostanze cancerogene e soprattutto alla loro modalità di utilizzo in fabbrica.



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Si rileva che nel periodo riferito agli atti che alla Marlane, si usavano sostanze chimiche carcinogenetiche e nulla svincolava l’azienda dall’obbligo di separazione dei lavori nocivi e dalla generale difesa dell’area dai prodotti nocivi e dalle polveri.

A Parte l’obbligo di prevenzione sanitaria a fronte dell’eclatante incidenza delle patologie tumorali, il cromo, il cui utilizzo in sali solubili quali quelli utilizzati nella preparazione dei bagni di tintura, può essere responsabile di neoplasie maligne in qualunque organo del corpo umano. E inequivocabilmente tale sostanza era usata nello stabilimento.

Già nel 1992 vi erano evidenze scientifiche sulle proprietà cancerogene dei coloranti azoici in us in relazione alle patologie accusate dai lavoratori, ed è impensabile che l’azienda ne fosse all’oscuro.

Manca agli atti alcuna valutazione biostatistica in relazione alle patologie accusate dai lavoratori e le sostanze in uso, né sono riscontrabili misure di sorveglianza sanitaria per la prevenzione e protezione dal rischio dei lavoratori”.

Va inoltre detto che la logica di “complicità in affari” di tutte le parti in causa è quella che in questi decenni ha dominato, ed ancora domina, l’insieme delle privatizzazioni e dei processi industriali, politici ed istituzionali indipendentemente dall’alternanza politica dei vari governi nazionali e locali che via via si succedono.

Pietre miliari di questi processi sono la svendita dell’industria di Stato del 1987 (Alfa Romeo, ENI, SME ecc.) con la Marlane e l’intero Gruppo Lanerossi dato alla Marzotto: infatti la commissione della comunità europea nel 1988 condannò l’Italia a restituire 260 miliardi e 400 milioni di lire di finanziamento pubblico illecito a fronte di un ricavo di 173 miliardi di lire corrisposto dalla Marzotto per l’acquisto della Lanerossi.

E come non pensare che i ripetuti accordi sottoscritti negli anni da tutti i sindacati confederali con la Marzotto sono tra l’altro serviti a ricattare, o fare ‘sparire’ coi licenziamenti i lavoratori ammalati di tumore allo scopo di occultare anche così le gravi colpe aziendali, confidando inoltre nella complicità di compiacenti autorità sanitarie ed ispettive che interpellate dai familiari dei lavoratori della Marlane morti di cancro hanno dichiarato, senza alcuna indagine in merito, che l’origine delle malattia e del decesso non era dovuta agli ambienti di lavoro della fabbrica?

Questo mentre, nello stesso tempo, i sindacalisti firmavano accordi sui licenziamenti e gestivano assunzione clientelari, a fronte dello stillicidio dei morti e degli ammalati di cancro che cresceva di anno in anno. Quegli stessi sindacalisti che poi ritrovavamo imprenditori, come nella “Attività 90 srl” costituita nell’87 e che vedeva, nei soci i rappresentanti di UIL e CGIL e la sorella del sindaco (il sindaco già era stato caporeparto alla Marlane Marzotto) nella funzione di amministratore unico. Come per la “calipso srl”, costituita nel novembre ’96 e tra i cui soci risultavano RSU aziendali di CGIL e CISL e vicinanze parentali con un consigliere comunale in carica. E ancora per la successiva costituzione dell’ennesima azienda individuale a nome di un’ ex assessore di Praia in carica all’epoca. Il tutto per un’indotto operante per conto della Marzotto.



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Ciononostante, il 16 aprile ’98, con 14 mesi di complice ritardo ed in evidente oggettiva di ‘falso ideologico’, l’allora Ministro del lavoro del governo Prodi (ed ex sindacalista confederale) Tiziano Treu, così rispondeva ad una interrogazione parlamentare da me presentata il 19 febbraio ’97 sulle gravi ed inquietanti morti ‘bianche’ alla Marlane: “dall’esame dei registri infortuni non risulta essersi verificato nello stabilimento alcun infortunio mortale che avrebbe, d’altro canto, suscitato scalpore ed interessato le autorità di pubblica sicurezza e l’ispettorato per i relativi accertamenti”…”che la società (la Marzotto) ha operato investimenti utilizzando la legge Tremonti senza alcun investimento statale”…” per poi contraddirsi immediatamente dopo essendo costretto ad ammettere che la stessa, in seguito ad accordo sindacale… ”ha percepito un finanziamento statale, esclusivamente per i neo assunti, dal fondo sociale europeo e dalla regione Calabria, per un importo di 1.258 miliardi di lire, nell’ambito del progetto di recupero dei disoccupati di lunga durata”…”La Marzotto ha dichiarato di non essere a conoscenza se i laboratori di lavoro collaterale in Calabria siano gestiti da ex sindacalisti”…

E si potrebbe continuare all’infinito nella denuncia e nella delineazione della inquietante cornice in cui si è giunti al processo: siamo di fronte a una vera e propria strage di lavoratori e un disastro ambientale che ha irreparabilmente inquinato il territorio. Ciò è stato causato con dolo dalla Marlane Marzotto e reso possibile da sindacati ed istituti di prevenzione “complici e consenzienti” e dall’intero quadro politico-istituzionale locale, la cui unica azione in questi anni è consistita nell’omertoso tentativo di coprire e rendere invisibile il sistematico e crescente stillicidio di un centinaio di omicidi cosiddetti “bianchi” facendo di tutto per nascondere le gravi responsabilità aziendali.

Inquietanti figure di sindacalisti-dirigenti aziendali e sindaci-capireparto fanno da corollario al complice tentativo di isolare e vanificare la tragica lotta degli operai per la difesa della propria vita e della salute delle popolazioni del territorio.

Dopo aver beneficiato di ingentissimi finanziamenti pubblici e aver chiuso gli impianti e delocalizzato nell’est europeo, Marzotto lascia in Calabria centinaia di morti ed un “cimitero industriale”: un sinistro monumento al malaffare industriale ed alla consociazione sindacale la cui logica nefasta, specifica e generale, oggi vorrebbero consolidare sia frenando l’iniziativa giudiziaria per la prescrizione dei reati alla Marlane, sia rilanciando la filosofia del conte Marzotto, oggi ripresa dalla Fiat col “piano Marchionne” allo scopo sfruttare la crisi per sconfiggere strategicamente i lavoratori e relegarli in “moderna schiavitù” allo scopo di incrementare i profitti. Se fosse passata questa pretesa deregolamentazione autoritaria del Lavoro oggi Marzotto si sarebbe salvato dal processo.

Oggi la Marlane Marzotto è invece sotto processo e questo nonostante la pluriennale e connivente latitanza, tra gli altri, di tutti i sindacati confederali compresa la CGIL: ciò e stato possibile grazie ai lavoratori ed alle famiglie dei tanti di loro morti o ammalati di cancro e grazie allo Slai cobas che è stato di fatto l’unico sindacato a dare forza e voce alle “ragioni operaie”.

Quest’assemblea vuole essere un vero e proprio atto di accusa contro le gravissime, consapevoli, volontarie e colpevoli violazioni della Marzotto che nonostante gli intollerabili livelli di esposizione a rischio dei lavoratori sceglieva di non “muovere un dito” per realizzare “gli utili” a discapito della vita stessa dei lavoratori.


