domenica 27 dicembre 2015

pc 27 dicembre - FORMAZIONE OPERAIA: IL CAPITALISTA ACCUMULA, L'OPERAIO PRODUCE TUTTO

Pubblichiamo oggi, in giornata diversa dal solito giovedì, per riuscire a completare entro questo mese la parte più importante del 1° libro de Il Capitale.

 Questo capitolo, 22 del Capitale di Marx, tratta della trasformazione del plusvalore in capitale, del PROCESSO DI PRODUZIONE CAPITALISTICO SU SCALA ALLARGATA, e di come le leggi della proprietà della produzione delle merci si trasformano in leggi dell’appropriazione capitalistica
“In precedenza”, inizia Marx, “avevamo da considerare come il plusvalore nasca dal capitale, ora dobbiamo vedere come il capitale nasce dal plusvalore.” E spiega come questo plusvalore, usato come capitale, significa accumulazione del capitale.

Dunque, il plusvalore, prodotto dall’operaio e di cui si appropria il capitalista, se deve produrre ancora capitale, non può essere tutto speso in consumi dal capitalista, ma deve essere a sua volta in parte impiegato nella compera dei mezzi di produzione e nei mezzi di sostentamento, cioè si deve dividere in capitale costante e in capitale variabile, e in parte viene consumato dal capitalista come suo reddito.

Abbiamo visto che il plusvalore si presenta, alla fine del processo produttivo, come una massa in più di prodotti, plusprodotto, che per essere ritrasformato in denaro deve essere venduto. Una volta venduto e una volta che avviene questa ritrasformazione in denaro, “valore capitale e plusvalore sono l’uno e l’altro somme di denaro, e la loro ritrasformazione in capitale avviene del tutto alla stessa maniera”. Insomma adesso si ha una sola somma di denaro ma più alta di prima.

Con questa nuova somma il capitalista trova al mercato le merci necessarie per la nuova produzione che sono state prodotte durante l’anno da tutti gli altri rami della produzione. Il mercato, ricorda Marx, è il luogo della circolazione delle merci, ma la circolazione, come sappiamo, non può “né ingrandire la produzione annua complessiva, né cambiar la natura degli oggetti prodotti”, perché
questo ingrandirsi della produzione avviene appunto all’interno del processo produttivo. La produzione annua complessiva contiene dunque sia gli elementi che reintegrano il capitale anticipato che il di più, gli elementi per la nuova produzione allargata, cioè ci sono più merci nella forma sia di mezzi di produzione che nella forma di mezzi di sostentamento.

Per una nuova produzione si richiede più lavoro, dice Marx, e, quindi, se il capitalista non fa lavorare di più e più intensamente gli operai che già ci sono, allora “debbono essere assunti operai supplementari. Il meccanismo della produzione capitalistica ha già provveduto anche a questo, riproducendo la classe degli operai come classe dipendente dal salario lavorativo, il cui salario abituale è sufficiente non solo ad assicurarne il sostentamento, ma anche la moltiplicazione. Queste forze-lavoro addizionali, che gli vengono fornite annualmente dalla classe operaia in differenti stadi di età, debbono ormai soltanto essere incorporate dal capitale ai mezzi di produzione addizionali già contenuti nella produzione annua, e la metamorfosi del plusvalore in capitale è fatta. Considerata in concreto, l’accumulazione si risolve in riproduzione del capitale su scala progressiva. Il ciclo della riproduzione semplice si scambia e si trasforma, per dirla con il Sismondi, in una spirale.”


A questo punto mentre il capitale iniziale continua a riprodursi e a produrre plusvalore, il nuovo plusvalore, e quindi il nuovo capitale aumentato, si divide ancora una volta e ne produce a sua volta altro, e così via…

Sì, ma come ha avuto il capitalista il primo capitale? Ci si chiede. A questa domanda i paladini dell’economia politica rispondono “con il suo lavoro e quello dei suoi antenati”. E questa ipotesi, dice Marx, sembra l’unica che si accordi con le leggi della produzione delle merci. (Da dove arriva questo “capitale originario” lo vedremo nel capitolo 24).

