giovedì 11 settembre 2014

pc 11 settembre - Amianto all'Ilva operai avvelenati per decenni da padroni di Stato e padroni privati

A Taranto la strage operaia infinita ha scritto un altra pagina in tribunale, mentre il 16 settembre riprende il maxiprocesso a Padron Riva e complici.
L'iniziativa della Rete nazionale per la salute e sicurezza sui posti di lavoro e sul territorio e dello Slai cobas per il sindacato di classe Ilva-indotto è l'unica in campo.
E' la sola iniziativa seria di parte operaia e popolare in campo nella città, come in tribunale, come a livello nazionale ed essa va generalizzata, organizzata e sostenuta ovunque e da chiunque si professa su posizioni di classe sui temi della difesa della sicurezza e del lavoro nei confronti di padroni, Stato, governo, sindacati confederali complici, settori reazionari e antioperai dell'ambientalismo

VENERDI' 12 settembre
assemblea biblioteca comunale Taranto ore 16.30
- la strage d'amianto è responsabilità dell'Italsider di Stato e dell'Ilva di padron Riva
- nuova morte sul lavoro nell'appalto
- operai, lavoratori-cittadini parte civile autorganizzata al processo Ilva che riprende il 16 settembre

Rete nazionale per la sicurezza e salute sui posti di lavoro e sul territorio
Slai cobas per il sindacato di classe ilva-appalto Taranto
bastamortesullavoro@gmail.com
slaicobasta@gmail.com
347-1102638
11 settembre 2014


Amianto all'Ilva operai avvelenati per decenni - la strage dell'amianto è opera sia e principalmente dell'industria di Stato, che di padron Riva.
Dedicato a chi si sbraccia a considerare la nazionalizzazione come soluzione. In regime del capitale la nazionalizzazione all'Ilva è sempre sfruttamento e morte per il profitto.
Solo autonomia operaia - organizzazione - lotta di classe - rivoluzione sono la via della soluzione di parte operaia e popolare.
Questo all'Ilva e a Taranto è la proposta e l'azione di Proletari comunisti-PCm Italia e dello slai cobas per il sindacato di classe

11 settembre 2014
Articolo di Francesco Casula - Il fatto quotidiano
TARANTO - «La tematica dell'amianto, pur profondamente conosciuta da tutti i vari ceti aziendali e quindi da tutti gli imputati, non ha mai superato ilpiano dell'oralità» perché nessun dirigente Italsider o Ilva «ha mai adottato un provvedimento concreto volto a migliorare le condizioni di lavoro legate all'amianto».È quanto si legge nelle motivazioni della sentenza con la quale il 23 maggioscorso il giudice Simone Orazio condannò 27 ex dirigenti del siderurgico nel processo per la morte di 28 operai affetti da mesotelioma pleurico contratto per l'esposizione all'amianto presente nello stabilimento. Tra le condanne,spiccano quelle nei confronti di Fabio Riva, ex vice presidente del gruppoindustriale da oltre un anno a Londra in attesa di estradizione condannato a6 anni di reclusione, degli ex direttori Luigi Capogrosso (6 anni), Sergio Noce (9 anni e 6 mesi), Attilio Angelini (9 anni e 2 mesi) e nei conforntidi Girolamo Morsillo e Giambattista Spallanzani (9 anni).

Nelle 268 pagine depositate ieri, il giudice Orazio scrive che «questa situazione di consapevole e lucida omissione si è perpetrata per decenni essendo sotto gli occhi di tutti, nel senso che l'inerzia è stata maturata e voluta sia da coloro che avevano ruoli operativi e che pertanto erano a conoscenza delle inaccettabili condizioni in cui costringevano a lavorare i dipendenti, sia da parte di color che avevano responsabilità manageriali, gestionali e di controllo finanziario, data l'assenza di alcuno stanziamento al riguardo». Tutti sapevano, insomma, ma nessuno si è attivato. Non solo.Per il magistrato, «gli interventi seri in materia di amianto nello stabilimento di Taranto sono stati sempre volutamente evitati proprio perche essi avrebbero determinato una palingenesi dell'attività produttiva, uno stravolgimento degli impianti e l'investimento di notevolissime somme di denaro». Insomma, minimo sforzo e massimo guadagno.

«La mancata predisposizione delle cautele in questione - si legge infatti nella sentenza - non è da attribuirsi a mancanza di liquidità da parte dell'Ilva, ovvero ad una sfavorevole congiuntura economica, oppure, ancora, ad una riduzione dell'attività produttiva» dato che solo nel 2007 I'utile registrato dall'Ilva è superiore ai 300milioni di euro. E anche nella bonifica dell'amianto presente «in ogni angolo» dello stabilimento, dal processo è emerso che questa «era avvenuta attraverso la tecnica della cosiddetta "glove bag", adeguata solo per l'asportazione di piccole quantità di amianto e quindi non certo indicata per le esigenze dell'Ilva, tenuta a rimuovere mlgliaia di tonnellate di amianto». Una tecnica selezionata dai dirigenti del siderurgico perché «era più economica e più rapida poichè consentiva - sottolinea il giudice Orazio - l'effettuazione dell'intervento senza bloccare il ciclo produttivo, sicchè si apprezza per l'ennesima volta come le scelte dell'llva in materia di lotta all'amianto fossero improntate al più rigoroso risparmio, ulteriormente dimostrato dalla scarsa competenza e professionalità delle ditte a cui veniva commissionata la bonifica».
«Quanto alla portata del disastro, si è già visto che esso concerne tutta la popolazione di Taranto e dei comuni limitrofi, complessivamente pari a quasi trecentomila abitanti», ma è evidente che questo rischio è maggiore per gli operai, costretti ad un micidiale «cocktail» di agenti nocivi come gli idrocarburi policiclici aromatici che agiscono come moltiplicatori dei danni causati dal solo amianto.

Nessun commento:

Posta un commento