sabato 25 settembre 2010
pc quotidiano 25 settembre - Perù, oggi conferenza a Milano
proletari comunisti -PCm Italia partecipa e interviene oggi a Milano a una Conferenza promossa dal Movimento Popular Perù, organismo in Europa generato dal Partito Comunista del Perù
condividiamo le parole d'ordini della conferenza e consideriamo che esse siano di valore discriminante anche per il nostro paese
pc quotidiano 25 settembre - si estende la solidarietà alla guerra popolare in india - dall'Italia al Brasile
pc quotidiano 25 settembre - operai fincantieri palermo in lotta
Operai Fincanteri Palermo: ancora un giorno di mobilitazione, i padroni costretti all’incontro
Un altro corteo, ieri, di operai che dai cantieri navali è arrivato sotto la Confindustria Palermo per sentirsi dire cose che già si sapevano: è questo il risultato dell’incontro che i sindacalisti confederali, tutti e tre, Fiom-Fim-Uilm, hanno avuto con i dirigenti della Fincantieri e i rappresentanti dei padroni, mentre gli operai stavano in attesa bloccando la strada.
La protesta degli operai ha costretto i dirigenti della Fincantieri, normalmente molto arroganti, a questo incontro nel quale hanno cercato di rassicurare sul futuro che prevedrebbe ancora tutte e tre le “missioni produttive” per lo stabilimento di Palermo: costruzioni, riparazioni e trasformazioni, non si tratta infatti di lavori nuovi ma di un programma già stabilito che al massimo consente un numero limitato di giorni di lavoro.
Questo il “piano” che riguarda lo stabilimento di Palermo: riparazione di sei-sette navi da crociera dei gruppi Costa e Msc, costruzione/completamento di una piattaforma off-shore che il prossimo anno potrebbe sviluppare circa 250 mila ore di lavoro, alcuni mercantili e la posatubi Castoro 7 della Saipem.
Nel frattempo la Fincantieri non si smuove dalla richiesta di cassa integrazione per quasi 500 operai per un anno!
E perfino i soldi di cui la Regione si è riempita la bocca e ha mille volte promesso per la ristrutturazione dei bacini sono bloccati a Roma perché il governo non dà il via.
Sono anni che il problema vero per lo stabilimento di Palermo è la commessa per la COSTRUZIONE di una nave che garantisce circa tre anni di lavoro! E questa commessa non arriva!
In realtà questo incontro strappato dalla lotta degli operai, soprattutto dell’indotto, è servito ai dirigenti e ai sindacalisti e alla varie autorità cittadine per smorzarne la rabbia che cresce ogni giorno di più, perché non si vede nessuna vera prospettiva.
Continuare la mobilitazione
Fermare cassa integrazione e licenziamenti
Fermare il piano di smantellamento dei cantieri navali
Palermo, 24/9/2010
Slai Cobas per il sindacato di classe
Via g. del duca 4 - Palermo
telfax 091/203686 - 338.7708110
Un altro corteo, ieri, di operai che dai cantieri navali è arrivato sotto la Confindustria Palermo per sentirsi dire cose che già si sapevano: è questo il risultato dell’incontro che i sindacalisti confederali, tutti e tre, Fiom-Fim-Uilm, hanno avuto con i dirigenti della Fincantieri e i rappresentanti dei padroni, mentre gli operai stavano in attesa bloccando la strada.
La protesta degli operai ha costretto i dirigenti della Fincantieri, normalmente molto arroganti, a questo incontro nel quale hanno cercato di rassicurare sul futuro che prevedrebbe ancora tutte e tre le “missioni produttive” per lo stabilimento di Palermo: costruzioni, riparazioni e trasformazioni, non si tratta infatti di lavori nuovi ma di un programma già stabilito che al massimo consente un numero limitato di giorni di lavoro.
Questo il “piano” che riguarda lo stabilimento di Palermo: riparazione di sei-sette navi da crociera dei gruppi Costa e Msc, costruzione/completamento di una piattaforma off-shore che il prossimo anno potrebbe sviluppare circa 250 mila ore di lavoro, alcuni mercantili e la posatubi Castoro 7 della Saipem.
Nel frattempo la Fincantieri non si smuove dalla richiesta di cassa integrazione per quasi 500 operai per un anno!
E perfino i soldi di cui la Regione si è riempita la bocca e ha mille volte promesso per la ristrutturazione dei bacini sono bloccati a Roma perché il governo non dà il via.
Sono anni che il problema vero per lo stabilimento di Palermo è la commessa per la COSTRUZIONE di una nave che garantisce circa tre anni di lavoro! E questa commessa non arriva!
In realtà questo incontro strappato dalla lotta degli operai, soprattutto dell’indotto, è servito ai dirigenti e ai sindacalisti e alla varie autorità cittadine per smorzarne la rabbia che cresce ogni giorno di più, perché non si vede nessuna vera prospettiva.
Continuare la mobilitazione
Fermare cassa integrazione e licenziamenti
Fermare il piano di smantellamento dei cantieri navali
Palermo, 24/9/2010
Slai Cobas per il sindacato di classe
Via g. del duca 4 - Palermo
telfax 091/203686 - 338.7708110
pc quotidiano 25 settembre - ultime da Termini Imerese
Fiat Termini Imerese: dopo i cinesi anche gli indiani sono interessati allo stabilimento. Nel campo dell’auto elettrica.
Sembra infatti che il gruppo indiano Mahindra che ha comprato a maggio l’indiana Reva, specializzata in veicoli elettrici e presente in tutto il mondo, sia interessata al progetto presentato tempo fa da Simone Cimino, presidente del fondo di private equity “Cape”, (della Regione Siciliana al 49%) per il rilancio dello stabilimento Fiat di Termini Imerese. L'annuncio è giunto direttamente da Pawan Goenka, responsabile di Mahindra.
“Ho avuto positivi colloqui con Simone Cimino - ha confermato Goenka - uno degli argomenti del nostro incontro è stato proprio il piano finalizzato a rendere lo stabilimento di Termini Imerese un importante polo per la realizzazione di auto elettriche”. Anche il presidente di “Cape” non ha
nascosto l'approccio avuto con i responsabili del gruppo industriale indiano.
Lo stesso Pawan Goenka si è detto “molto interessato al programma proposto da Cape”. La “Mahindra Automotive”, infatti, intenderebbe diversificare le sue produzioni, cercando di penetrare all'interno di un settore che in molti ritengono assai utile per il futuro dell'automobile. “La trattativa - ha aggiunto Goenka - è ancora ad una fase molto preliminare, cercheremo, comunque, di approfondirla”. (ansa)
Quale che sia il progetto che si potrà mettere davvero in campo è necessario per gli operai, che sono in attesa dei prossimi incontri e “scontano” settimane di cassa integrazione, che tutti i posti di lavoro vengano salvaguardati, che la Fiat non produca ulteriori danni ostacolando un eventuale passaggio di mano, e che l’eventuale novità non si traduca in peggioramento delle condizioni di
lavoro!
Palermo, 24/9/2010
Sembra infatti che il gruppo indiano Mahindra che ha comprato a maggio l’indiana Reva, specializzata in veicoli elettrici e presente in tutto il mondo, sia interessata al progetto presentato tempo fa da Simone Cimino, presidente del fondo di private equity “Cape”, (della Regione Siciliana al 49%) per il rilancio dello stabilimento Fiat di Termini Imerese. L'annuncio è giunto direttamente da Pawan Goenka, responsabile di Mahindra.
“Ho avuto positivi colloqui con Simone Cimino - ha confermato Goenka - uno degli argomenti del nostro incontro è stato proprio il piano finalizzato a rendere lo stabilimento di Termini Imerese un importante polo per la realizzazione di auto elettriche”. Anche il presidente di “Cape” non ha
nascosto l'approccio avuto con i responsabili del gruppo industriale indiano.
Lo stesso Pawan Goenka si è detto “molto interessato al programma proposto da Cape”. La “Mahindra Automotive”, infatti, intenderebbe diversificare le sue produzioni, cercando di penetrare all'interno di un settore che in molti ritengono assai utile per il futuro dell'automobile. “La trattativa - ha aggiunto Goenka - è ancora ad una fase molto preliminare, cercheremo, comunque, di approfondirla”. (ansa)
Quale che sia il progetto che si potrà mettere davvero in campo è necessario per gli operai, che sono in attesa dei prossimi incontri e “scontano” settimane di cassa integrazione, che tutti i posti di lavoro vengano salvaguardati, che la Fiat non produca ulteriori danni ostacolando un eventuale passaggio di mano, e che l’eventuale novità non si traduca in peggioramento delle condizioni di
lavoro!
Palermo, 24/9/2010
venerdì 24 settembre 2010
pc quotidiano 24 settembre - RAZZISMO DI STATO E RAZZISMO INTELLETTUALE DI "SINISTRA".
PUBBLICHIAMO AMPI STRALCI DI UN BUON ARTICOLO APPARSO SU IL MANIFESTO DI IERI, 23 SETTEMBRE, CHE AIUTA A VEDERE E A CAPIRE IL MODERNO FASCISMO.
di Jacques Rancière
ROM E IMMIGRATI
Il razzismo viene dall'alto
"Vorrei proporre alcune riflessioni attorno alla nozione di "razzismo di Stato". Queste riflessioni si oppongono a un'interpretazione molto diffusa delle misure prese di recente dal governo francese, dalla legge sul velo fino all'espulsione dei rom. Questa interpretazione vi vede un'attitudine opportunista che mira a sfruttare i temi razzisti e xenofobi a fini elettorali. Questa supposta critica riprende il presupposto che fa del razzismo una passione popolare, che lo considera la reazione impaurita e irrazionale degli strati retrogradi della popolazione, incapaci di adattarsi al nuovo mondo, mobile e cosmopolita. Lo Stato è accusato di venir meno ai propri principi mostrandosi compiacente nei confronti di queste popolazioni. Ma al tempo stesso questa critica rafforza la posizione dello Stato in quanto rappresentante della razionalità di fronte all'irrazionalità popolare.
Questa posizione, adottata dalla critica "di sinistra", è esattamente la stessa in nome della quale la destra da una ventina d'anni a questa parte ha adottato un certo numero di leggi e di decreti razzisti. Tutte queste misure sono state prese in nome di una stessa argomentazione: ci sono problemi di delinquenza e di degrado causati dagli immigrati e dai clandestini, che rischiano di scatenare il razzismo se l'ordine non viene ripristinato. Bisogna quindi sottoporre questi atti di delinquenza all'universalità della legge, per evitare che creino dei disordini razzisti. È un gioco delle parti che è in atto, a sinistra come a destra, dalle leggi Pasqua-Méhaignerie del 1993. Consiste nell'opporre alle passioni popolari la logica universalista dello stato razionale, cioè di dare alle politiche razziste di Stato una patente d'antirazzismo.
Sarebbe l'ora di rovesciare questa argomentazione e di sottolineare la solidarietà tra la "razionalità" statale all'origine di queste misure e questo avversario complice e comodo - la passione popolare - che essa sfrutta per meglio brillare. Nei fatti, non è il governo che agisce sotto la pressione del razzismo popolare e in reazione alle passioni cosiddette populiste dell'estrema destra. È la ragion di Stato stessa che alimenta il razzismo, a cui affida la gestione immaginaria della propria legislazione reale...
La natura stessa dello Stato è di essere uno Stato di polizia, un'istituzione che stabilisce e controlla le identità, i luoghi e gli spostamenti, un'istituzione in lotta permanente contro tutto ciò che sfonda le identità da lui stabilite...
Di qui un uso della legge che ottempera due funzioni essenziali: una funzione ideologica, che si configura nel dare costantemente corpo al soggetto che minaccia la sicurezza; e una funzione pratica, che porta a ridefinire costantemente la frontiera tra il dentro e il fuori, a creare costantemente delle identità fluttuanti, suscettibili di far cadere "fuori" quelli che finora erano "dentro". Legiferare sull'immigrazione ha voluto dire, in un primo tempo, creare una categoria di sub-francesi, facendo cadere nella categoria fluttuante degli immigrati persone che erano nate sul territorio francese da genitori nati francesi (i giovani francesi delle banlieues di seconda o terza generazione). Legiferare sull'immigrazione clandestina ha voluto dire far cadere nella categoria dei clandestini degli "immigrati" regolari. È sempre la stessa logica che ha portato all'uso recente della nozione di "francese di origine straniera". Ed è questa stessa logica che ha preso di mira oggi i rom...
Per costituire queste identità in sospeso lo stato non si preoccupa di cadere in contraddizione, come si è visto con le misure relative agli "immigrati". Da un lato sono state varate delle leggi discriminatorie e delle forme di stigmatizzazione fondate sull'idea dell'universalità civile e dell'eguaglianza di fronte alla legge. Sono quindi previste sanzioni e/o vengono stigmatizzati coloro le cui pratiche si oppongono all'eguaglianza e all'universalità civica. Ma, dall'altro lato, all'interno di questa cittadinanza simile per tutti sono state imposte delle discriminazioni, come quella che distingue i francesi "di origine straniera". Dunque, da un lato tutti i francesi sono eguali e guai a coloro che non lo sono, e dall'altro tutti non sono eguali e guai a coloro che lo dimenticano!
Il razzismo attuale è quindi prima di tutto una logica statale e non una passione popolare. E questa logica statale è sostenuta in primo luogo non da non si sa bene quali gruppi sociali arretrati, ma da una buona parte dell'élite intellettuale. Le ultime campagne razziste non sono per nulla il frutto dell'estrema destra cosiddetta "populista". Sono state condotte da un'intellighentia che si rivendica come tale e di sinistra, repubblicana e laica.
La discriminazione non è più fondata sull'argomento delle razze superiori e inferiori. Ma si articola in nome della lotta contro il "comunitarismo", in nome dell'universalità della legge e dell'eguaglianza di tutti i cittadini nei confronti della legge e in nome dell'eguaglianza dei sessi. Anche in questo caso, non si fa troppo caso alle contraddizioni; questi argomenti sono avanzati da gente che, in altre occasioni, fa ben poco caso all'eguaglianza e al femminismo. Nei fatti, l'argomentazione ha soprattutto l'effetto di creare l'amalgama richiesto per identificare l'indesiderabile: l'amalgama tra migrante, immigrato, arretrato, islamista, machista e terrorista. Il ricorso all'universalità è nei fatti utilizzato a vantaggio del suo opposto: l'insediamento di un potere statale di decidere a discrezione chi appartiene e chi non appartiene alla classe di coloro che hanno il diritto di essere qui, il potere, in breve, di conferire e di annullare delle identità. Questo potere ha un correlato: il potere di obbligare gli individui ad essere identificabili ad ogni istante, a mantenersi in uno spazio di visibilità integrale nei confronti dello Stato.
Vale la pena, da questo punto di vista, di tornare sulla soluzione trovata dal governo francese al problema giuridico posto dalla proibizione del burqa. Era difficile fare una legge che fosse specifica per alcune centinaia di persone di una religione determinata. Il governo ha trovato la soluzione: una legge che impone la proibizione generale di coprirsi il volto nello spazio pubblico, una legge che riguarda al tempo stesso la donna con il velo integrale e il manifestante con il volto dissimulato o coperto da un foulard. Il foulard diventa così l'emblema comune del musulmano arretrato e dell'agitatore terrorista. Questa soluzione - adottata, come parecchie altre misure sull'immigrazione, con l'astensione benevola della sinistra - fa riferimento al pensiero "repubblicano". Ricordiamoci delle furiose diatribe del novembre 2005 contro i giovani dal volto coperto e con il cappuccio che agivano di notte (in occasione della rivolta delle banlieues)...
Concludo: è stata spesa molta energia contro una certa forma di razzismo - quella incarnata dal Fronte nazionale - e contro una certa idea di razzismo come espressione dell' "uomo comune bianco", che rappresenta gli strati arretrati della società. Buona parte di questa energia è stata recuperata per costruire la legittimità di una nuova forma di razzismo: razzismo di Stato e razzismo intellettuale "di sinistra". Sarebbe forse tempo di riorientare il pensiero e la lotta contro una teoria e una pratica di stigmatizzazione, di precarizzazione e di esclusione che oggi costituiscono un razzismo che viene dall'alto: una logica di Stato e una passione dell'intellighentia".
di Jacques Rancière
ROM E IMMIGRATI
Il razzismo viene dall'alto
"Vorrei proporre alcune riflessioni attorno alla nozione di "razzismo di Stato". Queste riflessioni si oppongono a un'interpretazione molto diffusa delle misure prese di recente dal governo francese, dalla legge sul velo fino all'espulsione dei rom. Questa interpretazione vi vede un'attitudine opportunista che mira a sfruttare i temi razzisti e xenofobi a fini elettorali. Questa supposta critica riprende il presupposto che fa del razzismo una passione popolare, che lo considera la reazione impaurita e irrazionale degli strati retrogradi della popolazione, incapaci di adattarsi al nuovo mondo, mobile e cosmopolita. Lo Stato è accusato di venir meno ai propri principi mostrandosi compiacente nei confronti di queste popolazioni. Ma al tempo stesso questa critica rafforza la posizione dello Stato in quanto rappresentante della razionalità di fronte all'irrazionalità popolare.
Questa posizione, adottata dalla critica "di sinistra", è esattamente la stessa in nome della quale la destra da una ventina d'anni a questa parte ha adottato un certo numero di leggi e di decreti razzisti. Tutte queste misure sono state prese in nome di una stessa argomentazione: ci sono problemi di delinquenza e di degrado causati dagli immigrati e dai clandestini, che rischiano di scatenare il razzismo se l'ordine non viene ripristinato. Bisogna quindi sottoporre questi atti di delinquenza all'universalità della legge, per evitare che creino dei disordini razzisti. È un gioco delle parti che è in atto, a sinistra come a destra, dalle leggi Pasqua-Méhaignerie del 1993. Consiste nell'opporre alle passioni popolari la logica universalista dello stato razionale, cioè di dare alle politiche razziste di Stato una patente d'antirazzismo.
Sarebbe l'ora di rovesciare questa argomentazione e di sottolineare la solidarietà tra la "razionalità" statale all'origine di queste misure e questo avversario complice e comodo - la passione popolare - che essa sfrutta per meglio brillare. Nei fatti, non è il governo che agisce sotto la pressione del razzismo popolare e in reazione alle passioni cosiddette populiste dell'estrema destra. È la ragion di Stato stessa che alimenta il razzismo, a cui affida la gestione immaginaria della propria legislazione reale...
La natura stessa dello Stato è di essere uno Stato di polizia, un'istituzione che stabilisce e controlla le identità, i luoghi e gli spostamenti, un'istituzione in lotta permanente contro tutto ciò che sfonda le identità da lui stabilite...
Di qui un uso della legge che ottempera due funzioni essenziali: una funzione ideologica, che si configura nel dare costantemente corpo al soggetto che minaccia la sicurezza; e una funzione pratica, che porta a ridefinire costantemente la frontiera tra il dentro e il fuori, a creare costantemente delle identità fluttuanti, suscettibili di far cadere "fuori" quelli che finora erano "dentro". Legiferare sull'immigrazione ha voluto dire, in un primo tempo, creare una categoria di sub-francesi, facendo cadere nella categoria fluttuante degli immigrati persone che erano nate sul territorio francese da genitori nati francesi (i giovani francesi delle banlieues di seconda o terza generazione). Legiferare sull'immigrazione clandestina ha voluto dire far cadere nella categoria dei clandestini degli "immigrati" regolari. È sempre la stessa logica che ha portato all'uso recente della nozione di "francese di origine straniera". Ed è questa stessa logica che ha preso di mira oggi i rom...
Per costituire queste identità in sospeso lo stato non si preoccupa di cadere in contraddizione, come si è visto con le misure relative agli "immigrati". Da un lato sono state varate delle leggi discriminatorie e delle forme di stigmatizzazione fondate sull'idea dell'universalità civile e dell'eguaglianza di fronte alla legge. Sono quindi previste sanzioni e/o vengono stigmatizzati coloro le cui pratiche si oppongono all'eguaglianza e all'universalità civica. Ma, dall'altro lato, all'interno di questa cittadinanza simile per tutti sono state imposte delle discriminazioni, come quella che distingue i francesi "di origine straniera". Dunque, da un lato tutti i francesi sono eguali e guai a coloro che non lo sono, e dall'altro tutti non sono eguali e guai a coloro che lo dimenticano!
Il razzismo attuale è quindi prima di tutto una logica statale e non una passione popolare. E questa logica statale è sostenuta in primo luogo non da non si sa bene quali gruppi sociali arretrati, ma da una buona parte dell'élite intellettuale. Le ultime campagne razziste non sono per nulla il frutto dell'estrema destra cosiddetta "populista". Sono state condotte da un'intellighentia che si rivendica come tale e di sinistra, repubblicana e laica.
La discriminazione non è più fondata sull'argomento delle razze superiori e inferiori. Ma si articola in nome della lotta contro il "comunitarismo", in nome dell'universalità della legge e dell'eguaglianza di tutti i cittadini nei confronti della legge e in nome dell'eguaglianza dei sessi. Anche in questo caso, non si fa troppo caso alle contraddizioni; questi argomenti sono avanzati da gente che, in altre occasioni, fa ben poco caso all'eguaglianza e al femminismo. Nei fatti, l'argomentazione ha soprattutto l'effetto di creare l'amalgama richiesto per identificare l'indesiderabile: l'amalgama tra migrante, immigrato, arretrato, islamista, machista e terrorista. Il ricorso all'universalità è nei fatti utilizzato a vantaggio del suo opposto: l'insediamento di un potere statale di decidere a discrezione chi appartiene e chi non appartiene alla classe di coloro che hanno il diritto di essere qui, il potere, in breve, di conferire e di annullare delle identità. Questo potere ha un correlato: il potere di obbligare gli individui ad essere identificabili ad ogni istante, a mantenersi in uno spazio di visibilità integrale nei confronti dello Stato.
