giovedì 9 luglio 2015

pc 9 luglio - FORMAZIONE OPERAIA: COOPERAZIONE

Sintetizziamo alcune importanti considerazioni di ciò che dice Marx in questo capitolo:

Cooperazione è “La forma del lavoro di molte persone che lavorano l’una accanto all’altra e l’una assieme all’altra secondo un piano, in uno stesso processo di produzione, o in processi di produzione differenti ma connessi…”
“l’impiego contemporaneo d’un numero piuttosto considerevole d’operai effettua una rivoluzione nelle condizioni oggettive del processo lavorativo”
“Nella cooperazione pianificata con altri l’operaio si spoglia dei suoi limiti individuali e sviluppa la facoltà della sua specie.”
“Qui non si tratta soltanto di aumento della forza produttiva individuale mediante la cooperazione, ma di creazione d’una forza produttiva che dev’essere in sé e per sé forza di massa.”
Questa “forza produttiva sviluppata dall’operaio come operaio sociale è forza produttiva del capitale” che se ne appropria gratuitamente!

“Con la massa degli operai simultaneamente impiegati cresce la loro resistenza, e quindi necessariamente la pressione del capitale per superare tale resistenza.”




Alcuni estratti del capitolo:

“La produzione capitalistica comincia realmente, come abbiamo veduto, solo quando il medesimo
capitale individuale impiega allo stesso tempo un numero piuttosto considerevole di operai, e quindi il processo lavorativo s’estende e si ingrandisce e fornisce prodotti su scala quantitativa piuttosto considerevole. L’operare di un numero piuttosto considerevole di operai, allo stesso tempo, nello stesso luogo (o, se si vuole, nello stesso campo di lavoro), per la produzione dello stesso genere di merci, sotto il comando dello stesso capitalista, costituisce storicamente e concettualmente il punto di partenza della produzione capitalistica…”

“la forza lavoro è esplicazione di una forza-lavoro media” dice Marx, benché ogni operaio sia differente, questa differenza scompare nel lavoro in gruppo.
“Dunque la legge della valorizzazione, in genere, si realizza completamente per il singolo produttore soltanto quando egli produce come capitalista, impiega molti operai allo stesso tempo, e quindi mette in moto fin da principio lavoro sociale medio

“Anche se il modo di lavoro rimane identico, l’impiego contemporaneo d’un numero piuttosto considerevole d’operai effettua una rivoluzione nelle condizioni oggettive del processo lavorativo. Edifici nei quali lavori molta gente, depositi di materie prime, ecc., recipienti, strumenti, apparecchi, ecc. che servono a molti nello stesso tempo o a turno, in breve, una parte dei mezzi di produzione viene ora consumata in comune nel processo lavorativo … Una stanza nella quale lavorino venti tessitori coi loro venti telai dev’essere per forza più ampia della camera del tessitore indipendente con due garzoni. Ma la produzione di un laboratorio per venti persone costa meno lavoro della produzione di dieci laboratori da due persone ognuno, e così in genere il valore di mezzi di produzione concentrati in massa e comuni non cresce in proporzione del loro volume e del loro effetto utile. I mezzi di produzione consumati in comune cedono al singolo prodotto una minor parte costitutiva del loro valore, in parte perché il valore complessivo che cedono si distribuisce simultaneamente su una maggior massa di prodotti, in parte perché essi entrano nel processo della produzione con un valore che in assoluto è maggiore, ma tenendo presente la loro sfera d’azione è relativamente minore di quello dei mezzi di produzione isolati. Così cala una parte costitutiva del valore del capitale costante, e proporzionalmente alla sua grandezza cala dunque anche il valore complessivo della merce. L’effetto è lo stesso che se i mezzi di produzione della merce venissero prodotti più a buon mercato. Questa economia nell’impiego dei mezzi di produzione deriva soltanto dal loro consumo comune nel processo di lavoro di molte persone. Ed essi vengono ad avere questo carattere in quanto sono condizioni di lavoro sociale ossia sono condizioni sociali del lavoro, a differenza dei mezzi di produzione dispersi e relativamente costosi di singoli operai o piccoli maestri artigiani indipendenti, anche quando i molti lavorano insieme soltanto perchè si trovano nello stesso locale, e non lavorano l’un con l’altro. Una parte dei mezzi di lavoro acquista questo carattere sociale prima che lo acquisti lo stesso processo lavorativo.”

