sabato 19 maggio 2018

pc 19 maggio - UN'INTERVISTA AL PROF. DI MARCO SUL FILM "IL GIOVANE KARL MARX"

Intervista al filosofo Giuseppe Di Marco, tra i ragazzi dei collettivi e gruppi di
operai: «Film riuscito, mostra l’attualità del suo pensiero»

  • Corriere del Mezzogiorno (Campania) - di Mirella Armiero
«Il Giovane Marx? Un bel film. Fedele. I veri protagonisti, com’è giusto che sia, sono i lavoratori. Ho apprezzato molto le imponenti inquadrature delle enormi fabbriche. Oggi poi delle lotte di classe si parla sempre di meno».
Giuseppe Di Marco insegna Filosofia della storia alla Federico II e nel suo programma di esame non mancano mai gli scritti del pensatore tedesco di cui quest’anno cade il bicentenario della nascita. Di Marco non ha certo timore di dichiararsi marxista convinto, senza ripensamenti. Al cinema ci è andato con i ragazzi dei collettivi napoletani, commentando poi il film con loro e con alcune operaie di Palermo. In effetti la pellicola dell’haitiano Raoul Peck in alcuni ambienti è diventata un piccolo caso. Il Marx raccontato nel film è quello dell’incontro con Engels e della stesura del Manifesto, alla vigilia dei moti rivoluzionari in Europa.
Professore, è un film riuscito?
«È piaciuto sia a me sia ai gruppi che l’hanno visto con me. Una delle operaie di Palermo ha scritto sul suo blog: da vedere cento, mille volte, un grande uomo che si mette al servizio dei proletari
per cambiare le cose. Un’altra ha sottolineato come sia centrale nel film la questione del lavoro femminile e minorile. Due spettatrici speciali che hanno colto due punti essenziali del film. Anch’io ritengo che l’aspetto dello sfruttamento femminile sia molto importante, ancora oggi i problemi di genere non si possono risolvere se non si risolvono prima i problemi del lavoro salariato. E poi c’è un altro punto».
Quale?
«Il regista ha messo in luce in modo molto netto l’antagonismo tra borghesia e proletariato».
Professore, ma non sono categorie superate?
«Assolutamente no, è una sciocchezza dire che oggi non esistono più le classi. Le classi ci sono perché esiste ancora lo sfruttamento del lavoro altrui. Certo, gli operai hanno forme di presenza e di protesta diverse. Ma non è vero che non lottano. Basti pensare alle questioni francesi di questi giorni o agli studenti. Del resto Marx lo ha spiegato bene: il capitalismo è una forma di società in contraddizione con se stessa e dunque destinata a finire».
Filologicamente il film è corretto?
«Sì, ci sono solo qualche piccola forzatura e modernizzazione, ma è normale. Ad esempio è dato molto spazio al rapporto tra Engels e il padre, ma anche quello tra Marx e suo padre era importante».
Il film si apre sulla scena dei furti di legna, uno dei primi temi trattati da Marx, di cui oggi si torna a parlare.
«Quella scena rimarca la divaricazione tra proprietà comune e proprietà privata. Oggi il tema dei beni comuni è molto sentito e non a caso ha suscitato l’interesse dei ragazzi dei collettivi, mentre i lavoratori sono stati più attenti ai problemi della fabbrica. In realtà da tempo si discute del fatto che beni come acqua o terra non possono essere ridotti a merce. La lotta contro i rifiuti, in difesa del territorio, è una lotta sul carattere comune di certi beni. Il capitalismo può privatizzare tutto, perfino le emozioni come accade su Facebook, ma alcune cose possono essere amministrate solo in comune. È una questione di enorme rilievo e dimostra l’attualità del pensiero di Marx».
Quindi è la parte sulla fabbrica quella meno attuale?
«No, perché la fabbrica resta ancora oggi al centro del processo di produzione. Anche le grandi reti o i call center sono fabbriche, sebbene di beni immateriali. Anzi, per me è improprio parlare di epoca post-industriale, perché si tratta comunque di industrie. Ed è valido il messaggio di Marx: tutti dovrebbero lavorare, ma di meno. Le macchine dovrebbero ridurre il tempo di lavoro individuale, invece di servire al capitalismo per fare profitto».
Come vede la situazione politica attuale un marxista convinto come lei?
«Le rivoluzioni proletarie fanno continuamente autocritica. Abbattono il nemico ma poi lo fanno crescere, per rinforzare se stesse. È un processo collettivo, lo stesso che porta gli operai a votare i programmi reazionari dei 5 Stelle».

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