sabato 27 febbraio 2016

pc 27 febbraio - "DONNE E LA RESISTENZA" - 2° PARTE - CONTINUA QUESTO IMPORTANTE LAVORO DI RICERCA E RICOSTRUZIONE DEL MFPR

(Dal blog femminismorivoluzionario)

Riportiamo ampi stralci della vivida testimonianza di Anna Fenoglio vedova Gaia, in cui si vede bene la miseria portata dalla guerra nelle case operaie, il lavoro femminile e minorile che sostituisce gli uomini richiamati al fronte, rappresentando, spesso, l’unico salario “ufficiale” della famiglia perché, poi, c’era il lavoro a nero, a domicilio, la rinuncia ad una istruzione, a vivere la stagione della fanciullezza, per capire anche cosa ha rappresentato il fascismo, in particolare per le donne 

PROPRIO PERCHE’ NON POSSIAMO PERMETTERE CHE IL CONTRIBUTO DELLE DONNE VENGA RIDOTTO A UN RIGO:

Io provengo da una famiglia di operai, sono torinese. Quando è venuta la guerra del ’15-18 è stato richiamato mio papà e i miei fratelli a soldato; ne avevo tre, uno più piccolo, ma due erano al fronte e io ero l’unica che poteva dare un aiuto alla famiglia, avevo undici anni: Allora mia mamma mi ha messo a lavorare in una filatura da Tollegno al Regio Parco.
Avevo fatto la sesta e ho dovuto smettere la scuola per poter andare a  lavorare.
In filatura sono entrata bambina con undici anni, ma ho fatto l’apprendista e poi mi hanno messo nei telai… Era un lavoro pesante, per il movimento che dovevamo far fare ai telai e perché poi c’era la polvere… Andavo da sola... Per forza bisognava andare da soli a lavorare, perché… la mamma non poteva accompagnarmi.
Per mangiare, dato che c’era la tessera perché c’era la guerra, allora si andava con quel pezzo di pane che ci restava dalla tessera a testa, perché mancava il burro, mancava l’olio, mancava tutto…

