domenica 7 settembre 2014

pc 7 settembre - L'UNIVERSITA' NEGATIVA - UNA RIFLESSIONE DA NAPOLI

Sempre sulla scuola e la controriforma in corso del governo Renzi che in parte segue gli aspetti più reazionari dei precedenti governi, e soprattutto su come contrastare "colpo su colpo" questi attacchi, pubblichiamo "Alcune riflessioni sull'università" scritte da uno studente compagno della Federico II di Napoli.

L'UNIVERSITA' NEGATIVA
Se è vero che costantemente affermiamo che è nell'università che vengono elaborate, affilate e affinate le armi ideologiche, culturali, retoriche attraverso le quali la borghesia afferma, teorizza e naturalizza la condizione di sfruttamento è necessario evidenziare come uno dei compiti più importanti per chi fa attività politica nell'università sia quello di contrastare colpo su colpo, mettere i bastoni tra le ruote a queste elaborazioni creandone e costituendone di proprie. Espropriare gli espropriatori degli strumenti intellettuali e culturali.
Ma, come da anni facciamo già, per cogliere a pieno questo ruolo dell'università e contrastarlo è necessario “aprire” l'università alle contraddizioni della società, a tutte quelle esperienze che sfondando le porte della “torre d'avorio” portino le contraddizioni che investono il mondo dentro le aule universitarie.
Ma come evitare che tali iniziative siano viste solo come un momento in cui la gente prende coscienza delle brutture che comunque restano fuori e lontane dal mondo della formazione? Come cercare non solo di far sì che ci si accorga che c'è “tutto un mondo fuori” (già presa di coscienza non da poco nel deserto culturale di questi anni) ma che è l'università stessa pienamente inserita in queste contraddizioni e rispetto alle quali ha un ruolo attivo, decisivo e centrale, politico.
Il rischio è far sì che la gente si scandalizzi di ciò che succede nel mondo e lo faccia dall'alto della sua aula universitaria, che pensi che il problema sia proprio che il mondo non sia “bello e libero”, “meritocratico e culturalmente evoluto” come il suo luogo di formazione nel quale si sente a casa.
Il rischio è proprio quello di non cogliere il ruolo stesso dell'università in tutto questo.
Come giustamente sottolineavano alcuni compagni, lo spauracchio dei privati all'interno dell'università ha perso la sua aurea di evento da scongiurare a tutti i costi dal momento che il problema che vivono gli studenti è proprio quello di una scarsa integrazione tra università e mondo del lavoro. La paura è quella di non trovare lavoro, proprio di non trovare privati, di non aver avuto una formazione adeguata alla ricerca di un lavoro o, al contrario, di non ritrovarsi, finita l'università, in un tessuto produttivo “degno” del percorso di studi fatto.
Ecco, questo tipo di retorica e ideologia rende difficile il contrasto al ruolo stesso dell'università attraverso il semplice slogan “contro un'università al servizio dei privati”.
Come trovare la maniera di contrastare, anche teoricamente, la decantata sinergia tra mondo del lavoro e mondo della formazione?
Cercando di evidenziare la sinergia che c'è tra luoghi di sfruttamento e luoghi di formazione, creando la sinergia tra lotte dei lavoratori e lotte della formazione.
In questo senso va approfondito il ragionamento su “i lavoratori vanno in cattedra” al di là del fatto che come collettivo universitario questa è stata una pratica che sempre ci ha contraddistinto ma cercando di cogliere ancora di più tutte le potenzialità che questa pratica ci può dare.
Come?
A livello organizzativo è necessario far sì, o anche semplicemente dare la percezione che il nucleo di coscienza e di elaborazione antagonista che è il collettivo universitario metta in piedi una vera e propria “università negativa”. Questo non solo nel senso di estendere il lavoro teorico e politico del collettivo a una dimensione più ampia, anche solo nelle intenzioni, ma il tentativo di, oltre ad essere un collettivo dentro l'università, di essere il nucleo propulsore per spaccare l'università in due, sdoppiarla, dividerla, a tutti i livelli. Tra gli studenti, tra i professori, tra i ricercatori, cercare di costruire un luogo di contro-università che agisca però allo stesso modo come raccoglitore di forze per cambiare l'università stessa in stretta connessione con le lotte generali che attraversano la società tutta e il pianeta intero.
In termini pratici, (anche per riuscire a portare il nostro lavoro politico anche in università e facoltà dove siamo poco presenti, nelle facoltà scientifiche, ecc...) penso sia necessario continuare ad approfondire la dinamica in cui salgono in cattedra i lavoratori e le loro lotte.
E' necessario che attraverso queste iniziative, attraverso l'autorevolezza delle lotte si contrastino i difetti di cui sopra del mondo universitario, sottili versioni della logica meritocratica e di un capitalismo culturalmente evoluto e buono. Che le lotte dei lavoratori “curino” le lotte universitarie dai loro difetti e dalle loro speranze di maggiore integrazione con il capitale!
Tutto questo lavoro però, perché sia efficace, è necessario portarlo a un livello più alto, “più scientifico” riprendendo il concetto di “filiera” anche se in termini solo esemplificativi.
Sarebbe interessante, di ogni iniziativa, non solo portare i lavoratori e le lotte in cattedra ma, porsi il problema di cogliere, anche in ogni singola lotta, quale può essere il ruolo dell'università, del sistema della formazione e della conoscenza nel generare e teorizzare le situazioni in questione. Cercando di fare questo per temi dove siamo anche meno allenati ad evidenziare queste connessioni rispetto ad altri, tipo la Palestina. In questo senso, ribattere colpo su colpo alle teorizzazioni che avvengono nell'università ricostruendo la “filiera” tra , da un lato, i lavoratori che praticamente le subiscono e le combattono e, dall'altro, i luoghi dove teoricamente si elaborano (e magari si contrastano).
In questo senso ad esempio coinvolgere studenti e ricercatori ed eventualmente professori di ingegneria quando si parla di guerra o logistica o no tav. Riuscire a individuare in queste battaglie il mondo del sapere che ruolo gioca e ha giocato.
Se queste teorizzazioni vivono nel mondo universitario, che si contrastino nell'università, portando in cattedra esperienze che ce ne dimostrino le conseguenze di sfruttamento. Ci sarà qualcuno che studia il contratto di apprendistato, il Tmc2 o l'Ergo-uas, la geografia dei flussi di merci nella logistica, la crisi economica, e dall'altro lato c'è qualcuno che tutte queste cose le subisce sui posti di lavoro.
Aprire l'università alle contraddizioni della società ma così facendo mettendo in luce le sue stesse contraddizioni. Connettere il mondo del lavoro e mondo del sapere. Cioè, in sintesi, cercare di far vivere praticamente e in maniera più approfondita la frase “il sapere non è neutro”, cercando di mostrarlo a ogni iniziativa e su tematiche che coinvolgano anche facoltà dove di solito il nostro lavoro politico non arriva.
In questo senso tentare di costruire una “università negativa” che insegni, che respinga il ruolo assegnato al mondo della formazione dal capitale ma che anzi, si ponga l'obbiettivo di essere utile a tutto ciò che contrasta questo modello di società.
Insegni agli studenti cosa succede all'esterno, nella società, nei territori di popoli in lotta e nei luoghi di sfruttamento ma sopratutto come l'università e il sapere che si costruisce là dentro abbia un ruolo attivo in tali contesti.

