giovedì 11 maggio 2017

pc 11 maggio – Svolta autoritaria in Tunisia: Essebsi mobilita l'esercito "a difesa dei siti produttivi" contro le proteste sociali

Qualche giorno fa il presidente della repubblica Essebsi aveva annunciato che avrebbe fatto un discorso alla nazione ieri, mercoledi 10 maggio alle ore 11:00.
Molti pensavano a diverse opzioni come la destituzione dell'attuale governo Chahed che fa acqua da tutte le parti con il dinaro tunisino in continua svalutazione, rivolte e scioperi nei quattro angoli del paese e crisi interna con alcuni ministri licenziati dallo stesso Chahed nel difficile equilibrio della compagine governativa tra i suoi due principali esponenti: Nidaa Tunes (rappresentante l'ancient regime) ed Ennahda ( la branca tunisina del movimento dei Fratelli Musulmani).

Un'altra opzione temuta era una svolta presidenzialista con l'assunzione di più poteri da parte dello stesso Essebsi, ipotesi prevista dalla nuova Costituzione del 2014 e che prevede come passo
preliminare che il presidente si rivolga alla nazione previa consultazione con il primo ministro e con il presidente del parlamento.

Infine il tanto atteso discorso alla nazione si è sviluppato con un lungo, noioso e paternalista preambolo che ha preso di mira i manifestanti e gli scioperanti che da gennaio sono praticamente nelle strade ininterrottamente.
La conclusione del discorso è alquanto grave e rappresenta un'ulteriore svolta autoritaria del paese.
Essebsi ha annunciato che non saranno più tollerati blocchi alla produzione delle risorse nazionali del paese (sic!) "Cosa abbiamo noi? Il petrolio, il gas, i fosfati, il turismo e l'agricoltura con una grande produzione di olio d'oliva", dopo aver elencato questi settori ha annunciato che d'ora in poi sarà l'esercito a presidiare questi siti produttivi.

La reazione dell'esercito è stata immediata, per bocca del suo portavoce ha annunciato che gli ordini del presidente (che è anche il comandante in capo dell'esercito) saranno eseguiti, ma subito dopo un colonnello in pensione Mokhtar Benasser ha rilasciato una dichiarazione inquetante: "noi dell'esercito non abbiamo né gas lacrimogeni né gas urticanti, abbiamo armi da fuoco".
Nella sua paternale Essebsi ha aggiunto che non si tratta di colpire il diritto di manifestare ma che è consentito farlo nel rispetto della legge (sic!) blocchi di fabbriche e alla produzione dei settori strategici non saranno più tollerati.
In particolare nelle ultime settimane vi sono stati blocchi nei pozzi petroliferi di Tataouine nel sud del paese (vedi nostri precedenti report su questo blog) nelle miniere di fosfati di Gafsa e alla fabbrica di cavi Coreplast a Kef.

Le reazioni sono state da più parti negative, molti hanno sottolineato il fatto che l'esercito debba essere mobilitato solo contro minacce esterne, per preservare le frontiere e per contrastare i gruppi armati islamisti. Tra l'altro sui social network alcuni militari per protesta hanno scritto dichiarazioni di proprio pugno nell'anonimato contrarie a questa decisione fotografandole con parti della loro divisa e pubblicandole in rete.

A Kebili (governatorato di Douz) una marcia di protesta contro il discorso presidenziale, è stata indetta il giorno stesso ma, soprattutto, il principale focolaio di resistenza nel paese, i manifestanti di Tataouine hanno subito convocato un'assemblea popolare in centro città alla fine della quale è stato rilasciato un comunicato che respinge in toto le minacce di intervento dell'esercito ed esprime la volontà di continuare con i blocchi stradali nella regione. Si sottolinea inoltre che se il presidente fosse veramente preoccupato delle risorse nazionali, non le svenderebbe alle compagnie petrolifere straniere che operano a Tataouine, stesso discorso per quanto riguarda i fosfati.

Come dare torto a questa analisi?

Da quando si è insediato, l'attuale governo non ha fatto altro che stringere accordi con la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale accettandone le ricette di austerity, di penetrazione del capitale straniero sotto forma di IDE (investimenti diretti all'estero) e in materia di politica monetaria di svalutazione della valuta nazionale seconda la ricetta di economia classica che cio' aumenterebbe le esportazioni e quindi diminuirebbe il deficit della bilancia dei pagamenti tra esportazionie importazioni. Ma questo in realtà ha provocato un aumento dell'inflazione dei beni di prima necessità che contemporaneamente tendono a non essere più calmierati da prezzi di stato, o per lo meno in misura sempre minore. Cio' significa che il potere d'acquisto dei tunisini è diminuito ulteriormente impoverendoli.

