mercoledì 21 novembre 2018

pc 21 novembre - Libia - la Conferenza di Palermo - Una delle fazioni libiche quella del Fezzan traccia un bilancio dal suo punto di vista e alza il tiro delle sue richieste mettendo in campo le sue armi di pressione: migranti, sigarette, droghe ed armi - rimpiange l'azione di Minniti

Accordi segreti - risarcimenti - promesse del precedente governo non mantenute - lavorio segreto per la conferenza... I nuovi accordi tracciati sono solo e sempre soldi/affari/ intervento militare e poliziesco. In una trama da racconto di spionaggio e di un teatro che non fa che implodere ed esplodere

Tripoli, 20 nov 16:30 - (Agenzia Nova) - La Conferenza di Palermo per la Libia organizzata dall’Italia sotto l’egida delle Nazioni Unite è stata un “passo in avanti” nonostante alcuni “errori logistici” e il fatto che sia stato trascurato uno dei dossier più spinosi: la crisi del Fezzan, la vastissima area desertica della Libia meridionale che sfugge all'autorità di Tripoli. Lo afferma il vicepresidente del Consiglio presidenziale libico, Abdulsalam Kajman, in un’intervista esclusiva concessa ad “Agenzia Nova”. “In primo luogo intendo ringraziare il governo italiano per aver ospitato la Conferenza di Palermo e per i grandi sforzi profusi. Certamente i risultati ottenuti sono limitati, ma questo è dovuto anche a noi libici. Alla fine però possiamo dire che la Conferenza di Palermo è stata un passo in avanti”, spiega Kajman, originario proprio del Fezzan. I 38 rappresentanti internazionali presenti al summit ospitato a Villa Igiea il 12 e 13 novembre hanno garantito un sostegno pressoché unanime al nuovo piano di azione delle Nazioni Unite che prevede, tra le altre cose, elezioni in Libia “entro la primavera del 2019” e lo svolgimento di una Conferenza nazionale, “a guida libica e inclusiva", da tenersi a gennaio sul suolo libico.

Nelle conclusioni finali della Conferenza di Palermo, tuttavia, il Fezzan viene menzionato in modo marginale. I partecipanti si sono limitati a esprimere “la loro preoccupazione per la situazione di sicurezza e umanitaria in alcune parti della Libia, e in particolare nel Sud, e si sono impegnati a stabilizzare la regione e a ripristinare i servizi di base per la popolazione interessata”. Troppo poco
secondo Kajman: “Senza dubbio il Sud libico è stato marginalizzato in questa Conferenza e la crisi nel sud non è stata davvero percepita come una crisi. Il sud avrebbe dovuto essere uno degli assi principali dell'importanza della Conferenza per la gravità della situazione. Non abbiamo avuto spazio per discutere della crisi del Sud di fronte a tutta la comunità internazionale e questa è una mancanza”, afferma ancora il vicepresidente del Consiglio presidenziale. Dal 2011 il Sud della Libia è teatro di una lotta fratricida tra i Tebu e diverse tribù arabe per il controllo delle rotte transfrontaliere attraverso cui transitano merci e bestiame, ma anche migranti, sigarette, droghe ed armi. Il 31 marzo 2017, i capi delle principali tribù della Libia meridionale, gli Awlad Suleiman e i Tebu, alla presenza dei leader Tuareg, avevano firmato a Roma un insperato accordo di riconciliazione, raggiunto grazie all'opera di mediazione della Ong Ara Pacis. Le stesse tribù avevano chiesto all'Italia di farsi garante del patto. Ad oggi, tuttavia, questa promessa non sarebbe stata mantenuta.

Secondo il vicepresidente, la responsabilità della mancata attuazione sul terreno degli accordi di Roma ricade sia sull’Italia che sulle autorità di Tripoli. “Certamente spettava all’Italia e ancora di più al Consiglio presidenziale libico fare molto, ma purtroppo questo non è avvenuto e per questo adesso stiamo attraversando una crisi”, spiega ancora Kajman a “Nova”. “Questo accordo - prosegue il politico libico - è stato un passo avanti importante per la fine degli scontri armati nel sud. Aveva come condizione quello del risarcimento dei danni”. La parte italiana, precisa il vicepresidente, “era rappresentata dall’ex ministro dell’Interno, Marco Minniti” e l'intesa doveva beneficiare, tra le altre cose, del via libera del parlamento italiano. “Il Consiglio presidenziale, dal canto suo, si è astenuto dal pagare il risarcimento danni nonostante l’abbia fatto per altri conflitti locali, come avvenuto per gli al Mashasha, a Bani Walid e di recente a Tawergha. Non sappiamo perché non sia stato fatto altrettanto per il sud, nonostante sia davvero importante riportare la sicurezza in quei luoghi”, denuncia il vicepresidente.

Nonostante gli sforzi di Kajman, i risarcimenti per il sud non sono stati erogati e la situazione di sicurezza appare sempre più precaria, mettendo a dura prova “la pazienza delle tribù che hanno aspettato a lungo questi risarcimenti e garantito la pace”. La parte italiana, secondo il vicepresidente libico, aveva promesso di intervenire sulle tribù danneggiate “con dei progetti di sviluppo per creare posti di lavoro, ma fino ad ora non abbiamo visto niente di tutto questo”. Eppure Libia e Italia proseguono la collaborazione per contrastare l’immigrazione illegale in base all’accordo intergovernativo firmato nel febbraio del 2017. “Abbiamo redatto noi nel nostro ufficio il testo del memorandum di cooperazione e siamo stati attenti a inserire degli articoli sulla protezione dei confini e sullo sviluppo. La parte italiana era d’accordo su questo memorandum. Lo abbiamo preparato nel nostro ufficio ed è stato firmato dal precedente premier italiano (Paolo Gentiloni) e dal nostro presidente Fayez al Sarraj”, precisa Kajman.

