mercoledì 21 novembre 2018

pc 21 novembre - CHI SI AVVALE DELL'ATTIVISMO DELL'IMPERIALISMO ITALIANO? L'ENI

Profitti e ancora profitti per le multinazionali italiane, in testa l'ENI, ma non solo, anche Fincantieri, la Leonardo, con estensione della presenza dell'imperialismo italiano nel Golfo, in Egitto, il Libia.
Questo sta d'avanti e dietro l'attivismo dell'Italia. La politica "diplomatica" in Libia, per la Libia, i viaggi, incontri negli Emirati Arabi, o in Italia, le rinnovate buone relazioni con l'Egitto hanno dietro il rumore assordante dei soldi, ma anche dell'esercito per proteggere le fonti d'oro di gas, petrolio; in questo i migranti agiscono da carta di scambio. 
Questi fatti mostrano più di tante parole che gli ipocriti proclami di aiuto, attraverso investimenti, ai popoli nei loro paesi, per non lasciarli venire in Italia, in Europa, vogliono dire sempre e solo profitti per l'imperialismo e rafforzamento per i regimi al potere nei paesi del nord Africa, come del Golfo. Non un centesimo di questo luccichio di "oro" va alle condizioni di vita delle popolazioni locali.
La realtà è che più aumentano i profitti delle multinazionali italiane, più si allargano i loro investimenti in questi paesi, più le popolazioni vanno in miseria, e sono costrette dalla fame e dalle guerre ad emigrare.  
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(dalla Stampa) - "L’Eni sbarca in modo massiccio nel Golfo, per la prima volta nella sua storia, e gli accordi strategici con Abu Dhabi si allargano subito all’Egitto e in prospettiva anche al Fezzan, dove l’Italia deve fronteggiare la concorrenza francese. L’intesa con la compagnia di Abu Dhabi, l’Adnoc, uno dei giganti mondiali del settore, prevede una quota del 25 per cento in una mega concessione offshore, la Ghasha, che comprende tre giacimenti e riserve per «trilioni di metri cubi di gas». A regime i pozzi potranno produrre fino a 1,5 miliardi di piedi cubi di gas al giorno e 120 mila barili di condensati ad alto valore.
È un colpo notevole, in una regione che è stata finora territorio di caccia per le compagnie britanniche e americane. E arriva anche a compensare il ritiro forzato dal mercato iraniano, per via delle nuove sanzioni imposte da Donald Trump. Abu Dhabi ha scelto l’azienda italiana perché gli garantiva, prove alla mano, un passaggio rapido dall’esplorazione alla produzione.
Il colpaccio dell’Eni è stato possibile grazie all’exploit in Egitto dove in due anni l’azienda italiana ha permesso al Cairo di mettere a regime il più grande giacimento di gas del Mediterraneo orientale, lo Zohr. Negli stessi giorni Eni ha firmato un accordo con un’altra compagnia emiratina, la Mubadala, per la cessione del 20 per cento della quota Eni nella concessione Nour, al largo del Delta del Nilo in Egitto. L’Eni ha ora una quota dell’85 per cento, il restante 15 è dell’egiziana Egas.

Si formerà così un trio per sfruttare un giacimento più piccolo dello Zohr ma molto promettente, mentre Egitto e Israele hanno firmato un accordo per portare il gas israeliano sulla costa egiziana, dove, a Damietta, c’è un grande impianto di liquefazione dell’Eni che potrebbe diventare un hub per il trasporto verso tutta l’Europa. I nuovi contratti quindi s’iscrivono «in un’intesa strategica che l’Italia sta perseguendo da almeno cinque anni». La sfida nei prossimi decenni, sia nel Golfo che nel Mediterraneo, «sarà quella di proteggere le enormi scoperte fatte di recente».
Lo sbarco dell’Eni nel Golfo ridisegna gli equilibri nell’area, dove di recente ha fatto la sua comparsa anche la Russia. Vladimir Putin si sta aprendo la strada per installare una base militare in Egitto «e forse anche a Tobruk». Di qui la necessità per l’Italia di una alleanza con gli Emirati Arabi, che possono integrare gli investimenti in Egitto, dove hanno un rapporto di ferro con il presidente Abdel Fatah Al-Sisi, mentre in Libia sono fra i principali sponsor del generale Khalifa Haftar, padrone della Cirenaica e di una fetta del Fezzan. Con l’appoggio di Abu Dhabi l’Eni e l’Italia possono riequilibrare i loro rapporti nello scacchiere libico, e contrastare l’espansione francese dal Sud, dove esistono giganteschi giacimenti di gas ancora da esplorare.

Gli accordi firmati ad Abu Dhabi hanno preceduto di pochi giorni la visita del premier italiano Giuseppe Conte, reduce dalla conferenza di Palermo che ha visto un riavvicinamento fra Haftar e il premier libico Fayez al-Serraj. Le tensioni interne ai Paesi del Golfo favoriscono paradossalmente questo processo. Il reciproco interesse è confermato anche da Omar al-Ubaydli, direttore degli Economics and Energy Studies al Centro Derasat, in Bahrein: «I Paesi del Golfo stanno da tempo cercando nuovi partner internazionali, si è parlato tanto di Asia ma c’è spazio per una cooperazione con l’Italia in tutta la regione». L’Eni ha firmato accordi minori in Bahrein ed è in trattative anche con il Qatar. Nel nome dell’energia e non solo".

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