Paola, 11/10/2010

pc quotidiano 14 ottobre - Firenze - A fianco dei 13 manifestanti contro la guerra condannati a 7 anni

Il 5 di novembre 2010 si terrà a Firenze il Processo di Appello a carico dei 13 manifestanti condannati in primo grado il 29 gennaio del 2008 per resistenza aggravata a 7 anni di carcere per aver partecipato nel lontano 1999 alle manifestazioni contro la guerra in Jugoslavia.
Il 13 maggio del 1999, in occasione dello sciopero generale dei sindacati di base, in tutta Italia vi furono manifestazioni regionali per protestare contro la guerra in Jugoslavia, voluta dagli Usa di
Clinton e dalla Nato ed appoggiata dal governo D’Alema, che con una circolare del ministero degli interni invitò polizia e carabinieri a reprimere le manifestazioni vicino alle sedi consolari Usa.
A Firenze il corteo regionale di oltre 3.000 persone si concluse sotto il consolato degli Stati Uniti e qui fu violentemente caricato dalle forze dell’ordine, come documentato da testimonianze ed immagini video: le cariche causarono numerosi feriti ed una ragazza fu operata ad un occhio. La giornata finì con l’occupazione simbolica della sede dei DS, allora partito del Presidente del Consiglio D’Alema in un clima di rabbia ed indignazione per le violenze subite.
Il giorno dopo le veline della Questura, con accuse di guerriglia e violenze preorganizzate, cercarono immediatamente di criminalizzare i manifestanti per giustificare gli attacchi polizieschi criticati persino da Striscia la Notizia.
Dopo quasi dieci anni è arrivata l’incredibile sentenza di 7 anni per tutti e 13 gli imputati con la sola accusa di resistenza aggravata.
Episodi come questo, non a caso parallelo alla prima guerra umanitaria combattuta e rivendicata dall’Italia, hanno evidenziato nel tempo un cambiamento significativo nelle strategie di repressione dei movimenti e di controllo sociale. Da allora una lunga serie di interventi militari umanitari si sono susseguiti, fino ad arrivare alle odierne guerre in Iraq ed Afghanistan: come tanti sono stati gli episodi ed i momenti in cui la repressione ha svolto un importante ruolo politico, dalle piazze del Global Forum di Napoli a Genova 2001, alle decine di inchieste politiche e per reati associativi a carico di comunisti, anarchici, lavoratori e studenti, fino all'uso dei provvedimenti extragiudiziari, come multe, avvisi orali o fogli di via.
Numerosa, purtroppo, sarebbe la lista delle inchieste, dei processi politici, degli arresti, delle perquisizioni, dei teoremi che hanno segnato questi lunghi 10 anni, a fianco di un progressivo attacco ai diritti di lavoratori e immigrati, alla stessa libertà di critica, quando si trasforma una contestazione o un fumogeno in un atto terroristico!
Inoltre in questi 10 anni abbiamo visto sia un pesante revisionismo contro la Resistenza che il finanziamento e la sovraesposizione dei gruppuscoli neofascisti, come Forza Nuova o Casa Pound, con il ruolo unicamente di provocazione e di repressione come le tante inchieste contro gli antifascisti dimostrano anche qui in Toscana, con la montatura di Pistoia o i fatti di Via della Scala a Firenze.
Tutto questo è avvenuto anche con il consenso del centrosinistra, che, se da un lato denuncia il pericolo autoritario della destra di governo, dall'altro appoggia guerre umanitarie e repressione politica. Di fronte ad un sistema economico e ideologico in grave crisi, che porta con se la perdita dei legami sociali ed una pericolosa spinta reazionaria, secondo tutte le forze “democratiche”gli oppositori vanno repressi, chi esprime una critica radicale va zittito, chi cerca la costruzione di altri rapporti sociali va isolato.

Ma nonostante processi, arresti, intimidazioni, noi siamo ancora qui, cerchiamo ancora di costruire rapporti sociali solidali, non determinati dal profitto, rappresentare ancora la possibilità di
cambiare, di non accettare questa situazione, economica e sociale.
E proprio per questo siamo ancora al fianco dei 13 compagni condannati e di chi subisce ogni giorno la repressione

SABATO 23 OTTOBRE al CPA Firenze Sud
GIORNATA DI SOLIDARIETA'
dalle ore 16.30 assemblea dibattito – alle 21.00 cena di solidarietà – alle 23.00 concerto

Centro Popolare Autogestito Firenze sud
Via Villamagna 27/a - www.cpafisud .org

pc quotidiano 14 ottobre - le bugie di LaRussa

LaRussa al Parlamento: mai militari torsero un capello a civili!Dateci le bombe!
http://www.pugliantagonista.it/osservbalcanibr/afghan19_parlamento.htm

Oggi l’ipocrisia è andata in onda coperta da un falso patriottismo ,dando l’immagine di un parlamento succube di un’idea distorta di ciò che è e fa lo strumento militare .
Oggi si è colto ciò in pieno da come le dichiarazioni di LaRussa, sulla verginità dei nostri soldati , siano state accolte nel silenzio compiaciuto delle opposizioni, obbligandoci ad ammettere che effettivamente l’Italia non sarà mai ritenuta un paese con un minimo di tradizione militare e che gli italiani vogliono essere considerati popolo di suonatori di mandolini, mangiatori di spaghetti e salvatori di nonnette in pericolo.

“-Mai un nostro militare ha fatto del male ad un civile nelle missioni all’estero.”-
Dando l’immagine di un esercito fatto di educande, pronto a farsi scannare impunemente se l’altro è in inferiorità numerica o psicologica e i cui uomini dopo aver sparato ai cattivi, si mettono in ginocchio, facendosi la croce e chiedono perdono a Dio di ciò che hanno fatto e son pronti a dare il loro stipendio come risarcimento alle possibili vittime innocenti.
Insomma tutto l’opposto di ciò che ti anima nei momenti sconvolgenti, adrenalinici, dello scontro militare, che ti porta a sbudellare il nemico che esso si chiami in quel momento talebano , o bambino palestinese o serbo che ti tiri le pietre, o iracheno sui ponti di Nassirya o somalo al Check Point Pasta.
In quei momenti la tua pelle è in pericolo o c’è la paura di violare gli ordini o ci sono le leggi non scritte del cameratismo che ti fanno chiudere gli occhi se il tuo compagno di branda, che pochi minuti prima ti ha salvato, ora stia stuprando la figlia di chi ti voleva morto.
Tutto ciò vuol dire non sapere realmente ciò che porta nel cuore e nella mente di un uomo che è mandato a combattere in guerra.
Italiani brava gente.
Vi ricordate il somalo legato e con i genitali elettrizzati con un po’di scosse di telefono da campo? Come andò a finire? Praticamente un assoluzione:-“ Stavamo lì a giocare e il somalo si divertiva e ci ringraziò perché ebbe un erezione meglio di due pasticche di Viagra!”-

E la somala che fu fotografata con un proiettile di mortaio dinanzi alla vagina?
-“Voyeurismo! Tutto finto. Scherzavamo! L’avevamo pagata e lei era consenziente! “-
E l’ambulanza con relativa partoriente ed infermieri ammazzati sui ponti di Nassirya?
“-Legittima difesa !Le ambulanze sono pericolose”-
E il manifestante iracheno indifeso e freddato a terra?
“-Il militare aveva paura che, rinvenendo, facesse saltare in aria la caserma a cui facevamo la guardia!”-
E la bambina afgana ammazzata su una Toyota bianca che viaggiava sulla corsia opposta di un nostro convoglio?”-
“- Colpa sua . Le Toyota bianche le usano i terroristi , doveva chiedere a suo padre di ridipingerla di rosa!”- http://www.pugliantagonista.it/osservbalcanibr/afghan_oss_3.htm

Tutto ciò oggi non c’era nella testa di chi ascoltava LaRussa
.
Tutti in Parlamento, oggi pendevano dalle labbra del nostro ministro, pronti ad applaudirlo intonando il fratelli d’Italia , ma noi ci domandiamo :
”-Perché tanta urgenza, esattamente un anno fa quando si permise che il governo emanasse una legge che decretava l’impunità per i delitti fatti dai militari all’estero contro i civili?”-
La logica ci impone che se è vero ciò che oggi ha affermato LaRussa allora quella legge inserita nel decreto milleproproghe di fine d’anno per rifinanziamento delle FFAA all’estero si dovrebbe abolire perché inutile! (vigore il 1 gennaio 2010, la 197/2009) vedi http://www.pugliantagonista.it/osservbalcanibr/afghan_15_killteam.htm
Non è questo il governo della semplificazione?
Agitare il mito del Buon soldato Italiano che canta Faccetta Nera per andare a liberare gli schiavi di Ailè Sellassiè a quanto pare funziona, allo stesso modo con il quale funzionò nel 1936 , quando addirittura un bel gruppo di “antifascisti” chiesero spontaneamente di essere arruolati per andare a combattere in Abissinia.
Potenza dell’Illusionismo!!
A quanto pare gli occhi spiritati del Mago La Russa riescono ad ipnotizzare i rappresentanti di un popolo intero.
Lo scopo di tutta la tiritera di oggi? Assolvere il governo e i generali dalle morti degli ultimi alpini, frenare la volontà popolare del ritiro immediato dall’Afghanistan, fare accettare la permanenza dei nostri militari ad Herat per ancora troppo tempo e inviare altri aerei bombe e quanto più si abbia perché quella è la realtà e la necessità della guerra
Da BOMBE AEREE RASSICURANTI parte seconda
La parte prima è su http://www.pugliantagonista.it/osservbalcanibr/afghan18_bombe.htm


Antonio Camuso
Osservatorio sui Balcani di Brindisi
13-10-10

mercoledì 13 ottobre 2010

pc quotidiano 13 ottobre - Fiat mirafiori - reintegrato Pino Capozzi.. che farà ora la Fiat ?

