mercoledì 30 marzo 2016

pc 30 marzo - Firenze "SOLIDARIETÀ PER CHI LOTTA, SOLIDARIETÀ AGLI 86!" - corteo 9 aprile

CONTRO LA REPRESSIONE, LA SOLIDARIETA' E' LOTTA!

Lunedì 21 marzo il PM Coletta ha avanzato le richieste di
condanna nel Processo contro il movimento fiorentino: le lotte politiche
e sociali, studentesche, le mobilitazioni antifasciste e antirazziste,
la solidarietà, i cortei e i presidi organizzate
 a Firenze dal 2009 al 2011 hanno, per l’accusa, un prezzo di 71 anni e 9
 mesi di carcere.

La costruzione dell’inchiesta ruota attorno all’applicazione del reato
di associazione a delinquere, utile alla criminalizzazione stessa delle

lotte ed a una gestione politica di Procura e Digos, mentre le misure
cautelari del 4 maggio e 13 giugno 2011 assumono
 un significato determinante proprio all’interno di quella gestione
politica.

Le misure cautelari vengono imposte, richieste dal PM e giudicate
necessarie dal GIP, per tre ragioni: pericolo di fuga, di inquinamento
delle prove o di reiterazione del reato. La loro applicazione quindi non
 si basa sull’analisi di fatti specifici bensì sul
 giudizio politico e sociale della persona che il giudice si trova di
fronte: conta “chi sei”, la tua appartenenza politica, il tuo lavoro, i
tuoi rapporti, sia politici che personali.

La misura cautelare quindi è un dispositivo punitivo che anticipa la
condanna, principalmente strumento appunto di coercizione preventiva,
utile alla controparte per cercare sin da subito di esercitare pressione
 sugli indagati, arrivando agli interrogatori
 di garanzia in uno stato di privazione o restringimento di libertà in
cui può essere sicuramente più facile che qualcuno scelga strade
individuali, di differenziazione o dissociazione.


Nel caso del Processo contro il movimento fiorentino va sottolineato
come su 86 compagn* indagat* , con a carico 35 misure cautelari, tutti i
 compagni interrogati si sono avvalsi della facoltà di non rispondere e
tutti gli 86 sono arrivati a processo con rito
 ordinario, rifiutando patteggiamenti e riti abbreviati.

E’ necessario, come sempre, affrontare questa inchiesta e questo
processo individuando il contesto e le strategie repressive che vi
stanno dietro, la cornice all’interno della quale la strategia
repressiva si articola, gli elementi e gli attori che ne determinano
 lo sviluppo, il suo rapporto dialettico con le fasi politiche ed
economiche.

La cornice all’interno della quale si riadegua la strategia repressiva è
 quella della Fortezza Europea, della competizione interimperialista e
della guerra, di cui i nostri territori rappresentano il fronte interno,
 da anni investito da tutte quelle misure
 che stati e governi reputano necessarie per il controllo sociale. E’
proprio all’interno di questo abbiamo il continuo inasprimento della
legislazione antirepressiva e antiter che negli ultimi 30 anni ha
caratterizzato l’Italia, dove l’accentramento dei poteri
 (esecutivizzazione) e la generalizzazione del controllo si è
accompagnato con la specializzazione della repressione.

L’emergenza, già ben oliata nel ciclo di lotte degli anni ‘70/80, è
stata leva di consenso attraverso il quale si sono legittimati tutti i
passaggi che hanno segnato questa continua ristrutturazione: il 41 bis, i
 reati associativi, le leggi “antimmigrazione”,
 i CIE e i provvedimenti extragiudiziali, le leggi “antistadio”, la
militarizzazione dei territori colpiti da calamità naturali e di quelli
ritenuti di “interesse strategico” (muos, tav, discariche…), la
progressiva erosione di agibilità e libertà in cambio
 di “sicurezza”.

Lo stato e gli apparati repressivi hanno avuto la forza e la capacità di
 reclutare e cooptare all’interno delle proprie file anche nuovi
soggetti fino a quel momento estranei a compiti di controllo poliziesco:
 stiamo parlando dei controllori sugli autobus,
 degli stewards allo stadio, del personale medico addetto al TSO, di
alcune tipologie di lavoratori coinvolti nella gestione dei CIE, i
presidi e il corpo docente nelle scuole dopo l’approvazione della Buona
Scuola.

