sabato 28 maggio 2016

pc 28 maggio - La strage infinita dei migranti nel Mediterraneo non ha fine, se non mettiamo fine ai governi e alle politiche dell'imperialismo

Redazione di Operai Contro, Renzi porterà alla riunione del G7 in Giappone l’orgoglio dell’Italia che salva vite umane Renzi salva solo i profitti dei padroni Un operaio senegalese dall’Espresso http://speciali.espresso.repubblica.it/interattivi-2014/migranti/index.html?refresh_ce […]

Dal 2000 al 2013 sono morti più di 23 mila migranti nel tentativo di raggiungere l’Europa via mare o attraversando i confini via terra del vecchio continente: il 50 per cento in più di quello che appare dalle stime esistenti. Una strage con un bilancio simile a quello di una guerra per dimensioni e numero di decessi – in media più di 1.600 l’anno – e le cui dimensioni numeriche emergono da un confronto tra varie fonti di dati, per la prima volta riunite in un unico database.

Migrants Files
I “Migrants Files” – liberamente accessibili dal sito dell’inchiesta – nascono dal tentativo di costruire una base di dati unica sul fenomeno dei migranti che muoiono per raggiungere il vecchio continente. Ma, pur essendo il database più esaustivo finora pubblicato, rimane una fonte ancora incompleta e migliorabile. Non solo perché il conteggio parte dal 2000, ma anche perché alcuni eventi compaiono ancora duplicati ed è noto che molte vittime non vengono mai registrate.
Caso emblematico sono i migranti morti tra l’isola francese di Mayotte e l’arcipelago delle Comore (a Nord-Ovest del Madascar): le autorità francesi nel 2012 stimavano tra le 7 e le 10 mila vittime in quel punto dell’Oceano Indiano, mentre nei ‘Migrants Files’ ne risultano “solo” 757.

I morti di Lampedusa
Dai “Migrants Files” emerge chiaramente come una delle tratte più pericolose sia quella che coinvolge le acque del Mediterraneo tra l’Africa e il sud Italia: un vero e proprio cimitero sommerso, come fosse il campo di una battaglia per la sopravvivenza che i migranti combattono contro il mare e le guerre che si lasciano alle spalle, salendo sui barconi della morte che li dovrebbero portare verso la libertà. Non bastano i radar costieri e le avanzate tecnologie di sorveglianza: facendo le somme, tra il 2000 e il 2013 almeno 6.400 tra donne, uomini e bambini sono morti nel tentativo di raggiungere Lampedusa (quasi 8.000 se si allarga lo spettro all’intero Canale di Sicilia).

Per i migranti attraversare il Mediterraneo rappresenta un rischio altissimo: il tasso di mortalità delle rotte via mare risulta essere di gran lunga superiore rispetto alle rotte via terra. La rotta più pericolosa
è quella della quale noi italiani sentiamo spesso parlare, tra l’Africa e Lampedusa (quasi il 4% di morti e dispersi sul totale di avvistati nel 2012), certamente maggiore delle pur tragiche rotte della morte a Est del Mediterraneo (tra Grecia e Turchia, il 3,4%) e a Ovest (Canarie e Spagna, il 3,0%). Guardando esclusivamente all’Italia, per cui si hanno dati più recenti, nel 2013 ha perso la vita un migrante ogni 60 sbarcati sulle nostre coste (l’1,67 per cento), come risulta dal confronto tra morti e dispersi dei “Migrants Files” e i migranti sbarcati censiti dal Ministero dell’Interno. Accanto a questi, poi, ci sono i molti migranti che muoiono lontani dai confini d’Europa, come quelli intercettati dalle forze armate in Libia o Marocco, incentivati dagli accordi presi tra i governi europei e africani, o quelli sorpresi al confine tra Egitto e Israele.