Fiat: tribunale, reintegro licenziato
Mirafiori, aveva usato e-mail aziendale per attivita' sindacale
13 ottobre, 19:29

Il Tribunale del lavoro di Torino ha ordinato il
reintegro di Pino Capozzi, il rappresentante sindacale della Fiom allontanato
dalla Fiat. Il reintegro e' stato stabilito dal giudice Patrizia Visaggi.

Capozzi, 36 anni, era stato allontanato per volantinaggio via e-mail. Aveva
usato la casella aziendale di posta elettronica per inoltrare una lettera di
solidarieta' dei lavoratori polacchi dello stabilimento di Tichy ai colleghi di
Pomigliano.

Da parte Fiat e' scattato il licenziamento.

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pc quotidiano 13 ottobre - EPIFANI MANDA I DIKTAT PER LA MANIFESTAZIONE DEL 16

“La manifestazione di sabato sia un grande momento di unità e di determinazione serena delle proprie ragioni” - ha mandato a dire Epifani, dalle pagine del CdS di oggi, alla Fiom.
E di quale “unità” si tratta, con chi e per cosa, lo spiega subito dopo.
Unità con cisl e uil: “si può dissentire da Bonanni, ma l'organizzazione della Cisl va rispettata”;
Unità per: “Faremo una nuova proposta sul sistema contrattuale... e penso che questo ci possa riportare al centro del confronto innanzitutto con cisl e uil, Poi con gli industriali”.
E per non far nascere dubbi su questa disponibilità della Cgil, aggiunge “non è ancora il momento dello sciopero generale”. Musica per le orecchie di Fiat, Confindustria e governo!

Dire questo a ridosso di una manifestazione che deve essere espressione della rabbia, della volontà di lotta degli operai Fiat, dei tanti operai delle fabbriche chiuse o in cassintegrazione, come delle fabbriche in cui il “modello marchionne" di fascismo padronale e schiavismo operaio sta facendo scuola, come dei tanti lavoratori e lavoratrici di vari settori che si trovano di fronte a una precarietà diventata norma; è voler sabotare a priori questa manifestazione, farla diventare una innocua passeggiata; appunto espressione “serena delle proprie ragioni”, per farne di fatto solo un messaggio di apertura di dialogo a cisl e uil e al padronato.
Sarà “sereno” Epifani! Ma non i lavoratori e le lavoratrici che ogni giorno si stanno vedendo peggiorare le condizioni di lavoro e salariali, si vedono togliere i diritti, anche quelli inalienabili, vedono un futuro sempre più duro davanti.

GLI OPERAI NON POSSONO PERMETTERE CHE EPIFANI TENGA IL COMIZIO IL 16 PER DIRE QUESTE COSE!

Epifani come Marchionne, non vuole che i lavoratori scioperino; invece di vedere la giusta rabbia degli operai, sfruttati, licenziati, colpiti per il solo fatto di rivendicare i propri diritti; si preoccupa di bloccare le lotte, di impedire lo sciopero generale; manda un messaggio ricattatorio quasi in stile mafioso all'interno della Fiom:il giornalista gli chiede: “si arriverebbe alla resa dei conti con la Fiom?” Risposta: “Beh, si aprirebbe un problema. Si indebolirebbe la Fiom e si indebolirebbe la Cgil”.
E Landini che fa? Gli dà bordone: “la manifestazione di sabato deve essere “democratica, pacifica, non violenta”.

NO! IL 16 NON FACCIAMO UNA PASSEGGIATA.
GLI OPERAI, LE OPERAIE, TUTTI I LAVORATORI NON HANNO TEMPO DA PERDERE!

pc quotidiano 13 ottobre - operai Fiat Termini Imerese fermi per tre giorni, l'assessore Venturi ottimista

I dirigenti dello stabilimento Fiat di Termini Imerese hanno annunciato la chiusura per tre giorni, da oggi a venerdì, in un primo momento hanno detto per “motivi tecnici”, poi per mancanza di componenti!
Un altro regalo avvelenato alla vigilia della partecipazione alla manifestazione di sabato 16 a Roma.

A “mitigare” la brutta notizia c’è la conferma da parte dell’assessore all’industria della Regione, Venturi, che parlando del piano industriale per la Sicilia, in una intervista al Sole24Ore di oggi, dice che “Bisogna che le imprese vengano qui per produrre e che la Sicilia non sia considerata solo terra di consumi. Tutti gli strumenti di incentivazione sono serviti spesso a costruire capannoni industriali senza sviluppo.” E alla domanda del giornalista: “Allora si taglia tutto?” risponde “Ma nemmeno per sogno. Bisogna rimettere al centro le imprese e il territorio. Si può salvaguardare le aziende con strumenti di aiuto automatici che le incentivino a creare qui tutta la filiera produttiva.! Il giornalista: “Potremmo tradurre: Stop all’assemblaggio?” Risposta: “Esatto. Il riferimento allo stabilimento Fiat di Termini Imerese è azzeccato. Noi continuiamo a sostenere che in quell’area è possibile continuare a produrre auto e chi verrà dopo la Fiat questo dovrà fare. Se anche dovesse insediarsi un imprenditore di altro settore deve garantire l’intero ciclo di produzione. In ogni caso su Termini Imerese stanno lavorando al ministero per lo Sviluppo economico in collaborazione con Invitalia, che è l’Advisor: ci sono alcune aziende preselezionate e si sta arrivando a una decisione definitiva. Noi stiamo facendo la nostra parte per salvare un polo produttivo importante.”

Fa piacere sentire con quanta sicurezza l’assessore Venturi, confermato nel suo ruolo anche nel nuovo 4° governo Lombardo, insista sul ruolo produttivo dello stabilimento di Termini.

Gli operai fino ad ora non hanno visto niente e parteciperanno alla manifestazione di Roma anche per dare un ulteriore segnale di mobilitazione!

pc quotidiano 13 ottobre - india - senza tregua avanza la guerra popolare



Según reporta Hindustan Times un comando de la guerrilla maoísta ataco a dos efectivos policiales, en las cercanias de la comisaria de Pamed en el distrito de Bijapur, Bastar del sur.
Los agentes resultarón muertos por los disparos de los guerrilleros.
Las fuerzas represivas, retiraron los cadaveres en helicoptero hacia Jagdalpur a la vez que montaron una amplia operación de busqueda del destacamento comunista.
Correo Vermello / noticias.

pc quotidiano 13 ottobre - processo Thyssen - l'udienza odierna

PROCESSO THYSSENKRUPP: UDIENZA DEL 13 OTTOBRE

è ripreso quest'oggi - davanti ad un pubblico che si può valutare nella cinquantina di convenuti, per la maggioranza ragazzi legati al cosiddetto Popolo Viola - dopo la sosta forzata dell'8 ottobre (una giudice popolare era finita, nella notte, al pronto soccorso), il processo per la strage del 6 dicembre 2007.
Il programma prevede la seconda parte della requisitoria del pm, che non si esaurirà in questa seduta ma sarà sviscerata per almeno altre due udienze, con l'intento di essere il più precisi possibile nella ricostruzione dei fatti, come dichiarato dal procuratore Raffaele Guariniello nell'immediata vigilia dell'inizio della fase di discussione.
Anche questa seconda 'sezione' viene affidata, come la precedente, alla sostituta Laura Longo; la procuratrice sottolinea a più riprese come le prove raccolte in questo processo dimostrino ampiamente - e lei le rileva puntualmente, con l'aiuto delle trascrizioni delle deposizioni, anche quelle rilasciate da alcuni testimoni a discarico, e della proiezione di alcune delle 840 diapositive scattate dagli ispettori dell'Asl nei giorni immediatamente successivi al massacro(dall'11 al 20 dicembre 2007) nel corso di accertamenti che hanno portato alla contestazione all'azienda di 116 violazioni della legge in materia di sicurezza - come nel nostro caso, in fatto di manutenzione degli impianti, di osservanza delle procedure di sicurezza e di quelle di emergenza, la teoria e la pratica non combinino affatto e proprio questo, insieme con la carenza di pulizia delle linee, presso le quali erano presenti quantità consistenti di carta ed olio, abbia portato all'incendio che ha provocato la strage.
La prossima udienza si terrà venerdì 15 ottobre: prenderà la parola l'altra sostituto del pm, Francesca Traverso, che entrerà nello specifico della linea cinque.

