sabato 24 ottobre 2015

pc 24 ottobre - Tunisia: fine dello "stato di emergenza", una vittoria delle masse popolari!

Lo scorso 4 luglio il presidente della Repubblica tunisina Beji Caid Essid aveva dichiarato lo stato d'emergenza nel paese per 30 giorni, in seguito all'ondata emotiva di paura fomentata dai media di regime e stranieri dopo gli attentati del Bardo e di Sousse, rinnovandolo per altri due mesi fino al 4 Ottobre. 
Nel dichiararlo si erano usati toni apocalittici come ad esempio "il paese è in uno stato di guerra".
In realtà, come avevamo già analizzato in un precedente articolo su questo blog (LEGGI QUI) lo "stato di emergenza", lungi dal rispecchiare un pericolo reale, doveva servire a giustificare politiche di governo draconiane non proprio nuove al principale partito di governo Nida Tounes (erede dell'ex partito di regime RCD di Ben Ali) e i reazionari islamisti di Ennahdha. Infatti la nuova costituzione tunisina promulgata dall'Assemblea Costituente lo scorso anno, prevede che durante lo stato di emergenza siano vietate qualsiasi forma di manifestazioni, scioperi e riunioni pubbliche con più di tre persone!

A conferma della malafede da parte del governo, durante questi 3 mesi di "stato di emergenza" è stata
approvata una "legge anti-terrorismo" che equipara la protesta sociale e politica al terrorismo stesso e c'era stato il tentativo di riabilitare alcuni ex uomini d'affari legati al vecchio regime con una legge chiamata di "riconciliazione economica" (per un'analisi più approfondita vedi nostro articolo precedente QUI).

Nonostante questi tentativi che avevano l'obiettivo di rafforzare lo stato di polizia nel paese e soffocare qualsiasi tentativo di protesta sociale e politica, i lavoratori tunisini sono scesi ripetutamente in piazza organizzando grandi scioperi economici in diversi settori (istruzione, trasporti) e anche i disoccupati, per rivendicare migliori condizioni salariali e di vita. Inoltre a fine agosto/inizio settembre, ovvero un mese prima che scadesse il termine dello "stato di emergenza" pronto per essere rinnovato, in tutto il paese si sono organizzate manifestazioni contro la riconciliazione nazionale e contro il governo accusato di voler fare un passo indietro rispetto ai risultati ottenuti dalla rivolta (impropriamente chiamata "rivoluzione") volendo riabilitare alcuni dei più grandi speculatori e mafiosi del paese chiamati "imprenditori".

I manifestanti incuranti dei primi arresti e della repressione messa in atto dal governo per stroncare questo movimento contro la riabilitazione di questi individui, hanno quindi conquistato da sé, con i propri corpi e la propria mobilitazione e scontrandosi con la polizia, ciò che in teoria dovrebbe essere garantito dalla nuova costituzione definita da tutto il mondo "democratica": il diritto alla libertà di espressione, di organizzazione e di manifestare il proprio pensiero.
Ma soprattutto è stato lanciato un forte segnale: il popolo tunisino non permetterà che il governo come se niente fosse riabiliti per decreto chi per decenni si è arricchito alle spalle del popolo tunisino.

Dopo meno di un mese dall'ultima grande manifestazione del 15 Settembre contro la "legge di riconciliazione nazionale" che ha sfidato apertamente lo "stato di emergenza", il governo è stato costretto a fare un passo indietro.

Nonostante questo importante risultato rimane la "legge anti-terrorismo" che pende come una spada di Damocle ogni qualvolta che i lavoratori e i disoccupati scendono in piazza rompendo gli argini non solo imposti dal governo ma anche (spesso) imposti dalla burocrazia sindacale dell'UGTT che ad esempio durante l'ultimo sciopero "selvaggio" dei ferrovieri non ha esitato a precettare i propri lavoratori!

Inoltre il governo tunisino, non potendo/volendo risolvere i problemi del paese come la disoccupazione e il caro vita (motivi che avevano scatenato la rivolta nel 2010/2011) cerca di distogliere l'attenzione delle masse sulla questione del "terrorismo" e, ironia della sorta, dopo la fine dello "stato di emergenza" e la dimostrazione che il paese non era affatto in guerra, giusto pochi giorni dopo il governo ha aderito alla "coalizione anti-ISIS" a guida statunitense entrando "formalmente" in guerra!

Una decisione più politica e militare, che già inizia a produrre alcune conseguenze politiche all'interno del paese e nel quadro mondiale su cui scriveremo a breve...

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