sabato 12 novembre 2016

pc 12 novembre - Pomigliano non c'è giudice che tenga, Marchionne FCA se ne fotte e non li vuole in fabbrica - La lotta continua, ma una santa guerra di classe è necessaria!


FCA DI POMIGLIANO: LA BEFFA DEL REINTEGRO

da il mediano.com

Riceveranno regolarmente lo stipendio ma non potranno restare in fabbrica. Dovranno comunque rimanere  a casa perché l’azienda li ha esentati da ogni prestazione lavorativa: pagati per non lavorare. E’ questa la decisione della Fiat sul destino prossimo di Mimmo Mignano, Marco Cusano, Roberto Fabbricatore, Massimo Napolitano e Antonio Montella, i cinque operai della fabbrica automobilistica di Pomigliano e del reparto logistico di Nola licenziati due anni e mezzo fa dall’azienda per aver inscenato davanti agli stabilimenti il finto suicidio dell’amministratore delegato Sergio Marchionne, con tanto di patibolo, corda e fantoccio appeso raffigurante l’ad. A settembre però la Corte di Appello di Napoli ne ha ordinato il reintegro nel posto di lavoro e stamattina Mignano e gli altri faranno rientro negli stabilimenti di Pomigliano e di Nola.  Si tratterà di un rientro molto breve però. L’azienda infatti ha disposto che i cinque operai una volta espletate in fabbrica alcune pratiche burocratiche dovranno già nella stessa giornata di oggi abbandonare gli stabilimenti automobilistici. Con una disposizione comunicata il 7 novembre attraverso una lettera, i lavoratori reintegrati sono stati infatti esentati da ogni prestazione lavorativa. Vale a dire che saranno pagati per non lavorare. Riceveranno regolarmente lo stipendio ogni mese e anche le spettanze arretrate stabilite dal giudice con la sentenza di reintegro emanata il 27 settembre scorso. Ma non potranno lavorare in fabbrica: accesso ancora off limits per loro. Resteranno a casa. L’azienda intanto ha fatto ricorso in Cassazione contro la sentenza del tribunale di Napoli. Sarà quello del terzo e definitivo grado di giudizio il momento in cui evidentemente si tireranno le somme dell’intera vicenda. Una storia cominciata il 5 giugno del 2014, quando i cinque operai in questione appendono a un patibolo piazzato davanti al reparto logistico Fiat di Nola un fantoccio raffigurante il volto dell’amministratore delegato di Fca, Sergio Marchionne. Una protesta choc messa in atto – come hanno più volte sostenuto gli stessi manifestanti – “con una satira spinta e per questo molto provocatoria immaginata all’indomani del suicidio degli operai cassintegrati del reparto logistico, Pino De Crescenzo e Maria Baratto”. La protesta clamorosa, preceduta da un altro “flash mob” con gli operai stesi a terra e “insanguinati” con della vernice rossa, viene poi seguita qualche giorno dopo dal finto funerale di Marchionne inscenato con tanto di bara e lumini accessi davanti al varco operai della Fiat di Pomigliano. Quindi, pochi giorni dopo, il licenziamento di Mimmo Mignano, di Somma Vesuviana, Massimo Napolitano, di Acerra, Marco Cusano, di San Nicola la Strada, Roberto Fabbricatore, di Angri, e Antonio Montella, di Torre del Greco. Tutti cinquantenni e tutti con famiglie al seguito. Inizia la battaglia giudiziaria. Per due volte di seguito il tribunale di Nola dà ragione alla Fiat respingendo la richiesta di reintegro dei cinque operai. Nelle due sentenze i giudici di Nola affermano sostanzialmente che i manifestanti “hanno travalicato il diritto di critica rompendo il rapporto di fiducia con l’azienda”. Ma la Corte di Appello di Napoli a settembre ribalta le due sentenze precedenti: “E’ stata libertà di espressione e di critica: i lavoratori devono essere reintegrati”.

Nessun commento:

Posta un commento