lunedì 20 giugno 2016

pc 20 giugno - INTERVENTO DELL'AVV. PELLEGRIN DI TORINO SUL LIBRO "ILVA LA TEMPESTA PERFETTA"

In attesa di dare un resoconto delle belle e importanti serate di presentazione del libro "Ilva la tempesta perfetta", tenutesi a Torino, Brescia, Bergamo, Milano, pubblichiamo un intervento molto interessante dell'avv. Enzo Pellegrin di Torino (legale delle parti civili di lavoratori, abitanti dei Tamburi al processo Ilva di Taranto), su una parte del libro - una sintesi di questo intervento è stata fatta direttamente da Pellegrin nella serata di presentazione a Torino presso la libreria Comunardi.
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"Vi è una parte del libro molto interessante, sia socialmente sia per gli appassionati di diritto, perché esamina nel dettaglio le ragioni dell’istanza di trasferimento (in gergo remissione) del processo da Taranto.

La rimessione, codicisticamente è il trasferimento del processo quando vi sono gravi situazioni locali che pregiudicano la libera determinazione delle persone che partecipano al processo ovvero la sicurezza e l’incolumità pubblica, oppure determinano motivi di legittimo sospetto (il fatto cioè che i soggetti del processo siano in qualche modo talmente influenzati nella loro decisione da far venir meno l’imparzialità del giudizio). Gli autori dottrinali affermano che: “La storia dello stesso si è sempre contraddistinta per i relativi impieghi strumentali, rapportabili alle più varie ragioni di parte, avallati da formule, come appunto il “legittimo sospetto”, che, agevolando l’ingresso di valutazioni discrezionali nei meccanismi di accertamento delle cause di modificazione della competenza, hanno consentito utilizzazioni dell’istituto dirette a soddisfare esigenze estranee al processo.”
Ma qui è utile valutare ciò che dicono gli avvocati di Riva, perché oggetto dell’istanza di remissione è
 1) da un lato il fatto che lo stabilimento, il modo di produzione con cui è stato amministrato, hanno inciso così profondamente sulla città da rendere inevitabile che nasca una vera e propria “pressione sociale” per individuare le responsabilità ed i meccanismi che stanno alla base degli accadimenti dell’Ilva
2) dall’altra parte che questa “pressione sociale” questo interesse a processare sarebbe negativo, perché influenzerebbe l’imparzialità dei soggetti del processo.o la loro libera determinazione nell’agire. Cosa si dice in soldoni? Si dice che quando un processo si celebra, l’interesse dei cittadini all’accertamento della verità circa gravi responsabilità diventa un problema. Un problema perché
rischia di scoprire veramente l’assassino, non tanto chi individualmente ha male o bene gestito i parametri ambientali e di sicurezza nella conduzione dell’impianto, ma il fatto che il modo di produzione capitalistico non è né buono né cattivo. Siccome volto alla massimizzazione del profitto, questa sua voracità travolge ed indirizza l’intera struttura della società, ne fagocita il lavoro nel suo sfruttamento ne fagocita la salute, il territorio, il genius loci, le aspirazioni nella necessità del profitto, ne fagocita le istituzioni che si etichettano come “democratiche" asservendole alle finalità del capitalista, quale esso sia.
Il processo all’ILVA è, dal punto di vista sociale, un esempio perfetto di tutto questo: prima di tutto lo sfruttamento inumano della forza lavoro, la privazione dei diritti con il ricatto occupazionale, la subordinazione della salute, il pesante inquinamento ambientale, le morti sul lavoro e fuori del lavoro, la corruttela senza vergogna degli amministratori statali, comunali, regionali, la loro inevitabile trasformazione in braccio istituzionale dei comitati di affari, fintanto che si legittimi una produzione a scopo di profitto del capitale, privato o nazionale che sia.
l rischio è che tutto questo si mostri nel processo è il rischio di far per la prima volta comprendere che il nemico non è la fabbrica, il cattivo capitalista, ma il modo di produzione: il capitalismo.
E questo non può succedere: gli avvocati dei Riva strumentalmente sembrano suggerire che il processo non può trasformarsi in un processo alle condizioni strutturali della nostra società.
