domenica 27 novembre 2016

pc 27 novembre - LA CRISI DA' NUOVO SPAZIO AI RIFORMISTI - da Speciale Reprint della Rivista "LA NUOVA BANDIERA" - Ultima parte

Pubblichiamo l'ultimo capitolo dell'articolo di analisi politica sulla Crisi, contenuto nello Speciale Reprint della rivista mlm "La Nuova Bandiera" - per richiedere la rivista scrivere a: pcro.red@gmail.com

La crisi sembra voler dare nuovo spazio ai riformisti


I riformisti anche estremi avevano sostenuto finora che il capitalismo sempre era riformabile e che l'idea di una sua crisi irreversibile facesse parte ormai di teorie obsolete,  fenomeno ormai morto e sepolto. Ora, a fronte della crisi, cambiano ruolo e riciclano la “riformabilità del capitalismo della pre crisi” con la sua “salvabilità, ora post crisi”.
Si tratta di un cambiamento di posizione, per mantenere lo stesso ruolo.
L'effettiva realtà di questa crisi devastante, che permette la ripresa del marxismo e delle sue categorie di analisi, costituisce indubbiamente una novità positiva nel movimento operaio e nel movimento comunista.
Ma comporta anche l'insidia di un utilizzo del marxismo non corretto dentro la lotta proletaria nella crisi e soprattutto dentro la prospettiva del grande salto per il nuovo inizio che il movimento comunista può fare nelle condizioni create dalla crisi stessa.
Il complesso delle argomentazioni di questa posizione parte dall'assunto della descrizione della crisi come categoria generale e permanente del capitalismo di cui
questa crisi non sarebbe che l'ultima e più generale rappresentazione e, obiettivamente, fa corrispondere a questa descrizione una visione di essa come catastrofica e insuperabile. L'anti riformismo contenuto in questa posizione e la nuova fiducia che ispira verso le possibilità della rivoluzione, sono fatti indubbiamente salutari e positivi. Ma portano con sé un insidia, anch'essa non nuova nel movimento comunista, che è quella di non analizzare i caratteri specifici della crisi e della sua influenza specifica nella politica e nell'azione della borghesia. Rimandare solo al suo carattere generale significa sostenere che il capitalismo è in crisi da sempre, negare che nel capitalismo le crisi sono cicliche e non permanenti, fino alla visione conclusiva del suo carattere catastrofico e insuperabile.
Questo complesso di ragionamenti ha l'effetto principale di dare per morto ciò che ancora vivo e vegeto. Questi ragionamenti trasformano l'affermazione di potenza del comunismo che obiettivamente emerge dalla crisi, in impotenza dei comunisti nell'agire nella crisi come fattore di contrasto e approfondimento.

Il capitalismo ha messo in azione un ventaglio di soluzioni buone per tutti i gusti e capaci di mobilitare a suo sostegno tutte le forze. Per i comunisti è decisivo stare dentro il contrasto con ognuna di esse e con tutte insieme, per approfondire il contrasto capitale/lavoro, Stato/masse, riformismo/masse, per trasformare le potenzialità della crisi in possibilità di rivoluzione.

La crisi ha avuto il suo centro negli Stati Uniti e ha reso evidente come l'imperialismo USA, sia pur egemone, è un imperialismo in crisi. Questo manda in frantumi l'idea che il futuro sia caratterizzato da un ordine mondiale unipolare a dominio USA. L'assetto del mondo già prima del '89 sul piano economico e geostrategico era multipolare, il bipolarismo era dominante solo sul piano militare, questione certo abbastanza determinante ma non decisiva. Le contraddizioni interimperialiste Usa, paesi europei, Giappone, Russia, le nuove potenze emergenti Cina, India, nella crisi dell'imperialismo USA, sono destinate ad accentuarsi, anche se siamo ben lungi da una loro precipitazione in una nuova guerra. Per questa mancano ancora diversi fattori, primo tra tutti il ridefinirsi delle alleanze sul piano dell'unione tra economico e militare, vero cemento di ogni alleanza imperialista.
La crisi chiama l'imperialismo USA ad uno sforzo particolare, la presidenza Obama è sul piano politico un tentativo in questa direzione. La crisi è globale ma non colpisce in egual misura tutti i paesi. Quello che è certo è che essa incoraggia nel mare aperto da essa creato tutti i contendenti imperialisti a cercare, nell'uscita dalla crisi, l'opportunità per ricollocarsi con più forza nella contesa mondiale.

