giovedì 7 febbraio 2013

pc 8 febbraio - Presidio contro la violenza degli sbirri sulle donne del 15 febbraio al Pratello, Bologna


pc 8 febbraio - mobilitazione antifascista a Ravenna sabato 9 febbraio contro FN


di seguito l'appello degli antifascisti di Ravenna:

PRESIDIO ANTIFASCISTA


SABATO MATTINA PROSSIMO IL SEGRETARIO DEL PARTITO NEOFASCISTA 
FORZA NUOVA
TERRA’ UN COMIZIO IN CENTRO.
GLI ANTIFASCISTI DI RAVENNA SI OPPONGONO ALLA SCELTA DI CONCEDERE 
SPAZI A ORGANIZZAZIONI APERTAMENTE SCIOVINISTE, XENOFOBE E RAZZISTE CHE SI RICHIAMANO ESPLICITAMENTE AL FASCISMO. 
GLI ANTIFASCISTI HANNO SEMPRE PRESENTI LA MORTE, IL DOLORE E LA DISTRUZIONE CHE IL MOVIMENTO POLITICO MUSSOLINIANO HA PORTATO ALL’ITALIA IN GENERALE E A RAVENNA IN PARTICOLARE E PER QUESTO CONVOCANO 



un PRESIDIO ANTIFASCISTA
per le 9.00 di Sabato 9 febbraio 2013
in P.ta Gandhi a RAVENNA (sotto porta Adriana)



Ravenna Antifascista

pc 7 febbraio - Ilva Taranto - polveri nel cimitero - i 52 lavoratori chiedono risarcimento


 

 

 



lo slai cobas per il sindacato di classe organizza la lotta di tutti i cimiteriali da anni e ne ha fatto
in certe occasioni... il posto più vivo della città


 








TARANTO – I 52 lavoratori della Cooperativa 'Ancorà, che si occupa dei servizi di 
tumulazione delle salme nonchè di custodia, guardiania, sorveglianza serale e notturna, pulizia e 
sistemazione del verde nel cimitero 'San Brunonè di Taranto, a ridosso dei parchi minerali dello 
stabilimento siderurgico, chiederanno un risarcimento 
all’Ilva per i danni alla salute subiti a causa dell’inquinamento.

Lo annuncia in una nota lo Slai Cobas per il sindacato di classe.

I lavoratori del cimitero di Taranto, che invocano più tutele e controlli sanitari, fanno presente di 
essere costretti ogni giorno a raccogliere polveri minerali tra i loculi, ma anche negli uffici e nel 
posto di guardia.
A questo proposito è stato preparato un dossier sullo stato di salute dei lavoratori.
Lo Slai Cobas aveva già manifestato l’intenzione di costituirsi parte civile nell’ambito del 

procedimento per disastro ambientale a carico dell’Ilva.

L'intervento dei lavoratori cimiteriali di Taranto alla assemblea nazionale della 
rete per la salute e sicurezza tenutasi a taranto il 7 dicembre 2013


LAVORATORE CIMITERIALE

Vi saluto tutti a nome anche dei colleghi che non sono potuti venire o restare fino a
quest’ora.
Lavoriamo al cimitero di Taranto, che significa stare fisicamente a ridosso e a stretto
contatto con l’Ilva, a poche decine di metri. Sono tante le polveri che respiriamo, anche e
soprattutto nelle ore notturne, il sabato e la domenica, quando all’Ilva approfittano per
emettere a più non posso, quando è più difficile accorgersene e che ci siano controlli.
Questa è la realtà che vivo giornalmente con i miei colleghi e possiamo anche documentarlo
tangibilmente con filmati che abbiamo realizzato in questi anni. Lavoriamo in una situazione
di assoluta criticità.
Condizioni che abbiamo in comune con chi vive al quartiere Tamburi.
Nella sentenza del riesame emessa a conferma della ordinanza del Giudice Todisco si scrive:
"la gravissima situazione di inquinamento, prodottasi con la contaminazione della vasta area ....
tra i comuni di Taranto e Statte, causata dall'attività del siderurgico e dalle sue emissioni
incontrollate e incontrollabili, oltre che da quelle autorizzate di polveri e fumi, si accompagna
ad una allarmante compromissione ambientale delle aree urbane - immediatamente e visivamente
percepibile nei rioni a ridosso del siderurgico, in particolare nel quartiere Tamburi e nella
zona del Cimitero di San Brunone massicciamente ricoperti (imbrattati) di una coltre di polveri
ferrose di colore rossastro... che ha determinato un gravissimo e ormai insostenibile rischio sanitario".
Noi lavoratori cimiteriali da 15-20 anni ogni giorno per almeno 6 ore all'aria aperta e sollevando tanta
polvere, pulendo e tumulando ecc, ci esponiamo quindi a queste sostanze inquinanti, con gravi evidenti
danni alla nostra salute passata, presente e temiamo soprattutto futuro.
Ora diciamo basta e siamo pronti a mobilitarci.
Con lo Slai cobas stiamo portando giornalmente avanti la lotta contro queste condizioni, tra l’altro
in una situazione in cui sono morti per patologie riconducibili alle condizioni di lavoro un nostro
collega e il direttore del cimitero urbano.
Abbiamo avuto anche noi i nostri morti, e questo ci accomuna ancora di più alla lotta
degli operai dell'Ilva.


IL COORDINATORE DELLO SLAI COBAS

La questione del cimitero richiama la vicenda dei cittadini dei Tamburi.
Molti cittadini di Tamburi e lavoratori del cimitero stanno avviando e vorrebbero avviare una
class action e altre azioni risarcitorie.
La Rete si occuperà moltissimo di questo anche per sottrarre questi cittadini e lavoratori
all’andazzo che si sta generalizzando, di avvocati che si prestano ad iniziare azioni risarcitorie,
prospettando risarcimenti milionari, ecc. Per contrastare questo abbiamo contattato e ci ha
espresso la sua disponibilità e adesione all’iniziativa l’avv. Bonetto di Torino, che è avvocato
di parte civile nel processo Eternit, che ha curato la causa civile di tremila tra lavoratori e
cittadini contro l’Eternit. Bonetto è sostenitore da tempo del sindacalismo di tutte le forme
di opposizione in fabbrica e molto conosciuto per questo tipo di processi.
Su questo organizzeremo, forse già e gennaio un incontro specifico sulla questione di avvio
di cause risarcitorie e costituzioni di parti civili e chiameremo tutti ad associarsi, non tanto
all’avvocato, ma per assicurare che si possa fare una battaglia senza secondi fini.
Una battaglia che è di alta civiltà e certo non solo di ricerca di indennizzi a fronte di tragedie
così grandi.
I lavoratori del cimitero saranno uno dei pilastri di questa battaglia, proprio per la loro condizione
specifica di lavoratori esterni all’Ilva che per lo più non abitano a Tamburi ma che pure si trovano
al centro di questa vicenda.



pc 7 febbraio - la posizione dei maoisti tunisini sulla fase



Sulla situazione rivoluzionaria in Tunisia: Movimento comunista maoista

Il Movimento comunista maoista in Tunisia è abbastanza vicino al PCmF, il PCmI - Proletari Comunisti, al PC dell’India, i maoisti PCR in Canada, con i quali ha firmato una dichiarazione il 1 ° maggio.

Indirizzo inviato dal Movimento comunista maoista in Tunisia:All'attenzione della conferenza sul Medio Oriente e il Nord Africa

Caro / cari compagni

Ci scusiamo di non poter partecipare alla vostra conferenza, salutiamo la vostra iniziativa e considerare questa nostra dichiarazione come una partecipazione.
Caro / cari compagni, gridiamo tutti insieme, lavoratori di tutto il mondo e popoli oppressi unitevi!