“In base a questo accordo - aggiunge il vicepresidente - abbiamo presentato un programma sulla sicurezza per addestrare ed equipaggiare i presidi di frontiera e le pattuglie per la difesa dei confini. Abbiamo presentato programmi di sviluppo complementari per coprire le esigenze di tutte le zone, con progetti di piccola e media dimensione e anche programmi sociali per facilitare il riavvicinamento tra le tribù”. Il vero problema, secondo il vicepresidente, è che tutti questi programmi “non sono stati sostenuti, nonostante le promesse di un budget di 200 milioni di euro come ci era stato assicurato e nonostante siano state sostenute altre regioni della Libia come con l’ospedale militare di Misurata, mentre il piano di difesa dei confini si è limitato a rifornire la Guardia costiera per difendere le coste libiche dai barconi dei migranti”. A quasi due anni dalla firma dell’accordo “il sud non ha visto alcun aiuto o sostegno da parte italiana o del Consiglio di presidenza libico ed è per questo che siamo arrivati all’attuale crisi nel sud”, afferma ancora Kajman.

Quanto alla Conferenza di Palermo, il vicepresidente Kajman ha confermato che il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, aveva chiesto al delegato del generale Khalifa Haftar, comandante dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna) e uomo forte della Cirenaica, di non partecipare alla sessione plenaria finale. “Questo è effettivamente accaduto durante la riunione. Inizialmente era prevista la presenza dei capi delle quattro delegazioni: Consiglio di presidenza, Camera dei rappresentanti, Alto Consiglio di Stato e delegazione di Khalifa Haftar, così come era stato alla Conferenza di Parigi. Erano presenti effettivamente i capi di tre delegazioni mentre era assente l’esponente di Haftar, che ha inviato soltanto un suo consigliere a rappresentarlo. Per questo abbiamo chiesto al consigliere di Haftar di non partecipare e al premier italiano, Giuseppe Conte, di far parlare solo i capi delle delegazioni e di concludere la seduta: questo è ciò che ha fatto”, afferma ancora l’esponente del Consiglio di presidenza di Tripoli, sottolineando come l’accordo politico firmato a Skhirat il 17 dicembre del 2017 sotto l’egida delle Nazioni includa solo tre parti: Consiglio presidenziale, Camera dei rappresentanti e Consiglio di Stato, escludendo pertanto l’Lna.

Il parlamento libico di Tobruk “è venuto meno alle sue responsabilità e ciò ha portato la situazione in Libia a quello che è ora”, accusa Kajman, sottolineando che “se la Camera dei rappresentanti avesse espletato le sue funzioni in base agli accordi di Skhirat, non ci saremmo trovati nella situazione attuale e nei problemi esistenti”. Il vicepresidente libico ha inoltre registrato “un errore” nell’organizzazione della Conferenza di Palermo: “L'incontro che comprendeva tutte le delegazioni (la sessione plenaria) doveva svolgersi prima dell'incontro ristretto che includeva le delegazioni internazionali, e non dopo. Questa riunione a margine ha anticipato la sessione plenaria svuotandola dei suoi contenuti. Questo è stato un errore logistico. Allo stesso tempo, apprezziamo gli sforzi del primo ministro italiano e del governo italiano per tenere questa conferenza e per renderla un successo”. Il riferimento è alla “riunione speciale” a margine dei lavori della conferenza a cui hanno preso parte, oltre al presidente del Consiglio Giuseppe Conte, il premier del Governo di accordo nazionale libico Fayez al Serraj e il generale libico Khalifa Haftar, anche il rappresentante dell’Onu Ghassan Salamé, i presidenti di Egitto e Tunisia, Abdel Fatah Sisi e Beji Caid Essebsi, i primi ministri russo Dimtrij Medvedev e algerino Ahmed Ouyahia, il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk e il ministro francese Jean-Yves Le Drian.

Ai tavoli tecnici di Palermo - passati totalmente in secondo piano sui media mainstream - si sono discussi dossier importanti come la sicurezza e l'economia, i due "pilastri" del nuovo piano dell’iniviato Onu Salamé. Il documento finale della conferenza cita esplicitamente uno dei nodi cruciali della crisi libica: quello delle istituzioni finanziarie, spesso ostaggio dell’attività predatorie delle milizie armate che ne sfruttano i proventi a scapito della popolazione. “Noi come Consiglio presidenziale – spiega Kajman - abbiamo adottato importanti misure di sicurezza e assunto riforme economiche. Queste misure di sicurezza stanno continuando e hanno iniziato a ripristinare l'influenza dell'esercito e delle forze di polizia per ottenere sicurezza. Le riforme economiche sono state positive, hanno dato disponibilità di liquidità, crediti organizzati e accessibili, e le commissioni applicate all'acquisto di valuta estera hanno generato entrate per oltre 2 miliardi di dinari, il che ha contribuito a ridurre il deficit e continuerà a contribuire ai programmi di sviluppo”. Quanto alla crisi del sud, il vicepresidente chiede che i fondi per attuare i progetti di sviluppo vengano sbloccati al più presto: “Siamo ora impegnati in riunioni continue nel mio ufficio con un certo numero di ministri e funzionari che si occupano degli aspetti di sicurezza e assistenza per risolvere la crisi nel sud della Libia. Ci sono degli accordi che abbiamo iniziato ad attuare e avremo bisogno di un budget per l'attuazione di questi progetti”.

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