Vale la pena, da questo punto di vista, di tornare sulla soluzione trovata dal governo francese al problema giuridico posto dalla proibizione del burqa. Era difficile fare una legge che fosse specifica per alcune centinaia di persone di una religione determinata. Il governo ha trovato la soluzione: una legge che impone la proibizione generale di coprirsi il volto nello spazio pubblico, una legge che riguarda al tempo stesso la donna con il velo integrale e il manifestante con il volto dissimulato o coperto da un foulard. Il foulard diventa così l'emblema comune del musulmano arretrato e dell'agitatore terrorista. Questa soluzione - adottata, come parecchie altre misure sull'immigrazione, con l'astensione benevola della sinistra - fa riferimento al pensiero "repubblicano". Ricordiamoci delle furiose diatribe del novembre 2005 contro i giovani dal volto coperto e con il cappuccio che agivano di notte (in occasione della rivolta delle banlieues)...
Concludo: è stata spesa molta energia contro una certa forma di razzismo - quella incarnata dal Fronte nazionale - e contro una certa idea di razzismo come espressione dell' "uomo comune bianco", che rappresenta gli strati arretrati della società. Buona parte di questa energia è stata recuperata per costruire la legittimità di una nuova forma di razzismo: razzismo di Stato e razzismo intellettuale "di sinistra". Sarebbe forse tempo di riorientare il pensiero e la lotta contro una teoria e una pratica di stigmatizzazione, di precarizzazione e di esclusione che oggi costituiscono un razzismo che viene dall'alto: una logica di Stato e una passione dell'intellighentia".
pc quotidiano 24 settembre - protesta studentesca a Napoli
I diritti non si "meritano"... si
conquistano! - iniziativa nazionale per il diritto allo studio
studenti e studentesse delle facoltà di Napoli, abbiamo fatto "visita"
agli uffici dell'A.DI.SU (Azienda per il diritto allo studio universitario)
Napoli 1 e 2 (rispettivamente della Federico II e dell'Orientale,
Conservatorio e Accademia), nella cornice di una giornata di mobilitazione
nazionale per il diritto allo studio, per protestare contro la riforma
"Gelmini" e il DDL 1905 che smantellano l'università pubblica e riducono
drasticamente i già esigui fondi per il diritto allo studio.
Abbiamo preso di mira l'A.DI.SU. - che da "ente" per il diritto allo studio
si è trasformata in "azienda"- perché esempio del processo di
privatizzazione e aziendalizzazione che sta subendo l'università. Al nostro
arrivo presso le due sedi, dopo alcune pressioni, abbiamo ottenuto incontri
con i rispettivi direttori, ai quali abbiamo chiesto conto di tutti i nostri
diritti, che continuano a ridursi anno dopo anno: borse di studio non
assegnate, mense chiuse, sprechi baronali, assenza di alloggi e aumento
delle tasse.
Ciò che avevamo previsto non solo ci è stato confermato, ma ci siamo trovati
di fronte una situazione ancor più allarmante:
. Il budget dell'Adisu Napoli 1 ogni anno diminuisce di più di 1 milione di
euro (per quest'anno è previsto un budget di soli 10 milioni!)
. La Regione (alla quale ogni anno versiamo un "contributo" di 62 ?) tarda
sistematicamente il trasferimento dei fondi e ne trattiene una parte
consistente per ripianare il debito regionale (della serie "la crisi la
paghiamo noi... eccome!")
. Il personale dell'Adisu Napoli 2 sarà dimezzato fino ad arrivare a sole 6
unità!
In poche parole, le Adisu stesse non hanno potuto nascondere la drammaticità
della situazione attuale, che peggiorerà ulteriormente nei prossimi anni,
fino ad arrivare ad un definitivo smantellamento del diritto allo studio.
La tanto invocata "meritocrazia" che la nuova Riforma spaccia come via di
uscita dalla crisi dell'università non solo non è la soluzione, ma anzi
rappresenta un ulteriore ostacolo all'accesso ai diritti di noi studenti.
I DIRITTI NON SI MERITANO... SI CONQUISTANO! RIPRENDIAMOCI IL DIRITTO ALLO
STUDIO!
RED-NET_Napoli
- il volantino distribuito a Napoli
- il documento consegnato ai direttori delle A.DI.SU. napoletane
- audio su radiodimassa
- articolo su corriere del mezzogiorno
- intervista ad uno studente sul corriere del mezzogiorno
il comunicato della rete nazionale studentesca
L'anno accademico non è ancora ripreso, la scuola è cominciata da
pochissimo, ma già la protesta di studenti, precari, ricercatori, attraversa
istituti ed atenei. Le tante iniziative, le assemblee, i presidi, i blocchi,
sono dettati dall'esasperazione che sente chiunque viva e lavori nel mondo
della formazione. Anni di "riforme", di centrodestra o di centrosinistra,
hanno portato l'istruzione e la ricerca in una situazione insostenibile.
Strutture fatiscenti, mancate assunzioni, contratti precari, rinforzamento
dei meccanismi baronali e delle logiche dirigenziali, spazio lasciato ai
privati, aumento delle tasse, saperi quantificati in crediti e in stage non
retribuiti: chi lavora non ha diritti e gli viene tolta la passione, chi
studia impara l'arte dell'arrangiarsi e dell'essere sfruttato.
Il taglio dei fondi di cui Tremonti e Gelmini sono stati artefici con il
recente DDL 1905 e con la manovra di luglio non fanno che aggravare questa
situazione. Ancor più che nel 2008 dell'Onda, è giunto il momento per
mobilitarsi collettivamente e dire basta, riprenderci i nostri diritti e la
dignità che ci viene negata!
Nel solco delle proteste che stanno riscaldando quest'autunno, anche oggi,
mercoledì 22 settembre, è stata una giornata di lotta in tutt'Italia. I
collettivi studenteschi di RED-NET si sono mobilitati a Milano, Bologna,
Firenze, Roma, Napoli e Palermo per protestare contro l'ennesimo attacco al
diritto allo studio.
Abbiamo preso di mira le sedi dell'ADISU, non a caso "Azienda" per il
diritto allo studio, un'azienda che non tiene affatto in conto le esigenze
degli studenti, soprattutto di quelli delle classi più svantaggiate. Con
striscioni, volantini e pannelli informativi abbiamo denunciato la mancanza
di alloggi, di mense, di servizi per gli studenti, la carenza di biblioteche
ed il costo insostenibile delle tasse. Abbiamo denunciato che il taglio dei
fondi crea da anni studenti idonei non assegnatari, cioè studenti che hanno
tutte le carte in regola per avere la borsa di studio ma non la ricevono
perché i soldi son pochi. Abbiamo chiesto conto degli sprechi baronali,
abbiamo chiesto che i lavoratori dell'ADISU esprimano la loro vicinanza alla
mobilitazione universitaria e denuncino l'impossibilità di lavorare in
queste condizioni... Abbiamo infine contestato la strategia di un Governo in
crisi, quella di far cassa tagliando ovunque, regalando ai privati ogni
settore pubblico, una strategia profondamente classista e discriminatoria.
Per questo saremo di nuovo in piazza il 30 settembre a Padova, per
pretendere un reale diritto allo studio e contestare la retorica della
"meritocrazia" che in realtà serve solo ai più ricchi per giustificare i
loro privilegi.
conquistano! - iniziativa nazionale per il diritto allo studio
studenti e studentesse delle facoltà di Napoli, abbiamo fatto "visita"
agli uffici dell'A.DI.SU (Azienda per il diritto allo studio universitario)
Napoli 1 e 2 (rispettivamente della Federico II e dell'Orientale,
Conservatorio e Accademia), nella cornice di una giornata di mobilitazione
nazionale per il diritto allo studio, per protestare contro la riforma
"Gelmini" e il DDL 1905 che smantellano l'università pubblica e riducono
drasticamente i già esigui fondi per il diritto allo studio.
Abbiamo preso di mira l'A.DI.SU. - che da "ente" per il diritto allo studio
si è trasformata in "azienda"- perché esempio del processo di
privatizzazione e aziendalizzazione che sta subendo l'università. Al nostro
arrivo presso le due sedi, dopo alcune pressioni, abbiamo ottenuto incontri
con i rispettivi direttori, ai quali abbiamo chiesto conto di tutti i nostri
diritti, che continuano a ridursi anno dopo anno: borse di studio non
assegnate, mense chiuse, sprechi baronali, assenza di alloggi e aumento
delle tasse.
Ciò che avevamo previsto non solo ci è stato confermato, ma ci siamo trovati
di fronte una situazione ancor più allarmante:
. Il budget dell'Adisu Napoli 1 ogni anno diminuisce di più di 1 milione di
euro (per quest'anno è previsto un budget di soli 10 milioni!)
. La Regione (alla quale ogni anno versiamo un "contributo" di 62 ?) tarda
sistematicamente il trasferimento dei fondi e ne trattiene una parte
consistente per ripianare il debito regionale (della serie "la crisi la
paghiamo noi... eccome!")
. Il personale dell'Adisu Napoli 2 sarà dimezzato fino ad arrivare a sole 6
unità!
In poche parole, le Adisu stesse non hanno potuto nascondere la drammaticità
della situazione attuale, che peggiorerà ulteriormente nei prossimi anni,
fino ad arrivare ad un definitivo smantellamento del diritto allo studio.
La tanto invocata "meritocrazia" che la nuova Riforma spaccia come via di
uscita dalla crisi dell'università non solo non è la soluzione, ma anzi
rappresenta un ulteriore ostacolo all'accesso ai diritti di noi studenti.
I DIRITTI NON SI MERITANO... SI CONQUISTANO! RIPRENDIAMOCI IL DIRITTO ALLO
STUDIO!
RED-NET_Napoli
- il volantino distribuito a Napoli
- il documento consegnato ai direttori delle A.DI.SU. napoletane
- audio su radiodimassa
- articolo su corriere del mezzogiorno
- intervista ad uno studente sul corriere del mezzogiorno
il comunicato della rete nazionale studentesca
L'anno accademico non è ancora ripreso, la scuola è cominciata da
pochissimo, ma già la protesta di studenti, precari, ricercatori, attraversa
istituti ed atenei. Le tante iniziative, le assemblee, i presidi, i blocchi,
sono dettati dall'esasperazione che sente chiunque viva e lavori nel mondo
della formazione. Anni di "riforme", di centrodestra o di centrosinistra,
hanno portato l'istruzione e la ricerca in una situazione insostenibile.
Strutture fatiscenti, mancate assunzioni, contratti precari, rinforzamento
dei meccanismi baronali e delle logiche dirigenziali, spazio lasciato ai
privati, aumento delle tasse, saperi quantificati in crediti e in stage non
retribuiti: chi lavora non ha diritti e gli viene tolta la passione, chi
studia impara l'arte dell'arrangiarsi e dell'essere sfruttato.
Il taglio dei fondi di cui Tremonti e Gelmini sono stati artefici con il
recente DDL 1905 e con la manovra di luglio non fanno che aggravare questa
situazione. Ancor più che nel 2008 dell'Onda, è giunto il momento per
mobilitarsi collettivamente e dire basta, riprenderci i nostri diritti e la
dignità che ci viene negata!
Nel solco delle proteste che stanno riscaldando quest'autunno, anche oggi,
mercoledì 22 settembre, è stata una giornata di lotta in tutt'Italia. I
collettivi studenteschi di RED-NET si sono mobilitati a Milano, Bologna,
Firenze, Roma, Napoli e Palermo per protestare contro l'ennesimo attacco al
diritto allo studio.
Abbiamo preso di mira le sedi dell'ADISU, non a caso "Azienda" per il
diritto allo studio, un'azienda che non tiene affatto in conto le esigenze
degli studenti, soprattutto di quelli delle classi più svantaggiate. Con
striscioni, volantini e pannelli informativi abbiamo denunciato la mancanza
di alloggi, di mense, di servizi per gli studenti, la carenza di biblioteche
ed il costo insostenibile delle tasse. Abbiamo denunciato che il taglio dei
fondi crea da anni studenti idonei non assegnatari, cioè studenti che hanno
tutte le carte in regola per avere la borsa di studio ma non la ricevono
perché i soldi son pochi. Abbiamo chiesto conto degli sprechi baronali,
abbiamo chiesto che i lavoratori dell'ADISU esprimano la loro vicinanza alla
mobilitazione universitaria e denuncino l'impossibilità di lavorare in
queste condizioni... Abbiamo infine contestato la strategia di un Governo in
crisi, quella di far cassa tagliando ovunque, regalando ai privati ogni
settore pubblico, una strategia profondamente classista e discriminatoria.
Per questo saremo di nuovo in piazza il 30 settembre a Padova, per
pretendere un reale diritto allo studio e contestare la retorica della
"meritocrazia" che in realtà serve solo ai più ricchi per giustificare i
loro privilegi.
pc quotidiano 24 settembre -Perugia.. cade la montatura assolti i compagni
Assolti Moreno, Maria Grazia e Alessia. Spazzato via il teorema accusatorio
che portò agli arresti del 1 aprile 2004.
23 Settembre 2010. Un giorno che difficilmente dimenticheremo: «In base
all'Art. 530, primo comma, si assolvono gli imputati perché il fatto non
sussiste». Vittoria piena, sul piano giuridico anzitutto, ma pure politico e
morale.
Non scorderemo infatti, e come potremmo, nemmeno il 1 aprile 2004, quando
fummo arrestati con l'accusa di appartenere ad una rete terroristica
internazionale.
L'unica rete di cui facevamo parte era invece il Campo Antimperialista. Una
rete che il governo Berlusconi, l'allora Ministro degli Interni Pisanu e il
sottosegretario Torquemada-Mantovano, da tempo avevano in mente di togliere
di mezzo, per "colpa" delle sue grandi campagne di solidarietà con la
Resistenza dei popoli oppressi.
Per anni, allo scopo di incastrarci, venimmo "attenzionati" dai Ros e dalla
Digos. Non trovarono né la pistola fumante, né prove degne di questo nome.
Ripiegarono su un teorema, che la Procura di Perugia si ingegnò a
confezionare.
Il teorema era semplice: in base alla legislazione speciale vigente sui
reati associativi (270Bis) e al suo inasprimento del dicembre 2001 (270 Ter,
Quater, ecc.), sostenere le Resistenze alle guerre d'occupazione come quella
palestinese e irachena, o quelle turca e curda contro la dittatura militare,
equivaleva ad essere dei terroristi o, come minimo a fiancheggiare il
terrorismo. La sentenza di assoluzione piena demolendo questo dispositivo
accusatorio, non solo rifiuta di considerare delinquenti gli
antimperialisti; spinge a riflettere sulla legittimità costituzionale della
legislazione cosiddetta "antoterrorismo", in particolare deglli inasprimenti
adottati a partire dal 2001.
Lo stesso giorno degli arresti, mentre a sirene spiegate venivamo tradotti
in carcere, mentre media compiacenti ci dipingevano come pericolosi
criminali, fu lo stesso Ministro degli Interni Giuseppe Pisanu a metterci la
faccia e a consacrare la montatura: «Si consolida l'ipotesi che gruppi o
singoli personaggi dell'eversione italiana possano entrare in contatto e
collaborare con organizzazioni terroristiche internazionali, spinti dai
comuni orientamenti antiamericani e antioccidentali».
La sentenza di oggi, spazzando via quel teorema, ristabilendo la verità per
cui sempre e in ogni sede ci siamo battuti, ci riconsegna la cosa più
preziosa: la dignità di militanti antimperialisti e anticapitalisti.
Il nostro pensiero corre ora a chi come noi, in ogni parte del mondo e in
Italia, subisce la galera per le sue idee e per il suo impegno nei movimenti
di liberazione. La persecuzione e gli arresti non ci hanno cambiati, siamo
stati, siamo e saremo vicini agli oppressi, a maggior ragione a quei popoli
che hanno il coraggio di ribellarsi alla prepotenza imperiale americana,
guardiamo di un sistema mondiale che rischia di condurre l'umanità verso
l'abisso.
Ringraziamo tutti i compagni che si sono attivati allora per la nostra
scarcerazione, e la cui solidarietà non è mai venuta meno in tutti questi
anni di tormento. E salutiamo i tanti amici e i comuni cittadini che non ci
hanno fatto mancare il loro affetto e la loro stima.
Perugia, 23 settembre 2010
che portò agli arresti del 1 aprile 2004.
23 Settembre 2010. Un giorno che difficilmente dimenticheremo: «In base
all'Art. 530, primo comma, si assolvono gli imputati perché il fatto non
sussiste». Vittoria piena, sul piano giuridico anzitutto, ma pure politico e
morale.
Non scorderemo infatti, e come potremmo, nemmeno il 1 aprile 2004, quando
fummo arrestati con l'accusa di appartenere ad una rete terroristica
internazionale.
L'unica rete di cui facevamo parte era invece il Campo Antimperialista. Una
rete che il governo Berlusconi, l'allora Ministro degli Interni Pisanu e il
sottosegretario Torquemada-Mantovano, da tempo avevano in mente di togliere
di mezzo, per "colpa" delle sue grandi campagne di solidarietà con la
Resistenza dei popoli oppressi.
Per anni, allo scopo di incastrarci, venimmo "attenzionati" dai Ros e dalla
Digos. Non trovarono né la pistola fumante, né prove degne di questo nome.
Ripiegarono su un teorema, che la Procura di Perugia si ingegnò a
confezionare.
Il teorema era semplice: in base alla legislazione speciale vigente sui
reati associativi (270Bis) e al suo inasprimento del dicembre 2001 (270 Ter,
Quater, ecc.), sostenere le Resistenze alle guerre d'occupazione come quella
palestinese e irachena, o quelle turca e curda contro la dittatura militare,
equivaleva ad essere dei terroristi o, come minimo a fiancheggiare il
terrorismo. La sentenza di assoluzione piena demolendo questo dispositivo
accusatorio, non solo rifiuta di considerare delinquenti gli
antimperialisti; spinge a riflettere sulla legittimità costituzionale della
legislazione cosiddetta "antoterrorismo", in particolare deglli inasprimenti
adottati a partire dal 2001.
Lo stesso giorno degli arresti, mentre a sirene spiegate venivamo tradotti
in carcere, mentre media compiacenti ci dipingevano come pericolosi
criminali, fu lo stesso Ministro degli Interni Giuseppe Pisanu a metterci la
faccia e a consacrare la montatura: «Si consolida l'ipotesi che gruppi o
singoli personaggi dell'eversione italiana possano entrare in contatto e
collaborare con organizzazioni terroristiche internazionali, spinti dai
comuni orientamenti antiamericani e antioccidentali».
La sentenza di oggi, spazzando via quel teorema, ristabilendo la verità per
cui sempre e in ogni sede ci siamo battuti, ci riconsegna la cosa più
preziosa: la dignità di militanti antimperialisti e anticapitalisti.
Il nostro pensiero corre ora a chi come noi, in ogni parte del mondo e in
Italia, subisce la galera per le sue idee e per il suo impegno nei movimenti
di liberazione. La persecuzione e gli arresti non ci hanno cambiati, siamo
stati, siamo e saremo vicini agli oppressi, a maggior ragione a quei popoli
che hanno il coraggio di ribellarsi alla prepotenza imperiale americana,
guardiamo di un sistema mondiale che rischia di condurre l'umanità verso
l'abisso.
Ringraziamo tutti i compagni che si sono attivati allora per la nostra
scarcerazione, e la cui solidarietà non è mai venuta meno in tutti questi
anni di tormento. E salutiamo i tanti amici e i comuni cittadini che non ci
hanno fatto mancare il loro affetto e la loro stima.
Perugia, 23 settembre 2010
pc quotidiano 24 settembre - Abruzzo: salt-1, salt-2, salt-3 Chiodi è ora che salti pure te!
23. novembre 2010.
Alla seduta del consiglio comunale dell’Aquila il consigliere democristiano Giuseppe Ludovici, in riferimento al blitz poliziesco sui 29 immigrati senza tetto, denunciati ed espulsi dall’Aquila una settimana fa perché costretti a vivere in situazioni di degrado e a lavorare in un’economia sommersa, dichiara:
"gli stranieri vengono qui e rubano. Dormono nelle strade e nelle capanne comunali, fumano, bevono e prendono il caffè a spese mie e nostre. Mi hanno devastato la casa e sono stati sicuramente gli stranieri […] Per carità, gli stranieri in Italia ci servono, sono utili, ma dovrebbero essere fatti arrivare a chiamata. Non possono venire a dormire nelle piazze, e bivaccare nei locali pubblici. Anche qui a L'Aquila. Io sono uno di quelli che la mattina cammina, e li vedo che dormono ai lati delle strade. E questo non mi sembra corretto. Questi fumano, bevono, pigliano il caffè, e non lavorano. Dove li pigliano i soldi?''
Ludovici sa benissimo che la maggior parte di quegli stranieri non aveva un permesso di soggiorno perché lavorava a nero, probabilmente per conto di qualche costruttore amico della sua cricca, eppure è con questi che si indigna, con la stessa ipocrita sorpresa dei pennivendoli del “tempo”, che a caratteri cubitali una settimana fa, mentre il presidente della Regione Chiodi veniva chiamato a rispondere con Tordera (presidente della Carispaq), nell’inchiesta sugli appalti per il G8 e la ricostruzione, titolava stupito a caratteri cubitali: “CITTA’ INVASA DAI SENZA TETTO, LA POLIZIA NE SCOVA VENTINOVE”
Strano che all’Aquila abbiano “scovato” solo 29 senza tetto!… Sarà che gli altri 30.000 hanno tutti la cittadinanza italiana e la residenza aquilana? Però non tutti sono rientrati nel progetto C.A.S.E. o nei M.A.P. ed evidentemente neanche in “alloggi” di fortuna, nelle panchine, nelle tende, nelle baracche e nelle roulottes usate nel periodo delle tendopoli dove questi pericolosi stranieri vengono oggi sorpresi a dormire! Che indecenza, che scorrettezza questi stranieri!!!
