giovedì 29 ottobre 2015

pc 29 ottobre - FORMAZIONE OPERAIA: Effetti immediati dell’industria meccanica sull’operaio… donne e bambini, famiglia, contratti formali, atrofia morale, desolazione intellettuale…

In questo capitolo, “Prima di vedere da vicino come a questo organismo obiettivo” e cioè alsistema organizzato delle macchine nella fabbrica”, “venga incorporato materiale umano, esaminiamo alcuni effetti generali coi quali quella rivoluzione reagisce sull’operaio stesso.”
Ricordiamoci sempre che Marx analizza fin nei particolari l’essenza del Capitale, di questo sistema sociale, e l’essenza è ancora questa e questa sarà finché vive il sistema capitalistico. Come si può ben comprendere quelle che sono cambiate sono le dimensioni e le forme del fenomeno… ma gli “Effetti immediati” sono sempre lì.

Torino, 1917. Operaie nello stabilimento FIAT di via Cigna

3. EFFETTI IMMEDIATI DELL’INDUSTRIA MECCANICA SULL’OPERAIO

Uno degli effetti è l’”Appropriazione di forze-lavoro addizionali da parte del capitale. Lavoro delle donne e dei fanciulli.
“In quanto le macchine permettono di fare a meno della forza muscolare, esse diventano il mezzo per adoperare operai senza forza muscolare o di sviluppo fisico immaturo, ma di membra più flessibili.” Quindi… un’affermazione molto importante: “Quindi lavoro delle donne e dei fanciulli è stata la prima parola dell’uso capitalistico delle macchine!”

Con questa affermazione cadono i luoghi comuni che pretendono in maniera interessata che le donne siano entrate nel mondo del lavoro “tardi” - a parte il fatto che le donne hanno sempre lavorato nelle forme in cui si sono sviluppate tutte le società - per esempio quando si mette l’accento sulle cause scatenate dalle guerre mondiali… per non parlare del lavoro dei fanciulli le cui statistiche odierne ci danno ancora una visione orribile in cui sono costretti a “produrre”…

“Questo potente surrogato del lavoro e degli operai si è così trasformato subito in un mezzo per aumentare il numero degli operai salariati irreggimentando sotto l’imperio immediato del capitale tutti i membri della famiglia operaia, senza differenza di sesso e di età. Il lavoro coatto a vantaggio del capitalista ha usurpato non solo il posto dei giuochi fanciulleschi, ma anche quello del libero lavoro nella cerchia domestica, entro limiti morali, a vantaggio della famiglia stessa.”

Come abbiamo già visto, dice Marx: “Il valore della forza-lavoro era determinato dal tempo di lavoro necessario non soltanto per mantenere l’operaio adulto individuale, ma anche da quello necessario per il mantenimento della famiglia dell’operaio. Le macchine, gettando sul mercato del lavoro tutti i membri della famiglia operaia, distribuiscono su tutta la famiglia il valore della forza-lavoro dell’uomo, e quindi svalorizzano la forza- lavoro di quest’ultimo. L’acquisto della famiglia frazionata p. es. in quattro forze-lavoro costa forse più di quanto costasse prima l’acquisto della forza-lavoro del capofamiglia, ma in cambio si hanno ora quattro giornate lavorative invece di una, e il loro prezzo diminuisce in proporzione dell’eccedenza del pluslavoro dei quattro sul pluslavoro dell’uno. Ora, affinché una sola famiglia possa vivere, quattro persone devono fornire al capitale non solo lavoro, ma pluslavoro.” 
È così che “le macchine allargano fin dal principio anche il grado di sfruttamento, assieme al materiale umano da sfruttamento che è il più proprio campo di sfruttamento del capitale.”

E ora tutta la famiglia è “sotto contratto”. E su questo Marx introduce un altro argomento forte dell’effetto della grande industria anche sul “contratto” che si stipula tra padrone e operaio… 

“Le macchine rivoluzionano dalle fondamenta la mediazione formale del rapporto capitalistico, cioè il contratto fra operaio e capitalista.” Ricordiamo dai primi capitoli che “Finché si rimase sul fondamento dello scambio di merci, il primo presupposto era che il capitalista e l’operaio stessero di fronte l’uno all’altro come persone libere, come possessori di merci, indipendenti, l’uno possessore di denaro e di mezzi di produzione, l’altro possessore di forza-lavoro. Ma ora il capitale acquista dei minorenni o dei semimaggiorenni. Prima l’operaio vendeva la propria forza-lavoro della quale disponeva come persona libera formalmente.” (Ricordiamolo ancora una volta: formalmente! Perché ancora oggi c’è chi fa finta di credere che l’operaio sia libero). 

