sabato 15 luglio 2017

pc 15 luglio - Egitto come Italia: attacco al diritto di sciopero



Egitto, i lavoratori pagano pesantemente il prezzo dell’austerity
In Egitto, pochi giorni fa la procura ha accusato di istigazione allo sciopero quattro operai della National Cement Company per una protesta durata appena 12 ore. I lavoratori chiedevano una maggiorazione degli stipendi per far fronte al rincaro generale dei prezzi, a seguito degli aumenti del costo dei carburanti. Mohammed al Badawi, presidente della rappresentanza sindacale dello stabilimento ha reso noto che i quattro operai sono lavoratori precari assunti da una compagnia danese di lavoro interinale impiegati nel packaging.
“Gli operai chiedevano un aumento degli stipendi dopo il recente rincaro dei prezzi, ma la società ha preteso che prima di qualsiasi negoziazione rientrassero al lavoro” ha aggiunto Al Badawi. Di fronte al no dei lavoratori – entrati in sciopero per 12 ore – la compagnia li ha denunciati. Amr Mohammed, avvocato dell’ Arab Network for Human Rights, ha fatto sapere che la procura ha disposto la custodia cautelare di quindici giorni per uno di loro, Waleed Ragab, in attesta delle indagini. Gli altri tre lavoratori restano indagati. Inoltre, finora l’avvocato non è riuscito a ottenere tutta la documentazione dal tribunale riguardante le accuse. La vicenda dei quattro lavoratori della National Cement segue una catena di vertenze operaie che si sono intensificate in modo significativo dopo il maggio 2016, in coincidenza con le riforme economiche che hanno portato ad aumenti generalizzati dei prezzi, mentre gli stipendi stagnavano. Il 24 maggio 2016 ventisei operai dei cantieri navali di Alessandria sono finiti sotto processo militare per aver rivendicato un miglioramento delle condizioni economiche.
Quattordici di loro sono rimasti detenuti per oltre tre mesi. Anche in questo caso, l’accusa era di istigazione allo sciopero. Con la stessa imputazione, il 26 settembre scorso, le forze di sicurezza hanno arrestato sei lavoratori dei trasporti pubblici che chiedevano il pagamento di bonus arretrati: la loro detenzione è durata circa quattro mesi. A un mese dalla liberalizzazione del tasso di cambio della Lira egiziana (in seguito alla quale sono seguiti aumenti di prezzi per tutti i beni essenziali) le forze di sicurezza hanno arrestato due lavoratori dell’Abyek Cement a Ein Sokhna e altri due presso la Suez Company. Le loro rivendicazioni riguardavano in entrambi i casi un aumento salariale. La procura ne ha poi ordinato il rilascio dopo due giorni. Ed è stata ancora una volta l’accusa di “istigazione allo sciopero” a portare in tribunale diciannove operai della IFFCO Oils Company di Suez, agli inizi di febbraio, dopo che il loro presidio era stato caricato e disperso. La mobilitazione era nata intorno alla richiesta di ottenere un extra per far fronte al rincaro generale dei prezzi. I giudici hanno riconosciuto l’innocenza dei lavoratori, ma ciò non ha impedito che la ditta li licenziasse. Una vicenda simile è avvenuta anche più recentemente, nell’aprile 2017, quando le forze di sicurezza hanno arrestato diciassette lavoratori della compagnia di telecomunicazioni Etisalat. Gli arresti sono arrivati in diversi luoghi e momenti, dopo che alcuni di loro avevano manifestato davanti alla sede centrale per circa mezz’ora chiedendo un adeguamento degli stipendi all’inflazione. La procura della National Security li ha successivamente rilasciati tutti. Neanche un mese dopo, a fine maggio, la polizia ha arrestato trentadue addetti alla sicurezza del cementificio di Torah, dopo un presidio di protesta durato circa cinquanta giorni. Rivendicavano l’applicazione di una sentenza dello scorso anno che stabiliva l’obbligo per l’azienda di equiparare trattamento economico e assunzioni a quelle di tutti gli altri lavoratori. Secondo Kamal Abbas, membro del Consiglio nazionale per i Diritti Umani e coordinatore generale del Centro per i servizi sindacali e operai, per continuare ad attuare le riforme imposte dal FMI il regime non può fare a meno di imporre una stretta securitaria a tutti i lavoratori. E aggiunge Abbas parlando a Masr al Arabiyya: “Gli analisti continuano a chiedersi cosa faranno i lavoratori di fronte a questi rincari senza precedenti e alla repressione che colpisce chiunque rivendichi miglioramenti salariali. Non sembrano esserci svolte all’orizzonte, solo altre riforme”. Secondo Abbas anche gli aumenti ottenuti recentemente da alcuni operai e impiegati non saranno affatto sufficienti a far fronte al carovita. E aggiunge: “in questa situazione possono verificarsi esplosioni incontrollate di rabbia da parte dei cittadini, anche se nessuno può dire come e quando”. Soprattutto in mancanza di organizzazioni, sindacati e partiti, si potrebbero avere tumulti disordinati, che andrebbero incontro alla repressione certa. L’avvio delle riforme economiche è coinciso con la liberalizzazione del cambio il 3 novembre scorso, attuata in ossequio alla condizioni imposte dal Fondo Monetario Internazionale per la concessione di un prestito da 12 miliardi di dollari, da sborsare in tre tranches. L’Egitto ha ottenuto la prima fetta lo scorso novembre. Poi, due settimane fa il governo ha deciso di alzare il prezzo dei carburanti, per la seconda volta in meno di un anno (il primo aumento si era verificato dopo l’oscillazione dei cambi). I prezzi sono saliti vertiginosamente in questi mesi: la benzina a 92 ottani è passata da 350 centesimi a 5 lire, quella a 80 ottani da 325 cent a 3.65, e un litro di gas da 235 centesimi a 3,65 lire. Il gasolio usato nell’industria alimentare è aumentato da 1500 a 2000 lire, quello per i cementifici da 2500 a 2700 a tonnellata, così come per l’industria dei mattoni e altri settori. Secondo le previsioni del governo queste misure porteranno ad alzare il tasso di inflazione del 5% circa (con un aumento dei prezzi delle merci del 3,7%) rispetto a un’inflazione che secondo l’agenzia egiziana per le statistiche ad aprile ha toccato il 32,9%.
*Traduzione e editing a cura di Focus MiddleEast per il blog https://therobin16.wordpress.com/

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