Ma ricollocarsi non è così facile, gli effetti perversi della finanziarizzazione hanno creato forme di cointeressi che stridono con la sfera di influenza di ciascuno dei contendenti. Questo rende molto intrecciata la situazione ed è la definizione leninista dell'imperialismo che ci aiuta a decifrarla.
Guardando ad una fotografia della situazione attuale l'accordo Usa/India e l'intervento americano in Iraq, Afghanistan e il dominio attuale del Medio Oriente spinge verso un'alleanza Russia/Cina. Il Giappone è conteso tra un'alleanza strategica con gli Stati Uniti e l'esigenza di mantenere e sviluppare un suo ruolo di potenza asiatica divenuta ora sempre più difficile con l'ascesa del gigante cinese. La Russia permane nella sua contesa con gli Stati Uniti e ha ridato alla dittatura borghese di Putin tutta la necessità di riscoprire e rivalutare in termini nazional imperialisti sia l'antica eredità zarista come la più recente da Stalin a Brezniev.

La crisi pone grandi problemi ai paesi imperialisti europei che, da un lato, sono legati al ruolo che gli Usa svolgono nella finanza mondiale, dall'altro hanno l'esigenza a diversi livelli e secondo diversi ambiti di approfittare delle difficoltà dell'imperialismo Usa in tutto lo scacchiere mondiale.
Alcuni paesi imperialisti europei, tra cui l'Italia, hanno interesse ad aumentare i loro legami con la Russia, così come altri a stabilire un rapporto di complementarietà con la Cina e la sfera asiatica, di mantenere la loro presenza imperiale in alcuni gangli vitali noti e meno noti dei paesi del Terzo Mondo e delle loro immense ricchezze giacenti. In Medio Oriente, in Africa gli imperialisti europei non sembrano però in grado di mantenere le posizioni a fronte del dominio americano e della crescente presenza cinese.

Comunque grande è il disordine sotto il cielo che la crisi ha portato alla luce. La materia incandescente delle contraddizioni interimperialiste cova inesorabilmente i germi di un nuovo conflitto mondiale. I tempi di esso appaiono ancora lunghi ma non vuol dire che non agiscano fin da ora.

E' erronea la posizione che guarda agli Usa come dominatori del mondo, unica superpotenza e che per questo perora un fronte unito mondiale contro l'imperialismo USA. Questa posizione lega obiettivamente le lotte proletarie e dei popoli agli imperialismi concorrenti e trasforma le lotte proletarie e i movimenti di liberazione in succubi e compartecipi della contesa interimperialista. Perfino nei luoghi in cui l'imperialismo Usa interviene direttamente – Iraq, Afghanistan, Medio Oriente con il gendarme israeliano, America Latina – la lotta contro l'imperialismo Usa non deve lasciare alcun spazio alla subordinazione agli altri imperialismi.
I processi che innesca la crisi sono sostanzialmente uguali in tutto il mondo: contenere i danni dei crack bancari, intervenire a sostegno delle industrie in crisi, favorire una ristrutturazione di collocazione di esse sul mercato mondiale. Questo esige l'abbassamento del costo del lavoro, l'ulteriore taglio delle spese sociali, mantenere bassi i prezzi dell'energia e delle materie prime, in una gara in cui chi riesce prima guadagna terreno sugli altri. 
Questo domanda uno Stato ancora più schiacciato sugli interessi immediati del grande capitale, uno Stato forte e militarizzato per imporre a tutti queste soluzioni e contenere l'inevitabile protesta sociale, ribellione dei proletari e dei popoli su cui la crisi è scaricata. 

Le soluzioni sono identiche indipendentemente dalla forma dei governi e la reazionarizzazione generale è l'unica tendenza che si afferma.  In ciascun paese essa assume i colori legati alla storia di questo paese e alle sue trasformazioni, ma è importante vederne i tratti comuni e considerare che da un lato si accentua la lotta di classe e dall'altro si attenua la dialettica governo/opposizione nelle sfere istituzionali, parlamentari di ogni paese .

Dal punto di vista del proletariato e dei popoli avanza la necessità di contrastare la discarica della crisi sulla propria pelle e di dover fare questa lotta con mezzi rivoluzionari e con fini rivoluzionari. Quindi ci sono condizioni favorevoli non solo allo sviluppo della lotta di classe ma al formarsi della coscienza rivoluzionaria e comunista.
Ma serve l'analisi concreta della situazione concreta, dato che esiste uno sviluppo disuguale che comporta uno sviluppo disuguale della lotta di classe e dei processi rivoluzionari. Lo sviluppo disuguale influenza la strategia e inquadra la tattica. 
Lo sviluppo disuguale è fondamentale anche nella definizione programmatica della lotta per il socialismo. Essa deve tener conto della condizione concreta di ciascun paese nella catena imperialista e delle sue differenze. 
Una visione schematico-dottrinaria del socialismo contiene in sé elementi ora di immediatismo ora di attesismo, ora estremisti, ora opportunisti, che non consentono ai comunisti di cogliere l'effettiva opportunità della situazione mondiale e dei riflessi in ogni paese e di porsi alla testa di una lotta rivoluzionaria del proletariato quanto mai matura e sempre più obbligata. 

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