E “dove li pigliano i soldi per comprarsi un caffè o le sigarette?” si domanda Ludovici.
Tutto questo mentre emerge, dalla rifiutopoli Abruzzese, che alla lista di Chiodi e al pdl sono andati 250mila euro da Rodolfo Di Zio, proprietario della De.co, azienda del settore rifiuti, per trovare un consulente che presso il ministero dell’ambiente aiuti lui e la sua cricca a “reimpostare” la legge sui rifiuti, in modo che non si debba ricorrere ad appalti pubblici europei per decidere chi debba mangiare di più e piazzare un bell’inceneritore nel suolo pubblico del teramano completamente made in Italy, a cura della premiata ditta Venturoni-Di Zio-Chiodi-Tancredi-Stati SPA, dove il maggiore azionista è, appunto, il PDL abruzzese coi suoi legami col governo centrale
Tutto questo quando la Pedicone Holding, di cui Gianni Chiodi è sindaco supplente, ha intascato 300mila euro per il G8 all’Aquila. Ma Chiodi, presidente della Regione Abruzzo dal dicembre 2008 e commissario delegato all'emergenza terremoto e alla ricostruzione, “non poteva fare niente” e non poteva accorgersi che il senatore Paolo Tancredi, cugino di Carmine, socio del suo studio commercialista a Teramo, ora indagato insieme ad altri 11 esponenti di spicco della cricca politico-affaristica del PDL, avrebbe trovato i canali giusti per alzare non 300mila, ma centinaia di milioni di euro con l’inceneritore, con qualche escamotage legislativo
Tutto questo quando l’ex assessore regionale alla protezione civile e ai rifiuti dell'Abruzzo, Daniela Stati (Pdl), suo padre, Ezio Stati (ex consigliere regionale Dc e attuale esponente di spicco del Pdl), l'ex deputato di FI Vincenzo Angeloni e Sabatino Stornelli (amministratore delegato di Selex service management, società di Finmeccanica), devono rispondere di corruzione per aver favorito l’autorizzazione, da parte di Berlusconi, della società Abruzzo Engineering, alla quale affidare 1,5 milioni di euro per un progetto (non ancora elaborato) a scapito del Consorzio ReLuis (rete di laboratori universitari di ingegneria), che quel lavoro lo avrebbe svolto gratis. Il tutto in cambio di un diamante da 15mila euro, un’AUDI e appalti per la ricostruzione.
Disse Venturoni a Di zio:
“Fammi andare in Regione .. là t'avessi a crede' che mo' tengo ventotto ettari di terreno pe' fa l'uliveto? Pe' fa l'uje? La ci dobbiamo fa li robbe, eh!”
Cosa dire invece a Ludovici, a Chiodi?
“Andatevene con le buone, che alle cattive ci penseremo noi!?”
Non so gli altri, ma io ci penso sempre!
Luigia
giovedì 23 settembre 2010
pc quotidiano 22-23 settembre - Faith non deve morire perché ha reagito allo stupro-
appello dal movimento delle donne
Faith non deve morire perché ha reagito allo stupro-
Chiediamo un immediata risposta da parte del Ministero degli esteri italiano
che ha già ricevuto svariati appelli ad attivare con urgenza tutte le misure
diplomatiche per tutelare il diritto alla vita della giovane donna nigeriana
Faith Aiworo. Faith è stata espulsa in luglio dall’Italia per essere
rimpatriata in Nigeria, dove è stata immediamente incarcerata e dove la
attende una condanna all’impiccagione per essersi legittimamente difesa di
fronte ad un tentativo di stupro.
Il Ministero degli Interni italiano deve rispondere del grave errore
commesso con l’espulsione.
Il governo italiano deve pianificare un tempestivo rientro in Italia della
donna, che aveva già avviato una richiesta di asilo politico. Le autorità
italiane hanno il dovere - sancito dall’art. 19 della Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione europea, ma anche dagli articoli 2 e 10 della
Costituzione - di conferirle lo status di rifugiata o comunque di fornirle
protezione umanitaria e sussidiaria, esistendo il rischio di condanna a
morte in patria.
La Nigeria deve fermare questa atroce condanna ad una donna che si è difesa
da uno stupro.
Ribadiamo che la risposta deve essere immediata perché Faith è ingiustamente
in carcere già da luglio scorso e da due anni è in territorio europeo
costretta alla clandestinità a causa dell’ingiustizia della legislazione
europea sull’immigrazione.
:
da inviare a
alle ambasciate nigeriane, al ministero degli esteri e degli interni
italiano
sotto inseriamo vari indirizzi italiani a cui vi invitiamo a inviare
l'appello via fax o via e-mail
**Ambasciata Nigeria - Roma, via Orazio 14
Email: nigerian.rome@iol.it
**fax 066832528 (dell’esattezza di questo numero di fax non sono
sicurissima, andrebbe verificato,
ma io non ne ho il tempo)
**Tel. 06.683931
**/Fax Farnesina (MInistero degli esteri)
/(+39) 06 3236210
Ministero dell'Interno
*Piazza del Viminale n. 1 - 00184 Roma*
*Centralino tel. 064651*
Faith non deve morire perché ha reagito allo stupro-
Chiediamo un immediata risposta da parte del Ministero degli esteri italiano
che ha già ricevuto svariati appelli ad attivare con urgenza tutte le misure
diplomatiche per tutelare il diritto alla vita della giovane donna nigeriana
Faith Aiworo. Faith è stata espulsa in luglio dall’Italia per essere
rimpatriata in Nigeria, dove è stata immediamente incarcerata e dove la
attende una condanna all’impiccagione per essersi legittimamente difesa di
fronte ad un tentativo di stupro.
Il Ministero degli Interni italiano deve rispondere del grave errore
commesso con l’espulsione.
Il governo italiano deve pianificare un tempestivo rientro in Italia della
donna, che aveva già avviato una richiesta di asilo politico. Le autorità
italiane hanno il dovere - sancito dall’art. 19 della Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione europea, ma anche dagli articoli 2 e 10 della
Costituzione - di conferirle lo status di rifugiata o comunque di fornirle
protezione umanitaria e sussidiaria, esistendo il rischio di condanna a
morte in patria.
La Nigeria deve fermare questa atroce condanna ad una donna che si è difesa
da uno stupro.
Ribadiamo che la risposta deve essere immediata perché Faith è ingiustamente
in carcere già da luglio scorso e da due anni è in territorio europeo
costretta alla clandestinità a causa dell’ingiustizia della legislazione
europea sull’immigrazione.
:
da inviare a
alle ambasciate nigeriane, al ministero degli esteri e degli interni
italiano
sotto inseriamo vari indirizzi italiani a cui vi invitiamo a inviare
l'appello via fax o via e-mail
**Ambasciata Nigeria - Roma, via Orazio 14
Email: nigerian.rome@iol.it
**fax 066832528 (dell’esattezza di questo numero di fax non sono
sicurissima, andrebbe verificato,
ma io non ne ho il tempo)
**Tel. 06.683931
**/Fax Farnesina (MInistero degli esteri)
/(+39) 06 3236210
Ministero dell'Interno
*Piazza del Viminale n. 1 - 00184 Roma*
*Centralino tel. 064651*
pc quotidiano 22-23 settembre - ...un minuto di silenzio
segnalazione della rete nazionale per la sicurezza sui posti di lavoro
bastamortesullavoro@gmail.com
Domenica un minuto di silenzio su tutti i campi
*il lavoro uccide*
Su tutti i campi di calcio verrà osservato domenica un minuto di
silenzio in memoria di Pietro Mirabelli, morto questa notte a 54 anni
schiacciato da alcuni massi mentre lavorava al fronte di scavo del
tunnel ferroviario Alptransit di Sigirino.
Pietro era un delegato Rls, ma la sua cultura per la sicurezza non è
bastata a salvarlo dal blocco di roccia che un macchinario gli ha
scaricato addosso.
In una nota la Lega Calcio ha annunciato che l'operaio stava rendendo un
servizio fondamentale per il paese nella costruzione del tunnel che
potenzierà i collegamenti tra Italia e Svizzera, e quindi il minuto di
silenzio è doveroso per dargli l'ultimo saluto. "E' necessario -
prosegue la nota - rompere l'ipocrisia che vuole osservati minuti di
silenzio solo in occasione di morti avvenute in teatri bellici o
comunque che vedono coinvolti militari. Non possono esistere morti di
serie A e morti di serie B."
Plauso bipartisan per l'iniziativa da tutto il mondo politico.
Ora svegliatevi, siete in Italia!
red. 22 settembre 2010
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bastamortesullavoro@gmail.com
Domenica un minuto di silenzio su tutti i campi
*il lavoro uccide*
Su tutti i campi di calcio verrà osservato domenica un minuto di
silenzio in memoria di Pietro Mirabelli, morto questa notte a 54 anni
schiacciato da alcuni massi mentre lavorava al fronte di scavo del
tunnel ferroviario Alptransit di Sigirino.
Pietro era un delegato Rls, ma la sua cultura per la sicurezza non è
bastata a salvarlo dal blocco di roccia che un macchinario gli ha
scaricato addosso.
In una nota la Lega Calcio ha annunciato che l'operaio stava rendendo un
servizio fondamentale per il paese nella costruzione del tunnel che
potenzierà i collegamenti tra Italia e Svizzera, e quindi il minuto di
silenzio è doveroso per dargli l'ultimo saluto. "E' necessario -
prosegue la nota - rompere l'ipocrisia che vuole osservati minuti di
silenzio solo in occasione di morti avvenute in teatri bellici o
comunque che vedono coinvolti militari. Non possono esistere morti di
serie A e morti di serie B."
Plauso bipartisan per l'iniziativa da tutto il mondo politico.
Ora svegliatevi, siete in Italia!
red. 22 settembre 2010
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pc quotidiano 22-23 settembre - dalla fincantieri in lotta di palermo
un lungo corteo che ha bloccato ieri il traffico della città in uno dei punti
nevralgici ha dato inizio alla giornata di lotta degli operai della Fincantieri
di Palermo. Qualche tensione della polizia per la deviazione del corteo “non
prevista”.
Hanno percorso le vie principali e sono arrivati davanti alla sede della
regione siciliana dove hanno trascorso buona parte della giornata in attesa di
una risposta dalle istituzioni.
I dirigenti della Regione hanno risposto che si stanno impegnando, ma che
aspettano lo sblocco dei FONDI FAS (questa dei Fondi Fas sta diventando una
vera barzelletta!) perché da questo dipende la possibilità di investire nella
ristrutturazione dei bacini di carenaggio.
E il sindaco Cammarata, tirato in ballo da qualcuno che se ne ricorda l’
esistenza, nel suo solito stile le spara grosse: "Non c'é alcun disimpegno
dell'amministrazione comunale nella vicenda che riguarda la Fincantieri. Anche
su questa vertenza, pur non avendo ruoli o responsabilità dirette, il comune di
Palermo intende mettersi a fianco di una realtà produttiva che costituisce un
patrimonio della città e dei cittadini".
Oggi la protesta continua davanti la sede della Confindustria di Palermo dove
è in programma una riunione tra sindacati confederali e azienda nell'ambito
della trattativa sulla procedura di cassa integrazione proposta dal gruppo di
Trieste per 470 dei 500 operai in organico per un totale di 52 settimane,
adesso all’interno del piano nazionale che prevede il ridimensionamento o la
chiusura di diversi stabilimenti.
Naturalmente quelli più penalizzati in assoluto sono gli operai dell’indotto
che difficilmente possono “godere” dei benefici degli ammortizzatori sociali e
quindi andrebbero incontro al licenziamento.
Continuare la mobilitazione
Fermare i licenziamenti
Fermare lo smantellamento dello stabilimento
Slai Cobas per il sindacato di classe
Via g. del duca 4 - Palermo
telfax 091/203686 - 338.7708110
_______________________________________________
Redditolavoro mailing list
Redditolavoro@lists.ecn.org
http://lists.ecn.org/mailman/listinfo/redditolavoro
nevralgici ha dato inizio alla giornata di lotta degli operai della Fincantieri
di Palermo. Qualche tensione della polizia per la deviazione del corteo “non
prevista”.
Hanno percorso le vie principali e sono arrivati davanti alla sede della
regione siciliana dove hanno trascorso buona parte della giornata in attesa di
una risposta dalle istituzioni.
I dirigenti della Regione hanno risposto che si stanno impegnando, ma che
aspettano lo sblocco dei FONDI FAS (questa dei Fondi Fas sta diventando una
vera barzelletta!) perché da questo dipende la possibilità di investire nella
ristrutturazione dei bacini di carenaggio.
E il sindaco Cammarata, tirato in ballo da qualcuno che se ne ricorda l’
esistenza, nel suo solito stile le spara grosse: "Non c'é alcun disimpegno
dell'amministrazione comunale nella vicenda che riguarda la Fincantieri. Anche
su questa vertenza, pur non avendo ruoli o responsabilità dirette, il comune di
Palermo intende mettersi a fianco di una realtà produttiva che costituisce un
patrimonio della città e dei cittadini".
Oggi la protesta continua davanti la sede della Confindustria di Palermo dove
è in programma una riunione tra sindacati confederali e azienda nell'ambito
della trattativa sulla procedura di cassa integrazione proposta dal gruppo di
Trieste per 470 dei 500 operai in organico per un totale di 52 settimane,
adesso all’interno del piano nazionale che prevede il ridimensionamento o la
chiusura di diversi stabilimenti.
Naturalmente quelli più penalizzati in assoluto sono gli operai dell’indotto
che difficilmente possono “godere” dei benefici degli ammortizzatori sociali e
quindi andrebbero incontro al licenziamento.
Continuare la mobilitazione
Fermare i licenziamenti
Fermare lo smantellamento dello stabilimento
Slai Cobas per il sindacato di classe
Via g. del duca 4 - Palermo
telfax 091/203686 - 338.7708110
_______________________________________________
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pc quotidiano 22-23 settembre- operai fiat termini imerese protestano a Montecitorio
dallo slai cobas per il sindacato di classe - palermo
Un giorno di protesta ieri davanti Montecitorio di una delegazione di operai
dello stabilimento Fiat di Termini Imerese; un giorno di inutile attesa nella
speranza di qualche risultato utile, ma ancora niente, il governo ha risposto
come al solito prendendo tempo: le aziende prescelte dovranno presentare
- entro il 30 ottobre i piani definitivi di impresa,
- entro il 30 novembre Invitalia dovrebbe presentare al governo la “short
list”, la lista definitiva delle imprese che hanno presentato un’offerta per
rilevare lo stabilimento ed
- entro dicembre il governo dovrebbe dare la risposta.
"I primi di dicembre presenteremo alle parti sociali la proposta completa con
i numeri, gli investimenti e l'impegno pubblico" per la conversione dello
stabilimento Fiat, ha detto Saglia, sottosegretario allo sviluppo. "Il governo
- ha aggiunto - è qui a ribadire che non lascerà solo nessuno. Su Termini
Imerese c'é un impegno straordinario, perché purtroppo non sempre si riesce a
mobilitare tante risorse. E il fatto che oggi Invitalia abbia confermato che ci
sono investimenti complessivi per 674 milioni e che, come il governo
garantisce, queste proposte possano occupare tutti i lavoratori di Termini non
è un fatto qualsiasi. E' chiaro - ha concluso - che il percorso è ancora lungo
ma già dal prossimo incontro potremo fornire i piani occupazionali affinché i
lavoratori possano riconoscere lo sforzo fatto".
Di chiacchiere come si vede ne sono state fatte tante e il pessimismo regna
sovrano dato che il governo è disposto a valutare l’accettazione di tutte le
offerte in campo.
Al momento tre delle cinque proposte entrate nella short list riguardano il
settore dell'automotive. Si tratta del gruppo che fa capo all'industriale
Giammario Rossignolo (De Tomaso), la Cape del finanziere Simone Cimino, e la
Map Engineering che prevede di realizzare un impianto di stampi. Le altre due
sono la Ciccolella, che fa serre florovivaistiche, e la Einstein (Med Studios)
che già produce a Termini e che vorrebbe realizzare altri studios
cinematografici. Non è escluso che la scelta possa ricadere anche su un
raggruppamento di alcune di queste aziende che rileverebbero ciascuna una parte
dell'impianto.
"E' questa un'ipotesi che dal nostro punto di vista si sta rilevando con
sempre maggiore probabilità". Così l'amministratore delegato di Invitalia,
Domenico Arcuri, risponde alla domanda se ad aggiudicarsi l'offerta per la
riconversione del sito Fiat di Termini Imerese siano non una ma più imprese…
Arcuri ha ricordato che attualmente i piani rientrati nella short list sono
cinque ma che a questi "potrebbero aggiungersi altre proposte, frutto del bando
internazionale".
A oggi queste proposte "sono ancora allo stadio di manifestazione di interesse
da trasformare in piani preliminari di impresa", ha spiegato, precisando che
anche queste offerte si stanno sottoponendo alle procedure di vaglio e per le
quali dovrà essere presentato entro il 30 ottobre il business plan. Arcuri non
ha voluto precisare che tipo di offerte siano quelle nuove pervenute ma, alla
domanda se si tratta di piani provenienti da Paesi emergenti, ha risposto che
"in un'accezione molto ampia del termine direi di sì". Dal punto di vista
occupazione, infine, "ad oggi i progetti rassicurano su una copertura
complessiva del bacino. Ma - ha aggiunto - se fossero interessate più imprese
si potrebbe immaginare un ulteriore valorizzazione occupazionale del sito".
A questa confusione hanno risposto naturalmente gli operai protestando sotto
il palazzo, mentre sindacalisti e politici che hanno seguito la giornata si
sono espressi in maniera negativa, compreso l’assessore della Regione Sicilia
Venturi: "Non posso che sottolineare la preoccupazione del governo della
Regione sulla gestione di questa vicenda che non può essere considerata come
locale ma - ha aggiunto - riguarda l'intero Paese. Ciò che emerge è la mancanza
di una vera politica industriale da parte del governo centrale. L'assessore ha
ricordato che la Regione "intende privilegiare quei progetti che mantengano la
vocazione alla produzione dell'automobile e che allo stesso tempo garantiscano
la salvaguardia dei livelli occupazionali e della professionalità dei
dipendenti dello stabilimento Fiat di Termini Imerese, altamente
professionalizzato e qualitativamente eccellente".
Una cosa deve essere chiara a tutti dopo quest’altra giornata: che senza uno
scatto, un salto di qualità nella lotta gli operai resteranno in balia delle
scelte del governo e dei padroni.
Un giorno di protesta ieri davanti Montecitorio di una delegazione di operai
dello stabilimento Fiat di Termini Imerese; un giorno di inutile attesa nella
speranza di qualche risultato utile, ma ancora niente, il governo ha risposto
come al solito prendendo tempo: le aziende prescelte dovranno presentare
- entro il 30 ottobre i piani definitivi di impresa,
- entro il 30 novembre Invitalia dovrebbe presentare al governo la “short
list”, la lista definitiva delle imprese che hanno presentato un’offerta per
rilevare lo stabilimento ed
- entro dicembre il governo dovrebbe dare la risposta.
"I primi di dicembre presenteremo alle parti sociali la proposta completa con
i numeri, gli investimenti e l'impegno pubblico" per la conversione dello
stabilimento Fiat, ha detto Saglia, sottosegretario allo sviluppo. "Il governo
- ha aggiunto - è qui a ribadire che non lascerà solo nessuno. Su Termini
Imerese c'é un impegno straordinario, perché purtroppo non sempre si riesce a
mobilitare tante risorse. E il fatto che oggi Invitalia abbia confermato che ci
sono investimenti complessivi per 674 milioni e che, come il governo
garantisce, queste proposte possano occupare tutti i lavoratori di Termini non
è un fatto qualsiasi. E' chiaro - ha concluso - che il percorso è ancora lungo
ma già dal prossimo incontro potremo fornire i piani occupazionali affinché i
lavoratori possano riconoscere lo sforzo fatto".
Di chiacchiere come si vede ne sono state fatte tante e il pessimismo regna
sovrano dato che il governo è disposto a valutare l’accettazione di tutte le
offerte in campo.
Al momento tre delle cinque proposte entrate nella short list riguardano il
settore dell'automotive. Si tratta del gruppo che fa capo all'industriale
Giammario Rossignolo (De Tomaso), la Cape del finanziere Simone Cimino, e la
Map Engineering che prevede di realizzare un impianto di stampi. Le altre due
sono la Ciccolella, che fa serre florovivaistiche, e la Einstein (Med Studios)
che già produce a Termini e che vorrebbe realizzare altri studios
cinematografici. Non è escluso che la scelta possa ricadere anche su un
raggruppamento di alcune di queste aziende che rileverebbero ciascuna una parte
dell'impianto.
"E' questa un'ipotesi che dal nostro punto di vista si sta rilevando con
sempre maggiore probabilità". Così l'amministratore delegato di Invitalia,
Domenico Arcuri, risponde alla domanda se ad aggiudicarsi l'offerta per la
riconversione del sito Fiat di Termini Imerese siano non una ma più imprese…
Arcuri ha ricordato che attualmente i piani rientrati nella short list sono
cinque ma che a questi "potrebbero aggiungersi altre proposte, frutto del bando
internazionale".
