sabato 1 novembre 2014

pc 1 novembre - NAPOLITANO: "NIENTE VIDI, NIENTE SACCIU E I FATTI MIEI (LORO) MI FACCIU" - E POI... E' TUTTO NORMALE...

 


Napolitano, inizia mettendo le mani avanti, tanto per chiarire come deve andare la deposizione...: “Credo di avere una discreta memoria, ma una simile memoria di elefante per ricordare tutti i dettagli di quel periodo, da cui ci distanziano oltre venti anni, francamente no”. La memoria non accompagna il presidente neanche poco dopo, quando sempre Di Matteo chiede a Napolitano se per caso avesse avuto notizia della nota della Dia dell’agosto 1993, quella dove si specifica come “l’eventuale revoca, anche solo parziale” dei 41 bis, “potrebbe rappresentare il primo concreto cedimento dello Stato”. “Non ricordo” dice Napolitano che poi si rivolge sempre a Montalto: “Mi permetto di osservare che ci stiamo allontanando di molti chilometri dal luogo, diciamo, della originaria sollecitazione di una mia testimonianza. E poi davvero un po’ supponendo che io abbia una memoria che farebbe impallidire Pico della Mirandola ricordare ogni elemento, se mi fu data quella nota, come reagirono tizio e caio, francamente non credo di poter rispondere”.

La deposizione avviene poi in un clima di "servilismo" imbarazzante e di una precisa e non modificabile casistica delle domande che si possono fare e di quelle che NON si possono fare...:
"l’avvocato Milio comunica l’intenzione di non fare domande per il “rispetto istituzionale” nutrito dai suoi clienti nei confronti del presidente; l’avvocato Nicoletta Piergentili, che difende Mancino, comunica a Napolitano la sua “emozione” per trovarsi “davanti alla sua persona” e soprattutto agli “splendidi arazzi” della Sala del Bronzino".

Nel verbale non entra mai la parola "trattativa", ma solo "ricatto" e "al massimo pressione":
«In realtà que­gli atten­tati (in particolare le bombe del '93) per met­tere i pub­blici poteri di fronte a degli aut-aut, per­ché que­sti aut-aut potes­sero avere per sbocco una richie­sta di alleg­ge­ri­mento delle misure soprat­tutto di custo­dia in car­cere dei mafiosi o potes­sero avere per sbocco la desta­bi­liz­za­zione politico-istituzionale del paese e natu­ral­mente era ed è mate­ria opi­na­bile».
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Il massimo dell'atteggiamento "Niente sacciu, e i fatti miei mi facciu" si manifesta quando Napolitano risponde sulla lettera di D'Ambrosio - in cui tutto viene come minimo "normalizzato":
"Eravamo, questo ogni tanto è difficile farlo intendere, una squadra di lavoro... e solo di lavoro quotidiano, corrente, discorrevamo tra di noi, non su che cosa avesse fatto il mio Consigliere Militare da Capo di Stato Maggiore della Difesa o da Generale Comandante della Guardia di Finanza, né con il mio Consigliere per gli Affari Giuridico-Costituzionali...
Un passaggio centrale della deposizione ruota attorno alla lettera di dimissione - poi respinte - che D’Ambrosio scrisse nel giugno 2012 dopo l’uscita delle telefonate, intercettate, di Nicola Mancino, preoccupato per i possibili sviluppi del procedimento Stato-mafia e per una, a suo dire, scarsa collaborazione tra le tre Procure che indagavano su vicende analoghe (Palermo, Caltanissetta e Firenze). In quella missiva D’Ambrosio manifesta tra l’altro il timore di poter essere stato «utile scriba per indicibili accordi». Cosa vuol dire quella frase? Napolitano riferisce che D’Ambrosio non gli spiegò le cause del suo timore. «Certamente, non ha con me mai aggiunto parola dopo, né aveva anticipato parola prima»... «Lei ha mai avuto sentore di queste inquietudini del consigliere D’Ambrosio per quelle attività del periodo 89-93?», viene chiesto al Capo dello Stato. «No io ho constatato de visu il suo profondissimo stato di ansietà e anche di indignazione perché era un uomo che aveva dedicato tutta la sua vita al servizio dello Stato», è la risposta di Napolitano, che descrive un uomo in uno stato di «esasperazione», «amareggiato perché vedeva mettere in dubbio la sua lealtà di servitore dello Stato». La sua era la lettera di un uomo «sconvolto». E l’annuncio di dimissioni contenuto all’interno fu per Napolitano un «fulmine ciel sereno...
Napolitano dà una descrizione del suo lavoro che fa invidia alla satira di Crozza: "no... parlavamo di cose quotidiane..." (che si mangia  a pranzo...) 
Napolitano legge nelle lettera di D'Ambrosio di "indicibili accordi" e non fa un "salto sulla sedia", non chiede a D'Ambrosio di spiegare questi "indicibili accordi"... Di più, fa passare il suo Consigliere per "uomo sconvolto" che non ci stava con la testa.