Ma se per “capitale originario”, dice Marx, possiamo lasciare per il momento questa ipotesi: “In tutt’altro modo vanno le cose per il capitale addizionale…. Noi conosciamo con estrema precisione il suo processo di formazione: esso è plusvalore capitalizzato. Fin dall’origine esso non contiene neppure un solo atomo di valore che non derivi da lavoro altrui non retribuito. Tanto i mezzi di produzione ai quali viene incorporata la forza-lavoro addizionale, quanto i mezzi di sussistenza coi quali questa si mantiene, non sono altro che parti costitutive integranti del plusprodotto, cioè del tributo strappato anno per anno alla classe degli operai da parte della classe dei capitalisti. Quando poi, con una parte del tributo, questa classe compera dall’altra classe forza-lavoro addizionale, sia pure a prezzo pieno, cosicché si ha scambio di equivalente con equivalente, si ha pur sempre l’antico procedimento del conquistatore che acquista merci dai vinti pagandole con il denaro loro, ad essi rubato.”

Considerando la cosa come transazione fra la classe dei capitalisti e la classe operaia, non cambia niente il fatto che col lavoro non retribuito degli operai fino allora occupati si occupino operai supplementari. Forse il capitalista trasformerà anche il capitale addizionale in una macchina che getterà sul lastrico il produttore del capitale addizionale e lo sostituirà con un paio di ragazzini. In tutti i casi la classe operaia ha creato, col proprio plus-lavoro di quell’anno, il capitale che nell’anno successivo occuperà lavoro supplementare. Questo è quel che si chiama: generare capitale mediante capitale.”

Il primo capitale addizionale viene dunque dal “lavoro originario”. Presupposto del secondo capitale addizionale … non è invece altro che la precedente accumulazione del primo …, del quale esso costituisce il plusvalore capitalizzato. “Adesso unica condizione per appropriarsi, nel presente, lavoro non retribuito vivente in misura sempre crescente sembra essere la proprietà di lavoro non retribuito passato. Quanto più il capitalista ha accumulato, tanto più egli può accumulare.”
Ma come siamo passati, quindi, dalla legge dello scambio tra equivalenti che metteva sullo stesso piano di parità il compratore e il venditore di forza-lavoro ad una situazione diversa?

Marx così spiega il passaggio: “la legge dell’appropriazione poggiante sulla produzione e sulla circolazione delle merci ossia legge della proprietà privata si converte evidentemente nel proprio diretto opposto, per la sua propria, intima, inevitabile dialettica.” Infatti, prosegue: “Lo scambio di equivalenti che pareva essere l’operazione originaria si è rigirato in modo che ora si fanno scambi solo per l’apparenza in quanto, in primo luogo, la parte di capitale scambiata con forza-lavoro è essa stessa solo una parte del prodotto lavorativo altrui appropriato senza equivalente, e, in secondo luogo, essa non solo deve essere reintegrata dal suo produttore, l’operaio, ma deve essere reintegrata con un nuovo sovrappiù. Dunque, il rapporto dello scambio fra capitalista ed operaio diventa soltanto una parvenza pertinente al processo di circolazione, pura forma, estranea al contenuto vero e proprio, semplice mistificazione di esso.” Perché il processo che si rinnova, cioè “La compravendita costante della forza-lavoro è la forma.” Il contenuto consiste nel fatto che “il capitalista torna sempre a permutare contro sempre maggiore quantità di lavoro altrui vivente una parte del lavoro altrui già oggettivato che egli si appropria incessantemente senza equivalente.” E allora che fine fa il diritto di proprietà? “Originariamente” dice Marx, “il diritto di proprietà ci si è presentato come fondato sul proprio lavoro ... Adesso la proprietà si presenta, dalla parte del capitalista come il diritto di appropriarsi lavoro altrui non retribuito ossia il prodotto di esso, e dalla parte dell’operaio come impossibilità di appropriarsi il proprio prodotto.” Prima “proprietà e lavoro” erano una cosa identica, adesso una legge interna al modo di produzione ne sancisce la separazione.

Per chiarire ancora una volta Marx ripercorre i passaggi che portano all’accumulazione capitalistica.
“La trasformazione originaria del denaro in capitale si compie dunque in accordo esattissimo con le leggi economiche della produzione delle merci e con il diritto di proprietà che ne deriva. Ma ciò malgrado essa ha per risultato:
1. che il prodotto appartiene al capitalista e non all’operaio;
2. che il valore di questo prodotto include, oltre il valore del capitale anticipato, un plusvalore, che all’operaio è costato lavoro, ma al capitalista non è costato nulla, e che tuttavia diventa proprietà legittima del capitalista;
3. che l’operaio ha conservato la sua forza-lavoro e la può vendere di nuovo, se trova un compratore.