Lì ho cominciato a capire che cosa era lo sfruttamento… In quell’epoca lì si prendeva poco stipendio…
Io ho lavorato alla manifattura di Tollegno fino a dopo l’occupazione delle fabbriche; a quindici anni mi hanno messo nella Commissione interna… E’ capitato che mio padre e i miei fratelli che erano più vecchi di me erano iscritti al partito socialista….
Poi mi è morto un fratello sul fronte e allora mio padre lo hanno mandato a casa con l’esonero; portava la fascia… Poi nel ’17 viene la rivolta contro la guerra.
Allora c’era il sindacato del partito socialista e eravamo tutti organizzati e dichiarano uno sciopero generale… Davanti alla fabbrica c’era una cooperativa e alla mattina alle sei arrivava il camion con il pane nelle ceste. Una mattina non ci hanno più potuto fermare, tutti sono saliti su quel camion a prendere il pane…
E poi tutti in corteo si doveva andare alla Camera del lavoro. Perché lì a Regio Parco c’era la fabbrica delle tabacchine, poi c’era un’altra filatura che si chiamava Gianotti e poi c’era la filatura Tollegno... c’era diverse fabbriche. Ci siamo uniti tutti insieme per andare alla Camera del lavoro in corteo. Quando siamo stati in corso Palermo, alla barriera di Milano, dove c’è la chiesa della Pace, noi si gridava tutti in coro:-Abbasso la guerra, non vogliamo più la guerra, dateci pane, abbiamo fame! -... tutte quelle cose lì.
Allora il parroco dal campanile si mette a gridare: - Viva la guerra!
Allora non si è più visto niente; sono andati sotto nelle cantine del parroco e lì hanno trovato tutto il ben di Dio…si è preso tutta quella roba e si è portato tutto in mezzo alla strada. Le donne... sono venute lì con dei sacchetti; una ha preso la farina, l’altra ha preso il pane…
Però mentre si faceva quel lavoro lì è arrivata la cavalleria e le guardie regie e si sono messe a sparare e ci sono stati dei morti.
E allora si sono fatte le barricate per le strade… Solo che dopo abbiamo dovuto arrenderci perché se no ci ammazzavano tutti… Il giorno dopo le barricate non sono più state fatte... Poi abbiamo ripreso a lavorare.
Quando è finita la guerra del ’18 siamo andati avanti a lavorare, ma certo c’era miseria; arrivavano a casa i soldati, chi ferito, chi... Mi è arrivato solo un fratello… Mio padre gli ha girato un pò il cervello tra quella disgrazia e tra tutte le punture che gli avevano fatto da soldato…
Dopo è venuta un’ altra... si doveva organizzare l’occupazione delle fabbriche. Io ero sempre nella filatura a Tollegno, perché ero ancora da sposare. Ero del comitato di coordinamento delle commissioni interne alla Camera del lavoro; ci siamo organizzati bene e abbiamo tenuto le fabbriche occupate per più di quindici giorni. Avevamo le guardie rosse sul muretto... sul tetto … lì a Regio Parco... non c’erano case, c’era tutti prati, campi dove seminavano il grano. Io con diverse donne dovevo passare tutto in mezzo a quei campi lì. Si andava alla Grandi motori, alla Fiat, a prendere le armi e le munizioni per portarle alle guardie rosse nella nostra fabbrica… perché se non si rifornivano di roba potevano anche darci l’assalto. Perché dal ’20 cominciava già ad esserci qualche squadraccia fascista; non erano tanto in vista, però cominciavano già ad esserci… Ci eravamo fatte delle borse lunghe..e ce le legavamo sotto alle vesti..e si metteva le munizioni dentro... si passava dove c’era le guardie regie..
Però dopo quindici giorni il sindacato socialista ha tradito un po’ e allora abbiamo dovuto lasciare le fabbriche. Prima ci hanno scaldati…E così abbiamo dovuto lasciare le fabbriche e sono entrati i padroni.
Dopo due giorni il padrone licenzia tutta la commissione interna e io sono stata licenziata.
Combinazione mi sono sposata nel ’20, una settimana dopo l’occupazione delle fabbriche. Mi sono sposata e sono rimasta senza lavoro. Mio marito, che era anche lui della Commissione interna delle Ferriere Fiat della barriera di Milano… è stato licenziato anche lui. Così abbiamo subito nove anni di disoccupazione tra me e mio marito… Ci siamo sposati lo stesso…tanto bambini non ce n’era.
..andavo a prendere delle calze per rimagliarle, rifinirle... Facevo lavoro a domicilio, però ci davano poco e non si poteva andare avanti.
