giovedì 17 maggio 2018

pc 17 maggio - Caso Uva, ribaltato il processo in appello: chiesti 89 anni di carcere per gli sbirri assassini

Nella notte del 14 giugno 2008. Giuseppe Uva viene arrestato, nel centro storico di Varese, con un amico, ubriaco, sta facendo schiamazzi e spostando delle transenne in mezzo alla strada. Intralcio al decoro. Di quell’arresto non c’è verbale, un sequestro annunciata dalla frase di due dei carabinieri che effettuano il “fermo” dicendo “proprio te stavo cercando questa non te la faccio passare”. Preparano la vendetta contro un personaggio fuori dalle righe, un rompiballe, che, in più, si vanta di avere una storia con la moglie di un carabiniere. In caserma l’amico fermato con Giuseppe lo sento urlare, chiama l’ambulanza “lo stanno massacrando”, i carabinieri levano i cellulari e rassicurano i medici, non sta succedendo niente. Alle 4 li richiamano per un TSO. La mattina Giuseppe muore in ospedale. 
Nonostante il corpo sia pieno di ferite il PM non vuole nemmeno procedere, si rifiuta di indagare sul come e perché è morto Giuseppe Uva. Soltanto grazie a una lunga battaglia per chiedere verità e giustizia della famiglia  la storia non finisce nel dimenticatoio degli abusi di polizia. Il processo comunque non va molto lontano, il giudice non ne vuole sapere, tutti assolti gli “angeli in divisa”. 
Ieri, a sorpresa, c’è stato invece un importante ribaltamento dell’andamento processuale. Durante l’appello il procuratore capo di Milano ha deciso di procedere per omicidio preterintenzionale e sequestro di persona aggravato chiedendo 13 anni di reclusione per i due carabinieri che effettuarono il fermo, i CC Stefano Dal Bosco e Paolo Righetto, e 10 anni e 6 mesi per i sei agenti di polizia.

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