Le auto bombe, i rischi di colpi di Stato, gli attentati... sono tutti descritti come "voci", a cui lo Stato avrebbe risposto con "molta sensibilità e molta consapevolezza"... I servizi segreti parlano anche di "attentato stragista con il maggior numero possibile di vittime...", e Napolitano va a farsi una "brevissima vacanza"...
Il 1993 è l’anno terribile delle auto bombe, in via Fauro a Roma, in Via dei Georgofili a Firenze e, nella notte tra il 27 e il 28 luglio del 1993, contestualmente in Via Palestro a Milano e a San Giovanni Laterano e San Giorgio al Velabro a Roma. Segue a un altro anno di sangue, segnato tra l’altro dagli attentati a Giovanni Falcone e poi a Paolo Borsellino. Il clima di quegli anni viene più volte rievocato nel corso della deposizione. Nell’agosto del ’93 il presidente del Consiglio Ciampi temette un colpo di Stato ed è lo stesso Napolitano a ricordarlo: «Quando il presidente del Consiglio dice `abbiamo rischiato un colpo di Stato´ se non c’è allora fibrillazione vuol dire che il corpo non risponde a nessuno stimolo». E Napolitano ricorda anche l’episodio del blackout a Palazzo Chigi nella notte delle bombe a Roma e Milano, definendolo «un classico ingrediente di colpo di Stato». Ciampi definì «inquietante» quel black out. E «non ci fu assolutamente sottovalutazione» di quanto stava accadendo, «c’era molta vigilanza, molta sensibilità e molta consapevolezza della gravità di questi fatti».
Sugli attentati: "Io fui informato, senza vedere carte, senza sapere di note del Sismi o di chicchessia, fui informato che c'erano voci, erano state raccolte da confidenti notizie circa un possibile attentato alla mia persona o a quella del Senatore Spadolini". Nella sua deposizione Napolitano rievoca anche le notizie su un possibile attentato contro di lui, lanciato dai servizi segreti nel 1993... "ma non sono uno specialista del linguaggio dei Servizi, suppongo che avrebbe dovuto esserci prima un attentato stragista con il maggior numero possibile di vittime e a seguire si sarebbe dovuto colpire un rappresentante delle istituzioni politiche. Ne fui informato, adesso spiego un pò meglio, perché in quell'estate del 1993 io feci una brevissima vacanza, come da molti anni, nell'isola di Stromboli".