A oggi queste proposte "sono ancora allo stadio di manifestazione di interesse
da trasformare in piani preliminari di impresa", ha spiegato, precisando che
anche queste offerte si stanno sottoponendo alle procedure di vaglio e per le
quali dovrà essere presentato entro il 30 ottobre il business plan. Arcuri non
ha voluto precisare che tipo di offerte siano quelle nuove pervenute ma, alla
domanda se si tratta di piani provenienti da Paesi emergenti, ha risposto che
"in un'accezione molto ampia del termine direi di sì". Dal punto di vista
occupazione, infine, "ad oggi i progetti rassicurano su una copertura
complessiva del bacino. Ma - ha aggiunto - se fossero interessate più imprese
si potrebbe immaginare un ulteriore valorizzazione occupazionale del sito".
A questa confusione hanno risposto naturalmente gli operai protestando sotto
il palazzo, mentre sindacalisti e politici che hanno seguito la giornata si
sono espressi in maniera negativa, compreso l’assessore della Regione Sicilia
Venturi: "Non posso che sottolineare la preoccupazione del governo della
Regione sulla gestione di questa vicenda che non può essere considerata come
locale ma - ha aggiunto - riguarda l'intero Paese. Ciò che emerge è la mancanza
di una vera politica industriale da parte del governo centrale. L'assessore ha
ricordato che la Regione "intende privilegiare quei progetti che mantengano la
vocazione alla produzione dell'automobile e che allo stesso tempo garantiscano
la salvaguardia dei livelli occupazionali e della professionalità dei
dipendenti dello stabilimento Fiat di Termini Imerese, altamente
professionalizzato e qualitativamente eccellente".
Una cosa deve essere chiara a tutti dopo quest’altra giornata: che senza uno
scatto, un salto di qualità nella lotta gli operai resteranno in balia delle
scelte del governo e dei padroni.
pc quotidiano 22-23 settembre - Unicredit crisi,contesa... profumo di servi e guardoni a 'sinistra'
La crisi di Unicredit con le dimissioni di Profumo è una crisi piena di sfaccettature, dentro la contesa e la crisi mondiale che attraversa l'economia finanziaria, i suoi effetti nel sistema finanziario italiano, dove pesano l'intreccio industria/finanza, e infine, come riflesso di tutto questo, la contesa politica.
Leggendo la stampa grande e piccola è difficile farsene un'idea precisa, dato che la stampa tutta in questo caso è legata a ciascuna delle parti in causa.
Un esempio fra tutti è l'aperto schieramento con Profumo che ha il giornale che dovrebbe essere più indipendente e radicale nel panorama della stampa quotidiana, Il Manifesto.
In un corsivo che conta, Valentino Parlato scrive: “In quest'Italia berlusconizzata essere di sinistra proprio non va bene, tanto più se uno è banchiere come Alessandro Profumo. Profumo era ed è di sinistra e forse proprio per questo è stato ed è un banchiere di alta qualità, capace di mantenere in ordine e far crescere Unicredit. Ragione di più per organizzare una congiura, senza neppure un'accusa un po' documentata per indurlo ad andarsene”.
Si tratta della posizione più esplicita a sostegno di Profumo, posizione a cui tendono il PD e più o meno gli altri giornali del centrosinistra. E' curioso, ma non troppo, che debba essere il giornale più a “sinistra” quello più radicale nel sostegno alla grande finanza del capitale.
Profumo, in effetti, attraverso il processo di internalizzazione accelerata, con ingresso di capitali libici e fondi sovrani sauditi, non certo per ragioni di 'libicità' ma perchè i soldi non hanno colore e si prendono dove stanno, ha cercato di uscire dalla crisi rilanciando, mentre intanto avviava un radicale processo di ristrutturazione interna comprensivo di licenziamenti di massa.
Su questa via d'uscita non ha trovato il consenso di quasi la totalità degli azionisti. E anche qui, non certo,nè essenzialmente per 'antilibicità', ma per i soldi che mancano – dividenti in calo – e soldi da mettere per mantenere l'equilibrio dei pacchetti azionari dopo l'ingresso dei nuovo soci arabi.
I tedeschi hanno preso oggettivamente la testa della nuova cordata vincente, presentandosi come punto di congiunzione tra un processo di internazionalizzazione da mantenere e le fondazioni bancarie, nord-est, nord-ovest, che vogliono mantenere e se è possibile estendere il controllo della banca. Senza internazionalizzazione, con buona pace delle Fondazioni, Unicredit non regge nell'accanita contesa mondiale del sistema bancario e finanziario.
In questo processo oggettivo che si gioca la contesa del 'dopo Profumo'.
Il sostegno della “sinistra” a Profumo, per quanto buttato in politica, è il contrario che normalmente l'apparenza mostra e che i giornali spiegano; per dirla in forma brutale, non è la “sinistra” che guida Profumo ma Profumo che guida la “sinistra”. Cioè si assiste allo stesso gioco che abbiamo visto con Montezemolo, Marchionne, manager che diventano padroni e poteri forti, che giocano in proprio, allineando partiti e entrando in politica, ora attraverso loro bracci ora direttamente godendo di soldi e “prestigio” molto più grandi dei Bersani, Veltroni e ... Valentino Parlato.
La grande industria attraverso Mediobanca punta anch'essa ad avere una voce in capitolo rilevante, come una delle parti in causa.
Il soggetto forte sono però i tedeschi. Ma questo dipende dai rapporti di forza di economia e di sistema che vede la Germania, diciamo così, uscire bene dalla crisi e crescere il suo peso nella economia relativa dell'Europa, non solo in Unicredit, ma in tutto.
Infine le Fondazioni. Anche qui, come in uno specchio rovesciato, si dice che la cacciata di Profumo è stata voluta da esse su ispirazione politica della Lega. Ma non è la Lega che controlla le Fondazioni quanto le Fondazioni che si esprimono politicamente attraverso la Lega, quasi come dato oggettivo, dato che: chi sono le Fondazioni? Se non lo stretto intreccio media-piccola industria/finanza che ha quasi originato la Lega, che ne costituisce la base proprietaria fondativa, -che non va confusa tout court con la base sociale che è cosa più vasta e articolata -e che non è materia di questo articolo-. Questo intreccio, comunque, è stato a base della fortuna relativa del sistema nord-est, nord-ovest, insieme all'evasione fiscale, coperta con la favola di “Roma ladrona”.
Ma le Fondazioni da sole non vanno da nessuna parte, e il risucchio nell'area tedesca, per quanto politicamente voluto, resta economicamente scomodo.
Capire gli attori in campo è importante, non tanto perchè si abbia ambizione di analisti economici, mestiere nel capitale di servi del capitale, quanto per dare strumenti utili alla lettura da economia politica della questione, necessaria a garantire e a sviluppare l'autonomia ideologica e politica del grade assente: la classe operaia e il proletariato.
Questi “utilizzatori finali” dello sfruttamento e del plusvalore agiscono impuniti e indisturbati nei loro giochi. E di questi giochi i più sciagurati guardoni compiaciuti sono le forze dell'ex “sinistra” e i loro satelliti... Parlato docet.
Berlusconi ha vinto, la Lega ha vinto, la sinistra ha perso? Le mani della Lega sul sistema bancario? Effetti e non cause. Chi sostiene innanzitutto questa tesi punta ad allineare il proletariato nella contesa politica ai Profumo, al grande capitale industriale, Marchionne in testa. E questo per i proletari è veleno, proprio nella lotta politica, perchè sul piano degli effetti economici, salvaguardia della grande finanza, profitti industriali e discarica della crisi sulla pelle dei lavoratori, non crediamo che ci sia chi possa avere dubbi
Leggendo la stampa grande e piccola è difficile farsene un'idea precisa, dato che la stampa tutta in questo caso è legata a ciascuna delle parti in causa.
Un esempio fra tutti è l'aperto schieramento con Profumo che ha il giornale che dovrebbe essere più indipendente e radicale nel panorama della stampa quotidiana, Il Manifesto.
In un corsivo che conta, Valentino Parlato scrive: “In quest'Italia berlusconizzata essere di sinistra proprio non va bene, tanto più se uno è banchiere come Alessandro Profumo. Profumo era ed è di sinistra e forse proprio per questo è stato ed è un banchiere di alta qualità, capace di mantenere in ordine e far crescere Unicredit. Ragione di più per organizzare una congiura, senza neppure un'accusa un po' documentata per indurlo ad andarsene”.
Si tratta della posizione più esplicita a sostegno di Profumo, posizione a cui tendono il PD e più o meno gli altri giornali del centrosinistra. E' curioso, ma non troppo, che debba essere il giornale più a “sinistra” quello più radicale nel sostegno alla grande finanza del capitale.
Profumo, in effetti, attraverso il processo di internalizzazione accelerata, con ingresso di capitali libici e fondi sovrani sauditi, non certo per ragioni di 'libicità' ma perchè i soldi non hanno colore e si prendono dove stanno, ha cercato di uscire dalla crisi rilanciando, mentre intanto avviava un radicale processo di ristrutturazione interna comprensivo di licenziamenti di massa.
Su questa via d'uscita non ha trovato il consenso di quasi la totalità degli azionisti. E anche qui, non certo,nè essenzialmente per 'antilibicità', ma per i soldi che mancano – dividenti in calo – e soldi da mettere per mantenere l'equilibrio dei pacchetti azionari dopo l'ingresso dei nuovo soci arabi.
I tedeschi hanno preso oggettivamente la testa della nuova cordata vincente, presentandosi come punto di congiunzione tra un processo di internazionalizzazione da mantenere e le fondazioni bancarie, nord-est, nord-ovest, che vogliono mantenere e se è possibile estendere il controllo della banca. Senza internazionalizzazione, con buona pace delle Fondazioni, Unicredit non regge nell'accanita contesa mondiale del sistema bancario e finanziario.
In questo processo oggettivo che si gioca la contesa del 'dopo Profumo'.
Il sostegno della “sinistra” a Profumo, per quanto buttato in politica, è il contrario che normalmente l'apparenza mostra e che i giornali spiegano; per dirla in forma brutale, non è la “sinistra” che guida Profumo ma Profumo che guida la “sinistra”. Cioè si assiste allo stesso gioco che abbiamo visto con Montezemolo, Marchionne, manager che diventano padroni e poteri forti, che giocano in proprio, allineando partiti e entrando in politica, ora attraverso loro bracci ora direttamente godendo di soldi e “prestigio” molto più grandi dei Bersani, Veltroni e ... Valentino Parlato.
La grande industria attraverso Mediobanca punta anch'essa ad avere una voce in capitolo rilevante, come una delle parti in causa.
Il soggetto forte sono però i tedeschi. Ma questo dipende dai rapporti di forza di economia e di sistema che vede la Germania, diciamo così, uscire bene dalla crisi e crescere il suo peso nella economia relativa dell'Europa, non solo in Unicredit, ma in tutto.
Infine le Fondazioni. Anche qui, come in uno specchio rovesciato, si dice che la cacciata di Profumo è stata voluta da esse su ispirazione politica della Lega. Ma non è la Lega che controlla le Fondazioni quanto le Fondazioni che si esprimono politicamente attraverso la Lega, quasi come dato oggettivo, dato che: chi sono le Fondazioni? Se non lo stretto intreccio media-piccola industria/finanza che ha quasi originato la Lega, che ne costituisce la base proprietaria fondativa, -che non va confusa tout court con la base sociale che è cosa più vasta e articolata -e che non è materia di questo articolo-. Questo intreccio, comunque, è stato a base della fortuna relativa del sistema nord-est, nord-ovest, insieme all'evasione fiscale, coperta con la favola di “Roma ladrona”.
Ma le Fondazioni da sole non vanno da nessuna parte, e il risucchio nell'area tedesca, per quanto politicamente voluto, resta economicamente scomodo.
Capire gli attori in campo è importante, non tanto perchè si abbia ambizione di analisti economici, mestiere nel capitale di servi del capitale, quanto per dare strumenti utili alla lettura da economia politica della questione, necessaria a garantire e a sviluppare l'autonomia ideologica e politica del grade assente: la classe operaia e il proletariato.
Questi “utilizzatori finali” dello sfruttamento e del plusvalore agiscono impuniti e indisturbati nei loro giochi. E di questi giochi i più sciagurati guardoni compiaciuti sono le forze dell'ex “sinistra” e i loro satelliti... Parlato docet.
Berlusconi ha vinto, la Lega ha vinto, la sinistra ha perso? Le mani della Lega sul sistema bancario? Effetti e non cause. Chi sostiene innanzitutto questa tesi punta ad allineare il proletariato nella contesa politica ai Profumo, al grande capitale industriale, Marchionne in testa. E questo per i proletari è veleno, proprio nella lotta politica, perchè sul piano degli effetti economici, salvaguardia della grande finanza, profitti industriali e discarica della crisi sulla pelle dei lavoratori, non crediamo che ci sia chi possa avere dubbi
mercoledì 22 settembre 2010
pc quotidiano 22-23 settembre - richiesta di risarcimento ai No tav .. bastardi
La notizia la danno - a pagina 60 della busjarda di mercoledì 22 settembre -
due dei peggiori scribacchini reazionari al servizio dei poteri forti:
l'ignobile Massimo Numa ed il suo degno compare Maurizio Tropeano; la
società Lyon Turin Ferroviaire pretende dal movimento NO TAV - nelle persone
di Alberto Perino, storico leader della rivolta, Loredana Bellone, sindaco
di San Didero, e Giorgio Vair, vicesindaco del medesimo paese - 220 mila
Euro di risarcimento danni per non essere riuscita, il 12 gennaio 2010, ad
effettuare la trivellazione del sondaggio numero 68 a causa dell'opposizione
di centinaia di persone.
Questa follia, che si concretizzerà nell'udienza del 16 novembre, è
giustificata dall'avvocato del committente principale della linea ad alta
velocità con il pretestuoso argomento di voler recuperare le spese sostenute
e mettersi al riparo da eventuali interventi del Consiglio di Stato.
E' evidente che questo episodio è solo l'inizio di quella che sarà una serie
di tentativi estremi di bloccare, con la violenza della legalità borghese,
il movimento contro la distruzione di intere vallate per finanziare - sempre
rigorosamente nel massimo rispetto della legalità borghese - le casse dei
padroni a scapito della salute dei cittadini.
Fino a ieri il metodo utilizzato per intimidire il movimento era quello
della presenza massiccia di 'forze dell'ordine' al seguito delle trivelle;
hanno visto che questo sistema serve a poco, allora ne hanno studiato uno
nuovo: chiedere risarcimenti assurdi 'per non aver potuto lavorare'.
Con lo stesso metro di valutazione, cosa dovremmo dire noi che abbiamo
passato giornate e nottate al gelo - in giro per la provincia di Torino -
sovente perdendo intere giornate di lavoro e spesso buscandoci pure
l'influenza, per inseguire e bloccare questi 'ladri di Pisa' che arrivavano
sui siti di notte, superscortati, per la giusta paura di trovare la gente a
dare loro il 'benvenuto': cosa dovremo mai chiedere come risarcimento?
Ma noi non siamo venali, ci limitiamo alla sacrosanta pretesa che il TAV non
si faccia, né qui né altrove.
SARA' DURA!
Torino, 22 settembre 2010
Stefano Ghio - Proletari Comunisti Torino
due dei peggiori scribacchini reazionari al servizio dei poteri forti:
l'ignobile Massimo Numa ed il suo degno compare Maurizio Tropeano; la
società Lyon Turin Ferroviaire pretende dal movimento NO TAV - nelle persone
di Alberto Perino, storico leader della rivolta, Loredana Bellone, sindaco
di San Didero, e Giorgio Vair, vicesindaco del medesimo paese - 220 mila
Euro di risarcimento danni per non essere riuscita, il 12 gennaio 2010, ad
effettuare la trivellazione del sondaggio numero 68 a causa dell'opposizione
di centinaia di persone.
Questa follia, che si concretizzerà nell'udienza del 16 novembre, è
giustificata dall'avvocato del committente principale della linea ad alta
velocità con il pretestuoso argomento di voler recuperare le spese sostenute
e mettersi al riparo da eventuali interventi del Consiglio di Stato.
E' evidente che questo episodio è solo l'inizio di quella che sarà una serie
di tentativi estremi di bloccare, con la violenza della legalità borghese,
il movimento contro la distruzione di intere vallate per finanziare - sempre
rigorosamente nel massimo rispetto della legalità borghese - le casse dei
padroni a scapito della salute dei cittadini.
Fino a ieri il metodo utilizzato per intimidire il movimento era quello
della presenza massiccia di 'forze dell'ordine' al seguito delle trivelle;
hanno visto che questo sistema serve a poco, allora ne hanno studiato uno
nuovo: chiedere risarcimenti assurdi 'per non aver potuto lavorare'.
Con lo stesso metro di valutazione, cosa dovremmo dire noi che abbiamo
passato giornate e nottate al gelo - in giro per la provincia di Torino -
sovente perdendo intere giornate di lavoro e spesso buscandoci pure
l'influenza, per inseguire e bloccare questi 'ladri di Pisa' che arrivavano
sui siti di notte, superscortati, per la giusta paura di trovare la gente a
dare loro il 'benvenuto': cosa dovremo mai chiedere come risarcimento?
Ma noi non siamo venali, ci limitiamo alla sacrosanta pretesa che il TAV non
si faccia, né qui né altrove.
SARA' DURA!
Torino, 22 settembre 2010
Stefano Ghio - Proletari Comunisti Torino
pc quotidiano 22-23 settembre - una giornata ordinaria di uno stato un sistema putrescente e da abbattere
i vertici della banca vaticana sotto inchiesta per riciclaggio
il governo e la maggioranza parlamentare salvano in parlamento il deputato e sottosegretario del governo referente della camorra
arresti a Pescara di parlamentari e amministratori locali per truffa e malaffare nel
settore dei rifiuti e degli inceniritori
arrestati tutta la squadra di polizia di secondigliano - napoli - per narcotraffico,
la polizia dai comandi alle squadre a napoli sono tutti collusi con il malaffare, la malavita, il fascismo
e tante altre notizie grandi e piccole vanno nella stessa direzione
questo sistema, questo Stato, questo parlamento sono putrescenti e il moderno fascismo serve loro per riprodursi e continuare
solo la lotta rivoluzionaria per il potere proletario può spazzare via tutto questo
proletari comunisti
22 settembre 2010
il governo e la maggioranza parlamentare salvano in parlamento il deputato e sottosegretario del governo referente della camorra
arresti a Pescara di parlamentari e amministratori locali per truffa e malaffare nel
settore dei rifiuti e degli inceniritori
arrestati tutta la squadra di polizia di secondigliano - napoli - per narcotraffico,
la polizia dai comandi alle squadre a napoli sono tutti collusi con il malaffare, la malavita, il fascismo
e tante altre notizie grandi e piccole vanno nella stessa direzione
questo sistema, questo Stato, questo parlamento sono putrescenti e il moderno fascismo serve loro per riprodursi e continuare
solo la lotta rivoluzionaria per il potere proletario può spazzare via tutto questo
proletari comunisti
22 settembre 2010
martedì 21 settembre 2010
pc quotidiano 21 settembre - L'Aquila ..occupato il Consiglio regionale
L'AQUILA. Un sit-in dei comitati cittadini contro la nomina di Antonio Cicchetti a vicecommissario della Ricostruzione ha provocato l'interruzione prima e la sospensione poi del consiglio regionale, a palazzo dell'Emiciclo. I manifestanti hanno occupato la sede del consiglio per ribadire la propria contrarietà contro una nomina "inutile" e che "non rispetta la scelta democratica". "Non usciremo da questa sede fino a quando non ci sarà la revoca della nomina di Cicchetti".
Il sit-in. La protesta è cominciata con il raduno di circa un centinaio di persone davanti all'ingresso del Palazzo dell'Emiciclo, dove si sta svolgendo una seduta del Consiglio regionale. I manifestanti hanno chiesto di partecipare alla seduta straordinaria dedicata alla ricostruzione, per dire "No" alla nomina dell'imprenditore Antonio Cicchetti, come vicecommissario per la ricostruzione.
L'occupazione del consiglio. Il sit-in era annunciato da giorni. I comitati ritengono la nomina di Cicchetti "inutile" e ritengono che "non rispetti la scelta democratica". Di qui la scelta di protestare con tre striscioni che recitano: "Fuori i potenti dall'Aquila", "Basta commissari e cricche d'affari" e "Chiodi non pazzià", oltre a un volantinaggio che ribadisce le perplessità della nomina. Dal megafono che coordina la manifestazione: "Vogliamo entrare dentro. Aprite aprite, è illegale tenerci fuori". Dopo un po' i rappresentanti dell'Assemblea cittadina hanno occupato l'aula consiliare e la seduta del Consiglio regionale è stata interrotta.
Seduta del consiglio sciolta. A questo punto la protesta si è trasformata in una vera e propria occupazione dell'aula nella quale sono presenti molti consiglieri di minoranza di centrosinistra, molti meno della maggioranza di centrodestra. All'interno dell'aula si stava svolgendo un'assemblea con interventi intervallati da applausi e slogan al grido di "Dimissioni dimissioni" in relazione alla nomina del nuovo vicecommissario per la ricostruzione, Antonio Cicchetti. Il tutto è proseguito sinché la seduta non è stata sciolta.
I tentativi di mediazione. Le forze dell'ordine stanno tentando una mediazione che risulta molto difficile perché gli animi sono surriscaldati. In particolare, ci sono stati battibecchi tra il consigliere regionale del gruppo misto Daniela Stati, coinvolta nell'inchiesta sugli appalti per la ricostruzione e costretta a dimettersi dalla carica di assessore regionale, che è stata oggetto di cori e slogan, e con il consigliere regionale del Pdl Emilio Nasuti, presidente della Commissione Bilancio. Un tentativo di mediazione è stato attuato anche dal capogruppo del Pd, Camillo D'Alessandro, il quale ha sottolineato che l'aver interrotto la seduta è un fatto di inciviltà.
