mercoledì 30 maggio 2018

pc 30 maggio - per il dibattito - ALCUNE RIFLESSIONI SUL GOVERNO E SUI "COMUNISTI" ELETTORALISTI

"La riconquista della cosiddetta "sovranità monetaria" non ha un valore "neutro". Gli allontanamenti dai cambi fissi possono funzionare da deflazione salariale tanto quanto lo ha fatto la moneta unica. Soprattutto in presenza di programmi di governo (come quello attuale) che di tutto parlano tranne che del ripristino delle garanzie dei lavoratori, del loro potere d'acquisto, pur concentrando su di loro gran parte del carico fiscale ed assistenziale che graverà dai sussidi di disoccupazione, i quali non sono che un'altra forma di aiuto alle imprese. Sentiamo ciò che scriveva uno dei primi economisti ad aver posto la questione dell'uscita dall'Euro, Emiliano Brancaccio, il quale analizzava dati ed esperienze storiche:
"Guardiamo la storia degli abbandoni dei regimi di cambio fisso dal 1980 ad oggi. Vedremo che i
diversi modi in cui sono stati gestiti hanno determinato effetti diversi sui diversi gruppi sociali coinvolti, in particolare sui lavoratori subordinati. Per esempio, negli anni dell’aggancio al dollaro l’Argentina vide diminuire sia il potere d’acquisto dei salari sia la quota del reddito nazionale spettante ai lavoratori; ma dal 2002, dopo l’abbandono della parità col dollaro, i salari reali e la quota salari (cioè la parte di reddito nazionale spettante ai lavoratori) iniziarono una rapida ascesa. Di contro, negli anni dell’adesione allo SME a banda stretta, l’Italia registrò una crescita del potere d’acquisto dei salari e una costanza della quota salari; ma dal 1992, nei tre anni successivi all’abbandono dello SME, i salari reali subirono una riduzione di quattro punti e mezzo e la quota salari fece registrare una caduta di oltre cinque punti. In definitiva, una eventuale uscita dall’euro solleva un problema salariale, che può essere gestito in vari modi. Per questo sarebbe bene chiarire come si vuole uscire. A mio avviso sarebbe importante ripristinare alcuni meccanismi di tutela dei lavoratori e delle loro retribuzioni, a partire da una nuova scala mobile."
A tutto voler concedere, la questione della riconquista della sovranità economica può non essere centrale per le fasce subalterne se una parte del potere politico non viene posto nelle mani dei lavoratori.
Questione importantissima questa, che rimanda al controllo delle alleanze sociali e delle alleanze politiche, per evitare che le classi subalterne fungano ancora una volta da "supporto elettorale" per i fini di chi le vuole sfruttare. L'indipendenza delle forze politiche autorganizzate di lavoratori, l'esercizio futuro di un diritto di sciopero quale guerra senza quartiere ad ogni sfruttatore potrebbe essere il dato fondamentale per costruire un vero antagonismo politico Non esiste Stato o governo imparziale o che faccia l'arbitro di composizione delle classi. Esiste uno Stato delle classi dominanti, esistono i loro interessi che inoculano nello Stato. Le classi degli sfruttati devono organizzare la propria difesa per conto loro, sennò si rimane schiavi, oppure peggio degli schiavi: si rimane i "diversamente liberi" di un capitalismo più o meno avanzato.
Proprio perchè Paolo Savona non è per nulla Giavazzi, ma non sembra essere nemmeno Emiliano Brancaccio.
E questo vale anche per i movimenti ambientalisti, perchè se ci si fida dei cappelli politici, gli interessi dell'ambiente vengono posposti agli interessi dell'alleanza politica. Chi ha messo in gioco la propria vita per combattere il Tav, il terzo valico, il Tap, la politica degli inceneritori, se ne è già accorto.
Indipendenza è dignità, ma è anche la migliore assicurazione contro le truffe."

di Enzo Pellegrin

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