mercoledì 18 maggio 2016

pc 18 maggio - Maria Pia Zanni fuori dalla Cgil... Denuncia tutta giusta, ma per costruire il sindacato di classe? O per passare ad esempio dalla padella alla brace...?

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Ho conosciuto il volto peggiore della Cgil, da militante di questa organizzazione e da compagna che ha animato tante lotte sociali e per il lavoro. Eppure, insieme a tanti compagni ho provato a resistere ad un potente apparato politico e burocratico che, nel tempo, ne ha snaturato i valori fondativi, fino a consegnarci una Cgil interdittiva del conflitto di classe e che, davanti all’acutizzarsi dello scontro tra capitale e lavoro e dentro uno scenario internazionale di ridefinizione degli assetti politici, sostanzialmente arretra e ne dichiara la resa. Con molti di questi compagni ho condiviso il progetto che, più strutturalmente di quanto non avesse rappresentato l’esperienza sindacale della rete 28 aprile, ha posto e rappresentato all’ultimo congresso la necessità di mantenere aperto uno spazio politico di pratica del conflitto, di ricomposizione delle lotte e di opposizione contro la deriva autoritaria e compatibilista della Cgil. Del resto questa stessa necessità mi aveva portato in Cgil anni prima, quando a rappresentarla era proprio la rete 28 aprile.
Da allora, e negli anni a seguire, i segni di un disfacimento identitario nella linea e nella pratica della
Cgil sono diventati sempre più evidenti.
Modello di rappresentanza, jobs act e modello contrattuale sanciscono di fatto il regime, l’ordine di Marchionne: una condizione di lavoro permanentemente precaria, senza diritti e senza dignità, o si è schiavi o si è fuori. Il ricatto permanente sulle nostre vite, il nostro tempo, sulla salute, sul futuro che non ci appartiene più. Chi non ci sta è sanzionato, colpito, cacciato.
I dispositivi di repressione del dissenso ed il restringimento degli spazi di democrazia sono ormai entrati in ogni luogo di lavoro, privato e pubblico, ma hanno pervaso anche luoghi che tradizionalmente e per natura erano vocati all’esercizio della democrazia, della partecipazione alla costruzione di processi decisionali collettivi.
Persino la scuola, attraversata da un brutale processo di aziendalizzazione introdotto dalla controriforma cosiddetta “La buona scuola”, ne è colpita.
Un attacco senza precedenti di governo e padroni al quale la Cgil non ha dato nessuna vera risposta di mobilitazione generale, preoccupata più alla conservazione di uno spazio residuale di sopravvivenza che a promuovere e coordinare le lotte.
Anche la Fiom che pure aveva intercettato i bisogni e le speranze nei tanti luoghi di lavoro e nella società, chiudeva lo spazio di praticabilità del conflitto ed avviava un processo di normalizzazione al suo interno.
Il “nuovo” corso della Cgil e la ritrovata unità con Cisl e Uil non consentono alcun dissenso reale dentro e fuori dall’organizzazione. La nostra esperienza di opposizione ha invece praticato realmente quel dissenso.
Per la prima volta un’area interna all’organizzazione, costituita e diretta dal basso, ha osato sfidare l’organizzazione, la sua linea, le sue regole.
Per questo le compagne e i compagni FCA di Termoli e Melfi pagano con l’incompatibilità e la destituzione pendente di ogni titolarità alla rappresentanza dei lavoratori in fabbrica, l’opposizione vera al modello Marchionne.
E con loro paga per tutti Sergio Bellavita, portavoce nazionale dell’area, licenziato Fiom/Cgil.
La statuizione dell’incompatibilità nel nuovo ordine della Cgil cambia di fatto il corso e l’agire dell’opposizione interna, sicchè nulla è più come prima. Cionostante abbiamo provato a verificare la possibilità di mantenere uno spazio aperto, ma evidentemente il veleno inoculato era già arrivato ai gangli vitali dell’organismo. E così all’unica vera area di opposizione mai esistita in Cgil è mancato il coraggio del conflitto, della lotta.
Un’area di opposizione che dice di praticare il conflitto, non può non partire da sé e provare ad organizzare la difesa della sua identità e dignità attraverso il suo portavoce, che, come dovrebbe essere ovvio, non è consentito considerare alla stregua di uno strillone o di un piazzista, pena la credibilità e la sopravvivenza stessa dell’area. Né è pensabile che sul punto si avvii al nostro interno una contrattazione definendo aprioristicamente le condizioni per poter organizzare una risposta di lotta. Chi si pone con questa modalità sa bene che si presenta con le armi già spuntate, specie se la condizione è rimanere “a prescindere” in Cgil.
Non è questa l’opposizione che ho conosciuto e praticato dentro e fuori la Cgil.
Mi riesce difficile comprendere, dentro una cultura ed una pratica di solidarietà e di lotta, come nella prima assemblea nazionale dell’area dopo i fatti gravi delle compagne e dei compagni di FCA e la ritorsione seguita con il licenziamento di Bellavita, ci si possa presentare ai compagni dei territori con due documenti che già guardano al prossimo congresso, di fatto derubricando l’intera e dolorosa vicenda.
In realtà la precipitazione di tali ultimi accadimenti e la gestione politica dell’area stessa impattava su visioni politiche ed identitarie diverse e già presenti in seno all’area ed alla sua direzione.
Visioni e posizioni che invece di tradursi in ricchezza politica da finalizzare al progetto comune hanno finito per articolarsi in schemi rigidi e precostituiti che non hanno aiutato la discussione e l’hanno fatta ulteriormente precipitare fino alle reciproche interdizioni.
Per parte mia posso dire di aver vissuto intensamente questa esperienza sindacale in Cgil e di essermi messa al servizio fino in fondo del suo progetto di opposizione alla deriva della Cgil e di difesa strenua dei diritti sociali e del lavoro.
Lungo il percorso ho rinvenuto le tracce di un faticoso e difficile cammino e mi sono riconosciuta in tanti volti e storie che, nazionalmente e localmente, parlano e attingono allo stesso alfabeto politico.
Non sempre, è il dato di bilancio che pure affiora, la teoria politica ha orientato con sagacia l’azione; non sempre lo sguardo è apparso proiettato lungo e fermo sulle direttrici di un progetto comune.
Umane debolezze che in qualche caso rivelano un’antica malattia….
Abbiamo ancora tanto da imparare per uscire indenni dalla tagliola del padrone di turno; tanto il cammino da fare insieme a vecchi e nuovi compagni per rompere le nostre catene.
Sono certa che con molti compagni/e ci ritroveremo nelle lotte comuni a difesa dei diritti dei lavoratori e dei più deboli.
Alle tante compagne e compagni che ho conosciuto e con i quali ho condiviso questa straordinaria esperienza, va il mio saluto affettuoso,
Alle compagne e ai compagni di Napoli e della Campania che mi hanno accompagnata nella difficile e faticosa costruzione di questa esperienza anche a livello locale, un caloroso abbraccio ed un arrivederci.
Maria Pia Zanni
Direttivo Nazionale Cgil – Direttivo Nazionale FP-Cgil

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