A questo livello repressivo corrisponde però anche altro. Negli ultimi
mesi abbiamo assistito ad un numero di controlli e perquisizioni
antidroga all'interno delle strutture scolastiche sempre crescente
accompagnate da lezioni e incontri in cui a salire in
 cattedra erano direttamente agenti di polizia con il compito di
istruire gli studenti alla “cultura della legalità”, che ben lungi
dall'essere superpartes, rappresenta la legalità dalla classe dominante.

Questa è la lente che dobbiamo usare anche per andare oltre la
superficie di leggi come il Jobs Act che in realtà agiscono proprio sul
piano del controllo e della repressione, dotando il padronato di tutti
gli strumenti necessari per agire, in modo preventivo,
 contro ogni tentativo di organizzazione dei lavoratori che esca da un
livello di compatibilità con le esigenze produttive.

Alla luce di questo ragionamento, così come sul piano internazionale
lottiamo contro la guerra, sui luoghi di lavoro e sul territorio
cerchiamo di agire nello scontro tra capitale e lavoro, crediamo sia
imprescindibile non lasciare sguarnito il fronte repressione
 considerando la solidarietà come un elemento fondamentale della lotta
stessa.

Lottare contro la repressione significa analizzare e approfondire il
modo in cui si muovono gli apparati repressivi, individuando complici e
responsabili di questa strategia compreso il governo in carica e in
questo il Partito Democratico e il governo Renzi.

Lottare contro la repressione significa comprendere i meccanismi su cui
essa fa leva per metterci a tacere e isolarci, innescare divisioni e
percorsi de-solidaristici. Per questo è importante gettare lo sguardo
all'interno delle mura carcerarie perché i livelli
 di divisione e differenziazione che oggi caratterizzano il sistema
carcerario sono i medesimi che la controparte ripropone al di fuori.
Bisogna comprendere come i carcere sia emblema e punta emergente della
repressione stesa e di un sistema diviso in classi.

Dove la controparte cerca di isolare, dividere e differenziare per noi
il compito è quello di riallacciare legami e rapporti. Questo lo vediamo
 nelle carceri ma anche nella quotidianità dei quartieri popolari o sui
posti di lavoro, dove un lungo percorso di
 spoliticizzazione e disimpegno di massa sta dando i suoi frutti amari
nella crescita di sentimenti egoistici, razzisti e xenofobi, complici
delle politiche reazionarie e guerrafondaie.

Si tratta di un meccanismo simile a quello utilizzato durante il periodo
 fascista dove lo Stato d'eccezione e di guerra era apertamente
dichiarato. Lo Stato d'eccezione e di guerra si sono evoluti e
trasformati fino ad arrivare noi: lo abbiamo visto nelle fasi
 storiche in cui si è alzato il livello dello scontro di classe e lo
vediamo chiaramente ora che la guerra arriva a colpire all'interno dei
confini della Unione Europea.

La solidarietà è quindi essa stessa uno strumento e una pratica di
lotta. La solidarietà dev'essere una pratica capace di tenere insieme un
 ragionamento complessivo per sapere contrapporsi alla strategia
repressiva, altrimenti corriamo il rischio di relegarla
 ai soli benefit, importanti ma non sufficienti, e esprimerla solo nei
confronti dei propri affini e delle pratiche che riconosciamo come
nostre.

La solidarietà invece, partendo dal carcere e al di fuori di esso deve
tenere insieme tutti i soggetti colpiti dalla repressione: dai
prigionieri politici fino ai cosiddetti comuni, lavoratori, studenti,
immigrati, proletari e così via...

Questa è la tensione che porteremo in strada il 9 aprile a Firenze,
rilanciando l'invito ad unirsi allo spezzone che aprirà il corteo dietro
 lo striscione "SOLIDARIETÀ PER CHI LOTTA, SOLIDARIETÀ AGLI 86!"

… e ora tutti in piazza!
Le compagne e i compagni del CPA Firenze Sud

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