Il sit-in. La protesta è cominciata con il raduno di circa un centinaio di persone davanti all'ingresso del Palazzo dell'Emiciclo, dove si sta svolgendo una seduta del Consiglio regionale. I manifestanti hanno chiesto di partecipare alla seduta straordinaria dedicata alla ricostruzione, per dire "No" alla nomina dell'imprenditore Antonio Cicchetti, come vicecommissario per la ricostruzione.
L'occupazione del consiglio. Il sit-in era annunciato da giorni. I comitati ritengono la nomina di Cicchetti "inutile" e ritengono che "non rispetti la scelta democratica". Di qui la scelta di protestare con tre striscioni che recitano: "Fuori i potenti dall'Aquila", "Basta commissari e cricche d'affari" e "Chiodi non pazzià", oltre a un volantinaggio che ribadisce le perplessità della nomina. Dal megafono che coordina la manifestazione: "Vogliamo entrare dentro. Aprite aprite, è illegale tenerci fuori". Dopo un po' i rappresentanti dell'Assemblea cittadina hanno occupato l'aula consiliare e la seduta del Consiglio regionale è stata interrotta.
Seduta del consiglio sciolta. A questo punto la protesta si è trasformata in una vera e propria occupazione dell'aula nella quale sono presenti molti consiglieri di minoranza di centrosinistra, molti meno della maggioranza di centrodestra. All'interno dell'aula si stava svolgendo un'assemblea con interventi intervallati da applausi e slogan al grido di "Dimissioni dimissioni" in relazione alla nomina del nuovo vicecommissario per la ricostruzione, Antonio Cicchetti. Il tutto è proseguito sinché la seduta non è stata sciolta.
I tentativi di mediazione. Le forze dell'ordine stanno tentando una mediazione che risulta molto difficile perché gli animi sono surriscaldati. In particolare, ci sono stati battibecchi tra il consigliere regionale del gruppo misto Daniela Stati, coinvolta nell'inchiesta sugli appalti per la ricostruzione e costretta a dimettersi dalla carica di assessore regionale, che è stata oggetto di cori e slogan, e con il consigliere regionale del Pdl Emilio Nasuti, presidente della Commissione Bilancio. Un tentativo di mediazione è stato attuato anche dal capogruppo del Pd, Camillo D'Alessandro, il quale ha sottolineato che l'aver interrotto la seduta è un fatto di inciviltà.
pc quotidiano 21 settembre - avanza il Coordinamento disoccupati precari ..
per il lavoro stabile e sicuro per il salario/reddito garantito ai
disoccupati
precari licenziati
Si è tenuta a Taranto il 15 settembre la riunione nazionale del
coordinamento promosso dal movimento di lotta per il lavoro Banchi Nuovi -
Napoli e dai disoccupati organizzati dello slai cobas per il sindacato di
classe di Taranto, in continuazione del percorso avviato in primavera che ha
visto una riuscita assemblea nazionale il 21 maggio a Napoli, una giornata
comune
di lotta a giugno e un ulteriore incontro a luglio.
Presenti le altre realtà di lotta di Taranto,lavoratrici pulizia scuole
statali,interinali ilva ecc., le realtà di lotta delle cooperative sociali
di Palermo, oltre le realtà di lotta napoletane già coordinate, anche
ilsindacato lavoratori in lotta di Napoli, la rete anticapitalista campana,
l'Usi di Lecce, anche
in rappresentanza di altre reltà nazionali, la confederazione cobas di
Taranto..
La discussione ha visto molti interventi, sia di racconto-punto delle
situazioni nelle diverse realtà , sia di impostazione generale sulla natura
del coordinamento e del percorso.
Le conclusioni sono state unitarie e di rilancio del percorso di unità e
lotta di disoccupati-precari- licenziati e di tutte le realtà interessate
alla ricomposizione di classe a livello nazionale.
Sulla base delle discriminanti dell'autonomia dei movimenti da padroni
governo, Istituzioni, partiti politici ad esse legati, del criterio che
'solo la lotta paga", si avanza nell'intensificazione della lotta sulle
vertenze locali, su una campagna di assemblee a livello nazionale per
portare la proposta del coordinamento ovunque vi sono realtà di disoccupati,
precari,lotte operaie e proletarie e costruire insieme la lottagenerale e
una manifestazione nazionale-assedio dei palazzi del Governo e
del Parlamento a Roma per il lavoro stabile e sicuro e/o il salario/reddito
garantito.
Le assemblee che toccheranno il maggior numero di città possibili del nord e
del sud, realizzate insieme alle realtà di lotta sociale e politica sui
diversi territori, si svilupperanno sulla base di un appello aggiornato e
nel periodo che va dalla seconda metà di ottobre alla metà dicembre,
concluse da una assemblea nazionale a Napoli che deciderà sulla
manifestazione nazionale a Roma
Appena saranno definite le date , vi sarà un manifesto nazionale che
pubblicizzerà tutti gli appuntamenti
l'assemblea di taranto del 15 settembre
coordinamento delle realtà in lotta per il lavoro e il salario/reddito
garantito
assemblea21maggio@yahoo.it
disoccupati
precari licenziati
Si è tenuta a Taranto il 15 settembre la riunione nazionale del
coordinamento promosso dal movimento di lotta per il lavoro Banchi Nuovi -
Napoli e dai disoccupati organizzati dello slai cobas per il sindacato di
classe di Taranto, in continuazione del percorso avviato in primavera che ha
visto una riuscita assemblea nazionale il 21 maggio a Napoli, una giornata
comune
di lotta a giugno e un ulteriore incontro a luglio.
Presenti le altre realtà di lotta di Taranto,lavoratrici pulizia scuole
statali,interinali ilva ecc., le realtà di lotta delle cooperative sociali
di Palermo, oltre le realtà di lotta napoletane già coordinate, anche
ilsindacato lavoratori in lotta di Napoli, la rete anticapitalista campana,
l'Usi di Lecce, anche
in rappresentanza di altre reltà nazionali, la confederazione cobas di
Taranto..
La discussione ha visto molti interventi, sia di racconto-punto delle
situazioni nelle diverse realtà , sia di impostazione generale sulla natura
del coordinamento e del percorso.
Le conclusioni sono state unitarie e di rilancio del percorso di unità e
lotta di disoccupati-precari- licenziati e di tutte le realtà interessate
alla ricomposizione di classe a livello nazionale.
Sulla base delle discriminanti dell'autonomia dei movimenti da padroni
governo, Istituzioni, partiti politici ad esse legati, del criterio che
'solo la lotta paga", si avanza nell'intensificazione della lotta sulle
vertenze locali, su una campagna di assemblee a livello nazionale per
portare la proposta del coordinamento ovunque vi sono realtà di disoccupati,
precari,lotte operaie e proletarie e costruire insieme la lottagenerale e
una manifestazione nazionale-assedio dei palazzi del Governo e
del Parlamento a Roma per il lavoro stabile e sicuro e/o il salario/reddito
garantito.
Le assemblee che toccheranno il maggior numero di città possibili del nord e
del sud, realizzate insieme alle realtà di lotta sociale e politica sui
diversi territori, si svilupperanno sulla base di un appello aggiornato e
nel periodo che va dalla seconda metà di ottobre alla metà dicembre,
concluse da una assemblea nazionale a Napoli che deciderà sulla
manifestazione nazionale a Roma
Appena saranno definite le date , vi sarà un manifesto nazionale che
pubblicizzerà tutti gli appuntamenti
l'assemblea di taranto del 15 settembre
coordinamento delle realtà in lotta per il lavoro e il salario/reddito
garantito
assemblea21maggio@yahoo.it
pc quotidiano 21 settembre - termini imerese..ancora cassaintegrazione.senza autorganizzazione la chiusura inevitabile
dallo slai cobasper il sindacato di classe Palermo
Operai Fiat di Termini Imerse: ancora settimane di cassa integrazione
Nell’attesa dell’incontro fissato per domani 22 settembre al ministero dello
Sviluppo a Roma tra il rappresentante del governo, l’advisor Invitalia, quello
della Regione siciliana e i sindacati confederali per valutare le offerte messe
in campo dal alcuni padroni che dovranno rilevare lo stabilimento dal 31
dicembre 2011, giorno di chiusura deciso dalla Fiat di Marchionne, gli operai
dello stabilimento di Termini Imerese dovranno subire ancora un periodo di
cassa integrazione dal 20 al 29 ottobre con rientro in fabbrica il 2 novembre,
oltre quello cominciato ieri e che durerà fino al 3 ottobre.
I sindacalisti Fiom, Fim e Uilm sono “distratti” dall’attesa dell’incontro, al
cui risultato tengono sospesi gli operai, ripetono come campane stonate che se
non ci saranno risposte passeranno alle maniere forti, hanno rinunciato di
fatto a fare pressioni sulla Fiat affinché rinunci a chiudere la fabbrica, e
non si oppongono per niente al fatto che gli operai continuano a subire tagli
pesanti al salario.
Nella sostanza non si oppongono ad alcuna iniziativa dell’azienda nei
confronti degli operai, che devono pensare seriamente ad autorganizzarsi se
vogliono dare una risposta all’arroganza infinita dei padroni, in questo caso
al fascismo padronale di Marchionne.
Operai Fiat di Termini Imerse: ancora settimane di cassa integrazione
Nell’attesa dell’incontro fissato per domani 22 settembre al ministero dello
Sviluppo a Roma tra il rappresentante del governo, l’advisor Invitalia, quello
della Regione siciliana e i sindacati confederali per valutare le offerte messe
in campo dal alcuni padroni che dovranno rilevare lo stabilimento dal 31
dicembre 2011, giorno di chiusura deciso dalla Fiat di Marchionne, gli operai
dello stabilimento di Termini Imerese dovranno subire ancora un periodo di
cassa integrazione dal 20 al 29 ottobre con rientro in fabbrica il 2 novembre,
oltre quello cominciato ieri e che durerà fino al 3 ottobre.
I sindacalisti Fiom, Fim e Uilm sono “distratti” dall’attesa dell’incontro, al
cui risultato tengono sospesi gli operai, ripetono come campane stonate che se
non ci saranno risposte passeranno alle maniere forti, hanno rinunciato di
fatto a fare pressioni sulla Fiat affinché rinunci a chiudere la fabbrica, e
non si oppongono per niente al fatto che gli operai continuano a subire tagli
pesanti al salario.
Nella sostanza non si oppongono ad alcuna iniziativa dell’azienda nei
confronti degli operai, che devono pensare seriamente ad autorganizzarsi se
vogliono dare una risposta all’arroganza infinita dei padroni, in questo caso
al fascismo padronale di Marchionne.
pc quotidiano 21 settembre - Operai Fincantieri Palermo: polizia e carabinieri contro la protesta degli
Dopo l’occupazione di ieri da parte degli operai dell’indotto della
piattaforma petrolifera Scarabeo 8 della Saipem, gli operai questa mattina sono
stati costretti a lasciare la piattaforma dietro la minaccia di cariche della
polizia e dei carabinieri chiamati dalla Saipem cui è stato permesso di entrare
nel cantiere.
Subito dopo gli operai si sono spostati davanti all’ingresso dell’azienda e
hanno partecipato in massa ad una assemblea indetta dai confederali. Un gruppo
di operai ha contestato il segretario provinciale della Fim-Cisl, Giovanni
Scavuzzo, non appena ha preso la parola.
La rabbia tra l’altro è scoppiata perché la piattaforma deve essere ancora
completata con almeno un altro anno di lavoro e sembra che l’azienda voglia
affidare l’appalto ad un altro stabilimento portando via la piattaforma già il
10 ottobre prossimo.
Al termine dell'assemblea infuocata è stato proclamato per domani uno sciopero
di otto ore e un corteo che dallo stabilimento arriverà alla presidenza della
Regione, che non ha più dato risposte concrete dopo l’impegno a versare le
somme necessarie alla ristrutturazione dei bacini di carenaggio.
Mentre l’azienda continua a confermare la richiesta di cassa integrazione per
470 dei 500 operai Fincantieri, perché dice di non avere commesse, gli operai
delle aziende dell'indotto, in particolare temono di perdere il posto di
lavoro.
Davanti a questa tensione Fim, Fiom e Uilm provano, dopo anni di
“disinteresse” e oggettiva divisione tra gli operai diretti e quelli dell’
indotto, a creare un momento di lotta unitario, ma l’unità degli operai si
realizza nell’autorganizzazione della lotta!
Slai cobas per il sindacato di classe
Via g. del duca 4 – Palermo
Telefax 091/203686 – 338.7708110
piattaforma petrolifera Scarabeo 8 della Saipem, gli operai questa mattina sono
stati costretti a lasciare la piattaforma dietro la minaccia di cariche della
polizia e dei carabinieri chiamati dalla Saipem cui è stato permesso di entrare
nel cantiere.
Subito dopo gli operai si sono spostati davanti all’ingresso dell’azienda e
hanno partecipato in massa ad una assemblea indetta dai confederali. Un gruppo
di operai ha contestato il segretario provinciale della Fim-Cisl, Giovanni
Scavuzzo, non appena ha preso la parola.
La rabbia tra l’altro è scoppiata perché la piattaforma deve essere ancora
completata con almeno un altro anno di lavoro e sembra che l’azienda voglia
affidare l’appalto ad un altro stabilimento portando via la piattaforma già il
10 ottobre prossimo.
Al termine dell'assemblea infuocata è stato proclamato per domani uno sciopero
di otto ore e un corteo che dallo stabilimento arriverà alla presidenza della
Regione, che non ha più dato risposte concrete dopo l’impegno a versare le
somme necessarie alla ristrutturazione dei bacini di carenaggio.
Mentre l’azienda continua a confermare la richiesta di cassa integrazione per
470 dei 500 operai Fincantieri, perché dice di non avere commesse, gli operai
delle aziende dell'indotto, in particolare temono di perdere il posto di
lavoro.
Davanti a questa tensione Fim, Fiom e Uilm provano, dopo anni di
“disinteresse” e oggettiva divisione tra gli operai diretti e quelli dell’
indotto, a creare un momento di lotta unitario, ma l’unità degli operai si
realizza nell’autorganizzazione della lotta!
Slai cobas per il sindacato di classe
Via g. del duca 4 – Palermo
Telefax 091/203686 – 338.7708110
pc quotidiano 21 settembre - Solidarietà ai compagni di Bologna colpiti dalla repressione
Dopo un anno dalla contestazione al ministro della "sicurezza" e dello stato di polizia di questo governo, il razzista Maroni, arrivano a Bologna i provvedimenti repressivi.
Occorre rispondere con le lotte, la solidarietà militante e la controinformazione.
Occorre l'unità organizzata delle forze comuniste rivoluzionarie anarchiche, antifasciste, antirazziste colpite dalla repressione.
C'è bisogno di una rete per un comitato di soccorso rosso proletario e di massa
Dal comunicato dei compagni:
“Dissentire non è reato, non ci fermerete mai!”
I comunicati di Bartleby e Cua sulle misure cautelari che questa mattina hanno colpito sette manifestanti che un anno fa contestarono la presenza del ministro Maroni a Bologna.
21 settembre 2010 - 14:30
Dissentire non è reato!
Questa mattina la Digos di Bologna ha notificato a diversi attivisti provvedimenti contro le libertà personali. Si tratta di 6 obblighi di firma giornalieri e un arresto domiciliare.
Tutto questo avviene ad un anno di distanza dal 28 settembre scorso quando in tanti e tante scendemmo in strada per gridare tutto il nostro sdegno contro la presenza in città del ministro leghista Roberto Maroni. Ministro invitato dall’Università di Bologna a partecipare ad un seminario sulla tessera del tifoso: il tutto con adeguato riconoscimento di crediti da parte dell’Alma Mater. Sinceramente cosa ci sia stato di istruttivo in quel seminario ancora ci sfugge!
Maroni per noi è semplicemente il ministro del “pacchetto sicurezza”, dei respingimenti in mare e dei campi di concentramento per migranti nel deserto libico. Lo stesso ministro facente parte di un partito, come la Lega nord, che da anni ormai fa dell’odio e della paura per il diverso la propria bandiera politica. Maroni era ed è un ospite assolutamente sgradito a Bologna.
Proprio per questo centinaia di studenti, attivisti dei centri sociali e delle associazioni antirazziste, singoli cittadini decisero di contestarne la presenza.
Come studenti di questa università più volte chiedemmo di poter entrare nella sala nella quale si svolgeva il seminario per prendere parola contro le politiche razziste e xenofobe portate avanti dal ministro e dal suo partito. Cercammo di entrare con dei canotti, proprio a simboleggiare la nostra vicinanza a quelle decine di migranti che ogni giorno rischiano la vita in mare, respingimenti e deportazioni solo per poter sperare in un futuro migliore. Ricevemmo in cambio cariche brutali e spropositate da parte della polizia, evidentemente particolarmente zelante nel difendere chi ogni mese versa loro lo stipendio!
Gli studenti universitari e Bologna tutta dimostrarono che il dissenso e l’indignazione si possono e si devono mettere in campo di fronte a una presenza di questo tipo. In tanti e tante provammo ad entrare in quella sala!
Oggi la notizia di queste misure restrittive giunge come un vero e proprio atto punitivo e persecutorio. Evidentemente alla Questura e alla Procura di questa città il dissenso crea fastidio! Noi non abbiamo paura e continueremo a scendere in piazza ogni volta che ce ne sarà bisogno. Perchè, piaccia o non piaccia, anche questa è democrazia! Anche “respingere” chi, come Maroni, deporta e mette a repentaglio la vita di centinaia di migranti.
Agli studenti e agli attivisti colpiti da questi spropositati provvedimenti penali va tutta la nostra solidarietà e vicinanza.
Non ci fermerete…
Invitiamo tutti a partecipare alla conferenza stampa che si terrà oggi alle ore 16:00 in via zamboni 38.
Bartleby_spazio autogestito
* * * * * * * * * *
Non ci fermerete mai!
Questa mattina un’operazione pesantissima della Digos di Bologna ha portato all’emissione di misure cautelari (fra cui un arresto domiciliare) nei confronti di sette attivisti bolognesi.
L’accusa è quella di aver partecipato alla contestazione della presenza del ministro Maroni all’interno dell’università di Bologna, il 28 Settembre 2009.
Quel giorno furono centinaia e centinaia gli studenti dell’Onda e gli attivisti antirazzisti che ritennero inaccettabile la presenza all’interno delle aule dell’ateneo del ministro leghista, simbolo delle politiche razziste e xenofobe, una delle facce peggiori di questo governo.
I gommoni che aprivano il corteo, per ricordare le pesanti responsabilità di Maroni sui respingimenti e sull’omicidio costante e la reclusione dei migranti, volevano poter entrare nell’aula in cui si teneva la conferenza in questione, ma furono respinti dalle cariche della celere.
Continuiamo a ribadire che è legittimo e giusto esprimere forme di contestazione e dissenso verso chi porta avanti progetti di società razzista ed intollerante.
Continuiamo a ritenere l’università un luogo in cui debba esprimersi liberamente la cultura ed i saperi (e dunque anche del dissenso), e dove la presenza di soggetti quali il ministro leghista risulta semplicemente incompatibile.
Ribadiamo che è stata dunque legittima, giusta e necessaria l’espressione critica di opposizione e dissenso di quella giornata, e che essa si ripeterà ancora qualora i vertici universitari dovessero riproporre un simile provocatorio invito.
Non possiamo non sottolineare che la scelta dei tempi (un anno dopo!) rende evidente la volontà tutta politica nell’emissione di questi inaccettabili ed insensati provvedimenti cautelari.
Non possiamo che esprimere il massimo della nostra solidarietà e del nostro sostegno verso i 7 inquisiti, chiedendo l’immediato ritiro dei provvedimenti.
Liberi tutti!
Non ci fermerete mai!
C.U.A. Collettivo Universitario Autonomo
pc quotidiano 21 settembre - speciale Fiat n°10 -1- la fase attuale alla Fiat
Qual'è la fase alla Fiat?. La Fiat realizza un suo nuovo assetto al vertice, all'insegna di dichiarazioni quali.. “Fiat in una nuova era. Oggi è un grandissimo giorno. L'auto ora è libera. Stiamo ricostruendo la capacità del gruppo di generare profitti. Oggi abbiamo due Fiat forti con ambizioni, obiettivi e persone pronte a realizzarli. Ciascuna delle due nuove branche della Fiat: Fiat Industria Spa e Fiat Spa, hanno una dimensione necessaria alla competizione mondiale”....
Il quadro generale su cui questa operazione si inserisce merita di essere analizzato con più precisione di quanto siamo in grado di farlo in questa occasione. Le linee di tendenza di fondo sono quelle che il Sole 24ore definisce: “l'inarrestabile corso dell'auto mondiale verso Asia e Sud America”. Questo fa sì che in Europa si consolidi un processo di calo che potrebbe dare vita a un parziale processo di deindustrializzazione.... “Kalmbach dice che in Europa si concentreranno sempre più le funzioni sofisticate, il disegno dell'auto, l'invenzione tecnologica, la valorizzazione del marchio e perfino il come assemblare i pezzi comprati in tutto il mondo – ovvero, per dirla in breve, da produttori ad assemblatori”...Sole 24ore.
Per ciò che ci riguarda trattare qui, siamo quindi di fronte a uno scenario in cui il piano di Fabbrica Italia appare per quello che è: innanzitutto un processo selvaggio di riduzione del costo del lavoro che mette in concorrenza gli operai italiani con gli operai degli altri stabilimenti e ancor più gli stabilimenti tra di loro.
Le famose 270mila auto rischiano di essere in questo quadro il volume complessivo della produzione Fiat, altro che il futuro di Pomigliano; e se Pomigliano reggesse effettivamente al piano Marchionne, sarebbero gli altri stabilimenti a lasciarci le penne.
