martedì 25 dicembre 2018

pc 25 dicembre - Anche in India 'i muri della prigione non possono fermare l'immaginazione e l'espressione'

Libertà per Varavara Rao e per tutti i prigionieri politici in India 
20/27 gennaio settimana internazionale di mobilitazione
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Per quanto cerchino di detenere la libertà di espressione, le mura del carcere non possono fermare immaginazione ed espressione. Varavara Rao, il famoso poeta e intellettuale del popolo, è di nuovo dietro le sbarre, questa volta come detenuto sotto processo nella prigione centrale di Yerawada, Pune, per il ben noto caso “Bhima-Koregaon” o “Urban Naxal”. Nei quasi 60 anni della sua vita pubblica, il poeta 78enne, dal primo arresto nel 1973 in quello che allora era Andhra Pradesh, ha trascorso più di sette anni in diversi carceri.

Di N Venugopal (*)

La carcerazione consiste fondamentalmente di restrizioni delle libertà di movimento e di parola, espressione e associazione. Le mura della prigione, tuttavia, possono limitare i movimenti di una persona, ma non riusciranno a limitarne l’immaginazione. L'immaginazione di un essere pensante sboccia proprio ovunque - in un deserto come in un oceano, in una terra di nessuno come su una vetta solitaria e ancor più tra le mura della prigione, che riverberano la solitudine. La prigione, al massimo, può limitare la propagazione all’esterno dell'espressione ma non può impedire a una persona di esprimere i propri desideri e sogni, pensieri e riflessioni. Ci sono migliaia di esempi di scrittori che dietro le sbarre continuano a scrivere con ancor maggiore energia e anche di tanti che hanno iniziato a esprimersi in prigione.

In una parola, per quanto cerchino di frenare la libertà di espressione, i muri della prigione non possono fermare l'immaginazione e l'espressione. Un caso esemplare, oggi, è quello di Varavara Rao.

Il noto poeta e intellettuale popolare è di nuovo dietro le sbarre, questa volta nella prigione centrale di

Yerawada, Pune, sotto processo per il famigerato caso Bhima-Koregaon o Urban Naxal. Nei suoi quasi 60 anni di vita pubblica, il poeta 78enne, a partire dal suo primo arresto nel 1973 in quello che allora era Andhra Pradesh, ha trascorso più di sette anni diversi carceri. Nonostante lo abbiano imputato in ben 25 casi, con accuse gravi, da assemblea illegali a sommossa, omicidio, tentato omicidio, uso di materiale esplosivo e armi letali, l'accusa non è mai riuscita a provare una singola imputazione e i tribunali lo hanno sempre riconosciuto "non colpevole".

Anche quando lo Stato ha tentato di limitare la sua libertà di espressione, durante gli 84 mesi di carcere, ha trovato il tempo e modo di continuare e affinare la sua scrittura con ancora più vigore, pregnanza e intuizione. In effetti, gli scritti in carcere costituiscono una parte importante e rappresentano quasi la metà della sua produzione letteraria. Più di 300 delle sue 1.000 pagine di opere edite in sessant'anni (pubblicate nel 2018 in due volumi: Varavara Rao Kavitvam 1957-2017) sono state scritte in carcere e almeno cinque delle sue 16 raccolte di saggi e due principali lavori di traduzione sono stati tutti realizzati in prigione.

I soggiorni in carcere di Varavara Rao iniziarono nell'ottobre 1973, quando, insieme ad altri due scrittori, fu arrestato per la prima volta in forza del draconiano MISA (legge per il mantenimento della sicurezza interna). L'Alta corte dell'Andhra Pradesh interruppe la detenzione, dicendo che gli scrittori non possono essere imprigionati per i loro scritti, salvo che questi abbiamo un qualche legame diretto con un dato crimine, e a novembre gli arrestati furono rilasciati. La sua terza raccolta, pubblicata nel gennaio 1974, nelle sezione intitolata "in prigione", conteneva otto poesie. Dunque la sua prima incarcerazione, di poco più di un mese, produsse due poesie a settimana!

Ironicamente, la sua prima poesia in carcere, scritta il 12 ottobre 1973, si intitolava Comma (Virgola, ndt) suggerendo che la vita in carcere era da considerarsi solo una virgola nella frase che stava pensando, scrivendo e praticando!

Da in mezzo alla gente che parlava

Sono venuto tra gli alberi, che non lo fanno.
Da movimenti vibranti
Dall’aria riempita di slogan
Sono venuto tra alberi che ondeggiano muti
E le alte mura che cercano di fermare il vento

È la prima strofa della poesia. In un’altra poesia, di due giorni dopo, scrive:

Questa è prigione per la voce e i piedi
Ma la mano non ha smesso di scrivere
Il cuore non ha smesso di pulsare
I sogni arrivano ancora all’orizzonte di luce
Muovendo da questa oscurità solitaria…

E ancora

Certo, in questa prigione alla luna non è permesso
Di condividere la sua luce,
Ma chi può impedirmi
Dal marciare verso l’alba del sole d’Oriente.

