giovedì 25 ottobre 2018

pc 25 ottobre - LA CONDIZIONE OPERAIA - PALERMO: FINCANTIERI E BLUTEC (EX FIAT) - Dall'intervento dello Slai cobas sc di Palermo al coordinamento nazionale Slai cobas del 13 ottobre -


Il proletariato impegnato nel lavoro di fabbrica in Sicilia e in particolare nell’area di Palermo è concentrato in alcuni stabilimenti: a Palermo città lavorano alla Fincantieri; a circa 40 chilometri di distanza, a Termini Imerese, gli operai della Blutec-ex Fiat.

Fincantieri di Palermo 

Fincantieri è un colosso mondiale della costruzione navale con nove stabilimenti in Italia e diversi nel mondo di proprietà, nella sostanza, del governo con 7.500 operai solo in Italia.

E' in continuo sviluppo industriale in tutto il mondo ed espansione/integrazione di altri comparti.
A Palermo lavorano in 430, di cui circa 300 operai e un centinaio di impiegati. Oltre agli operai Fincantieri vengono impegnati in diversi momenti alcune altre centinaia di operai delle ditte appaltatrici che impiegano anche tanti operai stranieri.

Gli operai della Fincantieri in generale sono impegnati in lavori di riparazione e trasformazione di navi. Gli operai Fincantieri veri e propri sono a loro volta impegnati nella carpenteria pesante, saldatura, taglio lamiere ecc., altri con problemi o già anziani sono impiegati nei magazzini.
Gli operai delle ditte appaltatrici fanno invece i lavori peggiori e più pericolosi come per esempio la pulitura delle sentine, saldature nelle parti più inaccessibili delle navi.

Gli operai negli ultimi anni sono stati impegnati soprattutto nella salvaguardia del posto di lavoro. La Fincantieri infatti ha ridotto progressivamente di molto il numero degli operai, di fatto non
sostituendo più chi andava via o per il beneficio amianto e per la pensione, ed ha allargato il perimetro dei lavori dati in appalto.
La lotta per il contratto è stata marginale con qualche ora di sciopero di “routine” mentre quella per il lavoro è stata la più significativa di questi anni
Adesso c’è quella particolare iniziata da un gruppo di operai di una officina – di fatto uno sciopero di mezzora al giorno da circa un anno - a causa del tentativo dell’azienda di imporre lo spostamento della pausa pranzo a fine turno di lavoro, (poi la “concessione” di una pausa di 10 minuti), per il “recupero della produttività”, come dice l’azienda, (il turno normale è di otto ore di lavoro con una pausa pranzo di mezz'ora, tra le 11,30 e le 12, e una pausa caffè di 5 minuti). Quello della produttività è un “argomento” molto usato dall’azienda tanto che non ha voluto pagare il “premio di produttività” che invece è stato pagato a operai di altri stabilimenti.

Gli operai Fincantieri sono per la maggior parte sindacalizzati, iscritti alla Fiom, alla Fim, alla Uilm, la cui “azione” consiste fondamentalmente in comunicati stampa che denunciano la mancanza di commesse, riunioni con la direzione e la gestione di alcune vertenze legali come quella sull’amianto.
Alla Fincantieri c’è una pesante questione sicurezza: a parte la lunga vertenza sull’amianto che ha visto uscire dall’azienda un migliaio di operai e che ha i suoi strascichi per gli ammalati e i morti tra gli operai e i loro parenti – decine ancora le vertenze legali in corso – ci sono le condizioni di lavoro in generale: le condizioni spesso fatiscenti dei bacini di carenaggio, le attrezzature spesso vecchie, i lavori pesanti, le condizioni atmosferiche, l’utilizzo di grandi gru.

Il piano aziendale degli ultimi anni consiste nell’assegnazione di commesse di breve durata legate solo alla riparazione, manutenzione e trasformazione di navi (non più nuove costruzioni da almeno 13 anni), costruzione di strutture per la perforazione petrolifera (off-shore) delle navi, e da poco anche carpenteria pesante intesa come costruzione di ponti in ferro. Ultimamente si sta smantellando anche l’officina dei tubisti, con un carico di lavoro complessivo che diminuisce costantemente, così come il numero degli operai.

All’interno della “vertenza” generale si inseriscono altri “attori” e cioè la Regione Sicilia, che è proprietaria dei bacini di carenaggio e l’Autorità portuale che controlla diverse aree vicine alla Fincantieri che da un lato si lamenta appunto con la Regione per la “mancanza di infrastrutture” e l’impegno delle somme promesse, circa 50 milioni di euro – ma ne servono almeno un centinaio, per la ristrutturazione dei bacini che sono diventati vecchi e pericolosi (completamento di quello da 150mila tonnellate, ristrutturazione di quello da 19mila e allargamento di quello da 52mila a 80mila) e dall’altra è impegnata in incontri con l’Autorità portuale per l’assegnazione di nuove aree.
L’amministratore delegato in persona, Giuseppe Bono, insiste su questo, come ha detto in una dichiarazione di circa un mese fa: “infrastrutture senza le quali Fincantieri non può fare più di quello che fa attualmente”, scaricando di fatto spese per investimenti e relative “responsabilità” su altri.
Il cantiere navale così com’è, comunque, continua a generare profitti. La Fincantieri mantiene inoltre un caposaldo industriale gigante strategico al centro del Mediterraneo.

