sabato 3 giugno 2017

pc 3 giugno - G7 Taormina - editoriale 6 - ultimo - speciale proletari comunisti

Il G7 dei grandi è fallito, l'anti/G7 dei “piccoli” è sostanzialmente riuscito. Questo è il giudizio di fondo da cui bisogna partire, se si vuol dare una valutazione serena e precisa su quello che è avvenuto nell'asse Taormina-Giardini Naxos.
La nostra parola d'ordine, che sin dal primo momento abbiamo portato in tutte le forme e in tutti i luoghi in cui siamo riusciti ad essere, è stata “rompiamo la vetrina dell'imperialismo”. Una parola d'ordine elaborata nella linea generale di proletari comunisti dai compagni di Palermo che avevano un ruolo di trincea rispetto a questa mobilitazione. E questo è avvenuto, come lo stesso comunicato finale, che pubblichiamo, degli organizzatori del corteo ha rilevato.
Per essere sereni, la prima rottura l'ha prodotta lo Stato imperialista italiano che in maniera un po' strumentale, ma anche prendendolo sul serio, ha scatenato la più clamorosa, finora, campagna di criminalizzazione preventiva a cui il nostro paese abbia assistito – ricordando in tante forme quelle del famigerato G8 del 2001 a Genova, solo che qui la prevenzione è stata molto più determinata da parte dello Stato, perchè si è concentrata nel voler impedire la realizzazione di ogni manifestazione, anche la più innocua e di impedire l'arrivo materiale alla manifestazione.
In questa maniera, lo Stato imperialista non ha fatto altro che auto affermare che il G7 era una fortezza assediata, che i 7 erano davvero 7, che bisognava preservare anche da una scritta o da una protesta simbolica. Sono arrivati quindi a sequestrare Taormina e i Giardini Naxos e a mettere i loro check point sin dalla Calabria.

Ma, come dice Marx, quando il potere borghese vede in ogni stormir di fronda un pericolo, allora ogni stormir di fronda diventa un pericolo.
Tenacemente l'opposizione al G7, quella sul territorio e quella che dalle altre città l'ha sostenuta, ha resistito e ha reagito, in questa condizione in certi momenti allucinante – a Taormina non si poteva entrare, anzi gli stessi abitanti dovevano o uscire o considerarsi 'prigionieri in casa', ai Giardini Naxos il sindaco ha ordinato di chiudere tutto, quasi a voler desertificare la città e prendere per fame i manifestanti considerati tout court “terroristi”, “sfascia vetrine” (uno slogan ironico gridato da gruppi di giovani diceva: “ci credevate terroristi siam meglio dei turisti” - ed è arrivata a migliaia ai Giardini Naxos, superando controlli, posti di blocco e ogni tipo di intimidazione. E si è presa prima il concentramento, in un clima di allegria, combattivo, ognuno che arrivava veniva accolto dall'entusiasmo e portava entusiasmo, il concentramento si è riempito di rosso e i manifestanti si sono fusi comunque in un tutt'uno, aspettando che i compagni fermati arrivassero; poi ha dato vita a quel lungo serpentone che si è ripreso Giardini Naxos e che ha chiamato la popolazione a partecipare dai lati, dai balconbi, entrando nel corteo, esprimendo in tutti i microfoni che gli venivano posti dallo sterminato esercito di giornalisti, operatori, fotografi, tutta la propria solidarietà ai manifestanti e tutta la propria denuncia, per mille e svariati motivi, del G7, dei sindaci, dei politici e di tutta l'oscena accozzaglia che da Roma a Giardini aveva vessato, violentato, imperversato fino alla manifestazione.

E così a Giardini i 7 sono diventati ridicoli, impegnati a scannarsi di parole, mentre le grottesche mogli davano tutta l'immagine della “Grande bellezza” Sorrentino style.
Mentre il corteo strada facendo guadagnava entusiasmo, il camion alla testa fondeva bene musica, slogan e un'infinità di interventi, ognuno dei quali aggiungeva una parola di denuncia, portava la sua lotta e si armonizzava.