Ma che fare poi, nel caso le cose andassero bene di tutto questo? Cosa ricavarne? Come continuare?
Da un lato iniziative del genere ti permetterebbero di coinvolgere parecchia gente che non incrociamo nella quotidianeità e di facoltà dove l'intervento politico è scarso, di riuscire a fare iniziative davvero formative, e tutto questo è già tanto. Inoltre, una impostazione del genere ci permetterebbe, se da un lato di fare anche meno iniziative ma magari più pensate, di stare comunque “sul pezzo” cogliendo spunti e feedback che provengono tanto dalla società in generale, quanto dalle aule universitarie stesse e dalle cazzate che si dovranno sorbire, ad esempio, gli studenti di storia dell'Ucraina, politiche migratorie o ingegneria aereospaziale.
Ma dall'altro lato è necessario fare un passo avanti che ha come presupposto il recupero di pratiche che pur essendo rimaste sempre nel nostro dna è necessario recuperare. Da un lato la forte conoscenza e specializzazione sull'università in generale e sulle nostre università in particolare. Riprendere lo studio certosino di cosa sia l'università ma anche quotidianamente di cosa fa l'università, riprendere l'abitudine di leggersi i verbali accademici, di studiarsi il funzionamento generale della nostra università e specializzarsi in questo nostro terreno d'intervento. Dall'altro lato, e strettamente collegato a questo primo aspetto, riprendere nella nostra testa la possibilità di incidere e modificare l'università, riprendere la volontà e l'impegno di tentare strade per incidere e cambiare alcuni aspetti del luogo dove facciamo politica, intervenire e incidere in un luogo sovrastrutturale, certo, ma che senz'altro ci garantisce margini di iniziativa di intervento anche se non strettamente collegati alle strutturali lotte sul lavoro (permettetemi la forzatura della frase).
La forza accumulata su tematiche specifiche e concentrata alle iniziative, anche perché li riguardano più o meno direttamente (guerra e ingegneria; riforme sul lavoro e giurisprudenza, medicina ed Ilva, ecc...) deve essere poi utilizzata non solo nella formazione di nuovi quadri e quindi nell'approfondimento generale di tali tematiche ma nel tentativo di incidere concretamente nell'università.
Su questo gli esempi che più mi balzano agli occhi sono quelli, ovviamente delle “convenzioni” e un lavoro politico per chiederne la rescissioni, o l'intervento sui criteri e le agevolazioni per gli studenti lavoratori (cosa che sarebbe molto interessante come segnale, ma che è solo una intuizione campata in aria), o altro; su questo sarebbe necessario scervellarsi. E c'è anche la questione dei tirocini, sarebbe divertente una campagna che tirocini dove si inizia con una critica ai tirocini che coinvolga dagli studenti che hanno il tirocinio obbligatorio ai lavoratori che subiscono l'invasione dei tirocinanti e il conseguente peggioramento delle condizioni di lavoro.

Magari partire con una sorta di campagna che in maniera embrionale abbia già in testa i vari passaggi, dalla preparazione di una iniziativa, alla successiva rivendicazione, toglierebbe di astrattezza sto ragionamento che comunque è poco più che uno spunto di riflessione.

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