mercoledì 27 giugno 2018

pc 27 giugno - L’Italia non salverà più i migranti in mare. Ecco il documento segreto




Sos e may-day dirottati sulla Guardia costiera libica.
Il nostro Paese non è più Centro responsabile di soccorsi e salvataggio nel Mediterraneo. Ecco perché Salvini può dire che Lifeline “non ha rispettato le regole”. La circolare è stata trasmessa venerdì sera sul canale delle Capitanerie di porto. La prima missione del ministro dell’Interno in Libia: “Assoluta convergenza”. Ma Al Sarraj lo corregge: “I Centri di identificazione” fuori dai confini libici. Si torna dunque al piano Minniti: soldi alla Libia, piano di sviluppo per l’Africa, campi in Niger, Ciad e Mali, corridoi umanitari per chi ha diritto.
La “novità” ...non sono i “Centri di protezione e identificazione” ai confini esterni della
Libia, cioè Niger e Ciad dove l’Italia è attiva da almeno due anni insieme con l’Organizzazione mondiale immigrati (nel 2017 sono stati eseguiti 23 mila accompagnamenti nei paesi di origine). La novità per cui Salvini è una circolare satellitare INMARSAT che da sabato cambia tutte le regole del soccorso nel Mediterraneo. Almeno come le abbiano conosciute dal 2013 a oggi.
da sabato gli Sos e i may day delle navi Ong nel Mediterraneo avranno come coordinatore la Guardia costiera libica. Questo significa che tutte le navi che prestano soccorso nelle acque internazionali Sar (search and rescue) e a ridosso delle acque libiche, a cominciare dalle Ong, e che raccolgono naufraghi-migranti, avranno come primo riferimento le autorità libiche e come “porti sicuri” prima di tutto Tripoli, a seguire Malta e Tunisi. L’Italia, nei fatti, non è più il centro di coordinamento dei soccorsi e non ha più l’onere di dare un porto sicuro alle imbarcazioni. I migranti sappiano che ogni volta che mettono piede su un gommone, 99 su cento torneranno in Libia. “Volevano arretrare la linea a mare dei mezzi navali italiani che prestano soccorso – spiega una fonte qualificata a Tiscalinews – Questa circolare nei fatti ci impone di arretrare”. 
Il documento

