sabato 10 dicembre 2016

pc 10 dicembre - Roghi e sgomberi da Rosarno a Falerna: il fallimento dell’accoglienza in Calabria - una informazione

di Elisabetta Della Corte  da contropiano


Immigrati africani durante la raccolta delle arance a Rosarno, Reggio Calabria, 13 marzo 2010. The Coca Cola company, la multinazionale americana delle bollicine, proprietaria del marchio dell'aranciata Fanta, potrebbe tornare sui suoi passi dopo aver annunciato di voler fare a meno del succo concentrato di agrumi prodotto a Rosarno. ANSA / FRANCO CUFARI

C’è un bel lungometraggio di Jonas Carpignano, Mediterranea, realizzato dopo A ‘Chjana anche questo da vedere, che restituisce parte della complessa esperienza migratoria di un uomo dal Burkina Faso che approda poi in Calabria, dove il protagonista, tra le altre esperienze, vive anche quella della rivolta di Rosarno del 2010.
A’Chjana, e poi Mediterranea, raccontano ciò che in molti si ostinano a non vedere o che si cerca di rimuovere in fretta – la brutalità a cui sono sottoposte queste vite di scarto-, come nelle recenti
vicende di Falerna e Rosarno.
A Falerna, il sindaco, in nome di una paranoica esigenza di ordine e sicurezza, ha scacciato 200 immigrati dal Residence degli Ulivi. Negli appartamenti di questo complesso turistico erano stati collocati i rifugiati dell’emergenza del 2011, la cosiddetta Emergenza Nord-Africa2, alimentata dalla disastrosa situazione libica dopo la ‘rivoluzione di febbraio’ dello stesso anno; sostenuta per ragioni strategiche in primis da Francia e Inghilterra, e poi USA e Italia, che portò alla caduta del colonnello Gheddafi che, fino ad allora, tra ricatti e concessioni, aveva garantito, un certo controllo sulle partenze dalle coste libiche, nodo centrale nel traffico di persone, tra le vecchie colonie dall’Africa sub-sahariana e l’Europa.
Lo stato d’emergenza si protrasse fino al 2013, i soldi erano finiti, i profughi erano rimasti tali, ma nessuno sapeva o voleva fare qualcosa, se non allontanarli. I migranti incontrati, a marzo di quell’anno, al Residence degli ulivi, ci raccontarono delle traversie vissute, delle mancanze subite nella sbrindellata accoglienza italiana, delle incertezze e la paura di ritrovarsi per strada. Alcuni volevano continuare a studiare ma non sapevano cosa fare, a chi rivolgersi; altri speravano di andare via in altri paesi, ma quasi tutti erano finiti a lavorare nei campi quando c’era da fare, per poco meno di trenta euro al giorno, per otto ore e più di lavoro.

Uno di loro ci mostrò le cartelle mediche, era seriamente malato, ma aveva ricevuto poco e niente; lavorava come bracciante e per sottoporsi ad una sfibrante terapia ‘salva vita’ doveva inforcare la sua bicicletta e percorrere oltre dieci chilometri all’andata e al ritorno. A Falerna, non c’era solo il Residence degli Ulivi, in zona avevano trovato rifugio altri immigrati, in altre strutture, poi chiuse con la fine dei finanziamenti. Diversi alloggi, più o meno vivibili, nel corso delle perenni emergenze sono stati concessi, a pagamento, con rilevanti entrate per i locatori che avevano trovato così un modo conveniente per far fruttare immobili e alberghi inutilizzati.
Con rabbia e stupore gli immigrati ci raccontarono di come dall’oggi all’indomani, finiti i fondi-diversi milioni di euro- molti operatori del sistema di accoglienza, che fino ad allora erano stati anche i loro referenti sul territorio e presso i servizi, divennero irrintracciabili al telefono e svanirono nel nulla.
Emergenze infinite, problemi irrisolti, vite frantumate in percorsi segnati da trappole e galere; benefattori più o meno fasulli; inospitalità, razzismo e sfruttamento intensivo, sono alcuni degli aspetti prevalenti.
Non è molto diverso da quanto accade altrove, è vero, ma l’ostinata ipocrisia istituzionale che avvolge la vicenda dell’accoglienza ai migranti, e più in generale le relazioni di brutale sfruttamento a cui sono sottoposti, appaiono qui in tutta la loro luce.
Basti pensare alla cosiddetta rivolta di Rosarno e a quello che è successo dopo. A Rosarno nei primi giorni di gennaio del 2010 dopo l’ennesima violenza subita dai migranti, scoppia la rivolta – quella volta da un’auto in corsa dei ragazzi avevano sparato a degli immigrati sulla strada che portava alla fabbrica abbandonata in cui vivevano accampati, in condizioni disumane, con altre centinaia d’immigrati arrivati nella piana per la raccolta degli agrumi. Nelle strade del paese di Rosarno sfila il corteo degli immigrati che dopo il ferimento dei loro compagni riprendono la strada, salgono al paese e lì manifestano la loro rabbia.
I vincoli di compatibilità sono saltati; Rosarno, in quei giorni, è il crocevia della rabbia e della miseria, il teatro dello scontro tra una parte dei rosarnesi e i lavoratori immigrati.
La situazione è fuori controllo, dopo le ronde degli autoctoni, le vessazioni, la caccia agli immigrati nei casolari di campagna, si decide, per questioni di ordine pubblico, di sgombrare l’ex-fabbrica e portare via gli immigrati.
Intanto la notizia della rivolta di Rosarno fa il giro del mondo destando sconcerto. Finito il clamore, spente le luci del circo mediatico, gli interventi promessi e finanziati, a livello locale, per migliorare le condizioni di vita e di lavoro di quei lavoratori immigrati, che ogni anno tornano per la raccolta degli agrumi, sono sfumati così come altre promesse. I fondi continuano ad arrivare, ma si disperdono in mille rivoli, dirottati verso il nulla di fatto.
L’ultimo incendio, di pochi giorni fa, nella notte tra il 6-7 dicembre, all’interno del nuovo insediamento di tende e baracche sorto dopo la rivolta di Rosarno, nel comune limitrofo di San Ferdinando, dimostra quanto poco si sia fatto nonostante le promesse e i fondi pubblici3.
Anche se a livello regionale si parla di ‘Sistema di accoglienza integrata’ e di rinascita delle aree in via di spopolamento attraverso la presenza dei migranti, di fatto la retorica è tanta e i piani d’intervento sembrano assecondare più le esigenze economiche degli autoctoni che i bisogni delle persone in fuga. La vicenda dell’ultimo sgombero è solo uno dei tasselli della politica del disprezzo da un lato e della furberia nostrana dall’altra.
Il modello sperimentato nel corso dell’Emergenza Nord Africa, quello dell’accoglienza diffusa sul territorio, diretto dalla Protezione civile- pur non trattandosi di un terremoto o di un’altra catastrofe- è stato costoso, per molti versi improvvisato, e soprattutto non facilitava l’inserimento dei rifugiati ma li consegnava all’inedia di un assistenzialismo risicato sostenuto da una buona dose di opportunismo e cinismo istituzionale.
1 di Jonas Carpignano, A Chjàna e Mediterranea qui i trailer: https://www.youtube.com/watch?v=LwwkXfmBdq8 https://www.youtube.com/watch?v=qaALVBbde_A
3 http://campagneinlotta.org/fuoco-ai-ghetti-di-stato-casa-per-chi-ci-vive/#.WElWPmFlpAc.facebook

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