Nel ’22 viene su il fascismo e io e mio marito abbiamo dovuto subire le conseguenze…Noi dalla scissione di Livorno nel 1921 dal partito socialista siamo passati al partito comunista. E quelli della squadraccia fascista della barriera di Milano lo sapevano… Fin che mio marito un giorno lo hanno aspettato e gli hanno dato una manganellata in testa e gliel’hanno spaccata la testa…..E prendono mio padre che veniva una sera a casa da lavorare e gli hanno dato due litri di olio e lo hanno buttato dentro una buca di calce…Mio padre gli è venuto male al cuore…
Io ero alla Casa del popolo alla barriera di Milano..ero del direttivo giovani e mio marito anche, e c’era anche Montagnana; veniva Negarville, veniva Longo Giuseppe, erano tutti dirigenti giovanili. E allora, ricordo, che una sera eravamo in riunione, arriva una squadraccia di fascisti e hanno dato fuoco.
Noi eravamo dentro e non si poteva più uscire, perché se si usciva c’erano lorro fuori che ci ammazzavano..poi non si poteva uscire perché sotto bruciava già. E allora siamo saliti all’ultimo piano nelle soffitte e siamo passati sul tetto dell’altra casa e siamo scappati.
Mi ricordo le “stragi di dicembre”…..Gennaro Gramsci..Arturo Gozzi..li hanno bastonati fuori, mentre andavano via…..Il corpo di Pietro Ferrero è stato rinvenuto tutto pieno di contusioni e con il cranio sfracellato..Alla mattina abbiamo saputo  tutto questo; allora abbiamo perfino fatto una fermata, solo di cinque minuti, perché non si poteva fare di più e cci andava di mezzo altri compagni…Il coro lo hanno messo in Corso Vittorio Emanuele a poche centinaia di etri dalla Camera del lavoro. Lo avevano preso, legato ad un camion e fatto girare in mezzo alla notte…Quasi tutte le vittime della strage di dicembre sono state sequestrate nelle loro case…
E poi è venuto che io nel ’32 ho fatto domanda e sono entrata alla Fiat…Sono entrata a lavorare in fonderia e poi ogni tanto mi mandavano a chiamare in ufficio e mi dicevano: Ma questa tessera quando la fa?...Ero alla Lingotto..Poi quando hanno fatto la Fiat Mirafiori nuova l’hanno portata a Mirafiori..Quando l’hanno inaugurata tutti i capisquadra, i capireparto erano in divisa nera, divisa da fascisti, anche tra le donne c’era una gran parte che aveva la divisa da donna fascista. Invece noi eravamo un bel gruppo di donne che non avevamo nessuna divisa perché eravamo già tutti uniti, tutti d’accordo. Mussolini è arrivato a inaugurare la Fiat Mirafiori e gli hanno fatto un incudine..col martello..Arriva Mussolini…gli hanno fatto il saluto e noi niente…I suoi si mettono a cantare Giovinezza e noi…”Vento portami via con te”….Mussolini inizia il suo discorso e dice:…..Ricordate operai il discorso fatto nel 1935..?- e il nostro gruppo tutti insieme:-NOOOOO!
Allora lui arrabbiato non è più andato avanti…
Dal ’42 al ’43 eravamo già in collegamento col partito, perché si cominciava ad organizzarsi nelle fabbriche; prima non si poteva….nelle fabbriche non si poteva perché era  troppa la reazione fascista. Avevamo i capiofficina e i capireparti che erano fascisti. Non si poteva muovere e fare propaganda. Però dal ’42…si iscriveva già i compagni al partito ..però si iscrivevano non con nome e cognome, ma con numeri. E allora lì abbiamo cominciato un’altra bella battaglia perché si doveva nascondere sempre tutto..E allora..abbiamo formato una cellula. Si cominciava ad organizzarci sfruttando il malumore che c’era per i cottimi individuali, per i tempi che erano bassi, per tutto. E allora lì noi avevamo formato un comitato di agitazione.
E ci trovavamo, quando avevamo qualche cosa da discutere dentro alla fabbrica, sotto nel rifugio; c’era sempre un compagno o una compagna che guardava che non venisse nessuno.
Già, in tutte le officine c’era il suo comitato di agitazione e avevamo il collegamento…
Nel ’42, siccome avevamo lo stipendio piccolo…abbiamo organizzato, noi donne specialmente, una manifestazione di tutte le officine.
Tutte donne e siamo andate davanti alla palazzina a reclamare che ci aumentassero lo stipendio e l’anticipo alla settimana, così non si poteva più andare avanti, e abbiamo gridato. I compagni, un pochi, sono venuti anche loro, dopo di noi.
I capiofficina dicevano: - ma siete matti? Andate là e c’è i fascisti..vi prendono la fotografia e poi dopo vi mandano via, restate senza lavoro – e tutte quelle paure.
E noi invece niente, noi siamo andate e abbiamo reclamato.