Nel maggio 1974 è nuovamente arrestato, imputato nel caso Secunderabad. Liberato su cauzione l'ultima settimana dell’aprile 1975, era fuori da appena due mesi quando fu imposto lo Stato di Emergenza e lui fu tra i primi ad essere arrestato. Mentre tutti gli altri prigionieri in tutto il paese furono rilasciati il 23 marzo 1977, VV fu riarrestato appena varcato il cancello del carcere, per essere rilasciato su cauzione solo dopo una settimana. Le circa 36 poesie scritte durante questi 30 mesi di prigionia, fanno parte della successiva raccolta, paradossalmente intitolata Sweccha (libertà), pubblicata nell'aprile del 1978.

Brezze soffiano nella notte,
Come immaginava un amico poeta
La luna è impigliata nel filo spinato
Oltre le mura della prigione
E noi, dopo aver cantato e discusso,
Ci perdiamo nei nostri sogni di rivoluzione
Ma il povero poliziotto
Esiliato dal sonno e dal riparo
Ogni ora sbadiglia
Tutto va bene!

Fu durante questa prigionia che Varavara Rao scrisse i versi, tanto spesso citati:

Quando il crimine diventa autorità
E dà la caccia a quelli che marchia come criminali
Chiunque abbia voce e resti in silenzio
Diventa a sua volta un criminale.

Durante l'emergenza, più di 30 membri di Virasam (Viplava Rachayitala Sangham – Associazione Scrittori Rivoluzionari) furono imprigionati nelle diverse carceri dell'Andhra Pradesh e in ognuna di queste prigioni producevano riviste letterarie scritte a mano, che circolarono tra le diverse carceri a volte anche clandestinamente!

Quando, nel settembre 1986, uscì la sua successiva raccolta Bhavishyatthu Chitrapatam (Ritratto del futuro), VV era di nuovo in carcere. Nel 1985 il governo dell'allora primo ministro NT Rama Rao scatenò una dura repressione proclamando la politica "non una danza, non un canto, non una parola". Al culmine di questa repressione, il dottor A Ramanatham, stretto collaboratore di Varavara Rao, famoso pediatra e vicepresidente del Comitato per le libertà civili dell'Andhra Pradesh (APCLC), fu ucciso a colpi di arma da fuoco nella sua clinica da poliziotti che marciavano in corteo lungo strada principale di Warangal. In quel corteo si gridavano slogan che indicavano come bersagli anche Varavara Rao e K Balagopal, allora segretario generale dell'APCLC. In quella drammatica situazione, Varavara Rao rinunciò alla libertà su cauzione da imputato il caso Secunderabad (da cui fu poi assolto da ogni accusa solo nel febbraio 1989, dopo 15 anni di processo) e nel dicembre 1985 scelse di andare in carcere. Mentre era in carcere, nel maggio 1986 fu imputato in un altro caso di cospirazione, il caso Ramnagar (da cui prosciolto nel settembre 2003, dopo 17 anni di processo).

Bhavishyatthu Chitrapatam conteneva alcune poesie sulla repressione scritte nel periodo trascorso in custodia di polizia, non in prigione. Tuttavia il libro fu subito vietato dal governo nel gennaio 1987. Il divieto fu ritirato solo nel marzo 1990.

Il periodo di prigionia tra il dicembre 1985 e il marzo 1989 fu per Varavara Rao prolifico come poeta, scrittore e traduttore. Scrisse circa 80 poesie, raccolte nel volume intitolato Muktakantam (dal doppio significato, voce libera e coro unito) pubblicato nel gennaio 1990. I temi e le forme di queste poesie in carcere sono così varie, contemporanee e onnicomprensive che non c’è quasi nessun problema importante su cui non abbia preso posizione in termini poetici.

Questa prigionia non produsse solo poesia, ma anche molti scritti in prosa e traduzioni. Tra i diversi saggi sulle questioni letterarie, sociali e politiche di attualità, durante questa detenzione scrisse anche un saggio di critica letteraria sul Maro Prasthanam di Sri Sri. Poco prima di entrare in carcere aveva conosciuto gli scritti dello scrittore keniano in esilio Ngugi wa Thiongo e colse l'occasione per tradurre in telugu due libri di Ngugi: il romanzo Devil in the Cross e il diario dal carcere Detained: A Writer's Prison Diary.

