martedì 30 maggio 2017

pc 30 maggio - Il fallimento del G7 - 1° editoriale - speciale proletari comunisti

Guardando a come il sistema imperialista e i suoi strumenti, mass media, ecc., hanno gestito il G7, abbiamo emesso un primo giudizio secco e lapidario di fallimento di questo Vertice, così come nei giorni precedenti avevamo denunciato che sotto il “vestito”, luccicante, arrogante ed ostentato, non c'era niente, e che l'appuntamento più importante, anche se molto sbrigativo, era il Vertice del giorno prima, quello della Nato a Bruxelles, dove gli spostamenti progressivi del “piacere” nel passaggio da Obama a Trump si cominciassero a vedere nel solco già solidamente tracciato del precedente Vertice Nato di Varsavia.

Oggi, a tre giorni dall'evento del G7 e dal film messo in scena nel villaggio vacanza di Taormina è assolutamente necessario entrare più dentro il problema e cercare di decifrare se qualcosa è avvenuto e di che si tratta nella sostanza.
E' giusto parlare innanzitutto di fallimento, e sotto certi aspetti di clamoroso fallimento, perchè Trump ha continuato anche in questo Vertice, a quanto pare, lungo la strada del “coatto arricchito”
che già era avvenuto in maniera sgradevole, per loro, al Vertice Nato; e a giudicare dall'indignata piazzata della Merkel di ritorno da Taormina sembrerebbe di sì (e, per favore, non ci abboffate che la questione è l'ambiente e i risibili accordi di Parigi).
La questione è la guerra economica, la guerra militare che si fa economica: le truppe sono mie, ma le pagate voi, e ancor più l'accelerazione strategica, e un pò improvvisata, di tendenze molto profonde.

Proviamo a prendere in parola quello che gli imperialisti dicono, ma certamente non scrivono nei “dimenticabili” documenti che concludono di solito i Vertici.
Sul cosiddetto “terrorismo”, l'imperialismo Usa vuol far da sé, come i primi gesti hanno dimostrato e vuole imporre ulteriormente che gli altri vadano a ruota, soldati e denaro alla mano. Terrorismo per l'imperialismo, se ancora non fosse chiaro, è la ribellione dei popoli comunque si presenti, considerata più che 'brodo di coltura' della frazione islamico integralista che conduce gli attentati, 'mare' di disagio, di protesta, di rivolta, di ribellione che, in forme troppo spesso confuse, dilaga ovunque l'imperialismo e le sue crisi pongono le grinfie assettate di sangue perchè assetate di profitti.
Il “tabula rasa” contro tutto questo ostentato da Trump è una ricetta però vecchia e usurata che cinquant'anni fa annegava sotto i colpi della guerra popolare nel mare dell'Indocina; ma pensare che l'imperialismo abbia memoria e non agisca con brutale barbarie da stadio di putrefazione è una pura illusione. Quindi, sul terrorismo si fa come dice Trump: si collude e ci si scontra a secondo dell'interesse dell'imperialismo egemonico.

Ma questo è evidente che non può essere accettato, non diciamo dai popoli perchè è scontato, ma dagli imperialisti concorrenti, in cui la Russia di Putin cerca di difendere lo status quo, sapendo che lo status quo è un potenziale logoramento dell'imperialismo Usa.
Certo oggi difendere lo status quo per Putin significa anche per lui occupare, intervenire, armare, usare disinvoltamente le alleanze; certo la Cina non è vicina, ancora, ai luoghi del conflitto che sono al centro della contesa in questo momento - anche se la contesa globale sta per esplodere proprio lì: questione Corea, questione Giappone, Filippine, India, ecc.
Ma per rimanere al G7, lo scontro principale viene con le aspirazioni da superpotenza della Germania. La Germania che continua, ora a torto ora a ragione, a identificare il proprio interesse con l'autodefinizione di 'Europa' - Europa azzoppata da un lato dalla cosiddetta “Brexist” - e che spera invano che il giovane manager bancario in doppio petto, divenuto presidente della Francia, serva pure a qualcosa; visto che la crisi francese e il suo sciagurato affondamento imperialista degli ultimi anni, da Sarkozy ad Hollande, e la crisi politica italiana, in cui aumentano il numero dei governi maggiordomi e non dei partner adeguati, rendono le strilla della Markel vagamente oltre le righe.
Al G7 questo è stato posto sul tappeto. Ma come a Bruxelles la questione è sembrata militare, a Taormina sono stati i soldi al centro della contesa.
Su questo la crepa che tra le righe è emersa sembra più seria delle foto di gruppo del G7.
C'è da dire che effettivamente il G7 è come se avesse rimandato al G20 una discussione più seria per vedere la profondità di quello che sta avvenendo. Ma, francamente, al G20 il Tavolo è così affollato che è facile pensare che non ha nessuna possibilità di ricomporsi, bensì di ulteriormente scomporsi e divenire una sorta di frana di tutti contro tutti, di cui è certo il bottino e chi ne pagherà i costi, ma resta assai incerto come intanto prosegue la partita.

L'altra enorme questione, però, e qui sì sembra che qualcuno l'abbia organizzato apposta a Taormina il Vertice, è la questione della Libia e delle migrazioni, di cui non c'è stata possibilità, con i morti in terra a Manchester e in mare nel Mediterraneo, di non occuparsene.
Su questo il fallimento del Vertice è ancora più clamoroso e l'imperialismo italiano, da ufficiante e questuante, ha ricevuto l'ennesimo “calcio in faccia” e la cosiddetta “Europa” ha per l'ennesima volta praticato il “vorrei ma non posso” che affonda insieme ai barconi.
Più fallimento di così...

Ma i popoli che vogliono fare la storia, possono farla solo portando la guerra popolare alla vittoria, e, quindi, se il fallimento del Vertice non può che farci piacere, è l'altra collina quella dell'onore di cui dobbiamo occuparci. 

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