E là c’era Genero e Valletta e allora sono venuti e hanno detto: - Ma sì, state brave, vediamo di aggiustarvi, vediamo – e ad ogni modo ci hanno aumentato qualche cosa.
Però hanno già prenotati quelli che hanno parlato e io ero sempre in prima fila…
E poi si preparava lo sciopero del ’43: contro la guerra, per i prezzi, per i cottimi individuali, contro le dodici ore, perché mancava tutto, perché eravamo stufi e ne avevamo a basta.
Prima dello sciopero il capofficina mi manda a chiamare in ufficio e mi dice:-Ma come si spiega Fenoglio, che la sua produzione non va più avanti?
Io gli ho detto:- Ma cosa vuole, per chi lavoriamo? Lei deve capire non abbiamo più l’interesse a lavorare tanto ci viene i tedeschi e ci portano via tutto.


Lui stava un po’ zitto e poi un giorno mi dice: - Guardi che io vado avanti a fare delle righe rosse; quando ce n’è tante avete poi da pensare….Sempre prima dello sciopero del ’43, una volta sono venuti i tedeschi e guardavano le macchine..Dentro non c’erano ancora…Noi si diceva: - Questa gente qui se vengono loro in Italia, si portano via tutto.
Nella mia officina eravamo ventitrè in lista dei sospettati..E’ successo che si lavorava tutta la notte, si faceva il turno della notte, anche noi donne, e capitava che la mattina andando a casa, venivano prelevati e…alle Nuove. Ma prelevavano uno per uno. Quando sono arrivati i tedeschi quella lista nera era ancora in giro.
Noi avevamo avuto già un collegamento da diversi mesi per questo sciopero del ’43. La direzione dubitava qualche cosa. E allora in quella mattina alle dieci, si doveva avere una prova di quello che poteva essere la massa operaia unita.
Ma alle dieci la sirena non è suonata perché qualcheduno aveva già riportato alla direzione che noi si voleva fare questo sciopero, quando suonava la sirena.
E allora, vicino alle macchine, tutti ci guardiamo: - Bè, qui c’è qualcosa che non funziona.
Abbiamo detto: - Eh no, bisogna fare questo sciopero, ormai siamo decisi.
Allora con un cenno di testa, macchina per macchina, ci siamo fermati tutti. Ci siamo fermati alle dieci del ’43.
Siamo usciti dai reparti e siamo andati nel cortile davanti alla palazzina della Mirafiori per protestare.
Dalle finestre degli uffici c’era il professor Genero e Valletta con i poliziotti che prendevano le fotografie per individuare gli operai e per denunziare quelli che erano più in vista.
Dopo è andato giù il duce e allora dentro alla Fiat eravamo tutti sotto sopra perché i fascisti scappavano, non ce n’erano più; i capireparti e i capiofficina cominciavano ad avere un po’ paura perché lo sapevano tutti che loro erano neri e quello che avevano fatto. Per dirtene una siccome c’era la guerra e mancavano i viveri, la Fiat faceva la minestra e mandava in ogni reparto i bidoni per quelli che la prendevano e la prendevano tutti perché tutti ne avevano bisogno.
Quando si faceva  lo sciopero erano d’ accordo i capireparto e i capiofficina insieme con la direzione, di non darci la minestra. E la mandavano a quella cascina che aveva la Fiat, per andare a Mirafiori, dove aveva i maiali; la minestra ai maiali piuttosto che darcela a noi.
Però noi, dato che c’era questo comitato di agitazione, abbiamo sempre scritto tutto: della minestra, delle rappresaglie e che la mattina quando si entrava i cassetti dove c’era i ferri, che i ferri non erano suoi della Fiat erano nostri..tutte le mattine c’era sempre i lucchetti scassinati. Perché loro, con le spie che c’era dentro andavano a scassinare per vedere se c’era volantini, se c’era qualcosa di propaganda..