“Astrazion fatta dal nuovo potenziale di forza che deriva dalla fusione di molte forze in una sola forza complessiva, il semplice contatto sociale genera nella maggior parte dei lavori produttivi una emulazione e una peculiare eccitazione degli spiriti vitali (animal spirits) le quali aumentano la capacità di rendimento individuale dei singoli, cosicchè una dozzina di persone insieme forniscono in una giornata lavorativa di 144 ore un prodotto complessivo molto maggiore di quello di dodici operai singoli che lavorino ognuno dodici ore, o di un operaio che lavori dodici giorni di seguito. Questo deriva dal fatto che l’uomo è per natura un animale, se non politico, come pensa Aristotele, certo sociale.”

“… Per esempio, quando dei muratori fanno catena per passare le pietre da costruzione di mano in mano dai piedi fino alla cima d’una impalcatura, ciascuno di essi fa la stessa cosa, ma tuttavia le singole operazioni costituiscono parti continue d’una operazione complessiva, fasi particolari che nel processo lavorativo debbono esser percorse da ogni pietra da costruzione, e attraverso le quali per esempio le ventiquattro mani dell’operaio complessivo la mandano avanti più alla svelta delle due mani di ogni singolo operaio che salga e scenda per l’impalcatura. L’oggetto del lavoro percorre lo stesso spazio in un tempo più breve.”

“Poichè in generale non si può avere cooperazione diretta fra lavoratori senza che stiano insieme, e quindi il loro agglomeramento in uno spazio determinato è condizione della loro cooperazione, non si può avere cooperazione fra salariati senza che lo stesso capitale, lo stesso capitalista, li impieghi nello stesso tempo, cioè comperi nello stesso tempo le loro forze-lavoro. Il valore complessivo di queste forze-lavoro, ossia il totale del salario per il giorno, la settimana, ecc. dev’essere quindi riunito nella tasca del capitalista prima che quelle forze-lavoro vengano riunite nel processo produttivo. Il pagamento di trecento operai d’un sol tratto, anche per un giorno solo, esige un esborso di capitale maggiore del pagamento di pochi operai settimana per settimana durante tutto l’anno. Dunque, il numero degli operai impegnati nella cooperazione, ossia la scala della cooperazione, dipende in primo luogo dalla grandezza del capitale che il capitalista singolo è in grado di sborsare per l’acquisto di forza-lavoro; cioè, dipende dalla misura nella quale ogni singolo capitalista dispone di volta in volta dei mezzi di sussistenza di molti operai.”

“E per il capitale costante le cose stanno come per il capitale variabile.”

“In principio era apparsa necessaria una certa grandezza minima del capitale individuale affinché il numero degli operai simultaneamente sfruttati e quindi la massa del plusvalore prodotto, fosse sufficiente a esimere dal lavoro manuale la persona che impiegava gli operai, e a farne da piccolo mastro artigiano un capitalista, istituendo così formalmente il rapporto capitalistico. Adesso, quella grandezza minima si presenta come condizione materiale della trasformazione di molti processi lavorativi individuali dispersi e indipendenti gli uni dagli altri in un processo lavorativo sociale combinato.

“Così pure in principio il comando del capitale sul lavoro si presentava solo come conseguenza formale del fatto che l’operaio, invece di lavorare per sè, lavora per il capitalista, e quindi sotto il capitalista. Con la cooperazione di molti operai salariati il comando del capitale si evolve a esigenza della esecuzione del processo lavorativo stesso, cioè a condizione reale della produzione. Ora l’ordine del capitalista sul luogo di produzione diventa indispensabile come l’ordine del generale sul campo di battaglia.”

“Ogni lavoro sociale in senso immediato, ossia ogni lavoro in comune, quando sia compiuto su scala considerevole, abbisogna, più o meno, d’una direzione che procuri l’armonia delle attività individuali e compia le funzioni generali che derivano dal movimento del corpo produttivo complessivo, in quanto differente dal movimento degli organi autonomi di esso. Un singolo violinista si dirige da solo, un’orchestra ha bisogno di un direttore. Questa funzione di direzione, sorveglianza, coordinamento, diventa funzione del capitale appena il lavoro ad esso subordinato diventa cooperativo. La funzione direttiva riceve note caratteristiche specifiche in quanto funzione specifica del capitale.”

