lunedì 8 febbraio 2016

pc 8 febbraio - Attacco al consolato turco e a Rheinmetall Air Defence - riceviamo e pubblichiamo

A conclusione del World Economic Forum (WEF) di Davos, la notte fra il 24 e il 25 gennaio 2016 abbiamo attaccato la “Rheinmetall Air Defence” di Zurigo-Oerlikon. Contemporaneamente abbiamo lasciato qualcosa al consolato turco sulla Weinbergstrasse, che si leverà in alto nel corso della mattinata.
Annualmente a Davos si riunisce il vertice della politica e dell’economia, evidentemente discutono qualcosa pubblicamente e di molti argomenti dietro le quinte. Ogni anno il Forum dà la possibilità di avere un’idea sull’analisi della crisi dall’alto. Contemporaneamente, l’evento offre anche l’opportunità di chiarire in base alla lista degli invitati i punti al centro degli interessi del capitalismo e a mostrare al mondo il ruolo della Svizzera nella crisi. È evidente che il WEF, in un anno in cui le contraddizioni fra i padroni si sono enormemente inasprite (crisi della UE – il miliardario americano Soros ha pronosticato al WEF il tramonto prossimo della UE; conflitto in Ucraina – Kerry ha incontrato Lavrov poco prima del Forum a Zurigo; conflitti d’interesse in Siria – vedi in proposito quanto espresso in questo testo), dà di se stesso un’immagine politicamente difensiva. Naturalmente, Klaus Schwab sottolinea che Davos diventerà anche il centro della diplomazia internazionale. Ma anche se da lì dovessero uscire soluzioni in grado di far convivere le diverse forze imperialiste, ciò sarebbe molto difficile proprio per le grandi contraddizioni tra loro.

Nel contempo il Forum coglie l’occasione per lanciare un violento attacco economico dall’alto nella forma della “industria 4.0”. Deve diventare la prossima grande questione. Processo produttivo automatizzato, sempre meno persone richieste. Il rovescio della medaglia saranno i licenziamenti di massa, di cui loro al WEF sono molto consapevoli. Con grande lungimiranza anche i vertici sindacali sono stati coinvolti, dal momento che Sharan Burrow della “Confederazione internazionale dei sindacati” ha l’occasione di presentarsi come co-presidente.
Evidentemente l’occasione, come ogni anno, è un’opportunità anche per l’industria svizzera delle armi. È noto che i vari produttori svizzeri di armi si servano, in occasione del WEF, dei “loro” prodotti come argomento di vendita convincente, nel caso che rifacessero una capatina in Arabia Saudita, Qatar e Turchia (ciò vale ovviamente viceversa, quando aerei militari dell’Arabia Saudita atterrano a Duebendorf per ritirare munizioni). Così RUAG si è vantata al WEF dell’impiego di “Panther Command”, proprio allo stesso modo di “Rheinmetall Air Defence”, di essere stata autorizzata a testare i suoi sistemi per la sorveglianza aerea durante il Forum.
La “Rheinmetall Air Defence” l’abbiamo visitata come sopra descritto, lasciandovi un razzo. Chiamata in precedenza “Oerlikon Contraves” è stata poi presa dalla “Rheinmetall AG” tedesca. Questa, a sua volta, prima era partner industriale del WEF, negli ultimi anni però sembra che il suo impegno pubblico al WEF sia calato. Invece, a loro è concesso testare al WEF i propri impianti e incontrarvi i rappresentanti con cui voler concludere contratti redditizi. Così, Rheinmetall si vanta apertamente di fornire gli Stati del Golfo, Arabia Saudita, Qatar o gli Emirati Arabi Uniti. Gli Stati che formano il “Consiglio di cooperazione del Golfo” vengono identificati come mercato in crescita. Contemporaneamente cerca di entrare in affari con l’India, ma gli è successo qualche contrattempo perché quando ha tentato di corrompere i funzionari indiani, gli è andata male, è stata messa su una lista nera e solo dopo l’intervento di Johann Schneider-Ammann le sue richieste sono state nuovamente accolte.
Come se non bastasse, Rheinmetall fornisce Stati palesemente sostenitori di ISIS e lo scorso anno ha concluso un accordo di partnership con l’impresa pubblica turca per gli armamenti MKEK. “Nuovi prodotti lungimiranti nel campo dei sistemi d’arma e delle munizioni” da sviluppare congiuntamente, produrre e lanciare sul mercato. Prodotti che indubbiamente sono impiegati contro la popolazione che resiste e il movimento rivoluzionario combattente in Turchia e Siria e che potrebbero ben trovarsi anche su convogli del servizio segreto turco diretti in Siria, destinati a ISIS.
Quindi si arriva al secondo destinatario del nostro saluto col botto, il consolato generale turco sulla Weinbergstrasse. Da mesi lo Stato turco conduce una guerra aperta nel proprio Paese. Coprifuoco per settimane, militari nelle grandi città della Turchia sudorientale, bombardamenti di campi del PKK e molto probabilmente anche attentati secondo la concezione della “strategia della tensione” che serve a Erdogan sempre più per trasmettere il messaggio “o con AKP o con i terroristi”. Consapevolmente mette nello stesso calderone ISIS e i partiti progressisti combattenti. Soluzione confermata con un sorriso da Joe Biden (vice-presidente USA) nella visita lampo ad Ankara. Mentre il vice-USA andava da Davos ad Ankara, Davutoglu, prima del WEF, ha reso visita a Cameron a Londra riguardo al piano, è andato poi dalla Merkel a Berlino prima di tornare in Turchia sul fronte di guerra. Così Davos diviene il punto caldo della diplomazia imperialista secondo Schwab, Erdogan con la copertura di USA e UE si lascia portare in una guerra in montagna nel proprio Paese e chiede contemporaneamente alla UE altri miliardi per far fronte ai flussi migratori!
Allo stesso tempo la popolazione in Bakur difende la parte kurda della Turchia. Continuamente si fondano e costruiscono nuove strutture che servono a difendere i quartieri dagli interventi dell’esercito turco. Fossati sono sorvegliati da giovani militanti, le immagini sono simili a quelle dell’assedio di Kobane da parte di ISIS, un anno fa. Le esecuzioni sono all’ordine del giorno, cecchini sparano su tutto ciò che si muove, i feriti gravi rimangono in strada e poi muoiono, perché nessuno può andare a soccorrerli senza essere colpito a sua volta.
C’è un’atmosfera da barbarie e tuttavia la resistenza continua, permette al movimento di non farsi sopraffare, ma cercare con ogni mezzo di difendere e portare avanti quanto si è sviluppato nella regione dai tempi di Gezi o del Rojava.
Noi pensiamo che su questo punto occorra la massima attenzione. Malgrado la tensione incredibile sia sul piano internazionale che nazionale, ci sono approcci molto reali per processi rivoluzionari. Alla barbarie capitalista possono e devono essere contrapposte prospettive alternative, questo è della massima urgenza se non si vuole lasciare il campo al completo abbruttimento. Non ovviamo alla polarizzazione sociale piegandoci di fronte alle reazioni della parte controrivoluzionaria, bensì ponendoci in termini di emancipazione, per rappresentarli e rafforzarli.

Per una prospettiva rivoluzionaria!

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