Alla lotta talvolta molto forte degli operai l’azienda ha risposto con la repressione sia interna con cassa integrazione, lettere di contestazione generalizzate per “assenteismo", che con denunce penali per le ultime manifestazioni davanti il Cantiere (che i sindacati e gli stessi operai tendono a “minimizzare”, non rendendole pubbliche, né costruendoci sopra iniziative); per il controllo operaio c’era stato anche il tentativo di inserire i microchip nelle scarpe, iniziativa per il momento abbandonata.
Lo “spazio di manovra” degli operai della Fincantieri di Palermo che è l’unico vero polmone operaio di produzione industriale della città risiede in alcuni punti di forza: ancora il numero non indifferente, la “rendita di posizione” delle lotte passate che si trascinano un “prestigio” riconosciuto oltre che da tanti altri settori lavorativi anche dalle istituzioni coinvolte, Comune, Regione, cercando di superare l’attuale appiattimento sulle “scelte” dei sindacati confederali neocorporativi che di fatto impongono una divisione tra gli operai.

Sarebbe necessaria una strategia di lotta che, facendo leva sullo “stato di depressione” cui questi sindacati hanno ridotto il cantiere spingesse da un lato, a livello nazionale, per una ripartizione più equa del carico di lavoro tra gli stabilimenti in comune con gli operai degli altri stabilimenti che sono estremamente sovraccarichi, e dall’altro lato “approfittare” della debolezza del padrone nei momenti di produzione, per esempio ritardando il varo di una nave, ecc. che incide molto nel profitto.


Blutec (ex Fiat) Termini Imerse

In fabbrica lavorano 135 operai di cui circa 40 trasformati in “progettisti” dopo un corso di alcuni mesi, impegnati nella progettazione di un nuovo motore elettrico e con un orario 8-16, il resto è impegnato sia nei corsi che nella produzione materiale dei prototipi, e altri compiti, tornieri, piegatori di lamiere, con orario 4+4 (4 ore di “lavoro” e 4 di corso regionale), e altri 2+6, (2 di lavoro e 6 di corso regionale).
Gli operai licenziati il 31 dicembre 2011 sono stati circa 700 Fiat e circa 400 delle Ditte dell’indotto. Adesso il numero di tutti questi operai rimasti fuori dalla fabbrica è di circa 500 ex Fiat e circa 300 indotto (a causa dei pensionamenti, “accompagnamenti” alla pensione ecc.).

Dal 31 dicembre 2011 la fabbrica è stata chiusa ed è rimasta in attesa della riapertura fino a quattro anni fa quando è stata rilevata dalla Blutec del Gruppo Metec/Stola, un’azienda storicamente legata alla Fiat per la quale produce da sempre varie parti che compongono le auto (la cosiddetta componentistica).
In questi 4 anni il piano presentato dalla Blutec che prevedeva la riassunzione di tutti gli operai è stato modificato continuamente e non è mai stato messo in atto realmente.
Quest’ultimo “piano” prevede che operai e impiegati siano al lavoro sul motore elettrico che dovrebbe essere impiantato sul Doblò Fiat prodotto in Turchia (commessa da 6.800 unità che a dire dell’azienda dovrebbe partire a pieno regime da gennaio) e di uno scooter a tre ruote elettrico per le Poste e che è stato presentato qualche mese fa al salone di Torino.
Nella sostanza attualmente gli operai non lavorano a nessuna produzione in serie. Anzi la situazione si è complicata con la revoca da parte del governo delle agevolazioni finanziarie legate al progetto industriale e l’azienda si è messa d’accordo con Invitalia per la restituzione dei primi 20 milioni di euro sugli 80 complessivi. In più in questi giorni l’azienda ha comunicato di aver scorporato gli stabilimenti abruzzesi e lucani.
A causa anche della minaccia della scadenza della cassa integrazione ogni anno (da 7 anni!) e che deve essere rinnovata con la presentazione di un “piano industriale” gli operai sono rimasti legati ai sindacati confederali neocorporativi Fiom, Fim, Uilm ecc.
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Per una possibilità di riapertura della lotta si dovrebbe usare il punto di forza del numero ancora molto grande.
Il quadro generale di questa azienda si può inserire in quello più grande della Fca per la quale la Blutec produce componentistica, ma anche come possibile polo di lancio della produzione dei veicoli elettrici, settore in cui la Fca è veramente indietro rispetto ai concorrenti, è anche per questo che si può riaprire prima di tutto la questione FCA che si deve riprendere in una qualche forma questi lavoratori e/o ne deve garantire il futuro lavorativo.
Per fare passi avanti su questo è necessario che gli operai si autorganizzino per lottare - si colleghino agli operai autorganizzati della FCA presenti negli altri stabilimenti - fuori e contro i sindacati confederali - fuori e contro la ricerca di destini individuali e accettazione della divisione tra operai di serie A e operai di serie B.

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