1 – Teniamo ad informare i lavoratori e i popoli oppressi di tutti i paesi che le masse in Tunisia hanno innescato la scintilla delle insurrezioni che si è propagata in Egitto, allo Yemen, Libia, Marocco e Siria, senza dimenticare le proteste in Algeria e gli Emirati del Golfo. Sottolineiamo che si tratta sicuramente di insurrezioni spontanee, violente che hanno coinvolto tutte le classi popolari: operai, contadini, disoccupati, artigiani, studenti, funzionari pubblici e anche professionisti come avvocati, medici ecc .
Queste insurrezioni sono senza direzione proletaria, vittime di imbrogli reazionari, delle promesse di tipo medievale dei partiti fondamentalisti, e dei partiti riformisti e opportunisti, come la reazione, sostengono, a torto, che si tratta di una rivoluzione.

2-Le rivolte hanno dimostrato che la contraddizione fra gli imperialisti da un lato e i lavoratori e i popoli oppressi dall’altro non si è per niente attenuata, ma invece si è accentuata come conseguenza della politica decretata dal FMI e della Banca Mondiale responsabili della povertà dei popoli, della disoccupazione, e di tutti i mali che affliggono le società semicoloniali, semifeudali. Queste insurrezioni hanno dimostrato ancora una volta che le semicolonie sono i focolai della rivoluzione, dove si concentrano le tre contraddizioni che governano il mondo. Queste insurrezioni hanno inoltre dimostrato inequivocabilmente che il popolo può essere padrone di se stesso, può prendere il destino nelle proprie mani e dettare le proprie leggi, è esso che scrive la storia, al contrario di ciò che dicono gli imperialisti e i reazionari che esaltano il ruolo dell’individuo. Ma questo popolo senza una avanguardia rivoluzionaria non può cambiare nulla, peggio ancora, si sente ferito quando vede la sua ribellione rapita, il suo potere usurpato dalla reazione e gli opportunisti di ogni colore.

3 - Di fronte a questa marea che si è riversata su questi paesi arabi, il sistema imperialista si è mobilitato e ha dato una mano ai suoi servi locali per soffocare questa onda insurrezionale, ha inviato consiglieri, sbloccato soldi per aiutare la classe burocatico-compradora, i burocrati e i feudali ad affrontare la rivolta popolare che continua nonostante la repressione e le false promesse, dato che le persone che hanno pagato con la vita questa sollevazione e che ha sacrificato i propri giovani, e non ha avuto niente come contropartita. Esso rimane povero, senza risorse, privato della libertà e della dignità.

4 - l'insurrezione è in pericolo, lo slancio rivoluzionario spontaneo rischia di indebolirsi e finirà per essere soffocato, se le forze rivoluzionarie non si assumono le loro responsabilità per mettersi all’avanguardia delle lotte in corso che esplodono a tutto campo, talvolta senza prospettive. Le masse popolari vogliono proteggere la loro rivolta - "rivoluzione" - come dicono, ma la reazione, i Fratelli Musulmani e l'opportunismo di sinistra sono in allerta, questi tre nemici sono in agguato, vogliono recuperare gli slogan dell’insurrezione, ma il popolo ancora resiste e il movimento maoista, anche se minoritario, avanza a passi da gigante grazie alla sua tattica che rifiuta la collaborazione di classe e la coesistenza pacifica nelle stesse strutture con le forze reazionarie del vecchio potere, i Fratelli Musulmani e la burocrazia sindacale. Il movimento maoista lavora per una direzione rivoluzionaria del movimento popolare, in seno alle strutture indipendenti della reazione e degli opportunisti dichiarati. Questa direzione dei comitati popolari potrebbe, con lo sviluppo della coscienza di classe delle masse popolari, aprire la via allo scoppio della lotta armata nelle campagne in fermento, unica alternativa rivoluzionaria per la liberazione delle masse dato che senza esercito popolare il popolo non ha nulla.


Il Movimento comunista maoista in Tunisia
Tunisi il 18 Maggio 2011 

 

 

Organizzazione Comunista Maoista - Tunisia

Il nostro dovere di comunisti maoisti arabi è quello di costruire il nostro partito attraverso una lotta ideologica e politica senza esitazioni contro tutti i progetti revisionisti, riformisti e trotskisti che diffondono tra le masse l’illusione di una “transizione pacifica" e la compartecipazione insieme ai reazionario per abortire le conquiste delle insurrezioni nei paesi arabi.

pc 7 febbraio - tunisia in fiamme


Assalti alle sedi di Ennahda e scontri davanti al Ministero degli Interni di Tunisi. oggi sciopero generale contro il regime islamista accusato di essere il mandante dell'omicidio di Belaid capo del Partito dei patrioti democrati, apprezzato avvocato penalista.

Il Fronte popolare (sinistra), il Partito repubblicano, Al-Massar e il Nidaa Tounes (centro) - che insieme hanno circa 40 seggi su 217 all'Assemblea nazionale costituente - hanno tenuto nel pomeriggio una riunione, al termine della quale è stato deciso di sospendere la partecipazione all'Assemblea e di lanciare un appello allo sciopero generale che dovrebbe tenersi domani in concomitanza con le esequie di Chokri Belaid. Fra le altre richieste dei partiti di opposizione ci sono le dimissioni del ministro dell'Interno Ali Larayedh, membro del partito islamista Ennahda che dirige il governo, e "lo scioglimento delle Leghe di protezione della rivoluzione", una milizia armata emanazione degli islamisti. Le accuse rivolte a Larayedh sono pesanti: "Il ministro ha la responsabilità personale dell'assassinio si Shokri Belaid, perché sapeva che era minacciato e non ha fatto nulla". Belaid "è la prima vittima su una lista di personalità politiche prese di mira e che rischiano di essere assassinate, le autorità lo sanno e mi hanno detto che ci sono anche io su quella lista", ha aggiunto il leader dei repubblicani Shebbi.
 Un imponente dispositivo di sicurezza é stato approntato, nelle prime ore del pomeriggio, a protezione della sede centrale di Ennahda, nel quartiere Montplaisir della capitale tunisina. Stesse precauzioni sono state adottate a protezione della casa di Rached Gannouchi, presidente di Ennahda.
A Kalaa Kebira, dove risiede la famiglia di Belaid, la locale sede di Ennahda è stata presa d'assalto e incendiata da una folla inferocita. A Sousse, decine di persone hanno cercato di entrare nell'edificio del liceo privato Fayyala, gestito dai Fratelli Musulmani, per incendiarlo, ma sono state respinte. Altre manifestazioni di protesta sono segnalate a Kasserine e Biserta. Un blindato della polizia ha lanciato gas lacrimogeni contro i giovani manifestanti che hanno usato bidoni della spazzatura, tavoli dei bar, filo spinato e barriere di vario tipo per erigere barricate lungo Avenue Habib Bourguiba, epicentro della rivoluzione di due anni fa in Tunisia. Dopo una ventina di minuti di scontri, sono intervenuti sul posto un centinaio di agenti, armati di manganelli, che hanno caricato i circa 150 manifestanti, fuggiti nelle strade vicine. Gli scontri sono ancora in atto nel quartiere, dove sono visibili nuvole di gas lacrimogeni. Scontri a Beja tra coloro che manifestavano contro l'uccisione di Chokri Belaid e i sostenitori locali di Ennahda. Nella città all'arrivo delle notizie sulla morte di Belaid centinaia di persone sono scese in strada per manifestare la loro rabbia. Gli islamisti hanno anch'essi dato vita ad assembramenti, con il risultato di una violenta sassaiola tra i due fronti, quando un giovane ha tentato di incendiare la locale sede di Ennahda.
 
