giovedì 30 novembre 2017

pc 30 novembre - Università e guerra. Una assemblea nazionale a Bologna - note per il dibattito


Anche se le trattative riguardanti la costruzione di un Esercito Europeo in questi anni si sono svolte nel completo silenzio dei media e nella riservatezza delle stanze dei bottoni ormai non è più un segreto, è stato messo a bilancio. Le cifre sono poco chiare ma l’Action Plan presentato dalla commissione nel 2016 per il bilancio quinquennale 2017-2021 parlava di 25 milioni di euro da dedicare esclusivamente alla ricerca in campo bellico e di ben 3.5 miliardi da investire su progetti militari congiunti.
Ma cos’è l’Esercito Europeo? Esso nasce sostanzialmente dalla necessità che ha l’UE di rispondere in maniera compatta alle spinte inter-imperialistiche risultanti del nuovo assetto globale. Lo stesso Junker ha affermato:
-“Un esercito come questo ci aiuterebbe a coordinare meglio le nostre politiche estere e di difesa, e di adottarle collettivamente su responsabilità dell’Europa nel mondo”.
-Inoltre con un esercito comune dell’UE, il blocco potrebbe “reagire in modo più credibile alla minaccia alla pace in uno Stato membro o in uno Stato vicino”.
La formazione di tale organismo non è lineare, infatti, bisogna considerare che
storicamente gli stati appartenenti all’UE sono anche membri della NATO. Ed è ovvio pensare che le due strutture possono essere considerate equivalenti. Tuttavia dopo l’elezione di Trump sia da parte del presidente degli USA che dei rappresentanti europei sono state fatte delle dichiarazioni che sciolgono ogni dubbio. Da una parte Trump mette in discussione l’art. 5 del trattato atlantico. Articolo in cui si afferma l’impegno della NATO alla difesa collettiva e all’assistenza militare dei partner coinvolti in un conflitto, soprattutto in relazione al fatto che tra gli stati europei, pur avendo formalmente accettato di destinare il 2% del PIL alla NATO, solo in 5 hanno rispettato l’accordo. D’altro canto è sempre Junker a dire: “gli americani, ai quali dobbiamo tanto, a lungo termine non garantiranno la sicurezza europea. Dobbiamo farlo da soli. Ecco perché abbiamo bisogno di un nuovo slancio nel campo della difesa europea, con l’obiettivo di creare un esercito europeo”. Allo stesso tempo, di là dalle dichiarazioni di Trump, il segretario generale della NATO afferma che con l’E.E. ci dovrà essere piena complementarità e soprattutto i due “sistemi di difesa” non dovranno avere duplicazioni sul terreno militare reale. A conferma del fatto che nessuno mollerà l’osso facilmente. Anche all’interno della stessa UE ci sono spinte a favore dell’E.E. e spinte a favore della NATO. L’esercito europeo è fortemente voluto dai paesi più rilevanti dell’unione, ovvero la Germania, la Francia, l’Italia ma anche la Spagna. Mentre, soprattutto la Polonia e i paesi baltici (anche in funzione antirussa) tenderebbero a rafforzare la NATO piuttosto che spendere soldi pubblici per finanziare l’esercito europeo. La Gran Bretagna con la brexit ha potuto chiarire meglio la sua contrarietà a proposito, preoccupata di perdere quella posizione vantaggiosa che le ha permesso per anni di fare da ponte tra USA e stati europei. Queste contraddizioni rientrano pienamente all’interno della competitività capitalistica, alla fine saranno i rapporti di forza (che si esprimono in prima battuta economicamente) a decidere la direzione verso la quale si andrà.
Sul piano ideologico la formazione di questo strumento di guerra è giustificata da:
-Terrorismo in medio oriente;
-Controllo delle frontiere assediate da profughi;
-Minaccia Russa.
Temi all’ordine del giorno su ogni giornale in maniera che si possa creare consenso popolare intorno al progetto dell’E.E.
Mentre sul piano meramente strutturale è chiaro che l’U.E. si sta proponendo sempre più come polo indipendente dagli Stati Uniti, è per questa ragione che ha bisogno di un sistema difensivo altrettanto indipendente e libero di agire in maniera tale che si salvaguardino gli interessi europei, senza cedimenti a potenziali competitor.
Con tutte le contraddizioni, le accelerazioni e le frenate che subisce questo progetto, ormai è diventato una realtà che anche le università che frequentiamo si trovano ad affrontare. Tanto reale che sono stati espressi chiaramente i punti sui quali la ricerca deve concentrarsi, ovvero:
-Rifornimento aerei da caccia in volo;
-Sistema di droni europeo;
-Generazioni di satelliti uso bellico;
-Difesa cyber spazio;
-Produzione di Nitruro di Gallio (per la costruzione di nuovi sensori ad uso bellico);