“Motivo propulsore e scopo determinante del processo capitalistico di produzione è in primo luogo la maggior possibile autovalorizzazione del capitale, cioè la produzione di plusvalore più grande possibile, e quindi il maggiore sfruttamento possibile della forza-lavoro da parte del capitalista. Con la massa degli operai simultaneamente impiegati cresce la loro resistenza, e quindi necessariamente la pressione del capitale per superare tale resistenza. La direzione del capitalista non è soltanto una funzione particolare derivante dalla natura del processo lavorativo sociale e a tale processo pertinente; ma è insieme funzione di sfruttamento di un processo lavorativo sociale ed è quindi un portato dell’inevitabile antagonismo fra lo sfruttatore e la materia prima da lui sfruttata. Così pure, col crescere del volume dei mezzi di produzione che l’operaio salariato si trova davanti come proprietà altrui, cresce la necessità del controllo affinché essi vengano adoprati convenientemente. Inoltre, la cooperazione degli operai salariati è un semplice effetto del capitale che li impiega simultaneamente; la connessione delle loro funzioni e la loro unità come corpo produttivo complessivo stanno al di fuori degli operai salariati, nel capitale che li riunisce e li tiene insieme. Quindi agli operai salariati la connessione fra i loro lavori si contrappone, idealmente come piano, praticamente come autorità del capitalista, come, potenza d’una volontà estranea che assoggetta al proprio fine la loro attività.”

“Dunque la direzione capitalistica è, quanto al contenuto, di duplice natura a causa della duplice natura del processo produttivo stesso che dev’essere diretto, il quale da una parte è processo lavorativo sociale per la fabbricazione di un prodotto, dall’altra parte processo di valorizzazione del capitale; ma quanto alla forma è dispotica. Questo dispotismo sviluppa poi le sue forme peculiari mano a mano che la cooperazione si sviluppa su scala maggiore. Prima, il capitalista viene esentato dal lavoro manuale appena il suo capitale ha raggiunto quella grandezza minima che sola permette l’inizio della produzione capitalistica; ora torna a cedere a sua volta a un genere particolare di operai salariati la funzione della sorveglianza diretta e continua dei singoli operai e dei singoli gruppi di operai. Allo stesso modo che un esercito ha bisogno di ufficiali e sottufficiali militari, una massa di operai operanti insieme sotto il comando dello stesso capitale ha bisogno di ufficiali superiori (dirigenti, managers) e di sottufficiali (sorveglianti, capireparto, controllori) industriali, i quali durante il processo di lavoro comandano in nome del capitale. Il lavoro di sorveglianza si consolida diventando loro funzione esclusiva.” Ma “Il capitalista non è capitalista perché dirigente industriale ma diventa comandante industriale perché è capitalista. Il comando supremo nell’industria diventa attributo del capitale, come nell’età feudale il comando supremo in guerra e in tribunale era attributo della proprietà fondiaria.”

“L’operaio è proprietario della propria forza-lavoro finché negozia col capitalista come venditore di essa; ed egli può vendere solo quello che possiede: la sua individuale, singola forza lavorativa. Questo rapporto non viene in alcun modo cambiato per il fatto che il capitalista comperi cento forze-lavoro invece di una e invece di concludere un contratto con un singolo operaio lo concluda con cento operai indipendenti l’uno dall’altro. Può impiegare i cento operai senza farli cooperare. Il capitalista paga quindi il valore delle cento forze-lavoro autonome, ma non paga la forza-lavoro combinata dei cento operai. Come persone indipendenti gli operai sono dei singoli i quali entrano in rapporto con lo stesso capitale ma non in rapporto reciproco fra loro. La loro cooperazione comincia soltanto nel processo lavorativo, ma nel processo lavorativo hanno già cessato d’appartenere a se stessi. Entrandovi, sono incorporati nel capitale. Come cooperanti, come membri d’un organismo operante, sono essi stessi soltanto un modo particolare d’esistenza del capitale. Dunque, la forza produttiva sviluppata dall’operaio come operaio sociale è forza produttiva del capitale.”

La forza produttiva sociale del lavoro si sviluppa gratuitamente appena gli operai vengono posti in certe condizioni; e il capitale li pone in quelle condizioni. Siccome la forza produttiva sociale del lavoro non costa nulla al capitale, perché d’altra parte non viene sviluppata dall’operaio prima che il suo stesso lavoro appartenga al capitale, essa si presenta come forza produttiva posseduta dal capitale per natura, come sua forza produttiva immanente.”

Già nell’antichità questa potenza produttiva collettiva è stata utilizzata per la costruzione di grandi opere e “Questa potenza dei re asiatici ed egiziani o dei teocrati etruschi ecc., si è trasferita nella società moderna al capitalista, sia che si presenti come capitalista singolo, sia che si presenti come capitalista collettivo, come avviene nelle società per azioni.”

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