 Il Fronte Popolare, coalizione composta da una decina di partiti e movimenti di sinistra attualmente all'opposizione, per bocca del suo portavoce Hema El Hamami, nel corso di una conferenza stampa a Tunisi ha chiesto le dimissioni immediate del governo in carica e la nascita di un esecutivo ad interim con l'obiettivo di "salvare" la Tunisia dall'ondata di violenza. Gli scontri davanti al ministero dell'Interno, su avenue Boughiba, si sono spostati nelle strade limitrofe. Nella zona resta il fumo acre delle decine di lacrimogeni, che le forze di sicurezza continuano a lanciare per disperdere i manifestanti. Molti dei quali giovanissimi, che lanciano sassi contro gli agenti rimandando indietro le granate lacrimogene.
 Nuovi violenti scontri sono scoppiati a Tunisi: i manifestanti stanno erigendo delle barricate nelle strade.
 La polizia tunisina ha tentato di disperdere con la forza i manifestanti che gridavano la loro rabbia contro il Ministero dell'Interno per la morte del leader dell'opposizione Chokri Belaid. Ma a margine degli scontri alcuni agenti hanno reso omaggio all'ucciso, quando dinanzi allo stesso ministero é passata l'ambulanza che ne portava le spoglie, facendo il saluto militare. Un gesto che non é sfuggito a centinaia di manifestanti i quali lo hanno sottolineato con un applauso.
Violentissimi scontri sono esplosi davanti al ministero degli Interni di Tunisi, dove da stamattina presto parecchie migliaia di manifestanti si sono radunati per protestare contro l'assassinio di Belaid. Durante la mattinata quello che era nato come un presidio spontaneo contro i metodi fascisti del partito islamico di governo Ennahda si è trasformato in un vero e proprio assedio di massa. Contro il quale gli agenti della polizia in tenuta antisommossa sono intervenuti con le cariche e con un fitto e continuo lancio di lacrimogeni, alla quale però i manifestanti hanno risposto non disperdendosi ma ingaggiando una vera e propria battaglia, con lanci di pietre e bottiglie, al grido di “il popolo vuole la caduta del regime”. Lo stesso che la piazza gridava due anni fa durante la ribellione che portò alla cacciata del dittatore Ben Alì. Poi una folla infuriata ha accompagnato l'ambulanza che trasporta il corpo del dirigente comunista assassinato questa mattina con quattro colpi di pistola, scandendo slogan contro il nuovo regime islamista che ha sostituito quello filoccidentale caduto grazie alla cosiddetta ‘rivoluzione dei gelsomini’. Dietro al mezzo di soccorso che trasporta la salma si è creato un imponente corteo, con i manifestanti che cantano l’inno nazionale e canzoni di lotta.
Decine di sedi di Ennahda sono state prese d’assalto sia nella capitale Tunisi sia in altre località del paese da una folla di persone inferocite che in alcuni casi si sono scontrate con la polizia mandata a proteggere gli edifici che ospitano le sezioni del partito di governo.
A Sfax, Sidi Bouzid, Gafsa e Nabeul centinaia di avvocati e studenti sono scesi in piazza, mentre le lezioni sono state sospese nella maggior parte delle scuole e delle università del paese.
In alcuni casi la risposta dei militanti dei partiti laici all'omicidio starebbe assumendo tinte molto forti. Come a Beja, dove secondo alcuni media si è scatenata una vera e propria caccia all'uomo nei confronti dei più noti sostenitori del partito di governato. 'Pattuglie' di manifestanti dei partiti laici e di sinistra starebbero battendo le strade per stanare i 'nadahouisti', approfittando del fatto che, riferisce il sito Tunisie Numerique, la polizia ha abbandonato il controllo delle strade e l'Esercito presidia gli accessi alla città ma per ora senza intervenire.Chokri Belaid era diventato dirigente -e numero due -  del Fronte Popolare Tunisino dando un grande slancio alle lotte in corso in tutto il paese contro le politiche liberiste in economia e oscurantiste dal punto di visto sociale e religioso. Per questo era stato più volte oggetto di minacce e intimidazioni provenienti da Ennahda, come lui stesso avevo denunciato l'ultima volta sabato scorso, dopo un ennesimo attacco dei miliziani islamisti contro una riunione del suo partito. Lo denunciano in un comunicato i rappresentanti in Italia della coalizione della sinistra radicale tunisina che condannano "il clima di violenza politica sviluppato e alimentato dai militanti del partito Ennahda che si ritrovano all'interno dei cosiddetti Comitati per la salvaguardia della rivoluzione". Il Fronte, spiega la nota, chiede "la chiusura immediata dei comitati per la salvaguardia della rivoluzione, luoghi in cui si sviluppano solo odio e violenza contro gli oppositori politici e l'immediata apertura di un'inchiesta trasparente sulla morte di Belaid e sulle molte intimidazioni ad altri nostri compagni finora rimaste impunite"

cronache da Tunisi a cura di marco santopadre - contropiano

pc 7 febbraio - Fincantieri Venezia - ricattare gli operai per licenziarli

Accusati di ricattare gli operai per licenziarli

Il 15 maggio prossimo il giudice dell’udienza preliminare Roberta Marchiori, ascolterà due testimoni prima di decidere se rinviare a giudizio o meno i titolari della «Eurotecnica» e della «Rock», imprese che hanno a lungo lavorato in subappalto all’interno di Fincantieri, accusati di estorsione nei confronti di decine di loro dipendenti, per la maggior parte operai del Bangladesh. Per quel giorno sono stati convocati il segretario provinciale della Fiom Luca Trevisan e il funzionario dell’Ispettorato del lavoro, che ha compiuto i controlli sulle due imprese di Giuseppe Ruggi (Mira) e Daniele Cassarino (Fiesso d’Artico) e dei due loro soci bengalesi, controlli conclusi con pesanti ammende. Dovranno spiegare se sia davvero una prassi molto diffusa, seppur illegale, quella della cosiddetta paga globale. Si tratta di un sistema che molti operai stranieri, ai quali la pensione non interessa perché prima o poi se ne andranno dall’Italia, accettano e che conviene soprattutto ai titolari delle imprese, visto che non pagano i contributi. I quattro, però, devono rispondere di aver di fatto ricattato i loro operai facendo firmare fogli di dimissioni senza data. Visto che le paghe, stando alle accuse, venivano decurtate anche del 30 per cento, se qualcuno si lamentava o protestava le dimissioni venivano accettate, ma in realtà si trattava di un vero e proprio licenziamento. Chi non firmava quel foglio senza data non veniva assunto e così, molti, anzi quasi tutti, lo firmavano pur di lavorare. Quattro anni fa, i carabinieri della Polizia giudiziaria veneziana, nelle perquisizioni nelle sedi delle due imprese e nella case dei quattro titolari, avevano trovato le prove: numerosi fogli di dimissioni già firmate dai dipendenti, tutti regolarmente senza data e quindi firmati al momento dell’assunzione. Se le ditte avessero dovuto pagare il salario intero ai dipendenti non avrebbero potuto strappare i subappalti alla Fincantieri e riuscivano a farlo grazie ai ribassi proposti grazie ai risparmi fatti sul salario della forza lavoro. Durante le gare, quattro anni fa, le ditte indicano il prezzo per ora di lavoro, il cui numero complessivo viene dato da chi appalta, e per non finire fuori mercato si aggirava sui 20 euro all’ora, un prezzo davvero irrisorio Spesso, tra l’altro, il loro orario di lavoro superava addirittura le 12 ore.(g.c.) 
 