Il suo lavoro più importante in questo periodo è una serie di lettere dal carcere scritte su richiesta di Arun Shourie, allora editore dell’Indian Express. Nell'agosto del 1988 Shourie gli propose di scrivere una corrispondenza dal carcere, con una triplice richiesta: "Dovresti cercare di dirci com'è vivere da prigioniero confinato in un piccolo spazio per così tanto tempo. Dovresti cercare di mostrarci le ansie che segnano il microcosmo sociale all’interno della prigione. Dovresti farci capire quali notizie dal vi raggiungono mondo esterno e come vi appaiono, alla luce della realtà all’interno". Varavara Rao le scrisse in Telugu e furono pubblicate contemporaneamente nell’edizione in Telugu dell’Indian Express, Andhra Prabha, e tradotte in inglese.

Il gruppo Indian Express ottenne dalle autorità carcerarie e dal governo le autorizzazioni necessarie. Ogni lettera dovette essere sottoposta al sovrintendente della prigione, che a sua volta lo inviava per approvazione all'intelligence statale. Varavara Rao decise di scrivere tredici pezzi sui suoi "appena tredici compagni" - alberi, fiori, attesa, visite periodiche, compagni di prigionia, libri, scritti, speranze. Tranne uno, tutti gli superarono il controllo dell'intelligence. L'ultimo fu respinto e restituito al mittente un paio di giorni prima del suo rilascio e fu edito più tardi.

Questa corrispondenza durò circa quattro mesi, da dicembre 1988 ad aprile 1989, su entrambe le testate, con traduzioni in inglese curate da Vasant Kannabiran, K Balagopal, MT Khan, K Jitendrababu, N Venugopal e Jaganmohana Chari. La corrispondenza è stata raccolta nel volume Sahacharulu, pubblicato nel 1990 e la traduzione inglese è stata edita da Penguin nel 2010 col titolo Captive Imagination, immaginazione prigioniera.

Nella prefazione a questa edizione, Ngugi wa Thiongo scrive:

“Il titolo, Captive Imagination, è ironico. Di tutti gli attributi umani, l'immaginazione è la più centrale e la più umana. Un architetto immagina un edificio prima prima di fissarlo sulla carta per il costruttore. Senza l'immaginazione, non possiamo visualizzare né il passato né il futuro. La religione sarebbe impossibile: come visualizzare la divinità se non attraverso l'immaginazione? Come intraprendere il viaggio verso la nostra meta senza l’immaginazione, senza la capacità di immaginare la destinazione molto prima di arrivarci? Le arti e l'immaginazione sono dialetticamente collegate. L'immaginazione rende possibili le arti. Le arti nutrono l'immaginazione nello stesso modo in cui il cibo alimenta il corpo e l'etica l'animo. Lo scrittore, il cantante, lo scultore -l'artista in generale- simboleggia e parla alla forza dell'immaginazione per trovare opportunità anche in situazioni apparentemente impossibili. Ecco perché, di volta in volta, lo Stato cerca di imprigionare l'artista, di imprigionare l'immaginazione. Ma l'immaginazione ha la capacità di liberarsi dalla costrizione spazio-temporale. L’immaginazione si libera dalla reclusione e si si propaga nel tempo tempo e nello spazio”.

Rao fu di nuovo arrestato nell'agosto 2005, quando il governo mise al bando Virasam, in seguito al fallimento dei colloqui tra governo e maoisti. Varavara Rao era stato un emissario dei maoisti durante quei colloqui. Questa volta rimase in carcere per otto mesi e le 18 poesie di questo periodo sono state incluse nella raccolta Antassootram (Sotto Corrente) del giugno 2006. Ha scritto anche diversi saggi su vari temi politici, sociali e letterari, successivamente pubblicati in un unico volume, Jailu Raatalu (Scritti da carcere).

Così, data la storia di scrittura in prigionia di Varavara Rao, ci si può aspettare che i giorni nel carcere di Yerawada ci daranno ancora altri suoi scritti. È qui il caso di ricordare un suo commento sui suoi scritti in carcere, da Captive Imagination:

“Non occorre che descriva l’assassinio delle creazioni letterarie di uno scrittore in prigionia, nel corso di perquisizioni e assalti, quando ciò è inevitabile anche nel mondo esterno.

È vero che, a partire dall'ottobre del 1973, ho scritto mentre ero rinchiuso dietro sbarre della prigione, ma non seduto 'sul duro pavimento'. Voglio confessarlo in tutta umiltà. Ho sempre scritto su un tavolino, seduto su una sedia, sia quando ero un semplice detenuto o un sorvegliato speciale. Mi è stato sempre permesso di scrivere. Non ho mai incontrato il minimo inconveniente in materia di costrizione fisica. Ciò che mi affliggeva era l'isolamento intellettuale, emotivo, culturale e politico".

fonte: https://theleaflet.in/even-prison-walls-have-not-been-able-to-stop-varavara-rao-from-writing/

(*)
N Venugopal è un poeta, critico letterario, traduttore e giornalista telugu. Attualmente è redattore di Veekshanam, mensile telugu di politica economia e società. Tra i suoi scritti: Understanding Maoists: Notes of a Participant Observer from Andhra Pradesh – Setu Prakashani, Kolkata, 2013.

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