Un altro dei cambiamenti che avviene nel capitale si può vedere non nei fatti considerati isolatamente “Ma nel flusso della produzione” in cui “ogni capitale anticipato in origine diventa, in genere, una grandezza infinitesimale (magnitudo evanescens in senso matematico) a confronto del capitale accumulato direttamente, cioè del plusvalore ossia plusprodotto riconvertito in capitale, tanto che funzioni nella mano che l’ha accumulato che in mano altrui.”
Al punto 2 di questo capitolo Marx tratta della concezione errata della riproduzione su scala allargata da parte dell’economia politica.

Questo equivoco o errore consiste, al contrario di quanto esposto fin qui da Marx, nel considerare che tutto il plusvalore che viene convertito in capitale diventerebbe capitale variabile, cioè verrebbe trasformato in salari, cioè in operai produttivi, dato che non concepivano come si potesse spendere in qualcosa di improduttivo. Invece, dice Marx “questo plusvalore si divide, come il valore originariamente anticipato, in capitale costante e capitale variabile, in mezzi di produzione e in forza-lavoro. La forza-lavoro è la forma nella quale il capitale variabile esiste all’interno del processo di produzione. In questo processo il capitalista consuma la forza-lavoro stessa, e quest’ultima consuma mezzi di produzione per la sua stessa funzione che è il lavoro. Allo stesso tempo il denaro pagato nell’acquisto della forza-lavoro si trasforma in mezzi di sussistenza, che non vengono consumati dal «lavoro produttivo», ma dal «lavoratore produttivo».”
Il capitalista può decidere di comprare, con una parte del suo plusvalore, lavoro per soddisfare i propri bisogni, e questo non è impiego produttivo.

Nel terzo punto Marx tratta della Divisione del plusvalore in capitale e reddito.
Il plusvalore, e rispettivamente il plusprodotto, dice Marx, sono sia fondo di consumo individuale del capitalista, che fondo di accumulazione.

Infatti, come sappiamo, i motivi che lo spingono a non “mangiarsi tutto” per non uccidere la sua gallina dalle uova d’oro “non sono il valore d’uso o il godimento, bensì il valore di scambio e la moltiplicazione di quest’ultimo. Come fanatico della valorizzazione del valore egli costringe senza scrupoli l’umanità alla produzione per la produzione, spingendola quindi a uno sviluppo delle forze produttive sociali e alla creazione di condizioni materiali di produzione che sole possono costituire la base reale d’una forma superiore di società il cui principio fondamentale sia lo sviluppo pieno e libero di ogni individuo. Il capitalista è rispettabile solo come personificazione del capitale; in tale qualità condivide l’istinto assoluto per l’arricchimento proprio del tesaurizzatore. Ma ciò che in costui si presenta come mania individuale, nel capitalista è effetto del meccanismo sociale, all’interno del quale egli non è altro che una ruota dell’ingranaggio.” Questo ingranaggio prevede che “lo sviluppo della produzione capitalistica rende necessario un aumento continuo del capitale investito in un’impresa industriale, e la concorrenza impone a ogni capitalista individuale le leggi immanenti del modo di produzione capitalistico come leggi coercitive esterne. Lo costringe ad espandere continuamente il suo capitale per mantenerlo, ed egli lo può espandere soltanto per mezzo dell’accumulazione progressiva.” Questa accumulazione, dice Marx, “è la conquista del mondo della ricchezza sociale. Essa estende, oltre la massa del materiale umano sfruttato, anche il dominio diretto e indiretto del capitalista.”
Ma con lo sviluppo storico anche lo “sperpero” è entrato a far parte del modo di essere del capitale, come afferma Marx: “A un certo livello di sviluppo un grado convenzionale di sperpero, che è allo stesso tempo ostentazione della ricchezza e quindi mezzo di credito, diventa addirittura necessità di mestiere per il «disgraziato» capitalista. Il lusso rientra nelle spese di rappresentanza del capitale. Inoltre, il capitalista non si arricchisce come il tesaurizzatore in proporzione del suo lavoro personale e della sua frugalità personale, ma nella misura nella quale succhia forza-lavoro altrui e impone all’operaio la rinuncia a tutti i piaceri della vita.”  
Ma periodicamente anche gli operai fanno sentire la loro voce e mostrano la propria forza e allora anche le chiacchiere degli economisti borghesi e dei loro padroni devono cambiare registro. Marx qui ricorda uno di questi eventi: “La dotta contesa sul come fosse da dividere fra capitalista industrioso e proprietario fondiario ozioso, nel modo più adatto a favorire l’accumulazione, il bottino spremuto all’operaio, ammutolì con la rivoluzione di luglio. [1830 in Francia – ndr] Poco dopo il proletariato cittadino suonò la campana a martello a Lione, e il proletariato agricolo in Inghilterra fece spiccare il volo al «gallo rosso». Al di qua della Manica imperversava l’owenismo, al di là il sansimonismo e il fourierismo.” Come si vede è dall’inizio della lotta di classe che ogni volta che i borghesi hanno paura, provano ad escogitare metodi per “offrire” ai proletari “condizioni migliori” di esistenza e di lavoro!