dallo slai cobas per il sindacato di classe  marghera 06-02-2013 
 
Seconda udienza al processo Rocx-Eurotecnica. Fissata la terza udienza al 15 maggio, in cui saranno sentiti ispettori del lavoro e in segretario provinciale Fiom in qualità di testimoni per dire o meno se sia una "prassi diffusa" quella della paga "globale" in Fincantieri.
La ns.O.S., parte civile al processo, ha spesso documentato questo aspetto, ma occorre precisare che in questo processo non si sta parlando di questo, bensì delle denunce di estorsioni con cui venivano fatte massivamente pagare ai lavoratori di queste ditte, ed "a rate" le somme decise preliminarmente ai contratti di soggiorno. Di tale aspetto non viene fatta menzione nel servizio della Nuova Venezia di oggi. (http://www.slaicobasmarghera.org/udienza2rx-et.htm)   
L'articolo in cronaca parla delle lettere di dimissioni come fulcro del potere di ricatto. Non si tratta cioè solo delle lettere in bianco delle dimissioni, che sono solo un aspetto. Due soci delle due aziende essendo connazionali della gran parte dei lavoratori, ciò permetteva alla struttura la selezione e la gestione delle "quote" che venivano pretese e trattenute mensilmente. La cosa che non si dice è che anche dopo le perquisizioni del 2009 e sino a tutto il 2011, a Marghera queste aziende hanno continuato a ricevere le commesse da Fincantieri, nonostante non fossero certo le uniche aziende di saldatura e carpenteria. Certamente questi ricatti non riguardavano solo Rocx ed Eurotecnica, ma può essere questa una "attenuante" ? O non invece una maggior responsabilità dei dirigenti di Fincantieri ?
Al contempo stanno continuando le testimonianze, anche nostre, alle varie udienze circa le opposizioni fatte da Fincantieri ai decreti ingiuntivi mossi dai legali ns.convenzionati nell'interesse complessivamente di 54 lavoratori delle due aziende, sulla base delle diffide accertative emesse dalle Istituzioni preposte dopo gli accertamenti della Procura del 2009, che appunto dettero il via al processo anche sul piano penale.
Il tentativo di Fincantieri, abbastanza maldestro, è stato quello di cercare di dimostrare che non vi poteva essere responsabilità solidale sui due anni cercando di giocare sul fatto che le diffide accertative emesse a fine 2011, hanno dato luogo tra la fine del 2011 ed i primi mesi del 2012 alle ns.azioni giudiziarie.
Riconoscendo peraltro implicitamente la Giustizia che altre 75 diffide non hanno avuto peraltro seguito. Il rischio per Fincantieri sarebbe ciò che può venir fuori se gli imputati del processo penale anziché negare, ammettessero e chiamassero in causa i loro referenti nell'Azienda statale della Cantieristica nazionale.
 

pc 7 febbraio - Dalle porcate alle vaccate: risvolti della campagna elettorale in Sicilia


Se l'attuale legge elettorale viene definita da tutti una porcata perché non permette la scelta del candidato, dato questo è già stato scelto dall'apparato del partito, negli ultimi anni abbiamo assistito ad un altro fenomeno che riduce la democrazia borghese ad un vero gioco per bambini scemi e cioè il “cambio casacca” di cui l'ultimo governo Berlusconi con gli Scilipoti e i Razzi di turno è stato l'esempio più vistoso. In questi giorni anche i politici siciliani non vogliono essere da meno.

La questione è semplice: Crocetta, attuale presidente della Regione Sicilia, non ha i voti per fare la maggioranza, può contare solo su 39 seggi su 90 e deve arrivare a quota 46, e sta cercando di trovarli tra quelli che sono stati eletti in altri partiti. È questa la “rivoluzione” di Crocetta, “già cominciata” per tanti, e che dopo alcuni mesi di governo comincia a delinearsi meglio. Insomma Crocetta sta facendo la stessa politica che ha fatto per quattro anni il tanto vituperato, a buon diritto, e inquisito Lombardo.

Ed è proprio Lombardo che accusa Crocetta di fare una porcata dicendo “E' in corso un mercato delle vacche insopportabile, così Crocetta sta tentando di falsare il voto”. E altri suoi “onorevoli” amici aggiungono che sarebbe in corso una “transumanza di deputati e politici scandalosa dentro e fuori l'Assemblea regionale siciliana. Crocetta - hanno detto – sta facendo pressioni in tutti i gruppi parlamentari, compreso il nostro, con metodi classici e parametri di scambio [ma che vuole dire?] che bisogna valutare con attenzione” [Cioè, bisogna vedere se il prezzo è giusto?]. E a questo punto Piscitello del Mpa-Partito dei Siciliani di Lombardo, fa l'elenco dei deputati che hanno “cambiato casacca”.
I primi sono stati Salvatore Lo Giudice [definito uomo record per la velocità con la quale è passato nelle file di Crocetta!] e Nicola D'Agostino, seguiti da Riccardo Savona, Michele Cimino, Edy Tamajo, Pippo Gianni”. Poi “ci sonno stati i passaggi dall'interno della stessa maggioranza, come Marco Forzese e Nello Dipasquale. Crocetta ci risulta che stia trattando con altri tre parlamentari”, tra cui Giuseppe Picciolo e Giuseppe Federico, entrambi del gruppo Pds-Mpa.
Secca la replica del rivoluzionario Crocetta, praticamente preso con le mani nel sacco: “Ha parlato Piscitello che dall'estrema sinistra è passato a destra con disinvoltura. Lui sì che rappresenta la voce della coerenza...”. E in quanto a coerenza Crocetta se ne intende... E a rincarare la dose ci pensa il suo amico Lumia, ex Pd, che a Crocetta deve molto, perché essendo stato scartato come roba vecchia dal Pd si è candidato proprio con il Megafono di Crocetta: “Piscitello e i suoi colleghi di partito non vogliono accettare una verità chiara e limpida: è finito il tempo della vecchia politica, con Crocetta in Sicilia si cambia per davvero.” E se lo dice lui ci dobbiamo credere!

