lunedì 8 maggio 2017

pc 8 maggio - "LA SOVRAPPRODUZIONE E' L'ESPRESSIONE STESSA DELLA CRISI CAPITALISTA... NON NE E' LA CAUSA" - Da un utile scritto di Michael Roberts pubblicato su www.resistenze.org

Sovrapproduzione e crisi capitalistica

Michael Roberts
27/04/2017

Ho ricevuto recentemente alcune mail che mi chiedevano se la Grande Recessione in cui siamo appena passati (e le precedenti recessioni economiche) è stata causata dalla sovrapproduzione oppure dalla caduta del tasso di profitto...


La sovrapproduzione avviene quando i capitalisti producono troppo in proporzione alla domanda di beni e servizi. Ciò comporta che i capitalisti accumulino scorte di beni che non possono vendere, essi hanno impianti con troppa capacità produttiva rispetto alla domanda e hanno troppi lavoratori rispetto a quelli di cui han bisogno. Per tali motivi chiudono gli impianti, tagliano la forza lavoro arrivando persino a chiudere e liquidare l'attività produttiva. Questa è una crisi capitalista.
La sovrapproduzione è l'espressione stessa della crisi capitalistica. Prima del capitalismo, le crisi erano di sottoproduzione (ossia carestia o scarsità di beni). Ma dire che la sovrapproduzione è la forma che assume una crisi capitalistica non è dire che la sovrapproduzione è la causa della crisi. Se fosse la causa, allora il capitalismo sarebbe in crollo permanente, perché i lavoratori non sarebbero mai in grado di riacquistare tutti i beni che producono. Dopo tutto, la differenza tra ciò che i lavoratori ricevono in salario e il prezzo dei beni o dei servizi che producono e che vengono venduti dai capitalisti non è altro che il profitto. Per definizione, i lavoratori non possono disporre di questo valore per spendere, ma rimane nelle mani dei proprietari capitalisti.

Marx criticò in modo sorprendente quegli economisti capitalisti che sostenevano che non ci può mai
essere crisi di sovrapproduzione perché ogni vendita che il capitalista realizza significa che ci sarà un acquirente. Come ha detto Marx, che ci sia un acquirente per ogni venditore è una tautologia, la definizione stessa dello scambio. Di sicuro "nessuno può vendere senza che un altro comperi" [Marx, Il Capitale, Editori Riuniti, Roma, 1974, Libro I*, pg. 146]. Il denaro ricavato da una vendita può essere accumulato (risparmiato) e non utilizzato per acquistare. Questo solo aumenta le possibilità di sovrapproduzione e di crisi.

Ma la possibilità della crisi nel processo di scambio capitalistico per mezzo del denaro non significa che accada e non fornisce alcuna spiegazione sul quando e sul come. Così Marx andò oltre e spiegò che ciò che farà decidere i capitalisti se fare acquisti per investire in un impianto o in nuova tecnologia e per acquistare forza lavoro per la produzione è la redditività di tali azioni. "Il saggio del profitto costituisce la forza motrice della produzione capitalistica: viene prodotto solo quello che può essere prodotto con profitto, e nella misura in cui tale profitto può essere ottenuto" [Marx,
Il Capitale, Editori Riuniti, Roma, 1974, Libro III *, pg. 313]. E' qui che entra in gioco la legge di Marx della caduta tendenziale del saggio di profitto. Marx dimostra che la redditività della produzione capitalista non rimane stabile, ma è soggetta ad una inesorabile pressione (o tendenza) al ribasso. Ciò conduce infine al sovrainvestimento (sovraccumulazione) dei capitalisti, i quali accumulano troppo rispetto ai profitti che ottengono dai lavoratori.

Ad un certo punto, la sovraccumulazione rispetto al profitto (vale a dire un calo del tasso di profitto) porta al totale o alla massa di profitti che non sale più. Allora i capitalisti smettono di investire e produrre e abbiamo la sovrapproduzione o la crisi capitalistica. In tal modo è il calo del tasso di profitto (e il crollo dei profitti) che causa la sovrapproduzione, non il contrario.
Ma un calo nel tasso di profitto non porta direttamente ad una crisi finché la massa dei profitti può aumentare...
Se questo è corretto, cioè che la causa delle crisi economiche capitalistiche e dei crolli è la caduta del tasso di profitto che porta ad una caduta nella massa dei profitti e così alla sovraccumulazione di investimenti e sovrapproduzione di beni e servizi (che sono profittevoli), allora questo porta ad importanti conclusioni politiche.
Per esempio, se noi pensiamo che la crisi capitalistica è causata dalla sovrapproduzione rispetto alla capacità dei lavoratori di acquistare i beni che vengono prodotti, come pensano i keynesiani, allora la risposta politica può consistere solo nell'incentivare la spesa pubblica oppure tagliare le tasse o i tassi di interesse (quello che sta accadendo oggi). Problema risolto.
Dall'altra parte, se pensiamo che la crisi è causata dalla mancanza di profitto, allora c'è solo una soluzione per il capitalismo: distruggere il valore del capitale esistente (impianti, macchinari ed occupazione) al fine di tagliare i costi e ripristinare la profittabilità. Solo questo potrà far ripartire di nuovo il capitalismo (per un po' di tempo), ma a spese di tutti noi.
Così è svelata la contraddizione intrinseca del capitalismo. Solo la sua abolizione può fermare il ciclo di espansione e crollo.

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