Tiscalinews può documentare questa novità grazie al documento allegato. Poche righe, molto tecniche, che hanno bisogno di essere spiegate. Dal 2103, dai tempi della missione Mare Nostrum che poi è diventata Triton e poi Themis (con agenzia Frontex), gli Sos e i may day delle carrette del mare e poi dei gommoni, venivano raccolti dal Maritime rescue coordination center (MRCC) di Roma, il Centro di coordinamento delle capitanerie di
porto. Questo ha fatto sì che, nei fatti, l’Italia abbia avuto in questi anni la titolarità del soccorso e del ricovero delle varie imbarcazioni nei porti italiani. Con la conseguenza che i naufraghi-profughi hanno avuto in questi anni l’Italia come luogo di primo arrivo e, in base alla convenzione di Dublino, la responsabilità delle procedure amministrative di identificazione e di rilascio della richiesta d’asilo è stato tutto in capo all’Italia. Da qui “l’imbuto” nel nostro sistema di accoglienza, con una via d’ingresso certa e una via d’uscita (le procedure durano anni e i rimpatri per quel 70% circa che non ha diritto sono impossibili) assai incerta e costosa.
Un nuovo modello”
Prima l’Aquarius, poi la Lifeline, la nave mercantile Maersk (caso diverso dai precedenti).  In un mese tra palazzo Chigi e il Viminale, Salvini ha cambiato la sua comunicazione sul tema immigrazione-sicurezza. Non parla più di respingimenti (“manderemo via 600 mila irregolari”) ma si è concentrato sulle navi delle ong che prestano soccorso nel Mediterraneo e sui porti contendendo al ministro titolare, Danilo Toninelli (M5s), l’apertura e la chiusura dei porti. L’Aquarius è andata come è andata (è arrivata a Valencia dopo otto giorni di navigazione con a bordo circa 300 naufraghi). La Lifeline è ancora in mezzo al mare con 134 persone e non sa dove andare. “Mai in Italia” ha ripetuto ieri il ministro dando dell’“ignorante nel senso che ignora come stanno le cose” al ministro francese per gli Affari europei Nathalie Loiseau che ha detto che “spetta all’Italia accogliere la Lifeline e il suo carico di naufraghi”. Il punto è che Salvini ha ragione a metà. La Lifeline ha effettuato il soccorso del gommone nelle acque sar mercoledì della scorsa settimana quando ancora era in vigore il vecchio modello in base al quale era il Centro di coordinamento e soccorso di Roma, e dunque Italia, a gestire il salvataggio, il soccorso e l’accoglienza delle persone tratte in salvo a prescindere dal porto di arrivo più sicuro per la messa in sicurezza dei naufraghi. Tra venerdì e sabato le cose sono cambiate. E quindi anche la “giurisdizione” dell’operazione.
Malta e Tunisi “porti sicuri” 
Il nuovo modello, come spiega il documento che vi mostriamo, ribadisce l’obbligo del soccorso ma l’autorità delegata per il coordinamento non è più Roma pensi Tripoli (si indica come Rcc, il rescue coordination center della guardia costiera libica). Da sabato, quindi – dice la circolare inoltrata sul circuito INMARSAT – la prima competenza è della Libia, poi di malta, Tunisi e infine Italia. Si tratta, è stato spiegato, di “istruzioni tecniche- operative” – dunque non un ordine politico, cioè del ministro Toninelli – dovute “ad un fatto nuovo”. Quale? “Una settimana fa sul database di Imo (Organizzazione marittima internazionale, agenzia dell’Onu che regola le regole del traffico marittimo) è comparso un nuovo numero di telefono che è operativo e riferito alla Guardia costiera libica”. Prima quel numero – 002-1821444**** – non esisteva, a significare che la guardia costiera libica non poteva operare. Ora esiste, è stato diramato e significa che Tripoli ha l’autonomia di poter operare per fare i soccorsi. La Lifeline doveva rispettare il vecchio modello o il nuovo? Nel secondo caso, la nave dell’ong sarebbe venuta meno alle regole. Da qui la richiesta di Salvini, ma anche Toninelli, di sequestro del mezzo e arresto dell’equipaggio. 
Un nuovo ordine, comunque, alla Guardia costiera è arrivato ed è di segno molto diverso al passato: i May-day della navi che soccorrono adesso finiscono tutti in Libia dove dovrebbero tornare i migranti raccolti in mare. E’ chiaro che non è lì che vogliono andare. Non è per tornare in Libia che hanno pagato profumatamente il racket.
Il punto è anche un altro. “E’ grazie alle navi militari italiane d’istanza a Tripoli se viene garantito il collegamento radio-telefonico e quindi il coordinamento operativo tra guardie costiere, Italia, navi e Ong” spiega la fonte. Ricapitolando: la richiesta di aiuto sarebbe stata dirottata su Tripoli dove però la struttura tecnica e logistica è, a sua volta, garantita dall’Italia”.
Nave Caprera
Non è un caso che ieri Salvini, nel suo primo viaggio diplomatico con destinazione Libia, abbia visitato la nave militare italiana Caprera, ferma nel porto di Tripoli, e l’equipaggio di 55 persone che stanno formando personale per la guardia costiera libica da circa un anno e mezzo, da quando cioè l’ex ministro Minniti ha riaperto con successo il canale diplomatico con Tripoli riducendo a -75% il numero degli sbarchi. Non è un caso se nell’incontro ieri con il Governo di accordo nazionale libico (GNA) guidato da Fayez Al Sarraj, Salvini ha promesso “la formazione di altri 300 uomini della Guardia costiera libica (213 quelli già operativi, ndr)” e ha annunciato che “prima dell’estate tornerà a Tripoli per consegnare motovedette ed equipaggiamenti militari”.

* da Tiscali News

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