sabato 1 aprile 2017

pc 1 aprile - CCNL E ACCORDI METALMECCANICI: COME DIMINUIRE IL VALORE DELLA FORZA LAVORO E AUMENTARE I PROFITTI PADRONALI

In varie fabbriche metalmeccaniche, un esempio è quanto sta avvenendo in questo periodo alla Tenarsi Dalmine, in linea con il CCNL metalmeccanico che a segnato un salto di qualità (in peggio, chiaramente) del rapporto capitale/lavoro salariato (e dell'azione neocorporativa dei sindacati confederali)- vedi vari articoli di analisi critica contenuti in questo blog -, i padroni e Fim, Fiom, Uilm stanno siglando accordi, sotto regia padronale, i cui scopi sono la diminuzione del valore della forza lavoro degli operai e la difesa dei profitti aziendali.
Questo sta avvenendo in due modi, di fatto intrecciati, con l'uno che serve l'altro.
Da un lato con un aumento della produttività, attraverso soprattutto una intensificazione della flessibilità, che non vuol dire solo più lavoro, ma pieno uso dell'operaio quando e come serve alla produzione, imponendo agli operai cambi selvaggi di turni, di orari, e di fatto una sorta di disponibilità 24 ore su 24.
Dall'altro attaccando direttamente il salario, cercando di ridurlo anche nominativamente, per portarlo alla riduzione effettiva del valore della forza-lavoro. Questo sta avvenendo non solo con i mancati aumenti retributivi contrattuali - che, ricordiamoci, avvengono sempre post, per cui, quindi, dovremmo più correttamente parlare di adeguamento e non di "aumento"; ma, ora, col CCNL e con gli accordi aziendali, sostituendo parte del salario con interventi da welfare, sulla sanità, sulla previdenza, ecc. o con la istituzioni di bonus, o collettivi o individuali, ecc.  Alla Tenaris Dalmine, per esempio, è stato contrattato un bonus una tantum di 250 euro, spendibili solo in "benzina".
Prima questione. Il capitale nel pagare il prezzo della forza-lavoro (salario) paga tutto ciò che serve per ripristinare la forza-lavoro, per cui per esso nel salario sarebbero già compresi i costi sociali necessari a "far tornare il giorno dopo l'operaio a lavorare"; con la politica dei bonus è come se il capitalista stralcia dal salario dell'operaio una parte dei costi sociali e questo viene redistribuito dallo Stato.
Quindi, quel "buono benzina", è sempre l'operaio che l'ha prodotto col suo lavoro, ma ora gli ritorna solo in parte, con il doppio effetto: da un lato che viene scaricato il suo costo sullo Stato, cioè su tutta la società, riducendo il costo del lavoro per il capitalista; dall'altro che in questa maniera lo stesso rapporto tra operaio e padrone si trasforma, diventando per una parte più simile al rapporto dello schiavo col suo padrone; per cui l'operaio è un pò meno "libero" di vendersi, perchè è legato al padrone per potersi curare, per poter viaggiare con la sua macchina, ecc. ecc.
Il bonus non è un "di più" ma un "meno", ma l'operaio viene messo nella condizione quasi di essere grato al padrone per avergli dato un "contributo" ai costi sociali...

E' NECESSARIO INVECE RIPORTARE IL RAPPORTO SALARIO/CAPITALE, per comprendere il "trucco".
Per questo utilizziamo stralci di uno scritto/contributo di un giovane compagno di Napoli, pubblicato tempo fa per la Formazione Operaia:  

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"Cos'è il salario?
Rappresenta il valore espresso in prezzo delle merci necessarie per il mantenimento e la riproduzione della forza-lavoro del lavoratore. Il valore di tali merci, come per ogni merce, è
dato dal tempo di lavoro necessario per produrle.
Con l'aumento della produttività si abbassa il valore della forza-lavoro che per reintegrarsi ha bisogno della stessa massa di merci, ma con un valore ridotto.
Cosa succede quando aumenta la produttività nel processo lavorativo e di valorizzazione?
Poniamo che in una giornata di otto ore si è prodotto un valore complessivo in merci di 100 euro, grazie all'aumento della forza produttiva nello stesso tempo si sono prodotte più merci, il valore complessivamente prodotto in otto ore rimane sempre 100 euro, però distribuito su una massa più grande di merci (che infatti valgono ognuna meno, meno tempo di lavoro), facendo così diminuire tendenzialmente il prezzo della merce singola a seguito della diminuzione del suo valore.
Con un esempio schematico, se prima l'operaio in 4 ore produceva 10 vestiti, ora i 10 vestiti li produce in 2 ore. Ogni singolo vestito ora costa la metà.