Ma i lombardiani sono così arrabbiati che stanno presentando addirittura un esposto alla Procura di Palermo non perché tutta questa compravendita di deputati fa schifo di per sé ma “perché tutto questo sta avvenendo durante la campagna elettorale per le politiche”. Forse se avveniva durante la campagne per le regionali era tutta un'altra cosa? La logica di questi signori è un vero mistero che però si chiarisce un po' meglio quando si arriva ai benedetti soldi. Dall'articolo del GdS del 30 gennaio scorso veniamo a sapere che “La polemica investe anche le cariche ricoperte all'Ars da alcuni deputati fuoriusciti dai Gruppi, che garantiscono indennità aggiuntive: l'opposizione ha chiesto ai deputati in fuga” di lasciare questi incarichi. E le relative indennità, s'intende.

mercoledì 6 febbraio 2013

pc 6 febbraio - CINA, SE I SALARI SI ALZANO, I PADRONI VANNO VIA

"... la Cina raggiungerà tra pochi anni il cosiddetto «Punto di svolta di Lewis»... il punto nel quale, in un'economia, il lavoro diventa scarso al punto da provocare un innalzamento repentino dei salari, una compressione dei profitti delle imprese industriali, una conseguente caduta degli investimenti.
...il punto di svolta dovrebbe arrivare tra il 2020 e il 2025: ma se la sindacalizzazione dovesse prendere piede e gli operai cinesi volessero lavorare meno ore di oggi, grazie anche ad aumenti salariali, potrebbe presentarsi molto prima. Non solo... dati dell'Onu che prevedono l'inizio del declino della popolazione attiva cinese nel 2020. Succede però che l'Ufficio nazionale di Statistica di Pechino ha comunicato che già nel 2012 la popolazione in età lavorativa (15-59 anni) è scesa di 3,5 milioni, a 937 milioni.
Che la carenza di manodopera abbia iniziato a farsi sentire, d'altra parte, è quanto sostengono un po' tutti gli imprenditori: è in questa situazione che di solito inizia la sindacalizzazione dei lavoratori, e per quanto la Cina sia un fenomeno unico non si vede il motivo (a parte la repressione) per il quale i suoi lavoratori dovrebbero comportarsi diversamente da tutti gli altri. D'altra parte, l'aumento dei salari è in corso da tempo. E ormai ha provocato la fine del modello basato sui bassi costi di produzione.
Secondo uno studio del Boston Consulting Group (Bcg), i salari cinesi crescono a due cifre dal 2000. Altre statistiche dicono che dal 2009 a oggi sono lievitati del 43 per cento e che il costo per unità di lavoro in dollari è aumentato del 22 per cento dal 2007. Il vantaggio competitivo dell'economia cinese fondato sulla manodopera a basso costo è sostanzialmente stato annullato. Tanto che parecchie imprese che avevano delocalizzato ( outsourcing ) stanno riportando in America e in Europa le produzioni. Il fenomeno dell' offshoring , del delocalizzare, si è trasformato nel reshoring . Sempre secondo il Bcg, tra le imprese americane con un fatturato superiore al miliardo di dollari, il 37 per cento pianifica o considera di riportare in America produzioni aperte anni fa in Cina. Tra le grandi imprese con fatturato sopra i dieci miliardi, la percentuale sale al 48. La stessa tendenza vale per le aziende europee. Il concetto di «Cina fabbrica del mondo» è insomma già in via di ridefinizione avanzata.
La stessa Foxconn, per dire, sta aprendo fabbriche in Brasile, Europa dell'Est, Nord America. Lenovo, il gigante cinese che comprò da Ibm la produzione del notebook ThinkPad, a giorni riaprirà una fabbrica nella Carolina del Nord. Uno dei gruppi che avevano con più convinzione decentrato fuori dagli Stati Uniti, General Electric, ha invertito la marcia: l' outsourcing è «il modello di ieri», dice il suo boss, Jeff Immelt....
... Pechino dovrà affrontare il cambiamento del modello di sviluppo del Paese, trovare forme di crescita diverse da quella sostenuta dalla manodopera a buon mercato. Il che significa un'economia meno centralizzata e di comando: non è affatto detto che il complicato sistema di potere del Paese lo voglia o sia in grado di farlo. Il guaio è che l'alternativa potrebbe essere caotica..".

pc 6 febbraio - La Fiat "prende impegni"... e allarga la Cassa integrazione a Pomigliano


Alla vigilia dell'incontro con i sindacati confederali e alla faccia delle dichiarazioni di questi giorni la Fiat fa sapere che allargherà la Cassa Integrazione per lo stabilimento di Pomigliano, come riporta la stampa di oggi (Il Sole 24 Ore): “Saranno 4.500 i lavoratori interessati al nuovo periodo di cassa integrazione straordinaria nello stabilimento di Pomigliano D'Arco ma la rotazione si dovrebbe applicare sostanzialmente a circa 2mila addetti di cui 1.800 operai”.

Questi 1.800 secondo la Fiom di Napoli, verrebbero relegati in cassa integrazione fissa per un anno. Infatti, “Lo schema proposto dall'azienda – continua il Sole24ore - prevede la suddivisione delle lavorazioni dello stabilimento in tre aree, le prime due direttamente legate al ciclo produttivo della Panda, quelle dunque dove la rotazione per la cassa sarà minima. L'ultima area invece ingloberà i 1.400 addetti attualmente in cig a zero ore, non ancora rientrati nello stabilimento, e che dunque si inseriranno nel nuovo ciclo di cassa integrazione. Questo significa che un bacino di duemila addetti ruoterà per l'occupazione di circa 600 posizioni.”

Che la situazione per gli operai sia abbastanza complicata e non si sblocca si capisce dall'atteggiamento dell'azienda sui 19 operai che avendo vinto la causa dovevano rientrare e che invece sono stati rimandati a casa, come è successo agli operai di Melfi “ma anche sui 126 che rappresentano la 'quota' di ulteriori tesserati Fiom che il Tribunale di Roma, con la sentenza del 21 giugno scorso – poi confermata in appello nel mese di ottobre -, ha imposto alla Fiat di riassorbire”.
Davanti a questa ulteriore arroganza i 19 operai hanno deciso di denunciare l'azienda per “reiterata discriminazione”.
Ma le manovre dell'amministratore delegato della Fiat non finiscono qui, ha deciso infatti di chiudere il progetto Fabbrica Italia e trasferire tutti gli operai alla FGA e sul Manifesto di oggi troviamo questa considerazione di Piergiovanni Alleva, giuslavorista e componente del collegio legale della Fiom: «Marchionne ... ha deciso dal primo marzo il trasferimento d'azienda di Fabbrica Italia Pomigliano a Fiat Group Automobiles, un modo per non assumere nessuno e mettere tutti in cassa integrazione.”

Come si vede le intenzioni di Marchionne sembrano comprensibili a tutti. La sua arroganza e le sue battute sono oramai diventate un tormentone come certe canzonette estive, ma che si può permettere, come abbiamo più volte detto, perché ha sempre una platea accondiscendente (questa volta nella sala organizzata a Torino dal quotidiano La Repubblica c'era anche Airaudo che non ha detto una parola, e poi subito fuori, fa l'”esperto” nell'intervista a La Repubblica.)

Dell'intervista a Repubblica approfitta anche Marchionne, che alla Berlusconi, ha usato il metodo delle dichiarazioni “shock”; ha ammesso pubblicamente di aver sbagliato a creare la newco Fabbrica Italia Pomigliano, “una vera imbecillaggine” si è detto da solo, e se lo dice lui! Da un lato la storia dei 20 miliardi di investimento era una cosa così stupida e palese che continuare a fare lo scemo su questo poteva essere controproducente, ma, dall'altro, è chiaro che adesso deve cercare di apparire come uno che ci ha ripensato per far apprezzare la nuova proposta, quella appunto del trasferimento di tutti gli operai in FGA. Che nella sostanza serve anche a risolvere il contenzioso nato con i sindacati amici, i confederali e la Fismic, sui 19 operai messi in mobilità per ritorsione contro la decisione del tribunale.

Poi si è anche autocriticato sulla Cina, dicendo che hanno sbagliato dieci anni fa, alla faccia del grande manager che percepisce uno stipendio di circa 20 milioni di euro l'anno!

