venerdì 21 settembre 2018

pc 21 settembre - Morti all'Archivio di Stato di Arezzo. Il dolore e lo sgomento di istituzioni e sindacati. Basta con questi (sic) "giornalisti" che parlano di "dolore" e "sgomento" di sindacati, complici, e istituzioni che sono complici di questo sistema che se ne fotte della vita dei lavoratori...

....come scrive Marco Caldiroli di Medicina Democratica, per questa cosidetta informazione, gli omicidi sul lavoro sono un rito
Stamani sono morti due dipendenti dell'Archivio di Stato di Arezzo, deceduti perché intossicati per una fuga di argon, un gas inodore, in un ripostiglio dove erano andati a effettuare un controllo, in seguito all'allarme antincendio.
20/09/2018 di Simone Pitossi
"Ancora una volta dobbiamo piangere dei morti sul lavoro. Ieri un autotrasportatore che lavorava intorno a un'autocisterna a Empoli, stamani due dipendenti dell'Archivio di Stato di Arezzo. Il primo pensiero va naturalmente ai familiari, ai quali esprimo il mio cordoglio e la mia vicinanza". Così ha commentato l'accaduto l'assessore regionale al diritto alla salute Stefania Saccardi. "E' davvero assurdo morire in questo modo - ha aggiunto ancora l'assessore Saccardi - So che è stato disposto il sequestro dell'edificio e che la Procura di Arezzo ha aperto un'inchiesta. 
 Il «rito» della morte sul lavoro
di Marco Caldiroli (*)
Riportiamo un trafiletto di cronaca sull’ennesimo omicidio sul lavoro.
Cremona, tragedia sul lavoro: operaio cade dal tetto di una cascina e muore. Durante i lavori di ristrutturazione: l’uomo, 48 anni, è precipitato da un’altezza di 10 metri, inutili i soccorsi. Tragico incidente sul lavoro a Camisano, nel cremonese. Un operaio di 48 anni di Mozzanica, nella Bergamasca, è morto dopo essere caduto da un tetto della cascina Torrianelli, dove stava lavorando. Nello stabile erano in corso lavori di ristrutturazione. L’operaio è precipitato da un’altezza di circa dieci metri ed è morto prima che arrivassero i soccorsi dall’ospedale maggiore di Crema. Sul posto sono intervenuti i carabinieri per le indagini di rito.
Quello che colpisce è la chiusura del pezzo, nella sua “neutralità” (figuriamoci se il cronista si
interroghi sul come mai un lavoratore cade da una copertura nonostante le prescrizioni sulla sicurezza per lavori del genere siano rigorose e chiarissime) …
«sul posto sono intervenuti i carabinieri per le indagini di rito». Le indagini su un infortunio sarebbero un “rito” quasi a simboleggiare, nel lapsus linguistico, la stanchezza e il “fastidio” di dover svolgere una indagine che va fatta per legge (e ci mancherebbe, davanti a quello che andrebbe sempre rubricato “di default” come omicidio sul lavoro) ma che ci si deve sbrigare a chiudere per passare ad altro. (Dal Devoto Oli, tra i significati di “rito” vi è quello di «conformità con una consuetudine prescritta o una prassi abituale generalmente sentita come inderogabile o inevitabile»). Ma il termine “rito”, in quanto legata anche ai culti religiosi, richiama anche quello di “sacrificio”: è facile, per il lettore distratto che non ha più (se mai l’ha avuta) la forza di indignarsi di fronte a questi eventi, associare l’evento con qualcosa di ineluttabile e, in qualche modo, richiesto dal culto (in questo caso del profitto a scapito della sicurezza). Le parole sono importanti e denotano anche il rispetto che ognuno di noi (a maggior ragione chi scrive su un giornale come su un “social”) deve nei confronti degli altri soprattutto quando sono colpiti da eventi funesti tutt’altro che imprevedibili e più che prevenibili.
(*) ripreso da www.medicinademocratica.org

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