venerdì 24 marzo 2017

pc 24 marzo - contro il G7 dei ministri dell'economia a Bari - parte la campagna

 Chiamata per un’assemblea nazionale per una mobilitazione contro il G7 finanziario a Bari

    locandina lowNella seconda settimana di maggio (dall’11 al 13) si svolgerà, a Bari, il G7 finanziario, che vedrà incontrarsi i ministri delle Finanze, i presidenti delle banche centrali, i rappresentanti della BCE e i responsabili del FMI. Questo appuntamento anticiperà il summit di Taormina indetto per fine maggio.
    Il G7, tanto importante per i potenti della terra, è per noi un ulteriore motivo per ribadire la nostra avversità al modello di sviluppo proposto dal capitalismo mondiale, basato sulla devastazione dei territori e sulla progressiva precarizzazione del mondo del lavoro, in uno scenario di frontiere chiuse alla libera circolazione degli esseri umani ed inesistenti per le merci e le armi. Anche la nostra regione è da anni scenario degli effetti nefasti di un capitalismo al collasso e, mai nella
    storia, così spietato e dannoso.
    Dal globale…
    Un G7 finanziario ha un peso particolarmente grande in un contesto di crisi economica globale in atto da quasi un decennio. La crisi è un passaggio naturale del sistema capitalista volto alla produzione per la produzione, in uno spasmodico ammassare profitti; un fattore endogeno e fisiologico dello stesso, è parte di esso e ciclicamente si manifesta.
    Come ben noto, è proprio l’economia a scrivere l’agenda politica dei governi nazionali. Il clima di forte incertezza economica si traduce nell’incertezza delle nostre esistenze.
    Solo negli ultimi due anni abbiamo avuto tante dimostrazioni di quanto il potere decisionale si  sia spostato nelle mani di pochi. BCE, FMI, Commissione Europea decidono del destino economico dei paesi, mettendoci di fronte a tutti i limiti dei sistemi democratici basati sulla rappresentanza. Prova evidente di questo deficit democratico, che si manifesta sotto forma di svuotamento dei poteri dei parlamenti nazionali a favore delle istituzioni europee e mondiali, è stato l’ardito quanto inutile referendum sull’Austerity in Grecia. Ricordiamo benissimo l’impegno del governo Tsipras nel ricercare legittimità popolare col
    referendum consultivo, per non subire passivamente la “legge del
    debito”; ricordiamo altrettanto bene che sia bastato un incontro con i vertici EU a generare quel passo indietro che ha dato il colpo di grazia al welfare greco, già provato da un collasso economico in atto dal 2008.
    Questa crisi strutturale (e quindi parte integrante) del sistema capitalista mondiale manifesta i suoi effetti disastrosi anche sul piano dell’approvvigionamento energetico e, di conseguenza, sullo scenario bellico internazionale. Le logiche imperialiste delle “superpotenze” mondiali sono volte all’accaparramento di risorse, alla conquista di nuove fette di mercato come di postazioni strategiche sul piano militare nello scacchiere geopolitico. Rappresentano, inoltre, uno dei più importanti  motivi (seppur indiretti) alla base dell’intensificazione dei flussi migratori dal 2011 ad oggi. Il metodo è sempre lo stesso: si destabilizzano i territori per poi proporsi come ‘entità pacificatrice’ a aldi sopra delle parti, governare la fase di “transizione” e quindi
    procedere all’assorbimento di risorse di quei territori già dilaniati dalla guerra. La più immediata conseguenza dell’imperialismo è la crisi umanitaria che porta le popolazioni a migrare.
    Quello che sta succedendo in Siria è l’ennesimo esempio delle macabre strategie dei Paesi Nato, della Russia, della Cina e dei loro più fedeli alleati.