Mentre si discuteva di tutto cio' nella regione di Grande Tunisi e in particolare nel governatorato di Manouba, a un giovane ambulante veniva sequestrata la merce di fronte alla sede del municipio della città di Tebourba. Quest'ultimo poco dopo, tornato con della benzina ha provato a darsi fuoco. Subito è scoppiata una rivolta nelle strade della cittadina vicina la capitale con scontri con la polizia.
Dopo quasi 7 anni dalla rivolta popolare, eventi come questi che ricordano l'episodio di Mohamed Bouazizi, che diedero vita alla rivolta stessa, si ripetono.

Il discorso presidenziale di ieri rappresenta un nuovo passo che allontana il paese delle conquiste ottenute dalla rivolta popolare del 2010/2011. Lo stato di polizia torna sempre più pressante invadendo la società tunisina con continui abusi impuniti e ritorsioni, da segnalare che nel discorso presidenziale Essebsi ha anche difeso l'operato delle forze dell'ordine e "ha invitato" a non criticarne l'operato; intanto si susseguono arresti arbitrari, tra gli ultimi casi eclatanti il direttore del giornale di inchiesta online "nawaat.org", un giovane che indossava una maglietta a detta del giudice che lo ha condannato offensiva verso le forze dell'ordine, e numerosi sono gli arresti contro gli omosessuali e le donne che escono la sera con le amiche oggetto di molestie e arresti arbitrari da parte della polizia.

Davanti a questa situazione appare fuorviante che alcune forze politiche progressiste sia tunisine che straniere (alcune delle quali resiedenti in Tunisia e facenti parte di ong o testate giornalistiche indipendenti) ancora si riferiscano alla fase politica attuale del paese con la locuzione "transizione democratica" (ammesso e non concesso che ci sia mai stato l'inizio di tale transizione).

È il caso di alcuni italiani residenti che sotto il nome di "Tunisia in Red", in occasione di questo discorso presidenziale, in una breve nota continuano a parlare di "momento più difficile e pericoloso per il suo (della Tunisia n.d.a.) percorso democratico".
Quale percorso democratico?
Le stesse elezioni dell'Assemblea Costituente e la Costituzione stessa (osannata non a caso dai principali paesi imperialisti e organizzazioni internazionali loro espressione) rappresentano un tentativo di normalizzazione degli esiti della rivolta popolare del 2010-2011 e di progressiva restaurazione.
Anche in questa occasione "Tunisia in Red" si scalda sulla questione delle prossime elezioni municipali che si dovrebbero tenere in dicembre e scrive: "Le decisioni di Essebsi vengono prese in un momento in cui l’ISIE, l’organismo costituzionale che si occupa di organizzare e seguire le elezioni, vive un momento delicato, all’indomani delle dimissioni del suo Presidente e di altri membri e collaboratori. Solo qualche giorno dopo aver proclamato finalmente la data delle prossime elezioni municipali (17 dicembre 2017) , Chafik Sarsar, presidente dell’ISIE ha annunciato le proprie dimissioni. Qualche minuto fa ha finito la sua audizione presso la Commissione parlamentare e ha rivelato gravi interferenze nel lavoro dell’Instance e violazioni della privacy di alcuni suoi componenti."

Se è giusto e sacrosanto denunciare l'operato di alcuni apparati dello Stato che intendono colpire alcuni orpelli della democrazia borghese come per l'appunto l'ISIE (che è un altro apparato dello stesso Stato in ogni caso), non si puossono riporre illusioni elettoraliste, da cretinismo parlamentare per l'appunto, in queste elezioni municipali, pensando che esse possano produrre cambiamenti materiali positivi per le masse. Come in Italia questo approccio riformista spande illusioni ed è ostacolo al cambiamento reale, lo abbiamo visto recentemente con il fenomeno Grillo o con alcune liste elettorali di "sinistra" appoggiate da questo tipo esponenti della "sinistra radicale". Le stesse forze rivoluzionarie della sinistra di classe tunisina (che sicuramente non sono rappresentate dal Fronte Popolare che invece è prossimo alle posizioni dei nostri italiani di T in R) non si fanno illusioni sull'attuale ipotetica "democrazia" tunisina che al contrario sembra sempre più un misto di ancient regime con elementi di integralismo religioso moralista tipico dei paesi del Golfo che si traduce in ulteriore repressione giustificata dalla difesa della "morale musulmana".

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