Torino, 13 ottobre 2010



Stefano Ghio - Rete sicurezza Torino

pc quotidiano -13 ottobre - per sarah ... ancora dalle compagne di Taranto

Lettera ai direttori Organi di Informazione

Al di là della vicenda giudiziaria, le lavoratrici, le disoccupate del
Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario di Taranto, che il giorno del
funerale di Sarah, unica delegazione di donne da Taranto, hanno partecipato
alla cerimonia, con lo striscione "PER SARAH, E' GIUSTO RIBELLARCI!
BASTA CON LE VIOLENZE/UCCISIONI CONTRO LE DONNE", pensano che occorre
soprattutto che continui l'attenzione e la mobilitazione soprattutto delle
ragazze, degli studenti, delle donne perchè non rientri ora tutto nella
"normalità" .

L'uccisione e la violenza subite da Sarah non affondano solo in una vicenda
privata, nè solo nella realtà
di Avetrana; nè si tratta di un "orco", per esorcizzare la realtà di tante
ragazze e tante donne.
Quando gli "orchi" diventano tanti e sempre di più, soprattutto all'interno
dei
rapporti familiari, quando solo quest'anno vi sono 114 donne uccise, allora
vuol dire che questa società capitalista è un "orco".
E non si tratta, come anche hanno gridato ad Avetrana alcuni compagni di
Sarah nei giorni
scorsi, di più repressione. Certo anche noi vogliamo che vi sia una
giustizia per Sarah e non vogliamo vedere dopo qualche anno il suo assassino
in libertà, ma dobbiamo andare alle vere cause di questa guerra di bassa
intensità contro le donne. E queste si chiamano condizioni di vita generale
delle donne che stanno andando indietro di 40 anni,
si chiamano negazione dei diritti, della libertà, soppressione dei desideri
delle ragazze di un mondo diverso per imporre falsi,
deviati bisogni individuali, si chiamano doppia oppressione imposta alle
donne, si chiamano normalizzazione di un humus maschilista, contro
le donne; si chiamano anche patriarcalismo nel sud, ma in una situazione in
cui le donne non accettano più, e per questo vengono uccise. Si chiama
moderno medioevo imposto da
Stato, governo, padroni, Chiesa.
Contro tutto questo è necessario che prima di tutto e soprattutto le donne
si ribellini e unite trovino la forza di lottare.

Che il messaggio che abbiamo portato con lo striscione ad Avetrana, insieme
ai messaggi di tante donne, collettivi arrivati da Bologna, Milano, Mantova,
L'Aquila, Napoli, Palermo, ecc. che sabato abbiamo appeso negli applausi
della gente nel campo sportivo, domenica durante la partita erano ancora lì,
vuole dire che questi messaggi esprimono i veri pensieri, la rabbia, la
volontà - oltre l'emozione per la morte di
Sarah, che è di tutti, che è nostra - di tante donne, tante ragazze, che
deve continuare oltre l'emozione.

Per questo stiamo pensando di proporre anche alle altre realtà di donne, di
altre città, di organizzare nella nostra zona, possibilmente nella stessa
Avetrana, una manifestazione a novembre in occasione della giornata
internazionale contro la violenza sessuale alle
donne, e a tre mesi della uccisione di Sarah.

Per Le lavoratrici, disoccupate del Movimento Femminista Proletario
Rivoluzionario - Taranto
Tiziana Acclavio, Teresa Viggiani, Raffaella Loperfido

pc quotidiano 13 ottobre - catania ..scioperano per il salario ... è sabotaggio !

la massima solidarietà di proletari comunisti agli operai Acim group condannati !

Scioperano per il salario
condannati per sabotaggioÈ la pena inflitta dal tribunale di Catania a un dirigente sindacale e ad alcuni lavoratori di un'azienda di depurazione e trattamento delle acque
Un dirigente sindacale e alcuni lavoratori di un'azienda di depurazione e trattamento delle acque, la Acim group di Catania, sono stati condannati dal Tribunale etneo per "arbitraria invasione e occupazione di aziende agricole e industriali. Sabotaggio", in base all'articolo 508 del codice penale. L'azienda si era rivolta ai giudici in seguito a uno sciopero effettuato dai lavoratori che rivendicavano il pagamento dei salari. Il giudice ha applicato anche la pena accessoria (articolo 512) che prevede "l'interdizione da ogni ufficio sindacale per la durata di cinque anni".

"Stupiti" per la sentenza il segretario della Camera del lavoro di Catania, Angelo Villari, e il segretario generale della Fiom siciliana, Giovanna Marano. "E' stata adottata una norma del vecchio codice Rocco - dicono Villari e Marano - non utilizzata da decenni e che di fatto limita il diritto di sciopero. La Cgil e la Fiom - aggiungono i due sindacalisti - pur fiduciosi nell'operato della magistratura esprimono preoccupazione per la limitazione delle libertà sindacali e per la condanna dei lavoratori la cui unica colpa è difendere il diritto al salario". Per Cgil e Fiom "altrettanto inquietante è la condanna di interdizione dalle cariche sindacali, perché cancella sia le libertà individuali sia quelle collettive. Ai lavoratori e al dirigente sindacale - concludono Villari e Marano - la Cgil di Catania e la Fiom siciliana garantiscono il loro pieno sostegno".

pc quotidiano 13 ottobre - 16 ottobre - per il coordinamento delle realtà di lotta autorganizzate per il lavoro e il salario garantito

Per l'allargamento della lotta e l'unificazione di operai, precari,
disoccupati, studenti, colpiti dalla crisi

per il coordinamento delle realtà di lotta autorganizzate per il lavoro e il salario garantito