Quindi, in sostanza, il presente è fatto di massimo sfruttamento, fascismo padronale, chiusure e ridimensionamenti, in una prospettiva generale in cui il futuro è fatto di ancor più ampio ridimensionamento.In questo quadro si può ben capire che accettare il piano non è affatto una salvaguardia di un futuro di lavoro. I sindacati che hanno sposato il piano Marchionne registrano in questo cambio di campo l'integrazione non solo nella gestione di fabbrica ma nel comando di fabbrica.
A Pomigliano la battaglia può riprendere solo dal boicottaggio attivo dell'attuazione del piano Marchionne, in un quadro che permette oggi a Marchionne di dire: “il problema di Pomigliano, come abbiamo annunciato, è stato risolto”. Ora praticamente si tratta di estendere il modello Pomigliano a tutti gli altri stabilimenti, strappare il massimo dall'intesa sulle deroghe al contratto nazionale su tutti in terreni: turni, ore e giorni di attività, orario individuale, straordinario, pause, mensa, malattie (primi tre giorni senza salario), limitazione del diritto di sciopero con sanzioni ai sindacati che scioperano in termini di deleghe e permessi.
E' evidente che questo ritmo di marcia del fascismo padronale non può essere contrastato più di tanto con i ricorsi legali, pur essendo necessari, né tantomeno trasformando questa battaglia in una battaglia democratica.
Se è pur vero che il fascismo padronale pone una questione democratica che va ben al di là dei cancelli della Fiat e dei cancelli delle fabbriche in generale, esso può essere contrastato innanzitutto e soprattutto là dove ha il suo cuore.
E' qui che il salto di qualità rappresentato dal piano Fiat si deve inevitabilmente misurare col salto di qualità dell'azione operaia.
Su questo il dibattito nelle fila operaie è quasi inesistente.
Le posizioni del sindacalismo di base, presente in maniera significativa solo a Pomigliano, si muovono lungo una linea di più radicalità rispetto alla Fiom ma dentro le stesse coordinate: ricorsi migliori, più “aggressivi”, rivendicazioni più radicali, appello a una mobilitazione generale che resta fondamentalmente sul terreno della democrazia.
Con questo tipo di orientamento la questione non è risolta neanche da una linea di unità e di fronte unito di tutte le forze che si oppongono all'accordo – sia pure auspicabile e necessario nel contesto generale. Al fascismo padronale che passa dall'applicazione del piano Marchionne e dalla repressione dell'opposizione è necessario rispondere con attacco al alla produzione fascistizzata, al comando di fabbrica che lo impone e alla repressione.
Sono alcune vecchie armi della lotta di classe che vanno applicate nel contesto nuovo.
Non è una radicalizzazione di ciò che si sta facendo che noi proponiamo, questa se c'è è un buon brodo di coltura, ma un nuovo inizio.
Se guardiamo le cose da questa ottica, va compreso da noi tutti che quello da mettere in moto è un processo di aggregazione operaia capace di attivare questo nuovo inizio, di farlo entrare nello scontro di classe, di scompaginare le forze in campo, non come fattore di ulteriore disgregazione o frammentazione, ma appunto di riorganizzazione al livello necessario oggi.
E' questo è per ora innanzitutto un problema di unità di analisi,di linea e conseguentemente di piano operante nella realtà degli stabilimenti Fiat
La dimensione di massa entro cui può andare avanti questa ricomposizione-riorganizzazione operaia, nell'analisi concreta della situazione concreta, porta ad alcune indicazioni che hanno anche un valore esemplificativo per rendere chiaro il ragionamento.
A Termini Imerese bisogna opporsi con tutti i mezzi alla chiusura, contrastando con la mobilitazione, fino all'occupazione della fabbrica, la via della rassegnazione e del dibattito truccato delle “soluzioni alternative”.
Alla Fiat Sata bisogna finalmente riportare i tre licenziati in fabbrica, ma anche cercare di dare continuità alle lotte su tutti i punti del piano Fiat lì applicato, perchè questo serve anche a dimostrare che la repressione non ha fermato le lotte dei lavoratori, lotta che ha già ottenuto dei risultati ma assolutamente temporanei vista la decisa volontà di Marchionne di imporre in ogni stabilimento il massimo risultato sui punti del suo piano.
A Pomigliano l'iniziativa operaia non deve aspettare come si sviluppa il piano, non deve quindi assicurare una sostanziale tregua in attesa di... gli operai del NO devono ora rioccupare la scena con tutte le iniziative possibili.
A Mirafiori e negli altri stabilimenti le lotte in corso, dentro la resistenza che esse esprimono, devono sviluppare una sorta di “guerra di classe preventiva” alla generalizzazione dell'applicazione del piano Marchionne.
Il quadro generale su cui questa operazione si inserisce merita di essere analizzato con più precisione di quanto siamo in grado di farlo in questa occasione. Le linee di tendenza di fondo sono quelle che il Sole 24ore definisce: “l'inarrestabile corso dell'auto mondiale verso Asia e Sud America”. Questo fa sì che in Europa si consolidi un processo di calo che potrebbe dare vita a un parziale processo di deindustrializzazione.... “Kalmbach dice che in Europa si concentreranno sempre più le funzioni sofisticate, il disegno dell'auto, l'invenzione tecnologica, la valorizzazione del marchio e perfino il come assemblare i pezzi comprati in tutto il mondo – ovvero, per dirla in breve, da produttori ad assemblatori”...Sole 24ore.
Per ciò che ci riguarda trattare qui, siamo quindi di fronte a uno scenario in cui il piano di Fabbrica Italia appare per quello che è: innanzitutto un processo selvaggio di riduzione del costo del lavoro che mette in concorrenza gli operai italiani con gli operai degli altri stabilimenti e ancor più gli stabilimenti tra di loro.
Le famose 270mila auto rischiano di essere in questo quadro il volume complessivo della produzione Fiat, altro che il futuro di Pomigliano; e se Pomigliano reggesse effettivamente al piano Marchionne, sarebbero gli altri stabilimenti a lasciarci le penne.
Quindi, in sostanza, il presente è fatto di massimo sfruttamento, fascismo padronale, chiusure e ridimensionamenti, in una prospettiva generale in cui il futuro è fatto di ancor più ampio ridimensionamento.In questo quadro si può ben capire che accettare il piano non è affatto una salvaguardia di un futuro di lavoro. I sindacati che hanno sposato il piano Marchionne registrano in questo cambio di campo l'integrazione non solo nella gestione di fabbrica ma nel comando di fabbrica.
A Pomigliano la battaglia può riprendere solo dal boicottaggio attivo dell'attuazione del piano Marchionne, in un quadro che permette oggi a Marchionne di dire: “il problema di Pomigliano, come abbiamo annunciato, è stato risolto”. Ora praticamente si tratta di estendere il modello Pomigliano a tutti gli altri stabilimenti, strappare il massimo dall'intesa sulle deroghe al contratto nazionale su tutti in terreni: turni, ore e giorni di attività, orario individuale, straordinario, pause, mensa, malattie (primi tre giorni senza salario), limitazione del diritto di sciopero con sanzioni ai sindacati che scioperano in termini di deleghe e permessi.
E' evidente che questo ritmo di marcia del fascismo padronale non può essere contrastato più di tanto con i ricorsi legali, pur essendo necessari, né tantomeno trasformando questa battaglia in una battaglia democratica.
Se è pur vero che il fascismo padronale pone una questione democratica che va ben al di là dei cancelli della Fiat e dei cancelli delle fabbriche in generale, esso può essere contrastato innanzitutto e soprattutto là dove ha il suo cuore.
E' qui che il salto di qualità rappresentato dal piano Fiat si deve inevitabilmente misurare col salto di qualità dell'azione operaia.
Su questo il dibattito nelle fila operaie è quasi inesistente.
Le posizioni del sindacalismo di base, presente in maniera significativa solo a Pomigliano, si muovono lungo una linea di più radicalità rispetto alla Fiom ma dentro le stesse coordinate: ricorsi migliori, più “aggressivi”, rivendicazioni più radicali, appello a una mobilitazione generale che resta fondamentalmente sul terreno della democrazia.
Con questo tipo di orientamento la questione non è risolta neanche da una linea di unità e di fronte unito di tutte le forze che si oppongono all'accordo – sia pure auspicabile e necessario nel contesto generale. Al fascismo padronale che passa dall'applicazione del piano Marchionne e dalla repressione dell'opposizione è necessario rispondere con attacco al alla produzione fascistizzata, al comando di fabbrica che lo impone e alla repressione.
Sono alcune vecchie armi della lotta di classe che vanno applicate nel contesto nuovo.
Non è una radicalizzazione di ciò che si sta facendo che noi proponiamo, questa se c'è è un buon brodo di coltura, ma un nuovo inizio.
Se guardiamo le cose da questa ottica, va compreso da noi tutti che quello da mettere in moto è un processo di aggregazione operaia capace di attivare questo nuovo inizio, di farlo entrare nello scontro di classe, di scompaginare le forze in campo, non come fattore di ulteriore disgregazione o frammentazione, ma appunto di riorganizzazione al livello necessario oggi.
E' questo è per ora innanzitutto un problema di unità di analisi,di linea e conseguentemente di piano operante nella realtà degli stabilimenti Fiat
La dimensione di massa entro cui può andare avanti questa ricomposizione-riorganizzazione operaia, nell'analisi concreta della situazione concreta, porta ad alcune indicazioni che hanno anche un valore esemplificativo per rendere chiaro il ragionamento.
A Termini Imerese bisogna opporsi con tutti i mezzi alla chiusura, contrastando con la mobilitazione, fino all'occupazione della fabbrica, la via della rassegnazione e del dibattito truccato delle “soluzioni alternative”.
Alla Fiat Sata bisogna finalmente riportare i tre licenziati in fabbrica, ma anche cercare di dare continuità alle lotte su tutti i punti del piano Fiat lì applicato, perchè questo serve anche a dimostrare che la repressione non ha fermato le lotte dei lavoratori, lotta che ha già ottenuto dei risultati ma assolutamente temporanei vista la decisa volontà di Marchionne di imporre in ogni stabilimento il massimo risultato sui punti del suo piano.
A Pomigliano l'iniziativa operaia non deve aspettare come si sviluppa il piano, non deve quindi assicurare una sostanziale tregua in attesa di... gli operai del NO devono ora rioccupare la scena con tutte le iniziative possibili.
A Mirafiori e negli altri stabilimenti le lotte in corso, dentro la resistenza che esse esprimono, devono sviluppare una sorta di “guerra di classe preventiva” alla generalizzazione dell'applicazione del piano Marchionne.
pc quotidiano 21 settembre - speciale Fiat n°10 - 2 - come Epifani lavora per isolare la fiom
Il dibattito Cgil/Fiom di questi ultimi giorni ha visto Epifani dichiarare: “la Fiom non si isoli perchè su quella strada verrà sconfitta e trascinerebbe nella sconfitta anche la Cgil”.
E' evidente che una frase di questo genere nel contesto in cui è detta ha proprio l'obiettivo di isolare la Fiom e la parte maggioritaria del suo gruppo dirigente per raggiungere attraverso questo passaggio la ricollocazione della Cgil nel ruolo in cui padroni e governo oggi la vorrebbero, cioè in quello dell'accettazione critica/costruttiva del piano Fiat e delle nuove regole contrattuali volute e imposte con la disdetta del contrattoda parte di Finmeccanica.
Epifani sostiene che è la Fiom che si isola con il suo atteggiamento “intransigente”, e non che ci si trovi di fronte ad un'offensiva ai limiti della pulizia etnica che ha come obiettivo la classe operaia e in particolare la componente di essa che lotta, le idee e le pratiche che sono o possono essere veicolo di un sindacalismo di classe che confligga con l'attacco padronale e la marcia del fascismo padronale.
Attraverso le sue parole Epifani si schiera quindi con le posizioni del padrone e del governo, usando la carota a fronte del bastone usato dal padrone.
Ancora più grave è l'affermazione di Epifani che se la Fiom viene sconfitta trascina tutta la Cgil nella sconfitta. Questo è fare una chiamata generale di tutte le strutture e di tutte le categorie della Cgil a mobilitarsi contro la Fiom, considerata un “pericolo generale”; è quindi completare il piano di accerchiamento sindacale della Fiom per piegarne la resistenza.
Senza rispondere a questo fondamentale puntello dell'attacco padronale è evidente che il risultato è la sconfitta della Fiom.
In questo senso, o la manifestazione del 16 ottobre riesce a compattare i metalmeccanici, a rafforzarne l'autonomia anche verso e contro il gruppo dirigente della CGIL, oppure rischia di essere l'anticamera della resa, al di qua e al di là della volontà degli operai che scenderanno in piazza.
In questo senso è sbagliata la dichiarazione di Rinaldini e della sua corrente nel direttivo Cgil che valorizza il fatto che tutta la confederazione abbia fatto propria la manifestazione del 16 ottobre. Questo “far propria” è una sorta di “bacio della morte”, confermato dalle posizioni di Epifani e anche della Camusso e dal fatto che la Cgil poi ha opposto un chiaro No allo sciopero generale di 4 ore proposto dalla componente di Rinaldini per “offrire una risposta immediata almeno su due punti: l'attacco al contratto nazionale operato da Federmeccanica, Confindustria e Fiat e l'aggressione ai diritti che sta compiendo il governo con la manovra finanziaria e il Collegato lavoro.
E' evidente che una frase di questo genere nel contesto in cui è detta ha proprio l'obiettivo di isolare la Fiom e la parte maggioritaria del suo gruppo dirigente per raggiungere attraverso questo passaggio la ricollocazione della Cgil nel ruolo in cui padroni e governo oggi la vorrebbero, cioè in quello dell'accettazione critica/costruttiva del piano Fiat e delle nuove regole contrattuali volute e imposte con la disdetta del contrattoda parte di Finmeccanica.
Epifani sostiene che è la Fiom che si isola con il suo atteggiamento “intransigente”, e non che ci si trovi di fronte ad un'offensiva ai limiti della pulizia etnica che ha come obiettivo la classe operaia e in particolare la componente di essa che lotta, le idee e le pratiche che sono o possono essere veicolo di un sindacalismo di classe che confligga con l'attacco padronale e la marcia del fascismo padronale.
Attraverso le sue parole Epifani si schiera quindi con le posizioni del padrone e del governo, usando la carota a fronte del bastone usato dal padrone.
Ancora più grave è l'affermazione di Epifani che se la Fiom viene sconfitta trascina tutta la Cgil nella sconfitta. Questo è fare una chiamata generale di tutte le strutture e di tutte le categorie della Cgil a mobilitarsi contro la Fiom, considerata un “pericolo generale”; è quindi completare il piano di accerchiamento sindacale della Fiom per piegarne la resistenza.
Senza rispondere a questo fondamentale puntello dell'attacco padronale è evidente che il risultato è la sconfitta della Fiom.
In questo senso, o la manifestazione del 16 ottobre riesce a compattare i metalmeccanici, a rafforzarne l'autonomia anche verso e contro il gruppo dirigente della CGIL, oppure rischia di essere l'anticamera della resa, al di qua e al di là della volontà degli operai che scenderanno in piazza.
In questo senso è sbagliata la dichiarazione di Rinaldini e della sua corrente nel direttivo Cgil che valorizza il fatto che tutta la confederazione abbia fatto propria la manifestazione del 16 ottobre. Questo “far propria” è una sorta di “bacio della morte”, confermato dalle posizioni di Epifani e anche della Camusso e dal fatto che la Cgil poi ha opposto un chiaro No allo sciopero generale di 4 ore proposto dalla componente di Rinaldini per “offrire una risposta immediata almeno su due punti: l'attacco al contratto nazionale operato da Federmeccanica, Confindustria e Fiat e l'aggressione ai diritti che sta compiendo il governo con la manovra finanziaria e il Collegato lavoro.
pc quotidiano 21 settembre -speciale Fiat n°10 - 3 - Camusso - la dirigente giusta per la Cgil secondo i padroni
Il 3 novembre Susanna Camusso sarà quasi sicuramente la nuova segretaria della Cgil. Noi marxisti non personalizziamo la lotta di classe. La Cgil sono anni, per esaminare la svolta più significativa, almeno dalla svolta dell'Eur di Luciano Lama, che è il sindacato della conciliazione; è naturale che in questo quadro non conta chi ne sia il segretario, conta la linea, come essa si forma, contano gli apparati, conta la base sociale effettiva non della Cgil in generale ma del suo gruppo dirigente: la base sociale rappresentata dall'aristocrazia operaia legata agli interessi strategici dell'imperialismo italiano, alla difesa dell'economia nazionale che è economia del grande capitale, emanazione dei partiti dell'opposizione parlamentare, in un rapporto simbiotico e scambiabile.
In questo senso non sono gli uomini che cambiano la linea ma gli uomini che l'assumono e la gestiscono.
Questo però non ci deve far trascurare che la linea ha bisogno degli uomini giusti per interpretarla.
I segretari della Cgil non li sceglie la Cgil, ma sono scelti da un complesso intreccio, in cui la base della Cgil, la massa dei lavoratori, è l'ultimo elemento a contare nelle decisioni.
Ultimamente ci sono segretari, dirigenti sindacali che per la massa degli operai, lavoratori sono dei perfetti sconosciuti. Prima erano principalmente “polli di allevamento” dei partiti che compongono gli apparati sindacali; ultimamente, da Epifani in poi e se si guarda l'insieme delle categorie, con il venir meno dei partiti di riferimento come apparati decisionali forti, come lo erano un tempo il Pci, il Psi, ecc., si tratta di “polli di allevamento” punto e basta.
Epifani, in qualche maniera è stato l'anello di congiunzione della specie. Chi ne eredita la segreteria ne è la riproduzione della specie, in una sorta di organismo geneticamente modificato.
Non ci sarebbe, quindi, da stupirsi di niente, né da prendersela più di tanto.
Ma possiamo dire che c'è un limite a tutto? Che non si era mai visto e né si vede perfino adesso, perfino nella cisl e nella uil, i cui dirigenti sono espliciti servitori dei padroni quasi a prescindere, che l'investitura del nuovo segretario della Cgil avvenisse così sfacciatamente all'insegna della sponsorizzazione plebiscitaria dei padroni.
E tale è senza ombra di dubbio l'elezione a segretaria nazionale della Cgil di Susanna Camusso.
La sponsorizzazione è cominciata in maniera esplicita in piena esplosione del caso Fiat e del piano Marchionne a Pomigliano. E' lì che si è cominciato a dire e scrivere che i padroni puntavano sulla Camusso per ridurre alla ragione la Fiom e riportare al tavolo la Cgil. Se ne ripercorreva l'iter e il percorso storico per dimostrare che era “l'uomo giusto al posto giusto”.
Ci poteva essere chiaramente molto strumentalismo, anche i padroni sanno usare la tattica, ma certamente la Camusso è entrata subito nel ruolo e ha offerto la sponda giusta. E' qui che l'entusiasmo dei padroni è cresciuto, e questa che resta una oscura signora è divenuta gettonatissima su tutti i giornali, anche quelli di costume e di colore, con entrata in campo dei cosiddetti “femminili”.
Questo sarebbe più eloquente di ogni discorso, ma è bene entrare più nel contesto degli argomenti.
Il giorno dei salutari fumogeni a Bonanni, con il cadavere ancora caldo del contratto nazionale ucciso dalla Federmeccanica, Il Sole 24ore dedica pressoché un'intera pagina alla Camusso. L'obiettivo, volontario o involontario, di tutto ciò è di cucire addosso al personaggio il vestito giusto. “Dalla Bovisa alla guida Cgil: una vita fuori dall'ideologia”, è questo il ritratto di “una donna leader”.
Si sa che i padroni quando parlano di ideologia non è all'idea che guardano ma alla sostanza. Ideologia è ritenere che la società sia divisa in classi, che ci sia la lotta di classe, e in campo sindacale questo significa che interessi dei padroni e degli operai sono contrapposti, decisi di volta in volta dai rapporti di forza. Ma ideologia significa anche avere una prospettiva, che quella dei padroni è l'eternalizzazione del sistema del capitale, quella degli operai è il superamento di questo sistema.
Quindi, è evidente che descrivere il cammino della Camusso come un cammino in questa direzione, è considerare che possa essere la persona giusta ad eliminare dalle fila del sindacato, del movimento dei lavoratori ogni, per così dire, residuo di questa ideologia.
Un burocrate importante, Onorio Rosati, segr. della Camera del Lavoro di Milano dichiara: “Lei è la scelta giusta per migliorare le relazioni industriali nel nostro paese... durante le grandi crisi economico sociali le posizioni si radicalizzano e di solito noi riformisti anche dentro le organizzazioni dei lavoratori veniamo schiacciati. In questo caso è successo il contrario. Con la Camusso sarà possibile un confronto con tutte le parti per avere più contrattazione, formulare un nuovo patto sociale che contempli sia la produttività, sia la difesa dei posti di lavoro”. I riformisti, si sa, sono un misto di seminatori di illusioni e di concreti realizzatori dei piani del padrone.
Nella definizione che ne fa Rosati come si vede manca sia la parola “diritto” sia la parola “conflitto”, per cui ne viene di conseguenza che c'è un solo modo di intendere quel nuovo patto sociale che “contempli sia la produttività sia la difesa dei posti di lavoro”, il Piano Marchionne per Pomigliano.