Nel punto 4 Marx riepiloga le “Circostanze che determinano il volume dell’accumulazione indipendentemente dalla divisione proporzionale del plusvalore in capitale e reddito: grado di sfruttamento della forza-lavoro; forza produttiva del lavoro; differenza crescente fra capitale impiegato e capitale consumato; entità del capitale anticipato.”
Una delle “circostanze”, dice Marx, è “la riduzione dei salari al di sotto del valore della forza-lavoro” che “ha una parte troppo importante nel movimento pratico ... Questa riduzione trasforma di fatto, entro certi limiti, il fondo necessario di consumo dell’operaio in un fondo d’accumulazione di capitale.”
Anche qui c’è la polemica contro gli economisti come J. St. Mill che dice che “i salari non contribuiscono alla produzione delle merci assieme al lavoro, più che non contribuisca il prezzo delle macchine stesse. Se si potesse avere lavoro senza acquistarlo, i salari sarebbero superflui».” Marx lo prende in giro dicendo: “Ma se gli operai potessero vivere d’aria, non si potrebbero neanche comprare a nessun prezzo.” E il capitalista è sempre alla ricerca di un salario minimo! “La gratuità degli operai è dunque un limite in senso matematico, sempre irraggiungibile, benché sempre più approssimabile. È tendenza costante del capitale di abbassare gli operai fino a questo punto nichilistico.”
Di questi “metodi” Marx ne elenca alcuni, sia in Francia che Olanda e Inghilterra e come quello di un americano che aveva inventato perfino delle ricette che sostituissero gli alimenti genuini con surrogati. E poi questa: “Alla fine del secolo XVIII e durante i primi decenni del secolo XIX i fittavoli e i landlords inglesi imposero il salario minimo assoluto, pagando ai giornalieri agricoli meno del minimo nella forma del salario, e il resto nella forma di sussidio parrocchiale.”
Poi: il lavoro aggiuntivo “generato con una più elevata tensione della energia lavorativa può aumentare, senz’aumento proporzionale della parte costante del capitale, il plusprodotto e il plusvalore, cioè la sostanza dell’accumulazione.” “Nell’industria estrattiva, per esempio nelle miniere, le materie prime non costituiscono alcuna parte costitutiva dell’anticipo di capitale. Nell’agricoltura … È ancora l’azione diretta dell’uomo sulla natura che diviene fonte immediata di un aumento di accumulazione senza intervento di un nuovo capitale.” “Infine nell’industria in senso proprio ogni spesa aggiuntiva in lavoro presuppone una corrispondente spesa aggiuntiva in materie prime, ma non presuppone necessariamente anche una spesa aggiuntiva in mezzi di lavoro. E poiché l’industria estrattiva e l’agricoltura forniscono all’industria di fabbrica le materie prime dell’industria stessa e quella dei suoi mezzi di lavoro, torna a suo vantaggio anche quel supplemento di prodotti generato dalle altre due senza anticipo aggiuntivo di capitale.”
“Risultato generale: il capitale, incorporandosi i due creatori originari della ricchezza, forza-lavoro e terra, acquista una forza d’espansione che gli permette di estendere gli elementi della propria accumulazione al di là dei limiti apparentemente posti dalla sua propria grandezza, posti cioè dal valore e dalla massa dei mezzi di produzione già prodotti, nei quali il capitale ha la sua esistenza.”
Un altro fattore importante nell’accumulazione del capitale è il grado di produttività del lavoro sociale.

“Dato il grado di sfruttamento della forza-lavoro, la massa del plusvalore è determinata dal numero degli operai che vengono sfruttati in un medesimo momento e questo numero corrisponde, benché in proporzione variabile, alla grandezza del capitale.” È per questo che Marx afferma che il capitalista più ricco è quello che sfrutta più operai. 

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