Sul decreto 41bis, a domanda se vi erano differenti posizioni, Napolitano risponde vago: "Non credo...":
Nel giugno del ’92, dopo la strage di Capaci, viene varato dal governo un decreto che istituisce il carcere duro per i mafiosi, introducendo il 41 bis nell’ordinamento penitenziario. Il testo è convertito in legge ad agosto, poche settimane dopo la strage di via D’Amelio in cui viene ucciso Borsellino... A Di Matteo che gli chiede se ci fosse stato un dibattito politico sulla conversione del decreto, il capo dello Stato risponde: «Non credo che nessuno, allora, pensò che in una situazione così drammatica si potesse lasciare decadere il decreto alla scadenza dei 60 giorni, per poi rinnovarlo».

Napolitano, nega di fatto qualsiasi "trattativa", benchè ampiamente confermata da tutte le deposizioni dei pentiti, da esponenti politici e del governo, allora di primo piano come Martelli; anzi derubrica la stessa parola "ricatto" a "pressione":
Il termine «ricatto» entra nella deposizione attraverso le domande del pm Nino Di Matteo. «Quindi, lei ha detto, - chiede il magistrato - si ipotizzò subito la matrice unitaria e la riconducibilità ad una sorta di aut-aut, di ricatto della mafia, ho capito bene?» «Ricatto o addirittura pressione a scopo destabilizzante di tutto il sistema», risponde Napolitano. E aggiunge: «Probabilmente presumendo che ci fossero reazioni di sbandamento delle Autorità dello Stato». Napolitano, come egli stesso premette, sta riportando anche in questo caso quale fosse «la valutazione comune alle autorità istituzionali in generale e di Governo in particolare» sulle stragi. Se nel verbale entra la parola «ricatto», non entra mai invece quello «trattativa». 

Le componenti in Cosa Nostra, con cui lo Stato fece la "trattativa", diventano al massimo un "oggetto della pubblicistica italiana in quegli anni": 
Che ci fossero due componenti all’interno di Cosa Nostra, una delle quali più aggressiva, la cosiddetta ala stragista, era cosa di cui si parlava nella pubblicistica dell’epoca. Napolitano, nella sua deposizione, da una parte non nega che possano esserci state queste componenti, dall’altra sottolinea però come questo fosse un dato piuttosto noto. E lo fa in riferimento a una domanda su una audizione dell’allora ministro della Giustizia Conso che di fronte alla commissione Antimafia parlò delle due fazioni. «L’analisi secondo la quale c’erano tendenze contrapposte in seno alla mafia - afferma Napolitano - ha formato oggetto della pubblicistica italiana in quegli anni. C’era molto probabilmente una spaccatura, ma questo lo si capiva senza bisogno di essere politologi, scienziati della politica o sapienti giuristi come Conso».

Su Vito Ciancimino, le risposte di Napolitano sono volutamente vaghe: "si, forse... Violante può anche avermene parlato...". 
Un altro aspetto approfondito in sede di udienza riguarda la richiesta che l’ex sindaco di Palermo, colluso con la mafia, fa di essere sentito dalla commissione bicamerale Antimafia presieduta da Luciano Violante. Fu lo stesso Violante a informare Napolitano, della richiesta di Ciancimino. La commissione decise poi di non ascoltarlo. Ma sulle ragioni, il Capo dello Stato, non entra. Dell’intenzione di Ciancimino di essere sentito, Violante «può anche avermene parlato - riporta infatti Napolitano - ma non perché io mi pronunciassi». 

In uno Stato minimamente legale Napolitano dovrebbe a questo punto essere considerato un testimone reticente e falso e dovrebbe passare da "testimone" a imputato"...
Ma qui siamo alla sceneggiata dello Stato "democratico", della "giustizia al di sopra delle parti", per nascondere ancora una volta quello che realmente è successo e cosa è lo Stato borghese:

"Il ricatto della mafia a governo e Stato c'è stato, lo Stato lo ha accettato trattando con la mafia, la mafia ne ha beneficiato e rilanciato... Nel sistema del capitale, Stato borghese e mafia non possono che convivere e colludere, perchè la mafia è parte della borghesia e lo Stato borghese rappresenta sempre tutta la borghesia nel suo insieme"

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