Ma è altrettanto interessante la descrizione della Camusso che fa un luminare sociologo dirigente della Cisl, Bruno Manchi che la conosce sin dall'inizio, all'Università della Statale nel '75:
“Dopo aver fatto amicizia mi confidò con semplicità che ultimati gli studi in Lettere e Filosofia avrebbe desiderato passare a tempo pieno al sindacato”. Ora, certo il '75 non è il '68 un po' di acqua era passata sotto i ponti, l'Università della Statale non era più quella di una volta, ma trovare chi nel movimento studentesco avesse come massima spirazione di carriera quella di entrare nel sindacato – senza passare né dalla fabbrica e forse neanche dal lavoro – significava essere una burocrate in carriera ante litteram, una vera pioniera del genere.
Manchi le dice a quel punto che non è il caso che venga in quel momento nella Cisl che era in fibrillazione – la Fim lombarda era quel sindacato operaio industrializzato, un po' anomalo nel panorama generale della Cisl, che poi darà vita a quella autonomizzazione/scissione che sarà la Fim, poi Flmu di Tiboni. Manchi comprende che è altrove che la signorina va indirizzata. E dove se non nella componente socialista, allora craxiana della Lombardia?
Prosegue il racconto di Manchi: “alla fine dopo alcuni abboccamenti con diverse realtà fu introdotta in pianta stabile nella Fiom da Bruno Marabese della componente socialista”.
Scrive sempre il giornale Sole 24ore: “L'affiliazione socialista ed il pragmatismo lombardo le risparmiano qualunque fascinazione ancora presente in parte della Fiom di matrice comunista verso un'idea di sindacato come palestra per allenare i lavoratori alla lotta di classe”.
Si tratta del ritratto fedele, sostanzioso, effettivo della nuova segretaria della Cgil e del ruolo a cui è chiamata a svolgere oggi nel sindacato. Una donna, come si dice, che sapeva il fatto suo e lo sa ancora, capace di ammanigliarsi con le persone giuste.
Un altro dirigente della Cgil spiega: “Ha una capacità tattica di creare rapporti trasversali. Ha un forte legame con i cattolici di Cisl e Acli. Non è mai stata comunista, né ha mai pensato alla convergenza dell'azione tra attività sindacale e politica”. Naturalmente, decodificando le parole: si chiama “tattica” la capacità di un sindacalismo senza scrupoli, e “nessuna convergenza tra attività sindacale e politica” la risibile formulazione di chi fin dall'inizio è entrata nel sindacato per mano dei politicanti craxiani.
Sul ruolo avuto dalla Camusso durante il periodo della sua presenza nel gruppo dirigente Fiom nella vertenza Fiat e nel settore auto, abbiamo già scritto nel blog. Questo è stato il momento nero della sua carriera, non solo la Fiom ma gli operai la cacciano per aperta connivenza con padron Fiat. Sembra essere la fine della sua carriera. Ma qui riesce a trovare un nuovo nume tutelare. E' Cofferati, che la fa diventare segretaria generale della Cgil della Lombardia.
E' una delle dimostrazioni più eclatanti di come nella Cgil da tempo si fa carriera quanto più ci si scontra con gli interessi degli operai, e di come il gruppo dirigente della Cgil sia una casta costruita secondo questo sistema che si riproduce.
E lì che comincia la nuova irresistibile ascesa della signora, a cui giova anche un incursione con lo stesso sistema nel movimento delle donne. La fase di “Usciamo dal silenzio” viene dalla Camusso utilizzata con abilità per ritoccare il look della sua carriera.
“Oggi – dice il Sole 24ore – tra relazioni nuove e vecchie la Camusso può contare su un ventaglio che va da Pierluigi Bersani, Rosy Bindi, Enrico letta a Giulio Tremonti, Gianni Letta e Maurizio Sacconi. E per migliorare la sua immagine pubblica sono iniziate a circolare foto di lei che va in barca in Liguria”.
L'intervista di investitura nei giorni in cui viene definita la sua elezione avviene sul giornale giusto, su Il Mondo, che le dedica una copertina: ”La manager in rosso”. Potrebbe essere tranquillamente un'intervista a una manager di qualsiasi altro settore dell'economia o a una dirigente dei partiti della cosiddetta 'opposizione parlamentare'.
Il suo riferimento costante è l'economia nazionale, la classe dirigente, il nuovo modello di produttività e competitività, la proposta di un modello sindacale partecipato alla “tedesca” che partecipa alle decisioni dell'impresa stessa. Rispetto al piano Marchionne, la proposta è quella di “mettere in campo una nuova sfida su che cosa vuol dire oggi produttività, utilizzo dell'impianto, rapporto con l'occupazione, l'innovazione, la formazione”. Affianca, poi, la Confindustria nella lotta all'evasione.
Alla domanda finale: ”Lei sarà la prima donna alla guida della Cgil, esiste uno specifico punto di vista femminile sull'economia e sul lavoro?”. La Camusso risponde: “Tutte le donne hanno due caratteristiche comuni. L'abitudine ad occuparsi di economia di base, a tenere insieme i conti, spesa e risparmio (si tratta dell' “economia domestica” - ndr), e questa è una della grandi forze del nostro paese. La seconda è la capacità di trovare comunque le soluzioni”.
Qui si sposano bene i due lati, del riformismo e della fase cosiddetta “femminista” della Camusso, in cui delle donne è preso proprio il lato che ne fa per la borghesia un pilastro del sistema, il sistema del capitale, dell'eternità della sua gestione, del ruolo subordinato dei lavoratori e dell'eterna oppressione, doppia per le donne, condivisa e partecipata.
Per questo ora bisogna tornare all'assunto iniziale. La Camusso è la persona giusta, la donna giusta per il ruolo che il capitale assegna alla Cgil nella fase del fascismo padronale.
All'inizio nell'investitura della Camusso, Rosati, il segr. della Camera del Lavoro di Milano, aveva descritto l'affermazione dell'ultrà riformista Camusso come una controtendenza alla radicalizzazione delle posizioni che di solito avviene nella crisi. Questo è vero, ma sta lì a dimostrare la collocazione organica della Cgil nel campo del riformismo – e nella crisi il riformismo serve la reazione, e che quindi necessariamente la radicalizzazione deve esprimersi e ridefinirsi solo e semplicemente fuori e contro questo recinto, chiamato Cgil.
E sono gli operai Fiom i primi tenuti a rendersene conto.
In questo senso non sono gli uomini che cambiano la linea ma gli uomini che l'assumono e la gestiscono.
Questo però non ci deve far trascurare che la linea ha bisogno degli uomini giusti per interpretarla.
I segretari della Cgil non li sceglie la Cgil, ma sono scelti da un complesso intreccio, in cui la base della Cgil, la massa dei lavoratori, è l'ultimo elemento a contare nelle decisioni.
Ultimamente ci sono segretari, dirigenti sindacali che per la massa degli operai, lavoratori sono dei perfetti sconosciuti. Prima erano principalmente “polli di allevamento” dei partiti che compongono gli apparati sindacali; ultimamente, da Epifani in poi e se si guarda l'insieme delle categorie, con il venir meno dei partiti di riferimento come apparati decisionali forti, come lo erano un tempo il Pci, il Psi, ecc., si tratta di “polli di allevamento” punto e basta.
Epifani, in qualche maniera è stato l'anello di congiunzione della specie. Chi ne eredita la segreteria ne è la riproduzione della specie, in una sorta di organismo geneticamente modificato.
Non ci sarebbe, quindi, da stupirsi di niente, né da prendersela più di tanto.
Ma possiamo dire che c'è un limite a tutto? Che non si era mai visto e né si vede perfino adesso, perfino nella cisl e nella uil, i cui dirigenti sono espliciti servitori dei padroni quasi a prescindere, che l'investitura del nuovo segretario della Cgil avvenisse così sfacciatamente all'insegna della sponsorizzazione plebiscitaria dei padroni.
E tale è senza ombra di dubbio l'elezione a segretaria nazionale della Cgil di Susanna Camusso.
La sponsorizzazione è cominciata in maniera esplicita in piena esplosione del caso Fiat e del piano Marchionne a Pomigliano. E' lì che si è cominciato a dire e scrivere che i padroni puntavano sulla Camusso per ridurre alla ragione la Fiom e riportare al tavolo la Cgil. Se ne ripercorreva l'iter e il percorso storico per dimostrare che era “l'uomo giusto al posto giusto”.
Ci poteva essere chiaramente molto strumentalismo, anche i padroni sanno usare la tattica, ma certamente la Camusso è entrata subito nel ruolo e ha offerto la sponda giusta. E' qui che l'entusiasmo dei padroni è cresciuto, e questa che resta una oscura signora è divenuta gettonatissima su tutti i giornali, anche quelli di costume e di colore, con entrata in campo dei cosiddetti “femminili”.
Questo sarebbe più eloquente di ogni discorso, ma è bene entrare più nel contesto degli argomenti.
Il giorno dei salutari fumogeni a Bonanni, con il cadavere ancora caldo del contratto nazionale ucciso dalla Federmeccanica, Il Sole 24ore dedica pressoché un'intera pagina alla Camusso. L'obiettivo, volontario o involontario, di tutto ciò è di cucire addosso al personaggio il vestito giusto. “Dalla Bovisa alla guida Cgil: una vita fuori dall'ideologia”, è questo il ritratto di “una donna leader”.
Si sa che i padroni quando parlano di ideologia non è all'idea che guardano ma alla sostanza. Ideologia è ritenere che la società sia divisa in classi, che ci sia la lotta di classe, e in campo sindacale questo significa che interessi dei padroni e degli operai sono contrapposti, decisi di volta in volta dai rapporti di forza. Ma ideologia significa anche avere una prospettiva, che quella dei padroni è l'eternalizzazione del sistema del capitale, quella degli operai è il superamento di questo sistema.
Quindi, è evidente che descrivere il cammino della Camusso come un cammino in questa direzione, è considerare che possa essere la persona giusta ad eliminare dalle fila del sindacato, del movimento dei lavoratori ogni, per così dire, residuo di questa ideologia.
Un burocrate importante, Onorio Rosati, segr. della Camera del Lavoro di Milano dichiara: “Lei è la scelta giusta per migliorare le relazioni industriali nel nostro paese... durante le grandi crisi economico sociali le posizioni si radicalizzano e di solito noi riformisti anche dentro le organizzazioni dei lavoratori veniamo schiacciati. In questo caso è successo il contrario. Con la Camusso sarà possibile un confronto con tutte le parti per avere più contrattazione, formulare un nuovo patto sociale che contempli sia la produttività, sia la difesa dei posti di lavoro”. I riformisti, si sa, sono un misto di seminatori di illusioni e di concreti realizzatori dei piani del padrone.
Nella definizione che ne fa Rosati come si vede manca sia la parola “diritto” sia la parola “conflitto”, per cui ne viene di conseguenza che c'è un solo modo di intendere quel nuovo patto sociale che “contempli sia la produttività sia la difesa dei posti di lavoro”, il Piano Marchionne per Pomigliano.
Ma è altrettanto interessante la descrizione della Camusso che fa un luminare sociologo dirigente della Cisl, Bruno Manchi che la conosce sin dall'inizio, all'Università della Statale nel '75:
“Dopo aver fatto amicizia mi confidò con semplicità che ultimati gli studi in Lettere e Filosofia avrebbe desiderato passare a tempo pieno al sindacato”. Ora, certo il '75 non è il '68 un po' di acqua era passata sotto i ponti, l'Università della Statale non era più quella di una volta, ma trovare chi nel movimento studentesco avesse come massima spirazione di carriera quella di entrare nel sindacato – senza passare né dalla fabbrica e forse neanche dal lavoro – significava essere una burocrate in carriera ante litteram, una vera pioniera del genere.
Manchi le dice a quel punto che non è il caso che venga in quel momento nella Cisl che era in fibrillazione – la Fim lombarda era quel sindacato operaio industrializzato, un po' anomalo nel panorama generale della Cisl, che poi darà vita a quella autonomizzazione/scissione che sarà la Fim, poi Flmu di Tiboni. Manchi comprende che è altrove che la signorina va indirizzata. E dove se non nella componente socialista, allora craxiana della Lombardia?
Prosegue il racconto di Manchi: “alla fine dopo alcuni abboccamenti con diverse realtà fu introdotta in pianta stabile nella Fiom da Bruno Marabese della componente socialista”.
Scrive sempre il giornale Sole 24ore: “L'affiliazione socialista ed il pragmatismo lombardo le risparmiano qualunque fascinazione ancora presente in parte della Fiom di matrice comunista verso un'idea di sindacato come palestra per allenare i lavoratori alla lotta di classe”.
Si tratta del ritratto fedele, sostanzioso, effettivo della nuova segretaria della Cgil e del ruolo a cui è chiamata a svolgere oggi nel sindacato. Una donna, come si dice, che sapeva il fatto suo e lo sa ancora, capace di ammanigliarsi con le persone giuste.
Un altro dirigente della Cgil spiega: “Ha una capacità tattica di creare rapporti trasversali. Ha un forte legame con i cattolici di Cisl e Acli. Non è mai stata comunista, né ha mai pensato alla convergenza dell'azione tra attività sindacale e politica”. Naturalmente, decodificando le parole: si chiama “tattica” la capacità di un sindacalismo senza scrupoli, e “nessuna convergenza tra attività sindacale e politica” la risibile formulazione di chi fin dall'inizio è entrata nel sindacato per mano dei politicanti craxiani.
Sul ruolo avuto dalla Camusso durante il periodo della sua presenza nel gruppo dirigente Fiom nella vertenza Fiat e nel settore auto, abbiamo già scritto nel blog. Questo è stato il momento nero della sua carriera, non solo la Fiom ma gli operai la cacciano per aperta connivenza con padron Fiat. Sembra essere la fine della sua carriera. Ma qui riesce a trovare un nuovo nume tutelare. E' Cofferati, che la fa diventare segretaria generale della Cgil della Lombardia.
E' una delle dimostrazioni più eclatanti di come nella Cgil da tempo si fa carriera quanto più ci si scontra con gli interessi degli operai, e di come il gruppo dirigente della Cgil sia una casta costruita secondo questo sistema che si riproduce.
E lì che comincia la nuova irresistibile ascesa della signora, a cui giova anche un incursione con lo stesso sistema nel movimento delle donne. La fase di “Usciamo dal silenzio” viene dalla Camusso utilizzata con abilità per ritoccare il look della sua carriera.
“Oggi – dice il Sole 24ore – tra relazioni nuove e vecchie la Camusso può contare su un ventaglio che va da Pierluigi Bersani, Rosy Bindi, Enrico letta a Giulio Tremonti, Gianni Letta e Maurizio Sacconi. E per migliorare la sua immagine pubblica sono iniziate a circolare foto di lei che va in barca in Liguria”.
L'intervista di investitura nei giorni in cui viene definita la sua elezione avviene sul giornale giusto, su Il Mondo, che le dedica una copertina: ”La manager in rosso”. Potrebbe essere tranquillamente un'intervista a una manager di qualsiasi altro settore dell'economia o a una dirigente dei partiti della cosiddetta 'opposizione parlamentare'.
Il suo riferimento costante è l'economia nazionale, la classe dirigente, il nuovo modello di produttività e competitività, la proposta di un modello sindacale partecipato alla “tedesca” che partecipa alle decisioni dell'impresa stessa. Rispetto al piano Marchionne, la proposta è quella di “mettere in campo una nuova sfida su che cosa vuol dire oggi produttività, utilizzo dell'impianto, rapporto con l'occupazione, l'innovazione, la formazione”. Affianca, poi, la Confindustria nella lotta all'evasione.
Alla domanda finale: ”Lei sarà la prima donna alla guida della Cgil, esiste uno specifico punto di vista femminile sull'economia e sul lavoro?”. La Camusso risponde: “Tutte le donne hanno due caratteristiche comuni. L'abitudine ad occuparsi di economia di base, a tenere insieme i conti, spesa e risparmio (si tratta dell' “economia domestica” - ndr), e questa è una della grandi forze del nostro paese. La seconda è la capacità di trovare comunque le soluzioni”.
Qui si sposano bene i due lati, del riformismo e della fase cosiddetta “femminista” della Camusso, in cui delle donne è preso proprio il lato che ne fa per la borghesia un pilastro del sistema, il sistema del capitale, dell'eternità della sua gestione, del ruolo subordinato dei lavoratori e dell'eterna oppressione, doppia per le donne, condivisa e partecipata.
Per questo ora bisogna tornare all'assunto iniziale. La Camusso è la persona giusta, la donna giusta per il ruolo che il capitale assegna alla Cgil nella fase del fascismo padronale.
All'inizio nell'investitura della Camusso, Rosati, il segr. della Camera del Lavoro di Milano, aveva descritto l'affermazione dell'ultrà riformista Camusso come una controtendenza alla radicalizzazione delle posizioni che di solito avviene nella crisi. Questo è vero, ma sta lì a dimostrare la collocazione organica della Cgil nel campo del riformismo – e nella crisi il riformismo serve la reazione, e che quindi necessariamente la radicalizzazione deve esprimersi e ridefinirsi solo e semplicemente fuori e contro questo recinto, chiamato Cgil.
E sono gli operai Fiom i primi tenuti a rendersene conto.
pc quotidiano 21 settembre - Torino riprende il processo thyssen
lunedì 20 settembre 2010
pc quotidiano 19-20 settembre - da Palermo - gli operai della Fincantieri bloccano la piattaforma
dallo Slai cobas per il sindacato di classe - palermo
via g. del duca 4 Palermo telfax 091/203686 - 338.7708110
Fincantieri,operai bloccano piattaforma
I manifestanti impediscono l'ingresso del mezzo della Saipem
Un gruppo di operai della Fincantieri di Palermo ha
bloccato l'ingresso della piattaforma della Saipem in lavorazione per
protesta.
L'iniziativa e'stata decisa contro l'ipotesi di ridimensionamento della
fabbrica previsto nella bozza di piano industriale. Nella piattaforma sono
impegnati circa 500 operai quasi tutti delle aziende dell' indotto. La
protesta
impedisce entrata e uscita dai cancelli ad ogni mezzo. Davanti allo
stabilimento la polizia sta tenendo sotto controllo l'iniziativa.
*****
È la giusta rabbia degli operai che da Castellammare di Stabia, dove si sono
scontrati con la polizia, a Genova dove hanno occupato i locali della
direzione
a Palermo danno la loro risposta al “piano industriale” della Fincantieri
2010-
2014 che prevede la chiusura dei cantieri di Riva Trigoso e di Castellammare
di
Stabia.
Dopo qualche anno oramai di cassa integrazione a rotazione tra tutti gli
stabilimenti, ma con un uso spregiudicato degli operai dell’indotto anche il
sabato con gli straordinari, adesso la Fincantieri, azienda pubblica al 98%
ha
deciso di ridimensionare l’assetto generale del gruppo in Italia.
Se il piano dovesse essere attuato si dimezzerebbe il numero di operai che
attualmente sono circa 9.000.
La scusa che sta alla base di questa manovra anche in questo caso è la
“crisi”
e la perdita di commesse a livello internazionale, ma nella sostanza la
Fincantieri vuole approfittare dell’occasione per sostituire definitivamente
gli operai “stabili” con quelli dell’indotto tutti ultraricattabili perché
gestiti da cooperative o piccoli padroni.
Non un posto di lavoro deve essere perduto
Contrastare il piano di ridimensionamento dell’azienda
via g. del duca 4 Palermo telfax 091/203686 - 338.7708110
Fincantieri,operai bloccano piattaforma
I manifestanti impediscono l'ingresso del mezzo della Saipem
Un gruppo di operai della Fincantieri di Palermo ha
bloccato l'ingresso della piattaforma della Saipem in lavorazione per
protesta.
L'iniziativa e'stata decisa contro l'ipotesi di ridimensionamento della
fabbrica previsto nella bozza di piano industriale. Nella piattaforma sono
impegnati circa 500 operai quasi tutti delle aziende dell' indotto. La
protesta
impedisce entrata e uscita dai cancelli ad ogni mezzo. Davanti allo
stabilimento la polizia sta tenendo sotto controllo l'iniziativa.
*****
È la giusta rabbia degli operai che da Castellammare di Stabia, dove si sono
scontrati con la polizia, a Genova dove hanno occupato i locali della
direzione
a Palermo danno la loro risposta al “piano industriale” della Fincantieri
2010-
2014 che prevede la chiusura dei cantieri di Riva Trigoso e di Castellammare
di
Stabia.
Dopo qualche anno oramai di cassa integrazione a rotazione tra tutti gli
stabilimenti, ma con un uso spregiudicato degli operai dell’indotto anche il
sabato con gli straordinari, adesso la Fincantieri, azienda pubblica al 98%
ha
deciso di ridimensionare l’assetto generale del gruppo in Italia.
Se il piano dovesse essere attuato si dimezzerebbe il numero di operai che
attualmente sono circa 9.000.
La scusa che sta alla base di questa manovra anche in questo caso è la
“crisi”
e la perdita di commesse a livello internazionale, ma nella sostanza la
Fincantieri vuole approfittare dell’occasione per sostituire definitivamente
gli operai “stabili” con quelli dell’indotto tutti ultraricattabili perché
gestiti da cooperative o piccoli padroni.
Non un posto di lavoro deve essere perduto
Contrastare il piano di ridimensionamento dell’azienda
pc quotidiano 19-20 settembre - il partito del sud di Miccichè
La spaccatura creata da Miccichè all’interno del partito di Berlusconi, la
formazione di un quarto governo Lombardo tra Mpa, Pd, Udc di Casini e Api…, la
spaccatura che si è creata dentro l’Udc di Casini ecc., e i suoi sicuri
riflessi sul governo Berlusconi hanno riportato la Sicilia, “laboratorio
politico”, al centro dell’attenzione di giornali e tv in questi giorni,
lasciando momentaneamente in secondo piano le altre notizie sulla la mafia, la
scuola, la disoccupazione, l’immondizia, il degrado ecc. ecc.