Sempre quel comitato di agitazione che andava avanti ci siamo organizzati e dopo l’8 settembre sono state formate le squadre, e allora io e la Donini e un gruppo di compagne abbiamo avuto il collegamento con le brigate della val di Susa.
Io e la Donini eravamo nella 12^ brigata di Tullio Robotti della val Susa, che aveva il collegamento come Sap; noi dovevamo prendere la roba e portarla  ai partigiani su a Susa quando si usciva dal lavoro……
L’ordine di occupare le fabbriche per l’insurrezione, è arrivato al 23. Prima c’era stato il 18 lo sciopero generale grosso.
La sera prima…il capofficina viene vicino alla mia macchina e mi dice: - Signora Fenoglio, guardi domani mattina quando esce, non vada a casa, perché se va a casa non viene più a lavorare; mi ascolti, ha visto i suoi compagni che non sono più tornati……
E ad ogni modo non siamo più andati il giorno dopo a fare la notte, ma siamo andati di giorno, noi del comitato; perché si sapeva già che si doveva restare in fabbrica….E allora verso le quattro e mezza arriva la staffetta, l’ordine di occupare le fabbriche chè c’era l’ insurrezione.
Allora noi, messo il fazzoletto rosso al collo con la stella, e i compagni anche, si va nell’ufficio del capofficina e del caporeparto…
Mirafiori è stata occupata; Valletta è andato via, non è più stato lì, e ai dirigenti, però, una parte, prima di andare via gli hanno dato una bella..eh sì….
Quando abbiamo occupato la fabbrica, non avevamo armi, non avevamo niente; avevamo una mitragliatrice rotta sui tetti..avevamo due o tre fucili che non funzionavano.
Allora i compagni sono usciti, sono andati fuori a prenderli dove c’erano i partigiani. Poi sono arrivati i partigiani e hanno portato le loro armi…..
Arrivano i tedeschi con i fascisti che volevano far saltare la centrale elettrica alla Mirafiori che era su, proprio vicino al sanatorio . E c’era tre che erano armati e che sparavano da matti….Mentre questi carri armati girano, questo giovane dice: - Guardate datemi solo una bottiglia con due bombe a mano e io li faccio saltare in aria tutti e due quei carri armati. Difatti…
Dopo tre giorni…allora a casa avevo una figlia malata. E’ morta nel ’46, è stata due anni ammalata perché era stata presa sotto i bombardamenti nel ’44…Aveva 22 anni…..

Ma, a proposito, del vuoto sui Gdd , la lacuna da colmare “...All’interno della resistenza, infatti, hanno assunto rilievo alcuni episodi che non sono forse i più importanti rispetto alla guerra guerreggiata, ma che hanno avuto un peculiare significato per il loro carattere di movimento e di azione organizzata condotta da donne in quanto tali, senza riscontro, credo, nel passato. Mi riferisco alle diverse manifestazioni dei Gdd e fra queste, esemplare a Torino, quella che avvenne al cimitero in occasione del funerale delle sorelle Vera e Libera Arduino, che appartenevano ai Gdd e che furono trucidate dai fascisti nella notte tra il 12 e il 13 marzo 1945.
Questa manifestazione per la data in cui avvenne, il 16 marzo 1945, per l’adesione che ottenne (raccogliere pubblicamente qualche centinaio di donne in pubblica protesta non era, allora, fatto indifferente, per le conseguenze che ne seguirono (un centinaio di arresti), per le finalità cui era destinata, ha assunto nel ricordo di molte particolare rilievo. Rappresentava infatti il risultato di un lungo e tenace lavoro condotto per tanti mesi, tendente a unificare la partecipazione delle donne.
E le donne vennero e con degli evidenti simboli comuni: mazzi di fiori, corone con “scritte”, “tutte con qualcosa di rosso”.

Espressione di un movimento femminile organizzato che pur muovendosi nel contesto generale, ha saputo esprimere anche un’ autonoma capacità di lotta…” (1)
E’ il caso di rendere onore alle sorelle Vera e Libera Arduino – Dal ricordo/commemorazione contenuto nel  “Rapporto dei Gruppi di difesa della donna”(2)
 “Barbara uccisione di due giovani dirigenti -  A Torino verso la fine di marzo il padre e due giovani ragazze erano prelevate da una squadra di fascisti, portate alla Pellerina e barbaramente uccise. Vera e Libera Arduino, due giovani di diciannove e ventun anni, lavoravano per l’organizzazione con tanta fede e volontà, riscuotendo le simpatie e l’ammirazione di tutte le donne con le quali erano in contatto. Una grande manifestazione di affetto verso le vittime e di esacrazione per l’atroce delitto ebbe luogo al cimitero. Una fiumana di popolo, più di duemila persone, si recarono con fiori e corone ad attendere le salme per dar loro l’estremo saluto….” (2)

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