    Carnefici personificati attraverso le figure degli spietati regimi turco e siriano e del, sempre di moda, fondamentalismo islamico. Utili strumenti per controllare o arginare l’azione politica e sociale della resistenza della popolazioni del Rojava, unica vera soluzione. Ne è un esempio l’avanzata del progetto di autonomia democratica alla quale le “democrazie” stanno maldestramente tentando di opporsi. Ergendosi a baluardo contro il terrorismo islamico, creato o foraggiato dagli stessi stati che dicono di combatterlo, o a innalzando lo stendardo della democrazia contro il dittatore di turno, ci si sta garantendo la legittimità di agire militarmente nell’area e (tenendo fede a quel copione già accennato) conquistarsi un posto al tavolo delle trattative
    dei vincitori. A farne le spese sono le migliaia di profughi che
    percorrendo le rotte migratorie del Mediterraneo, provano a cercare rifugio anche in Italia.
    E’ innegabile, stiamo pagando il prezzo più alto in termini di precarietà delle nostre esistenze. Le politiche di Austerity sono una diretta e macabra conseguenza delle decisioni derivanti dai precedenti summit. Coloro che oggi popolano il mondo delle lotte sociali hanno attraversato, o sono i prosecutori, di  quei movimenti che da Seattle hanno contrastato il dominio finanziario. Tutti e tutte siamo vittime di scelte sbagliate e processi economici che hanno dato il la al non-sviluppo basato sul precariato. Ancora viva è l’immagine della mano armata che ha represso i movimenti a Genova e sempre evidente è la rotta che ha preso la gestione economica degli stati nazionali intimamente colpevoli della disoccupazione dilagante, della precarizzazione del lavoro come dell’esistenza, delle guerre, di una formazione scolastica ed universitaria inesistente se non soggetta a criteri aziendali, del razzismo istituzionale e degli attraversamenti dei migranti che a migliaia muoiono in mare, di una società sessista e patriarcale.
    Ed è in questo contesto che fascismi e destre nazionaliste trovano una nuova legittimità politica. Trump negli U.S.A, Le Pen in Francia, Salvini in Italia, Erdogan in Turchia, come tutti i partiti fascisti che stanno recuperando terreno in campo elettorale, sono espressione di quella stessa classe dominante responsabile del disastro economico e sociale  e che, in maniera ipocrita, si propone come soluzione ad esso a colpi di rigurgiti nazionalisti che fanno della guerra tra poveri il loro strumento di consenso, anche in termini elettorali. L’odio indiscriminato basato su differenze sociali, etniche o religiose  è un diversivo che maschera politiche economiche autarchiche e protezioniste. Dividere il fronte degli oppressi per dominare su di essi, come la storia da sempre insegna.
    Siamo il prodotto di scelte imposte dall’alto che hanno generato profitti sulla nostra pelle, che hanno rafforzato quelle dinamiche di potere già esistenti aggravando la condizione dei già oppressi.
    …al locale.
    E proprio la questione migranti è l’anello di congiunzione tra le
    dinamiche globali e quelle locali, che vedono protagonista proprio la nostra regione.
    La Puglia è da sempre crocevia e terra d’approdo delle rotte migranti; migliaia di persone sono passate dalla nostra regione in fuga dalle guerre volute e foraggiate dai paesi Nato e loro alleati, rappresentati in questo (ed altri summit) G7. Ad accoglierli CIE o CARA, veri e propri lager, in cui i migranti vengono privati dei più elementari diritti. Il CARA di Bari è stato, negli ultimi mesi, teatro di ripetute azioni di protesta messe in opera dagli “ospiti”, a dimostrazione di quanto detto.