Grazie all'aumento della forza produttiva anche il valore dei mezzi di sussistenza per riprodurre la forza-lavoro si è abbassato, perché prodotti in minor tempo di lavoro, benchè la massa di tali beni necessari è rimasta invariata.

A fronte di ciò, il salario nominativamente non diminuisce ma relativamente (all'intera giornata lavorativa e conseguenzialmente al plusvalore) invece sì. Il salario rimane identico e il valore della forza-lavoro è diminuito, pur senza una immediata e conseguenziale caduta della sua espressione in prezzo. Ma il plusvalore estorto dal padrone è aumentato di gran lunga, dato che ha, nell'esempio di prima, guadagnato due ore di lavoro gratuito da parte del lavoratore.
Tenendo a mente ciò, continuiamo.

Ma il nuovo valore della forza-lavoro, abbassatosi dall'aumento della forza produttiva, pur non avendo un corrispettivo immediato nella sua espressione in denaro (il salario), rappresenta per il sistema capitalista il nuovo “limite” a cui tendere inesorabilmente.
Il capitale tende sempre al costante raggiungimento e superamento dei suoi limiti, però, essendo questi posti da lui medesimo (come nell'esempio che stiamo trattando), ne fa un sistema contraddittorio. 
Per il capitale, infatti, è impossibile spingere il salario al di sotto del nuovo “limite” (l'attuale valore “svalorizzatosi” della forza-lavoro) perché ciò significherebbe l'impossibilità per il lavoratore di avere un salario che gli consente il giorno dopo di tornare a lavorare (e quindi l'impossibilità per il capitalista di avere ogni giorno a disposizione la forza-lavoro necessaria per la riproduzione di se stesso come capitale) ma, allo stesso tempo, non può fare a meno che tendere verso questo limite e, anzi, soffrire la continua tensione a superarlo.

Detto ciò, proseguendo, il valore del salario è, quindi, minore della sua espressione in prezzo e il nuovo valore segna il limite al quale il capitalista tenderà inesorabilmente.
Come?
Su questo ogni giorno i telegiornali ci offrono qualche esempio, per farne uno qualsiasi prendendo una qualunque notizia a caso.
Secondo i dati Eurostat l’Italia è il solo grande paese europeo che vede diminuire la retribuzione oraria del lavoro (-0,5% nel primo trimestre 2016 sullo stesso periodo del 2015). […] Il calo è maggiore nel settore privato e in particolare nell’industria che segna una diminuzione dell’1,4%”.

Ma sono molti gli strumenti concreti attraverso i quali si incarna la tendenza del capitale all'abbassamento dei salari verso il nuovo limite. Per fare qualche esempio, la rottamazione di operai anziani qualificati con giovani lavoratori (che magari, assunti con le agenzie interinali, non hanno più bisogno di essere così qualificati, dato che proprio grazie all'introduzione di macchine il lavoro è stato reso più automatizzato o semplice), il declassamento (anch'esso reso possibile dall'informatica e dall'automazione, quindi, ancora una volta, dall'aumento della produttività del lavoro grazie all'introduzione delle macchine) di funzioni che prima erano considerate qualificate, a funzioni lavorative routinarie e semplificate (esempio, molti dei servizi che prima venivano forniti da lavoratori con salari più alti agli sportelli delle banche sono adesso forniti da lavoratori non qualificati attraverso i call-center). Eccetera, eccetera, eccetera"

E ORA TRA QUESTI STRUMENTI CONCRETI POSSIAMO METTERE IL NUOVO CONTRATTO METALMECCANICO E I NUOVI ACCORDI AZIENDALI.

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