In questo spiccava il contingente maoista, che con striscioni e parole d'ordini portati da una fusione proletaria, femminista, rivoluzionaria, dava il senso di questa manifestazione,
Era del tutto naturale che questo corteo non potesse, non si dovesse fermare laddove la sbirraglia di Minniti lo voleva bloccato, e che comunque una parte della manifestazione, quella più viva, quella più determinata e anche, permetteteci di dire, quella più organizzata allo scopo, mentalmente attrezzata, non ci stesse a non dare un segnale che i divieti non vanno accettati ma vanno sfidati con coraggio e autodeterminazione, facendo il passo necessario perchè si restasse comunque avanguardia di tutta la manifestazione, perchè tutti vi hanno partecipato allo scopo di rendere forte l'opposizione.
Certo che l'ultima sfida è quella che segna il tempo, perchè non è solo una conclusione, ma un'indicazione su come combattere lo stato di cose esistente nel tempo del fascio-imperialismo, da Trump a Minniti, il segno del tempo che loro hanno torto e noi ragione, e che è necessaria la forza per affermare le ragioni e i diritti dei proletari, dei popoli, da Taormina al Medio Oriente, all'America Latina, dal cuore dei paesi imperialisti alla Turchia, all'India, ecc.

Un altro mondo è possibile! Oggi più che mai dobbiamo fare nostra questa parola d'ordine. E dall'arma della critica di questo mondo, impugnata a Giardini Naxos, così esemplarmente rappresentato dal G7 di Taormina, occorre passare alla critica delle armi impugnata dai proletari e dalle masse.

ANCHE QUESTO E' POSSIBILE E NECESSARIO ED E' SCIENTIFICAMENTE INEVITABILE!

NOTA AGGIUNTIVA
Noi l'abbiamo detto fin dall'inizio: chi nel nostro campo non è venuto è un opportunista di destra o al massimo un opportunista di sinistra. La sfida di Taormina andava accettata. Nessuno può giustificarsi né con le lotte che vi erano nel proprio territorio né per il fatto di aver partecipato al proprio piccolo “Vertice” in casa.
Ma come, compagni, il G7, lo Stato, Minniti ci sfida e noi rispondiamo: “ma quante glien'è abbiamo dette!” - come nella scenetta di Totò?
Certo Taormina è lontana, portare in quelle condizioni compagni, proletari è difficile, costoso. Ma era quello da fare. I compagni siciliani e i compagni che si sono organizzati per andarci non potevano essere lasciati soli. Non esiste che quando c'è la propria lotta, , si chiami a raccolta, e quando la sfida è difficile e complessa, quando c'è il conflitto che non sia il proprio, si diserta.
E che una diserzione opportunista sia stata è chiaramente evidenziata dal fatto che nella maggiorparte dei casi non ci si è posti neanche l'idea di esserci, si è dato per scontato che non si poteva esserci.
Pensate se da tutte le città avessimo provato, in centinaia in qualche occasione in decine in altre, ad esserci, quante sfide avremmo portato e affrontato insieme su tutto il territorio nazionale e dove sarebbe finito il piano Minniti, bersagliato nei fatti in ogni territorio del nostro paese. Non è stato fatto per pochezza politica e opportunismo pratico. E per varie realtà per paura della repressione.
Chi a Taormina ci voleva andare ci è arrivato, e questo lo possono testimoniare alcune centinaia di compagni che dalle altre città non siciliane c'erano.
Un velo pietoso va steso verso quei compagni inclini al verbalismo rivoluzionario, al lancio di campagne ma che poi in occasioni come queste non li trovi.
Abbiamo imparato a conoscere in questi anni a volte pacifisti coerenti che non demordono, sia pur nei limiti della loro concezione e visione; questi meritano più rispetto di numerosi antagonisti e rivoluzionari a parole.

A Taormina non si partecipa per delega, non si manda come “messo imperiale” il proprio rappresentante a parlare, come alcuni sindacati di base e associazioni hanno fatto, non si strilla “sciopero generale” e poi non si organizza una rappresentanza reale di lavoratori.
Onore a chi c'era, vergogna per chi non c'era. Tutto il resto sono parole.

Infine, compagni, e questo vale anche per chi alla manifestazione c'era, i comunisti e i partiti comunisti non sono quelli della domenica che col vestito buono si presentano imbandierati alle manifestazioni; le bandiere rosse ci vogliono ma devono essere usate come “armi” laddove il conflitto si accende, laddove hanno ragione di stare, di rappresentare la rottura, la ribellione, la prospettiva della rivoluzione.
Allora, per cortesia, non si gridano parole roboanti quando il tutto ha il solo fine di esistere sulla “scheda”. 

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