    In molte delle nostre città l’alternativa a queste struttura è rappresentata da quartieri-ghetto o baraccopoli, in cui i migranti sono abbandonati al loro destino senza alcuna forma di assistenza, senza una reale connessione con la società e senza documenti. Ne deriva una vita in clandestinità che li rende facili prede delle organizzazioni criminali e vittime del caporalato. Solo per citare alcuni dei casi più clamorosi, in provincia di Foggia, i ghetti di Borgomezzanone e Rignano Garganico sono una chiara rappresentazione di quanto sia (in)efficace il “modello di integrazione” proposto dalle istituzioni. In luoghi come questi vivono migranti sono sfruttati per la raccolta del pomodoro ed il lavoro nelle campagne per pochi euro giornalieri e le migranti costrette alla prostituzione e ridotte in schiavitù. Crediamo che non sia un caso che, in un periodo storico in cui la ‘questione migranti’ è al centro del dibattito politico, una tale riunione si faccia in una regione che vive costantemente uno stato di emergenza in questa materia. Crediamo anche che le soluzioni debbano essere ricercate lontane dalle proposte dei “grandi” della Terra. Soluzioni basate su politiche del  respingimento, dei rimpatri, del razzismo istituzionalizzato fatto di sfruttamento e ricatti. Questa strada è praticabile solo con l’immediata cancellazione del trattato di Schengen o dei i brandelli che né rimangono così come la cessazione dell’operzaione Frontex e le operazioni figlie,  la chiusura di tutti i CIE e i CARA e l’abolizione di tutte le leggi razziste come la Bossi- Fini. Per un mondo senza frontiere e l’assoluta liberà di movimento degli esseri umani.
    La nostra regione, come altre del centro e sud Italia, è diventata, inoltre, centrale per le politiche energetiche nazionali ed europee sulle e sul tema grandi opere. La TAP, le trivelle , come la ‘truffa’ Xylella, fanno parte di un disegno più ampio che si presenta con la faccia pulita della  promessa di nuovi posti di lavoro o della necessità di nuove fonti energetiche come a camuffare la logica sfruttamento del territorio. La conseguenza è lo stupro e la devastazione del territorio a vantaggio dei profitti delle multinazionali. Una strategia simile a quella messa in atto per la costruzione della TAV, in Val di Susa che sta mostrando la vera faccia di questo modello di sviluppo che ha nella repressione il suo più efficace strumento di propaganda. In Val di Susa alla lotta popolare portata avanti negli ultimi 25 anni dai NO TAV lo stato si è opposto con la militarizzazione del territorio, per difendere l’indifendibile, con un notevole spreco di risorse pubbliche sottratte a sanità e formazione.
    Stesse logiche attuate contro i NO MUOS,in Sicilia, come contro tutte quelle battaglie sociali territoriali che provano ad alzare la testa contro il modello di “crescita” capitalista.
    Lavoro e salute sono un altro nodo fondamentale  che interessa i nostri territori. L’ILVA di Taranto è uno dei simboli di quello sfruttamento padronale che fa profitti a discapito dei lavoratori e della salute della popolazione. Una fabbrica di morte in cui non vengono rispettate le più elementari norme di sicurezza che provoca ogni anno morti sul lavoro e morti da inquinamento ambientale. Sempre nel territorio pugliese ci sono altri casi di emergenze ambientali provocate dalle stesse logiche di profitto. La centrale ENEL a carbone di Brindisi, il cementificio
    Buzzi-Unicem di Barletta che incenerisce rifiuti come tanti altri casi sparsi per tutto il sud-Italia. E’ la storia di un meridione ridotto negli anni a colonia interna dello stato italiano ed a terra di conquista per un’imprenditoria senza scrupoli che sui nostri territori ha portato solo disastri ambientali in cambio di lauti profitti. Un sud le cui città vanno via via svuotandosi sotto i colpi di una nuova ondata
    migratoria verso nord. Un mezzogiorno dimenticato dalla politica nazionale e spesso privato di servizi essenziali tanto da essere teatro di tragedie come quella accaduta a luglio sulla linea Corato-Andria che ha visto due treni scontrarsi frontalmente su una ferrovia a binario unico.