Queste sarebbero colonne d’ercole che non si possono superare. Sembrano suggerire: guardate che un processo di questo genere non è dannoso solo ai Riva, ma anche a voi stessi, perché voi stessi siete colonne portanti di questa società che verrà processata. Per far questo utilizzano tutte le manifestazioni di pressione sociale (dalla singola dichiarazione di un magistrato, alla denuncia dell’ambientalista, alla manifestazione ed alla lotta, persino le dichiarazioni del Vescovo…) per dire che quel tipo di clima rischia di abbattere le colonne d’ercole, di andare al di là, di modificare l’orientamento sociale di consenso ai rapporti economici dominanti. sui quali, e lo dicono, dal punto di vista della verità, a ragione, sono fondate quelle stesse leggi che pretendete di applicare. Sostengono che l’esigenza di avere giustizia ha comportato problemi di ordine pubblico, mentre dimenticano che sono le istituzioni che nell’intento di affossare la protesta e la lotta popolare hanno utilizzato la repressione per “militarizzare” addirittura lo stabilimento all’inizio del 2013, quando fu consegnato alla vigilanza esterna ed interna di Digos, per assicurarne coattivamente la continuità della gestione capitalistica, anziché permettere la critica di quel modo di produzione. Il processo è soprattutto una tranquilla applicazione di leggi, non un processo “politico” sulla sostanza, e per questo deve svolgersi tranquillamente, senza pressione esterna che ne influenzi l’imparzialità. Cosa che non è nemmeno del tutto vera. Mi garba spesso scoprire le contraddizioni che spesso sono inserite nello stesso sistema legale. Eh, sì, perché il processo, nella sua costruzione, per legittimarsi, deve anche far vedere di avere una funzione democratica, di controllo popolare. Per questo esistono alcuni principi. Tra cui quello della PUBBLICITA’ del processo e dell’udienza, che non vuol dire interesse dei media a cucirci sopra trasmissioni-spazzatura sensazionalistiche sulla pruderie per i crimini familiari e sessuali. Esso è garantito a parole persino dall’art. 6 della Convenzione dei Diritti dell’uomo, che prevede espressamente il principio della pubblicità del processo penale con riferimento sia alla pubblicità del dibattimento in quanto tale (cifra 1 prima frase) che alla pubblicità della pronuncia della sentenza (cifra 1 seconda frase).
 Vorrebbe dire due cose fondamentali
1) permettere al popolo di controllare COME viene amministrata la giustizia “in suo nome”
2) permettere al popolo di conoscere i meccanismi che hanno portato alla responsabilità penale, al generarsi dei fatti, comprenderne la verità per poterli sottoporre alla discussione democratica. E questa è la funzione più “pericolosa”, perché questa conoscenza e questo controllo dovrebbero consentire al popolo di decidere e valutare se l’organizzazione sociale in cui stanno è la più idonea, giusta ed equa, se quindi sia necessario un cambiamento, se questo cambiamento debba essere più o meno radicale. Pericolosissima quest’ultima funzione, perché rischia il contatto con la verità e quindi con la giustizia Ed allora bisogna ricondurre la legge all’interno della sua funzione formale. Nel richiamare la garanzia dell’ ”imparzialità” della giustizia sembra dire: attenzione che quando c’è troppa verità, si scopre l’ingiustizia della legge. La legge per continuare ad essere legge non deve mostrare la sua anima, come il mago non può mostrare i suoi trucchi. Ed allora la legge deve tornare a specchiarsi in se stessa, nei codicilli e nei riti e soprattutto nelle sue forme più che rivelare la sua sostanza! Ricordo un’efficace descrizione di Leonardo Sciascia: la legge e la giustizia intese “nel senso di quella astrazione in cui le leggi vanno assottigliandosi attraverso i gradi di giudizio del nostro ordinamento, fino a raggiungere quella trasparenza formale in cui il merito, cioè l’umano peso dei fatti, non conta più; e, abolita l’immagine dell’uomo, la legge nella legge si specchia.” Perché il processo può arrivare a far piazza pulita di tutti i luoghi comuni che hanno spesso avvelenato il terreno di discussione del fenomeno ILVA si potrebbe scoprire che il nemico non è il capitalista cattivo, che non ha riguardo all’ambiente, ma qualsiasi tipo di capitalismo si potrebbe scoprire che il vero responsabile non è il funzionario od il politico corrotto, ma che nel capitalismo qualsiasi funzionario e politico finisce per essere comunque lo strumento di comitati d’affari si potrebbe scoprire che il nemico non è la fabbrica o la produzione o l’operaio che vi lavora, ma che il capitalismo finisce per ingurgitare ogni modo di produzione rendendolo dannoso, persino quelli dipinti come puliti e responsabili, ma che in realtà si fondano su materie prime e tecnologia depredata ed estratta violentando l'ambiente. Insomma, c’è il pericolo che il processo ILVA assuma in tutto e per tutto un vero scopo di giustizia, quello di scoprire il vero assassino. Quello scopo di giustizia che la legge, questa legge, non si potrebbe mai assennatamente permettere. Il pericolo della giustizia. Per questo destano veramente rispetto ed impressione le parole con cui chi ha lavorato al libro termina l’analisi di questa istanza di remissione: “Bene, Che il processo possa servire per i lavoratori e le masse popolari, non solo di Taranto, ma a livello nazionale, a rendere effettivamente concreto questo pericolo”!

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