Governi, padroni e banche stanno scaricando sui lavoratori, sui disoccupati, sui precari, i costi di una crisi di cui non sembra prossima la fine.
Licenziamenti, cassa integrazione, abbassamento dei salari, aumento di precarietà e disoccupazione, difficoltà a farsi o mantenere una famiglia, mettere su una casa, taglio alle spese sociali, dalla scuola alla sanità, sono diventati una dura realtà per milioni di proletari, strangolati anche da tasse, mutui multe e bollette.
Padroni e governo usano la crisi come una clava contro i diritti dei lavoratori. Non solo l’attacco allo statuto dei lavoratori attraverso il cosiddetto “collegato lavoro” ma lo smantellamento dello stesso contratto nazionale. Il senso del ricatto della Fiat, capofila del fronte padronale, sta tutto qui: non si tratta solo dell’aumento della produttività, dell’orario di lavoro, dei 18 turni. La posta in gioco è ancora più alta: è l’abolizione del contratto nazionale (quello metalmeccanico è stato già disdetto da Confindustria), è la capacità di difesa collettiva e sindacale dei lavoratori, è il diritto allo sciopero e alla resistenza contro l’arroganza e lo strapotere del padrone.
Di fronte a tutto questo manca una risposta generale e decisa dei lavoratori e di tutti quelli che subiscono le conseguenze della crisi.
La politica dei sacrifici, della compatibilità-concertazione con gli interessi delle aziende e della cosiddetta 'economia nazionale', i cedimenti da parte dei sindacati concertativi in tutti questi anni, hanno determinato un arretramento non solo nelle condizioni salariali e di lavoro ma soprattutto sul piano dell'unità e della tenuta di tutta la classe operaia e le masse proletarie.
Padroni, governo, partiti parlamentari, mass media cercano di sviluppare la contrapposizione e la concorrenza tra lavoratori e tra precari e si approfondiscono le spinte xenofobe, contro i lavoratori immigrati, e quelle leghiste, a Nord ma anche al Sud. Le lotte, che pure ci sono, su tutti i terreni non riescono ancora a superare la frantumazione e la divisione per diventare lotta unitaria e generale.
Come si esce da queste difficoltà?
Siamo convinti che la ripresa, l'intensificazione e l'allargamento della lotta autorganizzata per la difesa intransigente degli interessi di classe, l’unificazione di operai, lavoratori, disoccupati, precari, studenti e di tutti i soggetti colpiti dalla crisi, sono l’unica via per fronteggiare gli attacchi di padroni e governo.
Come realtà autorganizzate di disoccupati e di precari di Napoli, Taranto, Palermo, abbiamo chiamato ad un primo confronto su questi temi a Napoli il 21 maggio. La riuscita di questa assemblea nazionale e delle successive iniziative unitarie, la crescita di adesioni di altre realtà in lotta, non solo meridionali, sono indicative di una diffusa consapevolezza a dover superare l’inadeguatezza dell’attuale risposta nostra agli attacchi della controparte. Dalla consapevolezza e dal disagio bisogna passare ai fatti. Per questo, proponiamo a tutte le realtà di disoccupati, lavoratori, precari, che, come noi, sono impegnati nelle proprie aziende e sul proprio territorio a difendere o a rivendicare un lavoro e le proprie condizioni di vita, a rafforzare questo sforzo a partire da una campagna di incontri/assemblee in tutto il paese per cominciare a ragionare ed a costruire un movimento generale intorno a parole d’ordine unificanti per tutti i proletari:
lavoro per i disoccupati, difesa del posto di lavoro e blocco dei licenziamenti, fine della precarietà, drastica riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, salario/reddito garantito con o senza lavoro, tutela della salute e sicurezza sui posti di lavoro, più servizi sociali a partire da scuola e sanità gratuita, vivere in un ambiente non devastato da produzioni e rifiuti tossici, dalla lobby inceneritorista, nucleare e del cemento, dagli accaparratori di risorse (v. privatizzazione dell’acqua).
Su questi contenuti punteremo a costruire una prima manifestazione nazionale autorganizzata a Roma.
Non facciamoci intimidire dalla repressione delle lotte e dalla criminalizzazione del dissenso. Diciamo no a qualsiasi “patto tra produttori”: i proletari non hanno nessun interesse in comune con il padronato.
Costruiamo un fronte ampio di tutti gli sfruttati per respingere insieme l’attacco di governo e padroni e ribaltare gli attuali rapporti di forza in favore dei proletari.

Le prime assemblee costruite in forma autorganizzata dalle realtà di lotta e da tutti coloro che ne condividono gli obiettivi si terranno a Torino, Milano, Marghera, Palermo, Napoli,Taranto a partire dalla fine di ottobre.
Facciamo appello a tutti a organizzarle con noi


COORDINAMENTO REALTà AUTORGANIZZATE di lotta
PER IL LAVORO E IL SALARIO GARANTITO


Per contatti: assemblea.21maggio@yahoo.it

pc quotidiano 13 ottobre - Il Nobel della guerra ai signori del «Nobel per la pace»

Domenico Losurdo


Il Nobel della guerra ai signori del «Nobel per la pace»


Nelle scorse settimane un acceso dibattito ha avuto luogo in Australia. In un saggio pubblicato su «Quarterly Essay» e parzialmente anticipato su «Australian», Hugh White ha messo in guardia contro inquietanti processi in atto: all’ascesa della Cina Washington risponde con la tradizionale politica di «contenimento», rafforzando minacciosamente il suo potenziale e le sue alleanze militari; Pechino a sua volta non si lascia facilmente intimidire e «contenere»; tutto ciò può provocare una polarizzazione in Asia tra schieramenti contrapposti e far emergere «un rischio reale e crescente di guerra di larghe proporzioni e persino di guerra nucleare». L’autore di questa messa in guardia non è un illustre sconosciuto: ha alle spalle una lunga carriera di analista dei problemi della difesa e della politica estera e fa parte in qualche modo dell’establishment intellettuale. Non a caso il suo intervento ha provocato un dibattito nazionale, al quale ha partecipato lo stesso primo ministro, la signora Julia Gillard, che ha ribadito la necessità del legame privilegiato con gli Usa. Ma i circoli australiani oltranzisti sono andati ben oltre: occorre impegnarsi a fondo per una Grande allenza delle democrazie contro i despoti di Pechino. Non c’è dubbio: l’ideologia della guerra contro la Cina fa leva su una ideologia di vecchia data che giustifica e anzi celebra le aggressioni militari e le guerre dell’Occidente in nome della «democrazia» e dei «diritti umani». Ed ecco che ora il «Premio Nobel per la pace» viene conferito al «dissidente» cinese Liu Xiaobo: un tempismo perfetto, tanto più perfetto se si pensa alla guerra commerciale contro la Cina minacciata questa volta in modo aperto e solenne dal Congresso statunitense.


La Cina, l’Iran e la Palestina


Tra i primi a compiacersi della scelta dei signori di Oslo è stata Shirin Ebadi, che ha subito rincarato la dose: «Non solo la Cina è un Paese che viola i diritti umani. È anche un Paese che appoggia e sostiene molti altri regimi che li violano, come quelli al potere in Sudan, in Birmania, nella Corea del Nord, in Iran...»; per di più, è un Paese responsabile del «grande sfruttamento degli operai». E dunque, occorre boicottare «i prodotti cinesi» e «limitare il più possibile gli scambi economici e commerciali con la Cina». E di nuovo: chiaro è il contributo all’ideologia della guerra condotta in nome della «democrazia» e dei «diritti umani» e aperta è la dichiarazione di guerra commerciale. Ma, allora, perché Shirin Ebadi ha conseguito nel 2003 il «Premio Nobel per la pace»? Il premio è stato conferito a una signora che ha una visione manichea delle relazioni internazionali; nella lista delle violazioni dei diritti umani non c’è posto per Abu Ghraib e Guantanamo, per i complessi carcerari in cui Israele rinchiude in massa i palestinesi, per i bombardamenti e le guerre scatenate sulla base di pretesti falsi e bugiardi, per l’uranio impoverito, per gli embarghi tendenzialmente genocidi messi in atto sfidando la stragrande maggioranza dei membri dell’Onu e della comunità internazionale... E per quanto riguarda il «grande sfruttamento degli operai» in Cina, Shirin Ebadi chiaramente parla a vanvera: nel grande paese asiatico centiniaia di milioni di donne e uomini sono stati sottratti alla fame a cui li avevano condannati in primo luogo l’aggressione imperialista e l’embargo proclamato dall’Occidente; e in questi giorni su tutti gli organi di informazione si può leggere che i salari operai stanno crescendo a ritmo assai rapido. In ogni caso, se l’embargo contro Cuba infierisce esclusivamente sugli abitanti dell’isola, un eventuale embargo contro la Cina provocherebbe una crisi economica planetaria, con conseguenze devastanti anche per le masse popolari occidentali e con tanti saluti per i diritti umani (almeno per quelli economici e sociali). Non c’è dubbio: nel 2003, a conseguire il «Premio Nobel per la pace» è stata una ideologa della guerra mediocre e provinciale. Si è voluto premiare una attivista che, se non sul piano internazionale, almeno sul piano interno all’Iran, intende difendere la causa dei diritti umani? Se questo fosse stato l’intento dei signori di Oslo, essi avrebbero dovuto premiare Mohammad Mosaddeq, che agli inizi degli anni ’50 del Novecento si impegnò a costruire un Iran democratico ma che, avendo avuto l’ardire di nazionalizzare l’industria petrolifera, fu rovesciato da un colpo di Stato organizzato da Gran Bretagna e Usa, dai paesi che oggi si ergono a campioni della causa della «democrazia» e dei «diritti umani». Oppure, i signori di Oslo avrebbero potuto premiare qualcuno dei coraggiosi oppositori della feroce dittatura dello Scià, sostenuta dai soliti, improbabili campioni della causa della «democrazia» e dei «diritti umani». Ma, allora, perché nel 2003 il «Premio Nobel per la pace» è stato conferito a Shirin Ebadi? In quel periodo di tempo, mentre conosceva un nuovo giro di vite l’interminabile martirio del popolo palestinese, si delineava con chiarezza la Crociata contro l’Iran. Un riconoscimento dato a un attivista palestinese sarebbe stato un reale contributo alla causa della distensione e della pace nel Medio Oriente. Mancano gli attivisti palestinesi «non-violenti»? E’ difficile definire «non- violento» Obama, il leader di un paese che è impegnato in varie guerre e che per gli armamenti spende da solo quanto tutto il resto del mondo messo assieme. In ogni caso, i «non-violenti» non mancano in Palestina, e comunque non-violenti sono gli attivisti che da vari paesi giungono in Palestina per cercare di difendere i suoi abitanti da una violenza soverchiante e che talvolta sono stati spazzati via dai carri armati o dai bulldozer dell’esercito di occupazione. Sennonché, i signori di Oslo hanno preferito premiare una attivista che da allora non si stanca di attizzare il fuoco della guerra in primo luogo contro l’Iran, ma ora anche contro la Cina.
Dopo la consacrazione e la trasfigurazione di Liu Xiaobo, è subito intervenuto il presidente statunitense, che ha chiesto l’immediato rilascio del «dissidente». Ma perché non liberare intanto i detenuti senza processo di Guantanamo o almeno premere per la liberazione degli innumerevoli palestinesi (talvolta appena adoloscenti) da Israele rinchiusi, come riconosce la stessa stampa occidentale, in complessi carcerari racccapriccianti?