    Istruzione, reddito, casa, sanità: lo smantellamento dei più basilari diritti è perpetrato sotto la bandiera del profitto e alle “generazioni future”, salvo pochi fortunati, non si prospetta altro che lavoro a nero o gratuito. Un futuro precario, esposto ad ogni genere di ricatti utili ad aumentare e blindare la governabilità dalla scuola al posto di lavoro, dalle piazze agli stadi. L’Italia è un paese dove vi è stata una vera e propria abdicazione della democrazia parlamentare a favore di vari governi, da Monti a Renzi e al suo figlioccio Gentiloni , meri esecutori dei diktat europei che hanno smantellato il già precario welfare italiano. In quest’ottica non stupisce la felice reazione di Decaro, presidente dell’ ANCI e esponente del PD, partito servile e terminale esecutivo nostrano delle politiche distruttive europee, che vede nel G7 un’opportunità per fare di questo evento come una vetrina dei risultati ottenuti nell’imbastire il tanto agognato decoro urbano; concetto iniquo ,fuorviante e strumentalizzato per legittimare nuove disposizioni repressive come il Daspo urbano del decreto Minniti.
    Siamo, quindi, convinti che la soluzione non possa venire dai governi e istituzioni espressione del sistema capitalista e dell’impossibilità di democratizzare organismi politici ed economici (nazionali o transnazionali) che hanno come unico scopo l’intensificazione dello sfruttamento del lavoro, dei territori e delle nostre vite.

    Sulla base di quanto accennato intendiamo dar voce con i fatti al nostro rifiuto verso il G7. La risposta all’arroganza dei pochi che decidono sulle nostre vite deve necessariamente venire da un movimento creato dal basso che faccia della piazza il suo punto di partenza e di arrivo. Una  presa di posizione netta e contraria contro il capitale finanziario rappresentato dal G7 e  lo stato che lo legittima è, per noi, ora come in futuro, l’unica possibilità praticabile.
    Abbiamo deciso di metterci in moto per un confronto popolare che provi a sviluppare una risposta antagonista questo stato di cose, sia sul piano regionale che nazionale.
    Questo percorso vuole mettere al centro il Sud non solo inteso come area geografica di appartenenza ma come principio connettore di tutti gli sfruttati e le sfruttate dal sistema capitalista; come concetto che estrinsechi la condizione sociale di chi non soltanto si oppone ma, in uno sforzo di ricomposizione di classe che, partendo da qui, voglia costruire una proposta alternativa economica, sociale e quindi politica per il futuro.
    E’ per questo che  lanciamo un appello a tutto il mondo delle lotte sociale territoriali, ai lavoratori ed alle lavoratici, ai migranti, ai precari, agli studenti e alle studentesse, ai disoccupati, ai movimenti per il diritto all’abitare, agli spazi sociali, ai collettivi e singoli militanti a costruire un percorso politico alternativo e di contrasto al G7. Un confronto teorico e pratico, a Bari come a Taormina, che non rappresenti solo un punto di arrivo ma l’inizio di un progetto più a lungo termine.
     In un contesto in cui si sono presi il ruolo di protagonista, giocando sulla nostra pelle, l’ antagonismo è l’unica strada possibile.
    Per quanto detto e per avviare una discussione che coinvolga il territorio nazionale, vi invitiamo all’assemblea prevista nei giorni 1 e 2 aprile, a Bari negli spazi dell’Ex-Caserma Liberata.
    Le due giornate, suddivise in tavoli tematici e successiva assemblea plenaria conclusiva, saranno così strutturate:
    sabato 1 aprile
        ore 9:30 - Accoglienza, saluti, presentazione ed introduzione dei tavoli tematici;
        ore 10:30 - inizio dei tavoli di discussione secondo le seguenti aree tematiche
    - Economia: conflitto capitale-lavoro;
    - Imperialismo e immigrazione;
    - Lotte territoriali e anticapitalismo;
    - Studenti: tra alternanza scuola-lavoro e sfruttamento;
    - Capitalismo: una conseguenza del patriarcato;
        ore 14:00 -  pranzo sociale;
        ore 16:30 - tavoli tematici di discussione;
        ore 20:30 - cena sociale.
    domenica 2 aprile
        ore 9:30 - tavoli tematici di discussione;
        ore 14:00 -  pranzo sociale;
        ore 16:30 - avvio assemblea plenaria e stesura del documento finale
        ore 20:30 - cena sociale.

    Nessun commento:

    Posta un commento