Ora vende moglie e figli. Diventa mercante di schiavi.” Marx continua: “La richiesta di lavoro infantile rassomiglia spesso anche nella forma alla richiesta di schiavi negri, come si era avvezzi a leggerla nelle inserzioni dei giornali americani. Un ispettore di fabbrica inglese racconta per esempio: «La mia attenzione fu richiamata su un annuncio del giornale locale d’una delle più importanti città industriali del mio distretto; ed eccone la trascrizione: Abbisognasi di dodici-venti ragazzi, non più giovani di quel che può passare per tredici anni. Salario, quattro scellini alla settimana. Rivolgersi ecc..”». La frase «di quel che può passare per tredici anni» si riferisce al fatto che, secondo il Factory Act, [Legge sulle fabbriche] fanciulli al di sotto dei tredici anni potevano lavorare soltanto sei ore. [E questa era una conquista! - ndr]. Un medico ufficialmente qualificato (certifying surgeon) deve attestare l’età. Dunque il fabbricante pretende dei ragazzi che abbiano l’aspetto di esser già tredicenni. Quella diminuzione talvolta saltuaria del numero dei fanciulli al di sotto dei tredici anni impiegati dai fabbricanti, che sorprende nelle statistiche inglesi degli ultimi venti anni, è stata in gran parte, a detta degli stessi ispettori di fabbrica, opera di certifying surgeons i quali spostavano l’età dei fanciulli in conformità della brama di sfruttamento dei capitalisti e del bisogno di sordido traffico dei genitori.”
Oggi i capitalisti, le multinazionali, questo continuano a farlo nei paesi del Terzo Mondo, ma non solo, nascondendo le loro responsabilità dietro i fabbricanti locali.

Nel capitalismo come si sa è tutto un gran mercato: “Nel famigerato distretto londinese di Bethnal Green si tiene ogni lunedì e martedì mattina pubblico mercato dove i fanciulli di ambo i sessi, dai nove anni in su, si dànno in affitto alle manifatture londinesi di seta. «Le condizioni abituali sono uno scellino e otto pence alla settimana (che appartengono ai genitori), e due pence per me, oltre il tè». I contratti valgono solo per una settimana. Le scene e il linguaggio, mentre si svolge questo mercato, sono veramente rivoltanti. In Inghilterra accade sempre ancora che delle donne prendano «dei ragazzi dalla workhouse (“case di lavoro” dove si rinchiudevano poveri, soprattutto ragazzi,) e li affittino poi al primo acquirente che capita per due scellini e sei pence alla settimana». Nonostante la legislazione, [nonostante la legislazione!!! Quante volte da allora dobbiamo ripetere ancora questa frase! - ndr] ci sono ancora per lo meno duemila ragazzi in Gran Bretagna che sono venduti dai propri genitori come macchine viventi per spazzare i camini (benché esistano macchine per sostituirli). La rivoluzione operata dalle macchine nel rapporto giuridico fra compratore e venditore della forza-lavoro, tale che l’intera transazione perde perfino la parvenza di un contratto fra persone libere, offrì in seguito al parlamento inglese il pretesto giuridico per l’intervento dello Stato nelle fabbriche.” Lo Stato ha bisogno dei “pretesti”, degli “scandali”, degli “orrori” per intervenire con delle leggi!

“Tutte le volte che la legge sulle fabbriche limita a sei ore il lavoro dei fanciulli in branche d’industria fino ad allora lasciate tranquille tornano a risuonare le lamentose grida dei fabbricanti: una parte dei genitori sottrae ora i fanciulli alla industria disciplinata per legge e li vende a quelle dove domina ancora la «libertà del lavoro», ossia dove fanciulli al di sotto dei tredici anni sono costretti a lavorare come adulti e dove quindi si possono anche vendere a prezzo più caro. Ma poiché il capitale è per natura un leveller (Livellatore. Allusione al movimento puritano integrale con tendenze di comunismo agrario nella rivoluzione di Cromwell), cioè pretende come proprio innato diritto dell’uomo l’eguaglianza delle condizioni di sfruttamento del lavoro in tutte le sfere della produzione, la limitazione legale del lavoro infantile in una branca dell’industria diventa causa della stessa limitazione nell’altra.”

Uno dei sicuri effetti che saltano agli occhi è quello del deterioramento fisico dei lavoratori: “Abbiamo già accennato in precedenza al deterioramento fisico dei fanciulli e degli adolescenti, come pure delle operaie, che le macchine assoggettano allo sfruttamento del capitale, prima direttamente nelle fabbriche, che sulla base delle macchine spuntano rapidamente, e poi indirettamente in tutte le altre branche dell’industria. Qui ci fermeremo quindi su un punto solo: la enorme mortalità tra i figli degli operai nei loro primi anni di vita.”
E la causa, dice Marx, è proprio il modo in cui il capitale fa lavorare le donne nell’industria, che assorbendole e abbrutendole, trasforma in donne impossibilitate a prendersi cura dei propri bambini, sia per le donne delle città che per le donne di campagna, laddove arriva il “il sistema industriale” che rivoluziona il modo di coltivare. 