I signori di Oslo, gli Usa e la Cina


Con Obama ci imbattiamo in un altro «Premio Nobel per la pace» dalle caratteristiche assai singolari. Quando l‘ha conseguito, lo scorso anno, egli aveva già chiarito che intendeva rafforzare in Afghanistan la presenza militare Usa e Nato e dare impulso alle operazioni di guerra. Confortato anche dal prestigioso riconoscimento conferitogli a Oslo, egli è stato fedele alla sua parola: sono ora ben più numerosi che ai tempi di Bush gli squadroni della morte che dall’alto dei cieli «eliminano» i «terroristi», i «terroristi» potenziali e i sospetti di «terrorismo», e questi elicotteri e aerei senza pilota che fungono da squadroni della morte infuriano anche in Pakistan (con le numerose vittime «collaterali» che ne conseguono); l’indignazione popolare è così forte e diffusa che anche i governanti di Kabul e Islamabad si sentono costretti a protestare contro Washington. Ma non si lascia certo impressionare Obama, che può sempre esibire il «Premio Nobel per la pace»! Nei giorni scorsi è trapelata una notizia raccapricciante: in Afghanistan non mancano i militari statunitensi che uccidono per divertimento civili innocenti, conservando poi qualche parte del corpo delle vittime come souvenir di caccia. L’amministrazione Usa si è subito affrettata a bloccare la diffusione di ulteriori particolari e soprattutto delle foto: scioccata, l’opinione pubblica americana e internazionale avrebbe potuto premere ulteriormente per la fine della guerra in Afghanistan; pur di continuarla e inasprirla, il «premio Nobel per la pace» ha preferito infliggere un colpo anche alla libertà di stampa.
Ma a questo proposito si può fare una considerazione di carattere generale. Nel Novecento sono gli Usa il paese che ha visto incoronato dal «Premio Nobel per la pace» il maggior numero di uomini di Stato: Theodore Roosevelt (per il quale l’unico indiano «buono» era quello morto), Kissinger (il protagonista del colpo di Stato di Pinochet in Cile e della guerra in Vietnam), Carter (il promotore del boicottaggio dei Giochi olimpici di Mosca del 1980 e del divieto di esportazione di grano all’Urss, intervenuta in Afghanistan contro i freedom fighters islamici), Obama (che ora contro gli ex- freedom fighters, nel frattempo divenuti terroristi, fa ricorso a un mostruoso apparato di guerra). Vediamo sul versante opposto in che modo i signori di Oslo si atteggiano nei confronti della Cina. Questo paese, che rappresenta un quarto dell’umanità, negli ultimi tre decenni non si è impegnato in nessuna guerra e ha promosso uno sviluppo economico che, liberandoli dalla miseria e dalla fame centinaia di milioni di donne e uomini, ha consentito loro l’accesso in ogni caso ai diritti economici e sociali. Ebbene, i signori di Oslo si sono degnati di prendere in considerazione questo paese solo per assegnare tre premi a tre «dissidenti»: nel 1989 viene conferito il «Nobel per la pace» al XIV Dalai Lama, che già da tre decenni aveva abbandonato la Cina; nel 2000 consegue il Nobel per la letteratura Gao Xingjan, uno scrittore che era ormai cittadino francese; nel 2010 il «Nobel per la pace» incorona un altro dissidente che, dopo essere vissuto negli Usa ed aver insegnato alla Columbia University, ritorna in Cina «di corsa» (Marco Del Corona, in «Corriere della Sera» del 9 ottobre) per partecipare alla rivolta (tutt’altro che pacifica) di Piazza Tienanmen. Ancora ai giorni nostri, egli così parla del suo popolo: «noi cinesi, così brutali» (Ilaria Maria Sala, in «La Stampa» del 9 ottobre). E così, agli occhi dei signori di Oslo, la causa della pace è rappresentata da un paese (gli Usa), che spesso si ritiene investito della missione divina di guida del mondo e che ha installato e continua a installare minacciose basi militari in ogni angolo del pianeta; per la Cina (che non detiene basi militari all’estero), per una civiltà millenaria che, dopo il secolo di umiliazioni e di miseria imposto dall’imperialismo, sta ritornando al suo antico splendore, a rappresentare la causa della pace (e della cultura) sono solo tre «dissidenti» che ormai poco o nulla hanno a che fare col popolo cinese e che vedono nell’Occidente il faro esclusivo che illumina il mondo. Non c’è dubbio che nella politica dei signori di Oslo vediamo riemergere l’antica arroganza colonialista e imperialista.
Mentre in Australia risuonano voci allarmate per i pericoli di guerra, a Oslo si ridà lustro a un’ideologia della guerra di infausta memoria: a suo tempo da J. S. Mill le guerre dell’oppio sono state celebrate come un contributo alla causa della «libertà» dell’«acquirente» oltre che del venditore (di oppio) e da Tocqueville come un contributo alla causa della lotta contro l’«immobilismo» cinese. Non sono molto diverse le parole d’ordine agitate in questi giorni dalla stampa occidentale, che non si stanca di denunciare l’immobile dispotismo orientale. Occorre prenderne atto: saranno pure ispirati da nobili intenzioni, ma col loro comportamento concreto i signori del «Nobel per la pace» meritano per ora soltanto il Nobel per la guerra.


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http://domenicolosurdo.blogspot.com/2010/10/perche-liu-xiaobo-ha-conseguito-il.html


MARTEDÌ 12 OTTOBRE 2010


Perché Liu Xiaobo ha conseguito il «Premio Nobel per la pace»