Nel frattempo, fra una battuta e l'altra, per rimanere nell'ambito del Marchionne che dice sempre menzogne, incassa gli incentivi alle auto elettriche, si legge infatti sul Sole 24 Ore di ieri: “Aiutare il comparto [delle auto cosiddette ecologiche] non è però solo un modo per rendere più sostenibile la nostra mobilità [cosa non vera nelle attuali condizioni] ma anche una strada certa per dare una mano a Fiat.”
Una “mano a Fiat” la dà di certo il governo, la danno i sindacati confederali e la Fismic, e la Fiom quando continua a rivolgersi ai tribunali invece di mobilitare sul serio gli operai.

pc 6 febbraio - a Napoli e Cosenza si lotta per il lavoro ma lo stato risponde con la repressione !

i dipendenti Astir, società della Regione Campania in liquidazione, hanno bloccato ieri la Funicolare centrale a Napoli. «Ci devono dare gli stipendi», a quanto pare fermi da mesi.
i lavoratori hanno manifestato dentro e fuori la stazione di piazzetta Augusteo, uno slargo di via Roma.
Poco dopo l'arrivo dei poliziotti, che hanno caricato i manifestanti. Uno dei lavoratori è stato ricoverato al Loreto mare.


Manganellate su padri e madri di famiglia, pesanti cariche sui dipendenti delle cooperative comunali che da settimane protestano per il rinnovo del contratto.



È cambiata la gestione dell’ordine pubblico a Cosenza. Sembrano trascorsi anni luce da quando in città le rivendicazioni dei senza-lavoro ed i conflitti sociali erano gestiti con equilibrio. La guida dell’ordine pubblico in piazza adesso è affidata a responsabili nuovi, perlopiù provenienti da Reggio Calabria. E gli effetti si vedono. Stamani all’arrivo del sindaco Mario Occhiuto che cercava di entrare nel suo ufficio, i circa 500 dipendenti delle cooperative che pretendevano di incontrarlo per un nuovo faccia a faccia, sono stati “ricevuti” dalla celere posta a presidio davanti all’ingresso del palazzo municipale. Botte, spintoni e randellate! Dallo scontro non sono usciti malconci solo i lavoratori. La rabbia e l’esasperazione hanno avuto la meglio. I manifestanti, decisi a non abbandonare il piazzale antistante il Comune, si sono trasferiti sulla vicina corso Umberto per bloccare il traffico. Intanto alcuni di loro salivano sul tetto del municipio.

Create negli anni Novanta dal vecchio sindaco Giacomo Mancini per dare una possibilità di reinserimento sociale ad ex detenuti e famiglie svantaggiate, le cooperative comunali sono formate da 500 persone di cui circa 250 impiegate nelle pulizie in uffici, teatri, interventi da elettricisti, imbianchini, servizi meccanizzati, fogne, falegnameria e manutenzione. Non soltanto la cura del verde urbano, quindi! Sono diversi i politici cosentini che, sotto ricatto occupazionale, costringono questi lavoratori a prestazioni schiavistiche.....
...Nel gennaio scorso i dipendenti hanno lavorato senza stipendio, perché non sarebbe pervenuta in tempo la comunicazione relativa all’indizione del bando. Il Comune pretende inoltre di conoscere l’elenco degli operatori svantaggiati, in palese violazione della normativa sulla privacy. Prima che esplodesse la vertenza, questi lavoratori percepivano al netto 620 euro al mese. Con il nuovo contratto, se anche vincessero la gara, ad ogni socio spetterebbero meno di 500 euro mensili..... Eppure, stando alle dichiarazioni dei presidenti, i servizi elettorali, se svolti dalle cooperative, costano 20mila euro. Affidandoli ai privati, salgono a 85mila. Il massimo del risultato col minimo dello sforzo: nell’estate scorsa, 24 dipendenti sono stati impiegati, mediante borsa lavoro, dalla società che gestisce lo smaltimento dei rifiuti. Hanno dovuto girare nei quartieri per introdurre la raccolta differenziata. Ma i risultati tardano a venire. Cosenza non è stata travolta dalla recente crisi regionale dei rifiuti, solo in virtù del fatto che spende milioni del proprio bilancio per interrare tutto in discarica.....

pc 6 febbraio - NO MUOS, a fronte dell'intensificarsi della protesta la regione siciliana revoca le autorizzazioni... stiamo a vedere ora i fatti!


muosDi poche ore fa la notizia, nei fatti ancora non documentata ma diramata tramite comunicato stampa dalla segreteria regionale dell’Ars, della revoca delle autorizzazioni regionali per la costruzione del sistema di rilevamento satellitare statunitense sito presso Niscemi. Il documento ufficiale è infatti atteso per domattina. Revoca che arriva dopo l’incontro della commissione Ambiente & Territorio, avvalsasi di consulenze scientifiche e sanitarie. Ma in buona sostanza, il presunto stop ai lavori, arriva per “la mancanza di indagini preliminari circa le interferenze del Muos rispetto alla navigazione aerea dell’aeroporto di Comiso e l’assenza di studi sui danni arrecati alla salute dalle onde elettromagnetiche”. Tutto chiaro.
Come abbiamo raccontato in queste settimane appena trascorse, però, lo STOP era stato già conquistato da tutti coloro che ogni mattina all’alba hanno bloccato i camion che avrebbero voluto dirigersi alla base per l’ultimazione dei lavori.
Staremo a vedere cosa significhi questa revoca: perché nonostante la mossa della Regione sia indirizzata a fare ciò che è in suo potere (amministrativo) pur di levarsi dal pantano (della questione elettorale alle porte e delle pressioni dal basso provenienti dalla lotta territoriale, si intende), certe decisioni non sono così facili da imporre alla potenza capitalistica e militare statunitense. Soprattutto in un momento in cui la sua egemonia su Mediterraneo e Africa, attraversata dalle rivoluzioni arabe e dai recenti interventi militari, e sul medio oriente, tra Iran e resistenza palestinese, comincia a vacillare dopo decenni. Probabilmente l’Ars vuol passar la palla e la responsabilità, dunque, alla segreteria del governo nazionale: anche in questo senso staremo a vedere cosa significheranno questi provvedimenti, per quanto tempo avranno forza e se riusciranno ad arrivare quanto meno alla fatidica data delle elezioni.
Certo, di vittoria si può parlare per il movimento NoMuos e per l’esperienza di lotta datasi e sviluppatasi dentro e attorno al presidio permanente. L’annuncio della revoca, qualsiasi sarà il suo corso (soprattutto dopo le elezioni!), dà sicuramente il tempo e gli stimoli giusti ad una battaglia che da mesi nel territorio del niscemese ha sedimentato una soggettività contro, inesperta ma genuina che, con le pratiche, è andata aldilà del semplice movimento d’opinione e aldilà, forse, della battaglia contro l’impianto militare. Una soggettività, perlopiù giovanile ma con i tratti di una composizione popolare e trasversale, che sta iniziando a ribellarsi contro i poteri che devastano i nostri territori, gli stessi che socializzano la crisi sulle popolazioni con lo spauracchio della finanza, mentre investono miliardi di dollari e di euro in spese militari e grandi-inutili opere (ponte sullo stretto, tav…).
Staremo a guardare le mosse dell’avversario; intanto il movimento NoMuos può solo ringraziare…se stesso.


pc 6 febbraio - contro la repressione - complici e solidali – Corteo nazionale Teramo 9.02.13



Aderiamo e promuoviamo

In seguito alle pesantissime condanne a 6 anni di reclusione e 60000 € di risarcimento inflitte, lo scorso 7 gennaio, ai 6 ragazzi accusati di essere coinvolti negli scontri avvenuti nella capitale il 15-10-11, Azione Antifascista Teramo chiama all’appello tutti i gruppi, i movimenti e i singoli individui che si riconoscono nelle lotte e che vogliono dimostrare la loro solidarietà e vicinanza con i fatti, oltre che con le parole. Sabato 9 febbraio 2013 si terrà a Teramo un corteo nazionale le cui finalità saranno:
1_Esprimere la massima solidarietà a tutti i condannati, gli arrestati e gli inquisiti per i fatti del 15 ottobre 2011;

2_Rispondere in maniera forte ed unitaria alla repressione che ogni giorno colpisce chi ha la forza e il coraggio di non abbassare la testa e si ribella allo Stato di cose attuale;

3_Lanciare la battaglia contro il codice Rocco ed in particolare contro il reato di devastazione e saccheggio e tutte quelli leggi in forza delle quali ai singoli questori viene garantito il potere di limitare, in maniera del tutto discrezionale e priva di controllo, la libertà individuale attraverso l’emissione di fogli di via, avvisi orali e misure di prevenzione in generale.