-Fibre tessili intelligenti per le nuove tute dei militari sul fronte.
Più gli atenei saranno aderenti a questi punti e più potranno beneficiare dei fondi europei. A tal proposito ci avvaliamo dello studio pubblicato sul blog di Antonio Mazzeo “Università del nord Italia e principali progetti con forze armate italiane, USA e NATO e con il complesso militare industriale”. Per quanto limitato alle università del Nord Italia, che sono comunque quelle più proiettate a livello internazionale, ci sembra descriva bene la situazione e soprattutto mostri come i progetti universitari corrispondano esattamente ai punti precedentemente definiti.
Infatti, se al Politecnico di Milano con i progetti Horizon2020 e Clean Sky2 si studiano sistemi innovativi di aeromobili capaci di decollare come elicotteri e volare come aerei, mentre sull’IEEE si pubblicano importanti articoli sul monitoraggio da parte dei droni dei sistemi fotovoltaici, droni che ovviamente potranno monitorare qualsiasi altra cosa. Alla Cattolica si organizzano visite al quartier generale della NATO in Europa, e si studia, nei quaderni di Scienze politiche, “L’evoluzione militare della NATO alla luce del nuovo Concetto Strategico”.
Al Politecnico di Torino con TORSEC (operativo ormai da 20 anni), Secured ma anche grazie al Narus Cyber Innovation Center si approfondiscono i temi della cyber security. Questo ateneo è molto attivo anche per quanto riguarda la formazione scientifica dei militari, la protezione delle fonti energetiche (ricordiamo che il sistema energetico è da anni unico e indivisibile su scala continentale) e la ricerca nel campo aereospaziale. E se è il Politecnico ad occuparsi della formazione scientifica dei militari, per quanto riguarda la parte giuridico – amministrativa è l’Università di Torino che se ne occupa, ateneo questo che nel 2009 inaugura la SUISS prima scuola direttamente collegata al Ministero della difesa. A Torino non c’è solo formazione teorica, nell’aprile del 2016 gli studenti dall’Interregional Crime and Justice Research Institure partecipano all’esercitazione Safe Endeavour dello Stato Maggiore dell’Esercito. Mentre nell’anno accademico 2017-2018 si moltiplicano corsi di laurea e i Master del tipo “Laurea in Scienze Strategiche e della Sicurezza” dedicati ovviamente ai militari. L’ateneo è anche molto attento alla condizione sociale dei militi-studenti tanto da proporre addirittura il “Military Erasmus”, non sia mai che si sentano esclusi dai loro coetanei.
Anche a Bologna la formazione militare è molto pratica e puntuale, tanto che nella sede di Scienze Politiche di Forlì in questi giorni si organizzano convegni come “Vincere la pace. L’integrazione europea e la stabilizzazione post bellica”, o la Simulazione di gestione di una crisi internazionale – NATO Model Event. Nell’ateneo bolognese oltre alle iniziative di questi giorni si aggiungono l’evento dello scorso giugno dal nome “Scoprire le applicazioni dei velivoli pilotati da remoto” del corso di laurea d’ingegneria aerospaziale e il workshop “The NATO-Unibo Summer Workshop and Nato Model Event 2016”.
A Urbino la collaborazione tra università e forze dell’ordine è talmente reale che il 17 Novembre gli studenti l’hanno provato sulla loro pelle, vedendosi escludere l’accesso agli spazi della loro sede universitaria in occasione dell’ennesima cerimonia in favore delle FFOO. Nulla da invidiare hanno le università di Bolzano, Reggio Emilia, Modena, Pavia, Genova, sono tutte ben consapevoli dei punti strategici sui quali concentrarsi e non mancano gli appuntamenti importanti.
Tutto ciò s’inquadra nel progetto di ridefinizione del sistema formativo italiano; la scienza, la filosofia, la tecnica e le arti non sono affatto neutre, ma servono gli interessi di chi ci governa e per questo sempre più si portano avanti tematiche come la guerra anche nei nostri atenei, i quali andranno esattamente di pari passo alle evoluzioni o alle involuzioni che la nostra società sta subendo. È chiara l’importanza che assumono quelle realtà come SCT (Studenti contro il Technion, progetto di collaborazione sullo sviluppo di tecnologie militari tra l’Università di Torino e quella di Haifa in Israele) che si oppongono alla deriva intrapresa dalla nostre università, come è necessaria l’attività sul piano politico ed ideologico degli studenti. Altrimenti il rischio è di essere immersi in un meccanismo del quale non si è neppure consapevoli.
da NOI restiamo- Contropiano

Nessun commento:

Posta un commento