di Domenico Losurdo


Nel 1988 Liu Xiaobo dichiarò in un’intervista che la Cina aveva bisogno di essere sottoposta a 300 anni di dominio coloniale per poter diventare un paese decente, di tipo ovviamente occidentale. Nel 2007 Liu Xiaobo ha ribadito questa sua tesi e ha invocato una privatizzazione radicale di tutta l’economia cinese.
Riprendo queste notizie da un articolo di Barry Sautman e Yan Hairong pubblicato sul «South China Morning Post» (Hong Kong) del 12 ottobre.
Non si tratta di un giornale allineato sulle posizioni di Pechino, che anzi in questo stesso articolo viene criticato per aver colpito un’opinione sia pure «ignobile» con la detenzione piuttosto che con la critica.
Da parte mia vorrei fare alcune osservazioni. Anche sui manuali di storia occidentali si può leggere che, a partire dalle guerre dell’oppio, inizia il periodo più tragico della storia della Cina: un paese di antichissima civiltà è letteralmente «crocifisso» – scrivono storici eminenti; alla fine dell’Ottocento, la morte in massa per inedia divene noioso affare quotidiano. Ma, secondo Liu Xiaobo, questo periodo coloniale è durato troppo poco; avrebbe dovuto durare tre volte di più! Il meno che si possa dire è che siamo in presenza di un «negazinionismo» ben più spudorato di quello rimproverato ai vari David Irving. Ebbene, l’Occidente non esita a rinchiudere in galera i «negazionisti» delle infamie perpetrate ai danni del popolo ebraico, ma conferisce il «Premio Nobel per la pace» ai «negazionisti» delle infamie a lungo inflitte dal colonialismo al popolo cinese! Purtroppo, in modo non molto diverso si atteggia spesso la sinistra occidentale, che si è ben guardata dal condannare l’arresto a suo tempo di David Irving e di altri esponenti della stessa corrente ancora in stato di detenzione, ma che in questi giorni inneggia a Liu Xiaobo.
Quest’ultimo, peraltro, non si è limitato a esprimere opinioni, sia pure «ignobili» (come riconosce il South China Morning Post»). Dopo aver invocato nel 1988 tre secoli di dominio coloniale in Cina, l’anno dopo è ritornato di corsa (di sua spontanea iniziativa?) dagli Usa in Cina, per partecipare alla rivolta di Piazza Tienanmen e impegnarsi a realizzare il suo sogno. E’ un sogno per la cui realizzazione egli continua a voler operare, come dimostra la sua celebrazione (in un’intervista del 2006 a una giornalista svedese) della guerra Usa per l’esportazione della democrazia in Iraq. Come si vede, siamo in presenza di un personaggio che contro il suo paese invoca direttamente il dominio coloniale e, indirettamente la guerra d’aggressione. E’ un sogno che gli ha procurato al tempo stesso la detenzione nelle galere cinesi e il «Premio Nobel per la Pace».

pc quotidiano 13 ottobre - chi difende la marzotto stragista della marlane ?

PAOLA_12 ottobre 2010.
Rinviato il processo per la STRAGE di PRAIA per gli impegni parlamentari dell'avv. GHEDINI, difensore dei dirigenti della MARLANE MARZOTTO: dal martedì al venerdì non si può fare il processo perchè lui è impegnato a Montecitorio.

Assordante silenzio e assenza di media, partiti e sindacati di stato.

Pietro MARZOTTO e gli altri 13 imputati sono difesi anche da Piero Giarda (Confindustria), dal senatore Pietro Calvi (responsabile giustizia del PD e ora eletto alla Corte Costituzionale dal parlamento) e da Giuliano Pisapia, candidato sindaco della "sinistra" a Milano.

SLAI COBAS

pc quotidiano 13 ottobre - la strage operaia alla marlane di praia a mare

I fantasmi della Marlane

di Francesco Cirillo

Praia a Mare

Mentre le ruspe scavano attorno allo stabilimento della Marlane, alla ricerca di rifiuti tossici seppelliti negli anni 80 / 90 dalla stessa dirigenza della fabbrica, vedo dei fantasmi aggirarsi per tutto il perimetro degli scavi. Riesco a vederli questi fantasmi, perché è da oltre dieci anni che scrivo di questa fabbrica, degli operai morti, dei loro nomi e cognomi, delle loro famiglie, dei loro figli lasciati senza padre né madre.

Li vedo perché sono stato al cimitero di Praia con le loro vedove ed i loro mariti.
Nomi oramai dimenticati, che si vorrebbe seppelliti nell'oblio, ma che sono vivi e vegeti negli operai superstiti e nella coscienza di chi ne ha provocato la loro morte. Alberto Cunto, operaio del coordinamento provinciale dello SLAI Cobas ed ex dipendente della Marlane, licenziato per la sua attività politica incessante all’ interno della fabbrica del signor cavaliere della repubblica Italiana Marzotto, me ne parla con dolore.
Questi fantasmi sono stati tutti amici suoi. Operai con i quali ha condiviso decine di anni di lavoro, gomito a gomito, negli stessi reparti, respirando la stessa aria malefica, gli stessi odori mefitici, persi nella nebbia che all’ interno di quel grande scatolone che era la Marlane trovavano quasi ogni mattina.

E poi gli scavi. La magistratura paolana ha aperto finalmente quei cassetti rimasti chiusi per trent’ anni. Cassetti che nessuna voleva aprire, perché a nessuno faceva comodo la verità.
Perché sindacalisti di stato pagati dalla dirigenza ne traevano profitti, perché politici di bassa lega la usavano come serbatoio di voti per le loro campagne elettorali, perché tecnici compiacenti e dirigenti la usavano come mucca da spremere attingendo a finanziamenti statali ed europei.
Dopo le circostanziate denunce prodotte dello SLAI Cobas locale, i primi scavi sono iniziati due anni fa per ordine della Procura di Paola e già dall’ ottobre del 2006 hanno portato alla scoperta di materiale considerato tossico e quindi altamente nocivo per la salute e per l’ ambiente.
Questo primo materiale venne esaminato dall’ ARPACAL e dal laboratorio di microscopia elettronica e microanalisi di Cosenza. L’ elemento più preoccupante ritrovato nel corso dei saggi di scavo è il Cromo VI o esavalente.
Questo materiale può provocare la contrazione di linfomi, leucemia e cancro a diversi organi quali al polmone, alle ossa, allo stomaco, alla prostata, ai reni alla vescica ed agli organi genitali, tumori dei quali sono stati colpiti gli oltre cento operai della fabbrica maledetta.
Veleni che venivano usati per la coloritura dei filati e dei tessuti. Veleni che erano già a conoscenza di tutti: dall’ ASL di Paola, alla magistratura, ai vari sindaci, ai carabinieri, ai vigili urbani ed a tutti coloro che leggevano le denunce che solo un piccolo gruppetto di operai non schierati con i sindacati ufficiali facevano da anni.

Erano operai appartenenti allo SLAI Cobas, un piccolo ed agguerrito sindacato, che coraggiosamente denunciava ciò che avveniva in quella fabbrica della morte. Operai spesso perseguiti dalla dirigenza nel silenzio dei sindacati ufficiali, che invece usufruivano di piccole commesse in piccole aziende parallele dell’ indotto. Una fabbrica che dava oltre trecento posti di lavoro, ma che nel contempo uccideva misteriosamente e meticolosamente operai ed operaie.

Una strage di oltre cento lavoratori, quasi tutti di Praia e Maratea. Una lista che si allunga anno dopo anno e che solo negli ultimi mesi se ne sono aggiunti altri dieci di nomi; nomi che non compaiono sui giornali, nomi che non fanno notizia, nomi che non compariranno in nessun servizio televisivo. Una strage che la lenta giustizia cercherà di riportare a galla se non interverranno le solite burocrazie e le solite lentezze tipiche della nostra macchina giudiziaria.

Negli ultimi mesi sono giunte altre denunce e da qualche settimana altri scavi, stavolta con l’ ausilio dei mezzi dei Vigili del Fuoco e sotto lo sguardo attento dei tecnici della Procura in tuta bianca. Ora tutta l’ area di pertinenza e la stessa fabbrica sono state poste sotto sequestro probatorio. I nomi degli indagati e di coloro che verranno rinviati a giudizio passano di bocca in bocca. Sono i dirigenti dell’ azienda. Quelli che dovranno dimostrare davanti al pubblico ministero ed alla corte la loro estraneità a quelle morti e difendersi da accuse gravi quali l’ omicidio colposo, il disastro ambientale e la mancata prevenzione dagli infortuni sul lavoro.

Uno degli indagati è oggi sindaco di Praia a Mare, Carlo Lomonaco, che fu anche il penultimo direttore dell’ azienda. Gli altri quattro sono tutti ex direttori: Bruno Taricco, Ottavio Panico deceduto sembra per tumore anch’ egli, Salvatore Cristallino perito chimico della tintoria e Vincenzo Benincasa quello che si trovò davanti "Le Iene", giunte a Praia a Mare chiamate dagli operai dello SLAI Cobas, e che servirono a spalancare il primo squarcio fra le nebbie della tintoria. L’ allora sindaco Praticò, che aveva lavorato nell’ azienda in qualità di tecnico e ricoperto il ruolo di sindacalista, si rifiutò di farsi intervistare e quindi venne inseguito vanamente per le vie di Praia dal "feroce" Alessandro Sortino.