Chiediamo a tutte le realtà e a tutti i singoli che intendano rispondere alla nostra chiamata di organizzarsi sin da oggi per raggiungere e far raggiungere Teramo nella giornata di Sabato 9 febbraio 2013, e di farsi carico di diffondere, ognuno nei rispettivi territori, questo nostro appello attraverso qualsivoglia mezzo.

Chiunque voglia dare la propria adesione formale alla manifestazione, sottoscrivere l’appello, fornire contributi ed essere aggiornato su tutto ciò che riguarderà il corteo può inviare una mail all’indirizzo: teramo9febbraio2013@gmail.com

pc 6 febbraio - continua la caccia ai no Tav - solidarietà e lotta !


Il 4 febbraio il Tribunale di Torino ha dato il via al processo contro 28 No Tav che, secondo la Procura, si resero protagonisti della protesta contro l’inizio dei  sondaggi geognostici a Venaria.
Se il reato specifico ipotizzato è quello di violenza privata per il blocco di un camion che trasportava una torre  faro al luogo del sondaggio, a ben vedere sotto accusa è la 3 giorni di mobilitazione e presidio permanente che il movimento No Tav costruì insieme agli abitanti di Venaria.
Momenti informativi, assemblee e cene si susseguirono senza sosta, dando modo al movimento di incontrare i cittadini che, di quel poco che sapevano dei lavori prospettati, non erano  affatto contenti.
Gli abitanti delle case di Via Amati raccontarono del cantiere che avrebbe occupato il cortile dove fino a quel momento avevano giocavano i loro figli e di una casa acquistata con i sacrifici di una vita che sarebbe stata in balia del rumore e dell’inquinamento di lavori decennali.
I tre giorni di presidio si svolsero con un notevole schieramento di forze dell’ordine che presidiarono quel lembo di terra giorno e notte, senza riuscire però a intimidire il presidio No Tav e a evitare il rallentamento dei lavori. Ad un certo punto, a fronte della partecipazione alla protesta , valutarono che non era più il caso di rimanere e smontarono tutto celermente senza rispettare i tempi da loro previsti al completamento del sondaggio.
Il procedimento giudiziario contro i 28 No Tav nella giornata di ieri ha subito però un primo rallentamento, grazie ad una questione tecnica posta da uno degli avvocati della difesa ed è stato rinviato al 4 marzo.
Da sottolineare come il Tribunale di Torino continui ad ignorare la legge sulla competenza territoriale spostando a Torino un processo che si sarebbe dovuto svolgere a Ciriè, sempre per esigenze di “ordine pubblico” e dietro segnalazione della Questura. Una strada, oramai, praticata fedelmente (vedi i processi che si sarebbero dovuti svolgere a Susa e che invece  sono stati spostati a Torino).
Dietro questa condotta, checché ne dica il tribunale, c’è un disegno politico preciso: cercare di intimidire il movimento e tentare di criminalizzarlo agli occhi dell’opinione pubblica.
Da parte nostra, come sempre, rispediamo indietro al mittente tutte le accuse consapevoli che non troveremo giustizia in queste aule di tribunale ma che, sicuramente, combatteremo insieme agli imputat* un’altra buona battaglia.

pc 6 febbraio - contro l'intervento imperialista in Mali - comunicato congiunto dei comunisti maoisti italiani e francesi - fatelo circolare e diffondetelo in ogni iniziativa internazionalista e tra gli immigrati !


FERMARE GLI INTERVENTI IMPERIALISTI IN AFRICA!

L'Africa è diventata il campo di battaglia economica tra gli imperialisti occidentali e le nuove potenze imperialiste (Cina, Russia) e i grandi paesi emergenti del capitale internazionale (Brasile e India). 
I vecchi imperialisti che hanno interessi in Africa grazie alla colonizzazione e al moderno colonialismo vogliono difendere questi interessi fino in fondo, mentre i nuovi imperialisti e gli emergenti cercano a tutti i costi di conquistarne di nuove.

È in questo contesto che l'imperialismo francese interviene ora militarmente ogni volta che i suoi interessi sono minacciati, ieri in Costa d'Avorio e  Somalia e oggi nel Mali

L'intervento in Mali di Hollande (governo "di sinistra") è la continuazione della politica di intervento dell'imperialismo francese di Sarkozy (governo di destra). Allo stesso modo, in Italia,  ieri Berlusconi forniva basi aeree e approvvigionamento di carburante alle truppe d'intervento aereo inglese e francese per l'aggressione alla Libia. Oggi  i governi in carica o in arrivo dell'imperialismo italiano  sono pronti a fornire supporto logistico e di altro tipo all'imperialismo francese in Mali. Inoltre, Terzi e Fabius, entrambi ministri degli esteri dei rispettivi paesi, hanno organizzato una conferenza stampa congiunta il 21dicembre 2012 nella quale Fabius aveva dichiarato: "Lavoriamo molto bene insieme, sia sui rapporti franco-italiani che su molti altri argomenti.... Mali, ma c'è anche il Medio Oriente, la Siria, e, naturalmente, la costruzione europea.”

In realtà, nel Mali, la Francia interviene per tutelare gli interessi del sistema capitalista in generale, supportata dai cani da guardia locali già presenti o prossimi, assicurandosi al tempo stesso di ricevere la quota maggiore della torta. Questa politica è una politica non solo di saccheggio delle ricchezze dei paesi dell'Africa, ma anche una politica criminale nei confronti delle popolazioni colpite dalla miseria, carestia, ecc. La politica di sostegno ai signori della guerra locali, le azioni di divisione etnica, religiosa, ecc. intraprese dall'imperialismo e dai suoi cani da guardia, trafficanti di ogni genere, laici o religiosi, consente a questi cani da guardia e ai loro padroni imperialisti, di garantirsi per un certo tempo il loro dominio e lo sfruttamento dei popoli, permette di rafforzare la repressione attraverso leggi fascistizzanti.

Per prevenire qualsiasi rivolta e sollevazione in Algeria che metterebbe fine alla dittatura militare, il governo algerino ha fornito il proprio aiuto logistico alla Francia, notoriamente sul sorvolo del suo territorio. L'Algeria è un paese ricco, ma il prodotto di questa ricchezza è diviso tra gli imperialisti e le classi dominanti in Algeria, mentre il popolo è in condizioni di povertà e la disoccupazione supera il 30%. Il potere algerino trema all'idea di una rivolta popolare.

