giovedì 15 gennaio 2015

pc 15 gennaio - FORMAZIONE OPERAIA - COSA DICONO I LAVORATORI

AI NOSTRI LETTORI,


il corso di formazione di guida/sintesi su "Il capitale" verrà ripreso, giovedì prossimo, 22 gennaio e da questo mese si svolgerà ogni 15 giorni, perchè tra un lezione su "Il capitale" e l'altra, affronteremo risposte a domande, richieste chiarimenti, ritorno su cose già scritte ponendole in distinzione ad altre teorie, analisi critiche di posizioni presenti nella classe, sempre attinenti alle questioni della teoria marxista.

Questo, lo abbiamo detto fin dall'inizio, lo facciamo perchè la "formazione operaia", lo studio del fondamentale libro de "Il capitale", non è per una mera acculturazione degli operai, ma perchè loro stessi ne facciamo un' "arma" di lotta e di liberazione, contro la "spazzature di idee" che hanno il solo scopo di mantenere il cervello dei lavoratori all'ammasso e di farli essere strumento innocuo di teorie borghesi, riformiste o qualunquistiche (come, la sparizione delle classi e del conflitto di classe, lo sfruttamento come cosa del passato, ecc).

Per questo, è anche importante interloquire, come cominciamo a fare oggi, con quello che dicono i lavoratori-lettori di questi "giovedì rossi". 



Ricordiamo che abbiamo raccolto nel dossier "I Giovedì rossi" tutti gli scritti usciti nei giovedì di questo blog, dal 18 settembre al 18 dicembre 2014. 

Questo dossier si può ricevere in PDF, richiedendolo a:

pcro.red@gmail.com 

o scrivendo nei "commenti" alla fine del post.





UN OPERAIO DELL'ILVA DI TARANTO HA DETTO:
"Certamente questa "formazione operaia" è importante ed è interessante conoscere le analisi di Marx, ma si tratta comunque di cose vecchie, di più di 150 anni fa. Attualmente la situazione è cambiata, sia per gli operai che per i capitalisti... Ho saputo recentemente di un libro intitolato "Il capitale nel Ventunesimo secolo", che
credo parli dei cambiamenti avvenuti dai tempi di Marx ad oggi...".

Invece che rispondere noi, vorremmo che questo operaio (come altri che pensano la stessa cosa) fosse lui a dirci cosa è cambiato: gli operai non sono più sfruttati? Della sua giornata di lavoro l'operaio non regala più al suo padrone una buona fetta di ore, da cui il padrone trae il suo profitto? Gli operai non stanno più con una "corda al collo" che i capitalisti possono tirare quando e come vogliono? La crisi dei capitalisti non viene più scaricata sugli operai? Gli operai per caso oggi sono diventati padroni di ciò che producono?, ecc. ecc.

Agli operai che ragionano a partire semplicemente dalla realtà, ciò che dovrebbe venire spontaneo pensare è che questo XXI secolo, per il peggioramento delle condizioni di lavoro, per la perdita dei diritti degli operai, per l'immiserimento dei salari, per le morti sul lavoro, ecc., somiglia molto di più ai primi dell'800 che al 2015. Basta, poi, affacciarsi un pò dalla propria finestra e rispondere: cosa hanno di tanto diverso gli operai di 16 anni di una multinazionale d'avanguardia come la Foxconn in Cina che fa una produzione ipermoderna, che dormono nei dormitori nella stessa area della fabbrica, con gli operai che dormivano sotto i macchinari ai tempi di Marx?
Anche agli intellettuali non venduti, la crisi ha fatto riscoprire Marx. Perchè gli operai invece devono credere all'ultimo giullare del capitalismo di turno, invece di ragionare con la loro testa, a partire dalla realtà?

Ecco, uno di questi giullari - benchè tanto celebrato - è l'autore de "Il capitale nel Ventunesimo secolo", Thomas Piketty.
Cosa dice in sostanza e chi è questo "scrittore"? Questo libro è stato accolto come il contributo più importante degli ultimi decenni e continua a essere in testa alle classifiche.
Marx, il "moro di Treviri", di sicuro, non si è arricchito con il suo Capitale, Piketty è invece ormai una superstar del dibattito economico. È quasi con pudore che qualche giornale ha osato ricordare che di lui in passato si era parlato più per i maltrattamenti inflitti alla ex compagna, l’attuale ministro della Cultura francese Aurelie Filippetti, che per i risultati accademici.
Nel suo libro Piketty parte da Karl Marx e dalla sua tesi che il capitale si accumula all’infinito, ma con rendimenti decrescenti, cosa che porta a conflitti tra capitalisti sempre in cerca di nuove opportunità, ma per concludere che se i rendimenti del capitale però sono comunque maggiori della crescita dell’economia reale, i ricchi diventeranno sempre più ricchi e la disuguaglianza aumenterà... le spinte verso la socialdemocrazia e la redistribuzione del Novecento sono state un’eccezione e un’illusione, quello che ci aspetta è il ritorno a un capitalismo ottocentesco.
Piketty, inoltre, sostiene che non è stato il progresso a ridurre la disuguaglianza, ma la Seconda guerra mondiale. Soltanto eventi traumatici come una guerra possono bilanciare l’effetto di una tensione profonda dell’economia. Tutto il resto sono palliativi...
Quindi dicono alcuni: i capitalisti non devono poi sentirsi troppo in colpa. Non dipende da loro se diventano sempre più ricchi, it’s the economy, stupid.
Finalmente - sostengono i borghesi - c’è, con Piketty, una nuova narrazione che spiega cosa sta succedendo. E assolve tutti. I ricchi che si arricchiscono, i politici che non fanno abbastanza politiche re-distributive , gli imprenditori che non investono nell’economia reale, le banche che non prestano...

