martedì 31 maggio 2016

pc 31 maggio - HOTSPOT - NON C'E' LIMITE AL PEGGIO! ALFANO E LA UE PENSANO ANCHE A GALERE IN MARE

 "Una grande nave d’appoggio, come la San Giusto della Marina militare, potrebbe presto incrociare al largo delle coste italiane"... Li chiamano hotspot galleggianti: centri d’identificazione in mare, dove i profughi vengono fotosegnalati, poi portati a terra e da lì, per chi non ha diritto all’asilo, rimpatriati. 
La Commissione Europea aspetta dall’Italia una "valutazione approfondita" sulla fattibilità degli hotspot galleggianti. Per questo, oltre a portare a sei il numero complessivo di questi centri entro luglio, si pensa all’opzione di utilizzare la nave San Giusto della Marina militare italiana".


In questo modo governo Italiano e Commissione europea puntano a non farli neanche mettere piede sulle nostre coste. Un modo comodo, senza più accoglienza, e con costi molto più ridotti per riportare indietro i migranti, perchè di questo si tratterà per la stragrande maggioranza dei migranti.
Altro che "Corridoi umanitari". Alfano sta preparando corridoi disumani, con migranti, giovani, donne, bambini, trattati come bestie da selezionare e rispedire al mittente. 
Cosa potranno diventare in realtà questi "Hotspot galleggianti" ce lo mostra l'Australia - RIPORTIAMO UN ARTICOLO PUBBLICATO TEMPO FA:


(Da Il Manifesto) - "...la politica di Canberra nei confronti di rifugiati e migranti è sintetizzata nello slogan «No Way», vale a dire nessuna possibilità che qualcuno sbarchi sul territorio nazionale grazie a
un capillare controllo da parte della marina e a una serie di accordi stipulati con gli altri paesi dell’area per la costruzione di centri di identificazione su alcune isole distanti dalle coste australiane.
È qui, nell’isola Christmas, in mezzo all’Oceano Pacifico, piuttosto che sull’isolotto di Nauru o a Manus Island, “affittate” agli australiani dalle autorità della Papua-Nuova Guinea che sono sorte delle vere e proprie prigioni dove sono costretti migliaia di richiedenti asilo e di migranti: donne, uomini e anche molti bambini. Luoghi sinistri e pericolosi, il cui uso è stato più volte condannato da Amnesty International dove regna la violenza e dove, dopo mesi di detenzione provvisoria, la disperazione è spesso l’unica forma di protesta possibile.
Dopo la rivolta che alla fine dello scorso anno aveva scosso l’isola Christmas in seguito alla morte di un giovane kurdo, l’epicentro della tensione si è spostato in questi giorni a Nauru dove i richiedenti asilo imprigionati hanno lanciato una forma estrema di protesta: prima un giovane iraniano di 23 anni e quindi una donna somala di 21 anni hanno deciso di immolarsi con il fuoco per denunciare la situazione. L’uomo è morto nei giorni scorsi mentre la donna è stata trasportata mercoledì in un ospedale australiano dove lotta tra la vita e la morte. Tutt’altro che dei casi isolati.
Secondo un’inchiesta del Fairfax Media, uno dei principali network locali della comunicazione, nelle «isole prigioni» ogni due giorni si registrerebbe un nuovo caso del genere: tentativi di suicidio e di mutilazioni per disperazione o per far conoscere all’esterno le condizioni di detenzione.
Una protesta estrema, cui fanno eco la mobilitazione delle associazioni antirazziste e le denunce da parte di ong e organizzazioni per i diritti dell’uomo, che non sembra però scalfire la determinazione delle autorità australiane che, anzi, considerano chi sostiene migranti e richiedenti asilo come responsabili di quanto sta accadendo...

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