La prova del Dna per riavere le salme
Dati e statistiche di fronte ai quali assume un valore ancora più macabro la notizia recente che riguarda più di 360 morti del naufragio del 3 ottobre 2013 a Lampedusa: a distanza di mesi, i cadaveri non sono stati ancora rimpatriati. “Abbiamo chiesto più volte il rimpatrio delle salme – sottolinea padre Mussieu Zerai, presidente dell’agenzia Habescia, in un’intervista al Redattore Sociale – ma la situazione è ancora in alto mare. Sappiamo che le autorità italiane hanno deciso di restituire le salme ai familiari che fanno richiesta, dopo essersi sottoposti però alla prova del Dna. Ma per fare questo serve la collaborazione del governo eritreo, perché la raccolta del Dna viene fatta lì attraverso la Croce Rossa. E per ora è tutto fermo”. Un ritardo a cui si aggiunge un paradosso ancora più grande. “Perché viene data la cittadinanza ai morti e non ai vivi di quella immane tragedia? Perché vari di loro sono rimasti esposti alle intemperie per mesi nel CIE di Lampedusa?”, chiede Gianluca Petruzzo, responsabile nazionale dell’Associazione antirazzista e interetnica 3 Febbraio. Si riferisce agli stessi morti per i quali le autorità italiane hanno celebrato un funerale di Stato, salvo poi incriminare i familiari sopravvissuti per immigrazione clandestina e chiuderli nel CIE di Lampedusa.
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Le fonti e lo scambio dei dati
È come se nel suo complesso il problema dei morti e dispersi ufficialmente non riguardasse nessuno. Nemmeno Frontex, l’organismo comunitario creato nel 2004 con il compito di monitorare i transiti verso il vecchio continente, rilascia dati specifici sul fenomeno perché – come spiegava Ilkka Laitinen, direttore esecutivo di Frontex nel 2007, in una lettera aperta intitolata “Frontex – fatti e miti” – l’agenzia non ha né la mansione specifica, né le risorse umane ed economiche per gestire il problema di migliaia di migranti che tentano di valicare illegalmente le frontiere d’Europa. E quindi nei report di Frontex si parla ripetutamente di “traffico di esseri umani”, ma si evita di affrontare il problema di quanti effettivamente abbiano perso la vita o siano dispersi.
I Migrants files raccolgono i dati sui naufragi censiti da Gabriele Del Grande, giornalista e curatore dell’osservatorio Fortress Europe; dal monitoraggio realizzato da UNITED for Intercultural Action, una NGO che coordina più di 500 organizzazioni europee che si occupano di rifugiati e migranti; e dal progetto PULS dell’Università di Helsinki in collaborazione con il Joint Research Center of the European Commission, un database globale di notizie dal quale sono state filtrate quelle su migrazione e traffico di esseri umani.
Dall’incrocio di queste fonti nasce “The Migrants Files”, il più vasto monitoraggio a livello continentale sul tema, perché non esistono né in Italia né in Europa istituzioni che effettuino sistematicamente censimenti di questo tipo. Non esistono altre stime che non siano frammentarie o visibilmente sottodimensionate. Come quelle dell’Organizzazione Marittima Internazionale (IMO), l’agenzia delle Nazioni Unite volta a promuovere la cooperazione marittima tra i paesi membri e a garantire la sicurezza della navigazione e la protezione dell’ambiente marino. Ogni anno l’IMO rilascia due report intitolati “Prassi insicure associate al traffico e al trasporto di migranti via mare” (“Unsafe practices associated with the trafficking or transport of migrants by sea”).
Aggregando i dati tra i report degli ultimi anni si contano ben 87.114 migranti salvati dal 2001 al 2011, mentre il conteggio delle vittime è in realtà irragionevolmente basso (appena 20 morti e 8 dispersi). Sempre l’IMO in altre occasioni ha pubblicato altre cifre, ma focalizzate in zone o periodi specifici. Come i 27.165 migranti salvati dalle autorità spagnole dal 1991 al 2005. Di questi, si apprende, ne sarebbero morti solo 335 e dispersi 362.

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