Torna a galla, quindi, la Sicilia come “serbatoio di voti” per la destra:
Fini, commenta un esperto sul sole24ore, corre alla raccolta dei delusi
“sociali” dal governo Berlusconi cercando di rubare volti al centro che cerca
di difendersi con il ritorno in campo di Mannino e Cuffaro! Il Pd tiene in vita
già da qualche anno il governo Lombardo perché si sente esattamente sulla
stessa barca…
Ma dietro tutto il trambusto mediatico e i giochi di numeri e la girandola di
nomi più o meno conosciuti di deputati assessori ecc. ecc. si nascondono
ragioni molto concrete, oggettive, e la volontà della borghesia siciliana di
trovare il punto d’accordo su come continuare a “governare”.
La preoccupazione seria e concreta che spinge a questa guerra per la poltrona
sta nel fatto che la borghesia del sud è costretta a fare i conti con i
cambiamenti avviati con i tagli ai trasferimenti di fondi imposti già dalla
finanziaria di quest’anno; con l’applicazione del federalismo e lo spostamento
dell’asse politico/economico verso l’Europa come puntualizza Tremonti che dice
che tutto questo è un bene perché "Abbiamo vissuto al di sopra delle nostre
possibilità”!
Tutte queste chiacchiere per dire che al sud saranno date sempre meno risorse
finanziarie! Ma si sa che senza soldi da spendere il politico di turno che si
ingrassa e amministra soprattutto la propria poltrona con il clientelismo non
sa proprio cosa fare… ed è qui che ritorna il “partito del sud” come necessità
urgente… che Lombardo ora chiama necessità dell’autonomia e Miccichè “Partito
del popolo siciliano”, non importano i nomi, l’importante per loro è creare una
forza politica capace di giocare un ruolo di pressione a livello nazionale,
“contro il nord”, per recuperare risorse da spendere per la propria
sopravvivenza… siano essi i fondi Fas sui quali Lombardo ha innescato la sua
resistenza minacciando Tremonti e Berlusconi: “Cominceremo a spendere questi
soldi. C’è una delibera Cipe che lo consente. Se non verranno erogati subito da
Roma faremo un ricorso all’Unione Europea” – sia che si tratti di come
distribuire i 100 miliardi per il sud “trovati” dal ministro Fitto.
La “mancanza” di fondi significa che i proletari, donne e giovani, masse
popolari siciliane sono costretti ad assistere ad un film il cui finale è già
scritto: non si sono più risorse e quindi bisognerà continuare a fare
sacrifici, dato che, come dice un consigliere comunale di Palermo della
maggioranza, questo è tempo di “Vacche magrissime per tutti”.
Naturalmente i politici locali coltivano l’illusione che con una nuova
ripartizione delle forze politiche in campo possano garantirsi il proprio posto
e arginare quello che può succedere a livello di sconquasso sociale. “Disagio
sociale ormai insostenibile” lo chiamava il coordinatore del partito di
Berlusconi in Sicilia, Castiglione, lo scorso aprile.
L’unica opposizione a questo “disagio insostenibile”, a questi attacchi
generalizzati alle masse popolari, fino ad ora è stata quella delle piazze: con
le loro forze lavoratori, operai, precari, disoccupati provano a resistere
mettendo in campo i propri bisogni. Ma per cominciare a cambiare il “film”
bisogna mettere in campo anche l’organizzazione politica di questa opposizione
sociale.
formazione di un quarto governo Lombardo tra Mpa, Pd, Udc di Casini e Api…, la
spaccatura che si è creata dentro l’Udc di Casini ecc., e i suoi sicuri
riflessi sul governo Berlusconi hanno riportato la Sicilia, “laboratorio
politico”, al centro dell’attenzione di giornali e tv in questi giorni,
lasciando momentaneamente in secondo piano le altre notizie sulla la mafia, la
scuola, la disoccupazione, l’immondizia, il degrado ecc. ecc.
Torna a galla, quindi, la Sicilia come “serbatoio di voti” per la destra:
Fini, commenta un esperto sul sole24ore, corre alla raccolta dei delusi
“sociali” dal governo Berlusconi cercando di rubare volti al centro che cerca
di difendersi con il ritorno in campo di Mannino e Cuffaro! Il Pd tiene in vita
già da qualche anno il governo Lombardo perché si sente esattamente sulla
stessa barca…
Ma dietro tutto il trambusto mediatico e i giochi di numeri e la girandola di
nomi più o meno conosciuti di deputati assessori ecc. ecc. si nascondono
ragioni molto concrete, oggettive, e la volontà della borghesia siciliana di
trovare il punto d’accordo su come continuare a “governare”.
La preoccupazione seria e concreta che spinge a questa guerra per la poltrona
sta nel fatto che la borghesia del sud è costretta a fare i conti con i
cambiamenti avviati con i tagli ai trasferimenti di fondi imposti già dalla
finanziaria di quest’anno; con l’applicazione del federalismo e lo spostamento
dell’asse politico/economico verso l’Europa come puntualizza Tremonti che dice
che tutto questo è un bene perché "Abbiamo vissuto al di sopra delle nostre
possibilità”!
Tutte queste chiacchiere per dire che al sud saranno date sempre meno risorse
finanziarie! Ma si sa che senza soldi da spendere il politico di turno che si
ingrassa e amministra soprattutto la propria poltrona con il clientelismo non
sa proprio cosa fare… ed è qui che ritorna il “partito del sud” come necessità
urgente… che Lombardo ora chiama necessità dell’autonomia e Miccichè “Partito
del popolo siciliano”, non importano i nomi, l’importante per loro è creare una
forza politica capace di giocare un ruolo di pressione a livello nazionale,
“contro il nord”, per recuperare risorse da spendere per la propria
sopravvivenza… siano essi i fondi Fas sui quali Lombardo ha innescato la sua
resistenza minacciando Tremonti e Berlusconi: “Cominceremo a spendere questi
soldi. C’è una delibera Cipe che lo consente. Se non verranno erogati subito da
Roma faremo un ricorso all’Unione Europea” – sia che si tratti di come
distribuire i 100 miliardi per il sud “trovati” dal ministro Fitto.
La “mancanza” di fondi significa che i proletari, donne e giovani, masse
popolari siciliane sono costretti ad assistere ad un film il cui finale è già
scritto: non si sono più risorse e quindi bisognerà continuare a fare
sacrifici, dato che, come dice un consigliere comunale di Palermo della
maggioranza, questo è tempo di “Vacche magrissime per tutti”.
Naturalmente i politici locali coltivano l’illusione che con una nuova
ripartizione delle forze politiche in campo possano garantirsi il proprio posto
e arginare quello che può succedere a livello di sconquasso sociale. “Disagio
sociale ormai insostenibile” lo chiamava il coordinatore del partito di
Berlusconi in Sicilia, Castiglione, lo scorso aprile.
L’unica opposizione a questo “disagio insostenibile”, a questi attacchi
generalizzati alle masse popolari, fino ad ora è stata quella delle piazze: con
le loro forze lavoratori, operai, precari, disoccupati provano a resistere
mettendo in campo i propri bisogni. Ma per cominciare a cambiare il “film”
bisogna mettere in campo anche l’organizzazione politica di questa opposizione
sociale.
pc quotidiano 19-20 settenbre - un delinquente, il nuovo ambassciatore della Colombia in Italia
denuncia dell'associazione nuova Colombia
Chi è il nuovo ambasciatore colombiano in Italia? Andrés Felipe
Arias, un corrotto e delinquente della cosca-Uribe!
Andrés Felipe Arias è nato il 4 maggio del 1973 a Medellín,
dipartimento di Antioquia. Nel 1999 si è laureato in economia presso
l’Università de los Andes e nel 2002 ha ottenuto un dottorato,
sempre in economia, all’Università della California (UCLA). A
Washington ha fatto praticantato nella Divisione di Sviluppo e
Supervisione Politica del Fondo Monetario Internazionale.
Al rientro in Colombia si è subito inserito nel circo governativo,
rivestendo la carica di Direttore di Politica Macroeconomica del
Ministero delle Finanze, e dall’inizio del 2004 è diventato
viceministro dell’Agricoltura e dello Sviluppo Rurale, per occupare
infine la carica di Ministro un anno dopo, sostituendo Carlos Gustavo
Cano. Nel 2006, durante il secondo e fraudolento mandato
dell’allora presidente Álvaro Uribe Vélez, è stato riconfermato.
A.F.A. ha fatto parte dei consigli di amministrazione di Ecopetrol,
della Borsa Nazionale Agroalimentare, del Consiglio Nazionale di
Scienza e Tecnologia Agroalimentare, del Fondo Nazionale del
Bestiame, del Fondo di Stabilizzazione dei Prezzi del Bestiame, Latte
e Derivati, della Banca dell’Agricoltura colombiana, del Comitato
Nazionale di Credito Agropecuario; ossia, di tutti quegli organismi,
pubblici o privati, controllati dai grandi latifondisti e
dall’oligarchia del paese.
Entrato, a suo dire, nel suddetto ministero per dare nuova vitalità
alle campagne, ha inventato statistiche inverosimili per compiacere
il suo mentore Uribe, a fronte di investimenti superiori ai 1300
milioni di pesos finiti unicamente nelle tasche dei grandi
proprietari terrieri.
Promotore dei grandi interessi legati ai biocombustibili, con il
pretesto di rendere autonomo il paese sul piano energetico, ha
sponsorizzato le grandi coltivazioni agro-industriali della palma
africana, legate al paramilitarismo e tassello determinante della
contro-riforma agraria permanente implementata dal regime. Alla base
della politica paramilitare del governo, infatti, le coltivazioni
della palma africana vengono usate per “reinserire i paramilitari
smobilitati” nella “società civile”, mettendoli a guardia
delle piantagioni sorte sui terreni sottratti dagli stessi ai
contadini con la violenza.
E’ vergognoso che a quest’individuo sia stata affidata la
realizzazione dell’istrionico programma di recupero delle terre
espropriate ai contadini, con la forza, dai latifondisti e dalle
squadracce della morte, organizzate, finanziate e addestrate da
organismi statali e che hanno causato ad oggi quasi 5 milioni di
sfollati interni.
Per compiacere ancora di più il suo cattivo maestro Uribe, A.F.A. si
è lanciato nella promozione della campagna “No al despeje”,
riferito alla proposta di dialogo che l’insorgenza delle FARC aveva
presentato al governo per concretizzare uno scambio di prigionieri di
guerra, e che chiedeva come garanzia la smilitarizzazione di due
municipi: Pradera e Florida. Dimostratosi un acerrimo nemico della
Pace e di qualsiasi negoziato con la guerriglia, Uribe lo aveva
ribattezzato “Uribito”, anche per le sue goffe imitazioni , da
piccolo “clone”, di quello che lui ritiene suo mentore.
Quando faceva parte della cosca di governo, vedendo che decine e
decine di senatori e congressisti uribisti si trovavano coinvolti in
fatti di corruzione, non ha voluto essere da meno. Nel 2008 è
risultato implicato nello scandalo “Hacienda Carimagua”; la
tenuta Carimagua è un complesso agricolo con oltre 17.000 ettari di
terreno coltivabile, ed è di proprietà dello Stato. Sulla carta (e
sul piano della propaganda demagogica) avrebbe dovuto essere data in
usufrutto a famiglie di sfollati attraverso un programma che
favorisse il rientro degli stessi nelle terre a loro usurpate;
tuttavia è stata data in concessione, ad un prezzo simbolico, dal
Ministero presieduto da Arias ad alcuni grandi imprenditori locali.
Dopo le denunce presentate da alcuni senatori e procuratori, Arias si
è difeso dicendo che le terre non erano produttive per questi
contadini e che questi ultimi non possedevano neanche le risorse
economiche necessarie. Ma è stato prontamente smentito. Una
commissione governativa stabilì che le terre in questione dovevano
essere condivise dalle famiglie degli sfollati e dagli imprenditori
(sic). Senza indire alcun bando per stabilire chi dovesse essere il
socio privato, vi si è insediata Ecopetrol (alla cui privatizzazione
il narco-mafioso Uribe ha dato il via...)
La sua performance al Ministero dell’Agricoltura annovera altresì
lo scandalo denominato “Agro Ingreso Seguro”. Programma
truffaldino inventato a scopo propagandistico dall’ex-governo,
sulla carta avrebbe dovuto beneficiare -con un modesto versamento
elargito dallo Stato- un certo numero di contadini; in realtà, come
abbondantemente denunciato e dimostrato, i fondi messi a disposizione
sono stati in larghissima parte utilizzati per finanziare ricchi
imprenditori agricoli legati alla mafia uribista, in aperta e quanto
mai sfacciata violazione della stessa legge in questione, già di per
sé sbagliata e fuorviante rispetto al problema agrario colombiano.
Tra i beneficiari del programma vi è anche María Mercedes Sardi de
Holguín, cugina dell’ex Ministro dell’Interno Carlos Holguín
Sardi, la quale si è intascata 200 milioni di pesos. Sfidando
l’intelligenza umana, Arias ha provato a giustificarsi affermando
che tutti i beneficiari del programma erano persone per bene, senza
problemi con la giustizia, e che era falso che la maggioranza dei
beneficiati fossero finanziatori della campagna elettorale di Uribe.
Nel febbraio del 2010 è stato pre-candidato presidenziale per il
Partito Conservatore; la rivista colombiana Semana ha denunciato
nello stesso mese dei presunti illeciti nel finanziamento della sua
campagna elettorale, che tuttora sono oggetto di investigazione
giudiziaria. Dopo aver perso le primarie con Noemi Sanín, il giorno
dopo lui e tutti i suoi lacchè e portaborse sono saliti
opportunisticamente sul carrozzone di Juan Manuel Santos, che poi lo
ha ricompensato con l’incarico di ambasciatore a Roma. La nomina è
avvenuta, guarda caso, subito dopo un interrogatorio di oltre 11 ore
per lo scandalo di “Agro Ingreso Seguro”.
Il nostro paese è diventato un rifugio per i malfattori d’oltre
oceano; un posto sicuro dove possono godere indisturbati di
quell’immunità che li mette al riparo da processi penali. Dopo
Camilo Osorio, Sabas Pretelt de La Vega e Jorge Noguera, sbarca un
altro personaggio a cui le “nostre” istituzioni, che continuano a
definirsi “democratiche”, sicuramente accetteranno le credenziali
diplomatiche. Non importa la lunga scia di sangue che questi
criminali si lasciano alle spalle; i diritti umani sono sempre un
argomento ad uso e consumo dei poteri forti, che li svuotano di reale
significato e ne manipolano forme e contenuti.
Chi è il nuovo ambasciatore colombiano in Italia? Andrés Felipe
Arias, un corrotto e delinquente della cosca-Uribe!
Andrés Felipe Arias è nato il 4 maggio del 1973 a Medellín,
dipartimento di Antioquia. Nel 1999 si è laureato in economia presso
l’Università de los Andes e nel 2002 ha ottenuto un dottorato,
sempre in economia, all’Università della California (UCLA). A
Washington ha fatto praticantato nella Divisione di Sviluppo e
Supervisione Politica del Fondo Monetario Internazionale.
Al rientro in Colombia si è subito inserito nel circo governativo,
rivestendo la carica di Direttore di Politica Macroeconomica del
Ministero delle Finanze, e dall’inizio del 2004 è diventato
viceministro dell’Agricoltura e dello Sviluppo Rurale, per occupare
infine la carica di Ministro un anno dopo, sostituendo Carlos Gustavo
Cano. Nel 2006, durante il secondo e fraudolento mandato
dell’allora presidente Álvaro Uribe Vélez, è stato riconfermato.
A.F.A. ha fatto parte dei consigli di amministrazione di Ecopetrol,
della Borsa Nazionale Agroalimentare, del Consiglio Nazionale di
Scienza e Tecnologia Agroalimentare, del Fondo Nazionale del
Bestiame, del Fondo di Stabilizzazione dei Prezzi del Bestiame, Latte
e Derivati, della Banca dell’Agricoltura colombiana, del Comitato
Nazionale di Credito Agropecuario; ossia, di tutti quegli organismi,
pubblici o privati, controllati dai grandi latifondisti e
dall’oligarchia del paese.
Entrato, a suo dire, nel suddetto ministero per dare nuova vitalità
alle campagne, ha inventato statistiche inverosimili per compiacere
il suo mentore Uribe, a fronte di investimenti superiori ai 1300
milioni di pesos finiti unicamente nelle tasche dei grandi
proprietari terrieri.
Promotore dei grandi interessi legati ai biocombustibili, con il
pretesto di rendere autonomo il paese sul piano energetico, ha
sponsorizzato le grandi coltivazioni agro-industriali della palma
africana, legate al paramilitarismo e tassello determinante della
contro-riforma agraria permanente implementata dal regime. Alla base
della politica paramilitare del governo, infatti, le coltivazioni
della palma africana vengono usate per “reinserire i paramilitari
smobilitati” nella “società civile”, mettendoli a guardia
delle piantagioni sorte sui terreni sottratti dagli stessi ai
contadini con la violenza.
E’ vergognoso che a quest’individuo sia stata affidata la
realizzazione dell’istrionico programma di recupero delle terre
espropriate ai contadini, con la forza, dai latifondisti e dalle
squadracce della morte, organizzate, finanziate e addestrate da
organismi statali e che hanno causato ad oggi quasi 5 milioni di
sfollati interni.
Per compiacere ancora di più il suo cattivo maestro Uribe, A.F.A. si
è lanciato nella promozione della campagna “No al despeje”,
riferito alla proposta di dialogo che l’insorgenza delle FARC aveva
presentato al governo per concretizzare uno scambio di prigionieri di
guerra, e che chiedeva come garanzia la smilitarizzazione di due
municipi: Pradera e Florida. Dimostratosi un acerrimo nemico della
Pace e di qualsiasi negoziato con la guerriglia, Uribe lo aveva
ribattezzato “Uribito”, anche per le sue goffe imitazioni , da
piccolo “clone”, di quello che lui ritiene suo mentore.
Quando faceva parte della cosca di governo, vedendo che decine e
decine di senatori e congressisti uribisti si trovavano coinvolti in
fatti di corruzione, non ha voluto essere da meno. Nel 2008 è
risultato implicato nello scandalo “Hacienda Carimagua”; la
tenuta Carimagua è un complesso agricolo con oltre 17.000 ettari di
terreno coltivabile, ed è di proprietà dello Stato. Sulla carta (e
sul piano della propaganda demagogica) avrebbe dovuto essere data in
usufrutto a famiglie di sfollati attraverso un programma che
favorisse il rientro degli stessi nelle terre a loro usurpate;
tuttavia è stata data in concessione, ad un prezzo simbolico, dal
Ministero presieduto da Arias ad alcuni grandi imprenditori locali.
Dopo le denunce presentate da alcuni senatori e procuratori, Arias si
è difeso dicendo che le terre non erano produttive per questi
contadini e che questi ultimi non possedevano neanche le risorse
economiche necessarie. Ma è stato prontamente smentito. Una
commissione governativa stabilì che le terre in questione dovevano
essere condivise dalle famiglie degli sfollati e dagli imprenditori
(sic). Senza indire alcun bando per stabilire chi dovesse essere il
socio privato, vi si è insediata Ecopetrol (alla cui privatizzazione
il narco-mafioso Uribe ha dato il via...)
La sua performance al Ministero dell’Agricoltura annovera altresì
lo scandalo denominato “Agro Ingreso Seguro”. Programma
truffaldino inventato a scopo propagandistico dall’ex-governo,
sulla carta avrebbe dovuto beneficiare -con un modesto versamento
elargito dallo Stato- un certo numero di contadini; in realtà, come
abbondantemente denunciato e dimostrato, i fondi messi a disposizione
sono stati in larghissima parte utilizzati per finanziare ricchi
imprenditori agricoli legati alla mafia uribista, in aperta e quanto
mai sfacciata violazione della stessa legge in questione, già di per
sé sbagliata e fuorviante rispetto al problema agrario colombiano.
Tra i beneficiari del programma vi è anche María Mercedes Sardi de
Holguín, cugina dell’ex Ministro dell’Interno Carlos Holguín
Sardi, la quale si è intascata 200 milioni di pesos. Sfidando
l’intelligenza umana, Arias ha provato a giustificarsi affermando
che tutti i beneficiari del programma erano persone per bene, senza
problemi con la giustizia, e che era falso che la maggioranza dei
beneficiati fossero finanziatori della campagna elettorale di Uribe.
Nel febbraio del 2010 è stato pre-candidato presidenziale per il
Partito Conservatore; la rivista colombiana Semana ha denunciato
nello stesso mese dei presunti illeciti nel finanziamento della sua
campagna elettorale, che tuttora sono oggetto di investigazione
giudiziaria. Dopo aver perso le primarie con Noemi Sanín, il giorno
dopo lui e tutti i suoi lacchè e portaborse sono saliti
opportunisticamente sul carrozzone di Juan Manuel Santos, che poi lo
ha ricompensato con l’incarico di ambasciatore a Roma. La nomina è
avvenuta, guarda caso, subito dopo un interrogatorio di oltre 11 ore
per lo scandalo di “Agro Ingreso Seguro”.
Il nostro paese è diventato un rifugio per i malfattori d’oltre
oceano; un posto sicuro dove possono godere indisturbati di
quell’immunità che li mette al riparo da processi penali. Dopo
Camilo Osorio, Sabas Pretelt de La Vega e Jorge Noguera, sbarca un
altro personaggio a cui le “nostre” istituzioni, che continuano a
definirsi “democratiche”, sicuramente accetteranno le credenziali
diplomatiche. Non importa la lunga scia di sangue che questi
criminali si lasciano alle spalle; i diritti umani sono sempre un
argomento ad uso e consumo dei poteri forti, che li svuotano di reale
significato e ne manipolano forme e contenuti.