Che ha di nuovo, operai, tutto questo ciarpame? Che vuole soltanto far credere che il capitalismo non morirà mai, che vi saranno sempre padroni e operai, che i ricchi saranno sempre più ricchi e i poveri (lavoratori soprattutto) sempre più poveri?
E' buona musica per il capitale, ma perchè la dovrebbero stare a sentire, come stupidi, gli operai? 
Ecco la "formazione operaia" vuole proprio che gli operai non siano più "stupidi"!

UN LAVORATORE DI PALERMO HA SCRITTO: 
Devo dire che ho avuto una seria difficoltà, nel momento in cui mi è stata posta una domanda su questa frase contenuta nello scritto del 8 gennaio 2015: ["Nel primo capitolo dedicato all'analisi merce e del denaro la prima cosa su cui si impegna Marx è quella di dimostrare che questa società, la società borghese, il capitalismo, non è eterna, è un passaggio storico dell'umanità. Se la borghesia la considera eterna e “naturale” lo è appunto come tutte le cose della natura che nascono, vivono e muoiono..."] . . . ALLORA PER IL COMUNISMO E' LA STESSA COSA? Me la sono cavata dicendo che il comunismo (o meglio la dittatura del proletariato) è solo il passaggio che porterà all'autogestione dell'essere umano . . . diciamo quel passaggio che Antonio Gramsci indicava come " ogni uomo, segretario di se stesso" . . . mi piacerebbe però essere confortato in questa mia risposta...".

La fase del socialismo - con la costruzione dello Stato di "dittatura del proletariato", necessario per difendere, consolidare il potere socialista da una borghesia che non "muore" improvvisamente con la rivoluzione proletaria e tenta sempre e in ogni modo, con la violenza, la guerra, con tutto il suo peso sul fronte della sovrastruttura, ecc., di rovesciare il potere proletario e popolare e riprendere il suo potere - non è affatto eterna, ma una fase necessaria di transizione al comunismo in cui,

come scrive Engels, si realizza: "L'associazione generale dei membri della società per lo sfruttamento comune e pianificato delle forze produttive, l'estensione della produzione a un grado tale che essa soddisferà i bisogni di tutti, la cessazione di una situazione nella quale i bisogni dell'uno vengono soddisfatti a spese dell'altro, la distruzione completa delle classi e dei loro antagonismi, lo sviluppo universale delle capacità di tutti i membri della società mediante l'eliminazione della divisione del lavoro esistente finora, mediante l'educazione industriale, mediante l'alternarsi delle attività, mediante la partecipazione di tutti ai godimenti prodotti da tutti, mediante la fusione di città e campagna". 
O come scrivono Marx ed Engels nell’ideologia tedesca: "...la divisione del lavoro offre anche il primo esempio del fatto che fin tanto che gli uomini si trovano nella società naturale, fin tanto che esiste, quindi, la scissione fra interesse particolare e interesse comune, fin tanto che l’attività, quindi, è divisa non volontariamente ma naturalmente, l’azione propria dell’uomo diventa una potenza a lui estranea, che lo sovrasta, che lo soggioga, invece di essere da lui dominata. Cioè appena il lavoro comincia ad essere diviso ciascuno ha una sfera di attività determinata ed esclusiva che gli viene imposta e dalla quale non può sfuggire: è cacciatore, pescatore, o pastore, o critico, e tale deve restare se non vuol perdere i mezzi per vivere; laddove nella società comunista, in cui ciascuno non ha una sfera di attività esclusiva ma può perfezionarsi in qualsiasi ramo a piacere, la società regola la produzione generale e appunto in tal modo mi rende possibile di fare oggi questa cosa, domani quell’altra, la mattina andare a caccia, il pomeriggio pescare, la sera allevare il bestiame, dopo pranzo criticare, cosí come mi vien voglia; senza diventare né cacciatore, né pescatore, né pastore, né critico.

Da questo emerge che la società comunista, in cui non ci sono più le classi, non c'è più la proprietà privata, la divisione del lavoro, in cui vi è una libera organizzazione della società, corrisponde pienamente all'umanità, emancipata, liberata e alle sue capacità che sono "infinite".
Per questo con il comunismo inizia la vera storia dell'umanità, perchè finora tutte le società precedenti hanno costituito la preistoria dell'umanità. E per questo, potremmo dire, che come l'umanità in generale non ha una "fine" (se non legata alla trasformazione, fine dell'universo finora conosciuto), così il comunismo non ha una "fine" ma è una continua "trasformazione" - scrivono Marx ed Engels, sempre nell'Ideologia tedesca: "Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente...".
(ma non andiamo, per ora, oltre su questo...).

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