lunedì 22 giugno 2015

pc 22 giugno - La Confindustria di Squinzi vuole ridurre i salari e cancellare il contratto nazionale

Da quando ha appreso la lezione da Marchionne, Squinzi non la smette un attimo di dire la sua sulle “riforme” che più piacciono a Confindustria e a tutti i padroni del Paese. Dopo aver ottenuto il Jobs act, e cioè abolizione dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, adesso è il momento dell’attacco ai contratti nazionali di lavoro: “è sempre più evidente la necessità di cambiare il vecchio paradigma delle relazioni sindacali, non sono più rinviabili scelte chiave”.

Gli obbiettivi di una riforma della contrattazione collettiva devono essere: più produttività e più competitività. “Serve più flessibilità retributiva”, da coniugare con la tutela del potere d’acquisto. Ora, è pur vero che la classe operaia ha oggi un “deficit” di memoria della sua forza e capacità organizzativa ma qui si esagera. Squinzi gioca a prendere in giro: da un lato parla di flessibilità retributiva che significa meno soldi a chi lavora e dall’altro blatera di “tutela del potere d’acquisto”. È noto che i lavoratori da sempre “tutelano” il loro potere d’acquisto strappando appunto aumenti salariali.

“Quindi sì alla centralità del contratto nazionale, ma contemporaneamente bisogna valorizzare il secondo livello, per poter unire redditività e competitività delle imprese con la crescita dei salari.” Così riporta il Sole 24 ore di qualche giorno fa. Quindi, nella sostanza, si ripropone la vecchia storia del contratto nazionale da mantenere come “cornice”, mentre si punta sulla contrattazione di secondo livello, e cioè quella azienda per azienda, che dovrebbe legare il salario alla competitività.
 Squinzi entra pure nei dettagli delle questioni economiche legate all’applicazione dell’Ipca (indice dei prezzi al consumo armonizzato europeo), che in base all’accordo interconfederale del 2009 è la base per il calcolo dell’inflazione per definire gli aumenti dei contatti nazionale.
“Quasi tutti i contratti collettivi nazionali scaduti o in scadenza hanno riconosciuto aumenti retributivi in misura maggiore rispetto a quanto dovuto, applicando rigorosamente l’Ipca, a causa dell'andamento negativo dell’inflazione di questi ultimi anni .” In misura maggiore? E sarebbero aumenti quelli degli ultimi contratti? Quello dei chimici artigiani, per esempio, prevede 65 euro lordi in quattro rate! “Per la prima volta oggi accade l’inverso e le nostre controparti non paiono disposte a riconoscere questa situazione, assolutamente nuova”.

Insomma qui Squinzi si fa portavoce ufficiale di tutti i padroni che si preparano al rinnovo contrattuale giustificando il fatto che in questo momento non possono “concedere” aumenti salariali perché, dicono loro, l’aumento dei prezzi è stato basso, il 2%, mentre gli aumenti precedenti erano stati calcolati al 6%.

E si tratta di una questione, dice Squinzi, “che va superata da affrontare con onestà e serietà dal momento che un sistema di relazioni sindacali fondato sulle regole non può seguire quello che di volta in volta conviene alla parti.” Da quale pulpito! Proprio di regole parla! Quelle che i padroni assassini di circa un migliaio di lavoratori all’anno disattendono quotidianamente…


Ma a Squinzi non basta, chiede ancora al governo, o ai governi che verranno “una normativa contributiva e fiscale che sostenga la contrattazione di secondo livello, in modo strutturale.” Insomma ancora più “certezze” e soldi per i padroni. E siamo sicuri che Renzi sta già correndo velocemente…

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