«Donne sposate, che lavorano in bande assieme ad adolescenti e ragazze, vengono messe a disposizione del fittavolo, in cambio di una certa somma, da un uomo che è chiamato il “capobanda“ [ma guarda quanto è vecchio il nostro “caporale”! - ndr] che affitta la banda in blocco. Queste bande vanno spesso lontano dai loro villaggi per molte miglia, e si possono incontrare la mattina e la sera sulle strade maestre, le donne vestite di corte sottovesti e sottane e stivali corrispondenti, talvolta in calzoni, molto robuste e sane d’aspetto, ma rovinate dalla scostumatezza abituale, e senza preoccupazioni per le conseguenze disastrose che la loro preferenza per questa vita attiva e indipendente porta ai loro rampolli che deperiscono a casa». [Questo è il commento “scandalizzato” di un ispettore del lavoro che non condivide la “preferenza per questa vita attiva e indipendente”!] 

L’atrofia morale che deriva dallo sfruttamento capitalistico del lavoro delle donne e dei fanciulli è stata esposta in maniera così esauriente da F. Engels nella sua Situazione della classe operaia in Inghilterra e da altri scrittori che qui basta farne menzione. Ma la desolazione intellettuale, prodotta artificialmente con la trasformazione di uomini immaturi in semplici macchine per la fabbricazione di plusvalore, da tenersi ben distinta da quella ignoranza naturale e spontanea che tiene a maggese senza corromperne la capacità di sviluppo, cioè la stessa fecondità naturale, ha finito per costringere perfino il parlamento inglese a fare dell’istruzione elementare condizione obbligatoria per legge del consumo «produttivo» di fanciulli al di sotto dei quattordici anni di età, per tutte le industrie soggette alla legge sulle fabbriche.”

Ma come ha ben spiegato Marx la “legge” non basta: “Lo spirito della produzione capitalistica traluce splendidamente dalla sciatta formulazione delle cosiddette clausole sull’istruzione delle leggi sulle fabbriche, dalla mancanza di un meccanismo amministrativo, la quale rende a sua volta in gran parte illusoria questa istruzione obbligatoria, dalla opposizione dei fabbricanti perfino contro quella legge sull’istruzione, e dai loro trucchi e sotterfugi pratici per eluderla. «Il biasimo va esclusivamente alla legislazione perché ha emanato una legge illusoria (delusive law), la quale, sotto l’apparenza di curare l’educazione dei fanciulli, non contiene neppure una disposizione singola per garantire il raggiungimento di quello scopo che professa di avere. Non dispone nient’altro che questo: i fanciulli debbono venir chiusi per un determinato numero di ore (tre ore) al giorno fra le quattro pareti di un luogo chiamato scuola, e colui che impiega il fanciullo deve ricevere ogni settimana un certificato attestante questo fatto da una persona che come maestro o maestra sottoscrive con il proprio nome». 
Prima che fosse emanato l’Atto sulle fabbriche emendato del 1844, non erano rari certificati di frequenza scolastica firmati con una croce da maestri o maestre che non sapevano essi stessi scrivere. «Nella visita che feci a una di queste scuole che rilasciavano certificati, rimasi così colpito dalla ignoranza del maestro che gli dissi: Scusi, signore, Lei sa leggere? La risposta fu: Aye, summat (Sì, un poco. La risposta del maestro è in dialetto). A giustificazione, aggiunse: in ogni caso sono più avanti dei miei scolari». Durante la preparazione dell’Act del 1844, gli ispettori di fabbrica denunciarono lo stato vergognoso dei luoghi chiamati scuole, i cui certificati essi in virtù della legge dovevano accettare come validi … Si aggiunga lo scarso mobilio scolastico, la mancanza di libri e di altro materiale didattico e l’effetto deprimente d’una atmosfera chiusa e nauseabonda sui poveri ragazzi stessi. Sono stato in molte di tali scuole, dove ho visto file intere di fanciulli che non facevano assolutamente nulla: e ciò viene attestato come frequenza scolastica, e questi bambini figurano come educati (educated) nella statistica ufficiale».” Si rimane senza parole, ma ancora non basta: “In Scozia i fabbricanti cercano di escludere in tutti i modi i ragazzi soggetti all’obbligo scolastico. «Questo basta per dimostrare il grande sfavore dei fabbricanti nei confronti delle clausole sull’istruzione». Questo si vede in maniera orribile e grottesca nelle stamperie di cotonine e simili, che sono regolate da una propria legge sulle fabbriche. Secondo le disposizioni della legge, «ogni fanciullo, prima di essere impiegato in una di tali stamperie, deve aver frequentato la scuola per almeno trenta giorni e per non meno di centocinquanta ore durante i sei mesi che precedono immediatamente il primo giorno del suo impiego…"

Tutto questo implicava un altro effetto immediato: “con l’aggiunta di una quantità preponderante di fanciulli e di donne al personale di lavoro combinato, le macchine spezzano la resistenza che l’operaio maschio ancora opponeva al dispotismo del capitale nella manifattura.”

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