sabato 10 ottobre 2015

pc 10 ottobre - LE OPERAIE DELLA FIAT DI MELFI - LOTTA DI CLASSE E DI GENERE

Alla Fiat di Melfi le operaie scatenano la lotta contro le “tute bianche” imposte dall’azienda che cancellano la memoria storica delle tute blu, per la difesa della dignità delle operaie, contro la riduzione delle pause che non permette neanche di recarsi in bagno.
Emergono i tentativi di contrapporre le giuste rivendicazioni delle operaie con gli operai: la segretaria della Uilm regionale farnetica: “i lavoratori hanno visto questa richiesta delle loro colleghe come un modo per rivendicare una non dovuta esigenza di maggiore spazio”. Invece di sostenere una giusta lotta di dignità! Ma, naturalmente, si vuole ostacolare la doppia lotta di classe e di genere che le operaie vogliono fare!
CHE PARTA DALLE OPERAIE DI MELFI IL NUOVO NECESSARIO SCIOPERO DELLE DONNE!

Fiat, la battaglia delle operaie contro le tute bianche: "Ci umiliano durante il ciclo"
A Melfi le lavoratrici in agitazione: "Cambiate il colore alle divise perché queste si macchiano". La risposta dell'azienda fa infuriare i sindacati: "Da gennaio vi forniremo le culotte"
di ANTONELLO CASSANO

Le tute blu, simbolo delle lotte e conquiste operaie, non esistono più da tempo nelle fabbriche della Fca. Sono state sostituite da più spente, e meno cariche di significato, tutte grigio-bianche. Una maniera per cancellare, sbiadire, i ricordi del glorioso passato operaio proprio a partire dai colori. Un cambio voluto dallo stessa dirigenza più di quattro anni fa. Agli operai della Fiat la nuova divisa piace così poco che l'hanno ribattezzata "pigiamone".

A quanto pare, quella tuta piace ancor meno alle operaie. Questa volta però non si parla di lotte operaie e rivendicazioni sindacali, ma di un tema, quello del corpo delle donne, che per il management Fca può essere ben più delicato da affrontare. A scatenare la battaglia sono state le operaie dello stabilimento Fiat di Melfi. Da qualche giorno nel sito lucano non si parla d'altro. Di che si tratta? Quelle tute indossate da lavoratori e lavoratrici sono troppo bianche, troppo spesso le donne in fabbrica si ritrovano i pantaloni macchiati a causa del ciclo mestruale.
Pina Imbrenda, delegata Fiom nello stabilimento, ha così cominciato da sola a raccogliere firme: “Come membro del coordinamento donne del sindacato ho ascoltato le lamentele delle mie colleghe e mi sono data da fare. In fabbrica accadono troppi episodi incresciosi del genere, in ogni reparto. Una situazione imbarazzante. Quando si verifica non sappiamo dove andare, visto che non possiamo tornare a casa. Abbiamo dieci minuti di tempo di pausa, ma non ce la facciamo mica ad andare in bagno tutte le volte, dove si accumula la coda delle colleghe”.

Sono una cinquantina i casi simili raccolti dal sindacato negli ultimi giorni: lavoratrici che raccontano di essere rimaste chiuse in bagno con i pantaloni della tuta macchiati perché non sapevano come fare per tornare a lavorare. Altre che solo dopo essere tornate a casa si sono rese conto di aver lavorato con la divisa sporca. A questo si aggiunge il problema legato al tipo di lavoro: “Noi facciamo i metalmeccanici, stiamo tutto il giorno in posizioni assurde – spiega l'operaia Pina dopo aver da poco concluso il suo turno di notte – perché lavoriamo dentro le macchine, facciamo un lavoro con il corpo piegato dentro le scocche. Diventa facile sporcarsi quando hai il ciclo mestruale. E così scatta un senso di umiliazione. Tutti in fabbrica lo vengono a sapere, qualcuno dei colleghi maschi fa anche il commento stupido tra le auto in fila. Tutto per colpa del pantalone chiaro. Per questo abbiamo deciso di agire cominciando a raccogliere firme per chiedere di cambiare il colore della divisa. Basta, non ce la facciamo più”.

La raccolta firme, partita una decina di giorni fa, è andata oltre ogni previsione. Circa 400 operaie hanno firmato e per la prima volta lo hanno fatto con il loro numero identificativo aziendale: “Questo per far capire quanto le lavoratrici si siano esposte e abbiano sentito l'importanza della questione” commenta un altro delegato Fiom in fabbrica. “Ma la cosa più importante è che non siamo andate noi a chiedere la firma – prosegue Pina Imbrenda – sono venute loro spontaneamente da noi al banchetto tenuto fuori dallo stabilimento solo per mezz'ora in un paio di giorni”.

Le firme raccolte in un documento sono state spedite via raccomandata alla dirigenza dell'azienda Fca di Melfi che venerdì scorso, nel corso della commissione con tutte le sigle sindacali, ha affrontato il problema. La soluzione è stata esposta in un comunicato della Fismic in bacheca aziendale subito dopo la fine dell'incontro: “Da gennaio – è scritto nel comunicato datato 2 ottobre – in arrivo una culotte da indossare sotto la tuta, per le donne alle prese con indisposizione mestruale”. Una scelta che non è piaciuta per niente alle protagoniste di questa vicenda. “All'inizio – dice ancora Tina – pensavamo ad uno scherzo. Nessuno poteva immaginare che si potesse arrivare a tanto. L'ipotesi di sopperire a questo problema, consegnandoci un pannolino, sembra aggiungere la beffa all'umiliazione”.

Ma la richiesta, tornare alle tute blu o almeno solo al pantalone scuro, è semplice fino a un certo punto. Perché quel pantalone è utilizzato anche dai dipendenti delle altre decine di stabilimenti dell'azienda. Cambiare la divisa a tutti comporterebbe una spesa rilevante. Fonti vicine all'azienda si dicono comunque disponibili ad affrontare il problema: “Questo colore bianco della tuta – commenta un lavoratore – nasce con il contratto specifico di lavoro in Fca del 2011 (quello non firmato dalla Fiom, ndr). In tutti le fabbriche è stato adottato in contemporanea, sostituendo la vecchia tuta blu”.

Ma i lavoratori e le lavoratrici sono determinati a risolvere questa vicenda che si sta allargando sempre di più, visto che secondo i sindacati altri stabilimenti dell'azienda in Italia sarebbero pronti a fare la stessa raccolta firme. Una questione che va ormai oltre le dinamiche sindacali e riguarda il rapporto tra gli uomini e le donne in fabbrica: 
“Su questa storia si sta cominciando a ricamare un po' troppo – commenta Roberta Laviano, della segreteria regionale Uilm – i lavoratori hanno visto questa richiesta delle loro colleghe come un modo per rivendicare una non dovuta esigenza di maggiore spazio”...

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