Da quel giorno il cammino della verità fu tutto in salita. Mara Malavenda - parlamentare eretica comunista - cominciò a bombardare il governo con interrogazioni parlamentari, mentre la scure della direzione cominciava a mietere vittime fra gli operai licenziandoli.
Ora a giochi aperti qualcuno (da giornalisti silenziosi fino a ieri a studi legali che fanno solo il loro mestiere, a tecnici comunque pagati) si prende meriti che non sono suoi e lo SLAI Cobas diffonde un comunicato per chiarire meglio lo sviluppo della vicenda.

“Sottolineiamo ancora una volta” - scrive Alberto Cunto, coordinatore provinciale dello SLAI Cobas Marlane Marzotto – “che l’ intera vicenda è stata avviata, gestita e supportata esclusivamente dal sindacato autorganizzato SLAI Cobas di Praia a Mare, a stretto contatto con la Procura di Paola alla quale ancora una volta ci sentiamo in dovere di manifestare pubblicamente la nostra fiducia e stima. Nessuno ha l’ esclusiva della gestione del caso Marlane e chi immeritatamente crede di averla viene invitato a non perseverare, ricordandogli che la quasi totalità dei suoi assistiti gli sono stati procurati proprio dai membri di questo sindacato”.
Oltre alla struttura indicata negli articoli apparsi sulla stampa locale, sono impegnati a pieno titolo gli studi legali Senatore di Napoli, Gianzi di Roma, Bonofiglio di Cosenza, Branda di Diamante, Stella di Amantea ed Ezio Bonanni di Roma, questi noto anche per la monografia "Lo stato dimentica l’ amianto killer" sul ricorso a Strasburgo "sponsorizzato" dallo SLAI Cobas".
Uno stuolo di avvocati e tecnici di parte che metteranno definitivamente la parola fine sul silenzio, le omertà e le complicità che hanno contraddistinto questa azienda, ma è giusto che se ci sono meriti da dare questi meriti vadano a coloro, e solo a coloro che per primi , unici e spesso da soli hanno rotto il muro del silenzio. E questi sono gli operai.

Una storia di operai lunga trent’ anni. Una fabbrica a ciclo completo, dalla lana greggia al prodotto finito. Nei primissimi anni ‘ 70 la fabbrica venne ristrutturata totalmente ed in tale occasione smantellarono i muri che prima dividevano i vari reparti e tra questi la tintoria che fino ad allora era rimasta isolata dal resto della fabbrica.
E così la Marlane di Praia a Mare diventò un unico ambiente. La tessitura e l’ orditura che nel ‘69 giunsero dalla fabbrica di Maratea, vennero inserite fra la filatura, la tintoria e il finissaggio senza alcuna divisione. Questo voleva dire che i vapori venivano respirati da tutti.
Luigi Pacchiano, altro operaio dello SLAI Cobas, colpito da un tumore alla vescica e per fortuna sopravvissuto, mi disse che addirittura da vari luoghi della Calabria portavano in gita scolastica, in visita istruttiva, alunni di varie scuole superiori e medie, e che spesso alle scolaresche veniva precluso l’ ingresso nei reparti a causa della "nebbia" che sprigionandosi dalla tintoria investiva l’ intera fabbrica. Chissà quanti di questi ragazzi inconsapevolmente hanno respirato quei fumi.

Nelle fasi di lavorazione ritenute a rischio quali la tintoria, il finissaggio e la manutenzione, in base a criteri scelti dai dirigenti, a chi lavorava alle macchine dove si usavano prodotti nocivi veniva distribuita precauzionalmente una busta di latte per disintossicarsi. Neanche fosse latte miracoloso ! In una situazione grave come questa la fabbrica non subì mai un serio controllo dal punto di vista sanitario.

Gli aspiratori c’ erano in questo ambiente unico, ma affatto insufficienti per l’ efficace ricambio e filtraggio dell’ aria "condizionata". D’ estate si lavorava a 40 gradi e più di temperatura ed a volte si sfiorava il 90 per cento d’ umidità. Ad essere privilegiata era la lavorazione mentre gli operai erano subalterni e quindi venivano dopo; in quelle condizioni era quasi impossibile lavorare e spesso qualche operaio più coraggioso organizzava dei microscioperi inducendo l’ azienda a permettere l’ uscita dalla fabbrica essendo la temperatura esterna più sopportabile di quella interna.
Sovente l’ interno della fabbrica era contraddistinto da grande quantitativo di polvere in sospensione e fumi al punto che gli operai entrando dicevano, con una piccola dose di ironia,"oggi nebbia in Val Padana ". Il cattivo odore era terribile. La direzione faceva credere agli operai che il fetore proveniva dall’ esterno e che non era riferibile ai prodotti usati, difatti quando arrivavano i fusti contenenti sostanze pericolose toglievano le etichette dov’ era impresso il teschio di morte ed i responsabili dicevano agli operai di prendere i contenitori secondo i colori esterni. E si andava avanti così. La tintoria era composta da tinto pezza e tinto tops.

La Marlane lavorava molto per lo Stato e produceva prevalentemente forniture di tessuti militari. Le vasche che tingevano le pezze erano aperte e venivano alimentate con i coloranti immessi manualmente dall’ operatore. Una lavorazione fai da te. I responsabili sostenevano che i vapori provenienti dalle vasche venivano aspirati da cappe poste sulle stesse, ma da una brochure diffusa dalla stessa Marlane si può notare che le tanto decantate cappe non sono mai esistite. Nella fabbrica circolava anche amianto utilizzato come coibentante e per la frenatura delle macchine, freni che si usuravano velocemente lasciando depositi di fibre che pulendo il macchinario con l’ aria compressa si disperdevano nell’ ambiente finendo con l’ essere inalate dagli operai. La dirigenza aziendale ha sempre respinto tale ipotesi ma non è escluso che scavando attorno alla Marlane possano emergere i residui di tale sostanza.

Poi cominciarono i decessi. I primi operai morti risalgono al 1973. Ad essere colpiti furono gli addetti ad una macchina che bruciava la peluria del tessuto usando degli acidi. I due operai, trentenni, addetti a questa macchina sono morti entrambi. Da lì in poi di decessi ne sono avvenuti in continuazione. Chi per tumore chi per altro. E quando qualcuno protestava gli s’ imponeva il silenzio e di farsi gli affari propri, pena il licenziamento.
Gli operai non provenivano tutti da Praia a Mare e quando uno di essi non veniva più visto nei reparti si pensava che si fosse licenziato. Poi iniziò la lunga catena di funerali. Lo stesso prete di Maratea, Don Vincenzo Iacovino, che officiava tutti questi funerali di operai, in una sua omelia si scagliò contro l’ azienda urlando dal pulpito "questa non è una fabbrica di lavoro, ma di morte". Cosa che il parroco ripeté anche nell’ intervista a Le Iene. A questo punto, quando le morti cominciarono a moltiplicarsi l’ azienda pensò di mettersi al sicuro da eventuali denunce.

E cominciò a smantellare e rottamare. Iniziò con la tintoria pezze nel 1990/91 che fu rinnovata completamente , poi toccò alla tintoria tops che fu smantellata nella primavera del '96 ed alla chiusura nella Marlane la tintoria non esisteva più.
In seguito fu cambiata anche la tipologia di lavorazione. La filatura che aveva fino ad allora lavorato la lana e le miste di terital (il poliestere) e piccole quantità di cotone seta ed altre fibre, divenendo la società "enclave" Fili Vivi, fu attrezzata per produrre filati per maglieria ed anche in quel caso vi furono operai che si lamentavano per la polvere che si alzava durante la lavorazione e che, occorre ribadirlo, era polvere di materiale di sintesi e quindi molto pericoloso per la salute di chi vi lavora.

Parecchie prove sono scomparse e molti operai delusi dai silenzi passati si chiedono se mai oggi la Procura della Repubblica potrà giungere a qualcosa. Di quella fabbrica non resta che la lunga scia di morti e le testimonianze degli operai sopravvissuti, non fantasmi, che fremono per portare la propria testimonianza e far sentire anche indirettamente la voce di chi non c’ è più.

Da “Mezzoeuro”

All’ indirizzo http://www.youtube.com/watch?v=uHcBfi6l5a4 il video con le testimonianze di operai e parenti che si sono costituiti parte civile contro il Conte Marzotto e altri 12 dirigenti della Marlane Marzotto.