L'intervento serve anche a Fabius e Le Drian (ministro francese della Difesa) per sostenere il progetto di Difesa Comune dell'Unione Europea. Le forze armate europee esistono, ma ognuno ha la propria area di intervento. La Francia è incaricata di mantenere l'ordine nelle sue ex colonie, con il supporto logistico degli altri imperialisti. Le sue truppe di intervento inquadrano e formano gli eserciti dei cani da guardia affinché mantengano l'ordine imperialista in Africa, il sistema di sfruttamento e di oppressione capitalista.

I vari interventi e aggressioni militari non hanno altro scopo che quello di mantenere questo ordine. La lotta contro il "terrorismo" è soltanto il pretesto che permette di "legittimare" questo intervento militare. Certo, le forze fondamentaliste islamiche non sono portatrici di alcun progresso sociale, anzi è proprio il contrario. Ma bisogna anche vedere che dalla colonizzazione ad oggi, l'imperialismo ha prodotto abusi grandemente superiori a quelli dei "terroristi" che pretende di combattere. Inoltre,  i governi imperialisti francesi, italiani, occidentali in genere utilizzano l'arma del terrorismo a seconda delle circostanze: Sono loro che l'hanno usato per combattere il socialimperialismo sovietico in Afghanistan, come in Siria oggi.
Per avere consenso dei lavoratori e delle massepopolari  per deviare l'attenzione della popolazione dalla crescita esponenziale della disoccupazione, della povertà e della precarietà, gli imperialisti sono passati ad una offensiva mediatica senza precedenti contro la 'minaccia terroristica per la difesa della civiltà occidentale'. Le misure antiterrorismo in Francia, Italia, negli altri paesi europei e negli Stati Uniti hanno un solo obiettivo: far sì che la masse popolari, accettino o consentano l'instaurazione di  regimi “protettori” forti, polizieschi e militari. Questa preoccupazione, questo ruolo di angeli custode della pace,li porta a promuovere l'"unità della nazione" e la "santa alleanza" attorno all'esercito per garantire il consenso agli interventi imperialisti: In Francia essa permette di sviluppare il controllo delle popolazioni "a rischio" e mantenere e incentivare la divisione tra francesi definiti "di razza" e immigrati, cosa che favorisce il razzismo e la xenofobia.

Già l'intervento imperialista in Libia aveva permesso ai "terroristi" di armarsi pesantemente dall'arsenale libico inattivo, arsenale costituito dalle armi vendute o donate dai paesi imperialisti, tra cui Francia e Italia e dai trafficanti d'armi. L'Italia aveva anche fornito i soldi per questi acquisti a Gheddafi contro la garanzia che questi internasse nei campi coloro che erano pronti per l'emigrazione.

Ciò mostra le molteplici sfaccettature che l'imperialismo usa per assicurare, mantenere e rafforzare il proprio dominio coloniale sotto una forma moderna, in nome della democrazia, democrazia borghese s'intende, maschera dietro la quale si nascondono le varie forze reazionarie.

In Francia, i partiti di destra, di sinistra e di estrema destra (UMP, PS, FN) hanno tutti approvato l'intervento militare. I loro obiettivi sono dichiarati apertamente: lotta per la democrazia e gli interessi economici della Francia. Vale a dire la continuazione e l'allargamento del saccheggio delle risorse naturali, l'espropriazione dei terreni agricoli, la distruzione dell'ambiente dei paesi dell'Africa, il sostegno ai cani da guardia.
Anche in Italia, ove l'intervento si accentuasse , ci troveremmo con lo stesso scenario dei Monti, Berlusconi,Bersani ecc, uniti nel sostenere l'intervento, qualunque sia l'esito delle elezioni

Gli stati imperialisti spendono enormi quantità di denaro prodotto dai lavoratori in questi interventi militari imperialisti mentre distruggono le conquiste sociali, mentre danno soldi alle multinazionali e alle banche, mentre fanno accordi o votano leggi che consentiranno ai padroni di pagare gli interessi ai loro azionisti, e licenzieranno i lavoratori in grandi quantità.

Queste manovre criminali non sono destinati al successo, perché le rivolte popolari continuano nei paesi arabi dove i partiti reazionari si smascherano quando sono alla direzione dello Stato come governi che ancora una volta servono gli interessi delle classi dominanti e dell'imperialismo, compreso il loro agente israeliano.

Nei paesi imperialisti i vari partiti borghesi di 'sinistra' come di destra o di estrema destra sostengono contro proletari e masse popolari che vengono colpiti alla disoccupazione e dall'immiserimento,

Denunciamo e lottiamo contro l'intervento dell'imperialismo francese in Mali!

Denunciamo e lottiamo contro il sostegno dello Stato italiano e degli altri imperialisti a questo intervento!

Il miglior sostegno che possiamo dare ai popoli oppressi dalll'imperialismo in Africa, è quello di portare avanti la lotta nei nostri paesi contro i governi e gli stati imperialisti fino al loro rovesciamento per il potere in mano ai lavoratori e un mondo senza imperialismo,miseria e guerra.


Partito Comunista maoista - Francia
Partito Comunista maoista - Italia
febbraio 2013

 

martedì 5 febbraio 2013

pc 5 febbraio - ELEZIONI: DIVISI MA UNITI CONTRO I LAVORATORI

Su una cosa soprattutto non c’è divisione tra i maggiori partiti che si presentano alle elezioni, ed è la questione della modifica dei contratti di lavoro per renderli “flessibili” – alle esigenze del capitale, e lo Statuto dei lavoratori con l’art. 18.
Questa “unità” è rappresentata anche fisicamente da Pietro Ichino, passato tranquillamente dal PD alla lista Monti, che è stato quando era ancora nel PD e continua ad essere il più tenace sostenitore della abolizione dello Statuto dei lavoratori.
In questa campagna elettorale si parla pochissimo di lavoro, ma c’è da star sicuri che quando se ne parla sono dolori, e che comunque chiunque governerà non deluderà le aspettative del padronato.

Ichino si presenta con due proposte.
La prima, sostituire l’attuale legislazione del lavoro con un nuovo Codice semplificato “che in non più di 60 articoli esponga la stessa materia in modo semplice, leggibile da milioni di persone”, sembrerebbe apparentemente utile, ma temiamo fortemente di sapere quali sarebbero gli articoli che andrebbero eliminati, sicuramente quelli che tutelano i diritti dei lavoratori, considerati vecchi e da superare. D’altra parte abbiamo già visto, su un terreno importante per la difesa dei lavoratori, quello della sicurezza, col decreto “semplificazione” del TU n. 81/08 sulla sicurezza, a cosa porta questa politica delle semplificazioni, ad eliminare “lacci e laccioli”, oneri per i padroni e ad aumentare il rischio proprio nelle situazioni lavorative dove vi sono più infortuni e morti, in primis nei cantieri edili.
La seconda “riforma” punta all’adozione di “modelli contrattuali meno rigidi e meno costosi”; in cambio il governo concederebbe “una sensibile riduzione del cuneo fiscale e alleggerimenti contributivi. Solo che non si capisce in cosa consista il “cambio”, visto che queste misure sono tutte a favore delle aziende, mentre sono i lavoratori che “in cambio” non avranno nulla ma solo contratti precari, con tempi e orari flessibili secondo le esigenze del profitto aziendale e minore retribuzione. Si dice che questo è un modello sperimentale da applicare ai giovani e alle donne che hanno un lavoro precario, in nero; per cui dovrebbero già essere grati ad un governo che facendo leggi pro padroni, gli dà almeno un contratto.
E poi c’è la questione delle questioni: lo “spettro” dello Statuto dei lavoratori. Ad Ichino la riforma del Ministro Fornero, che ha già dato un colpo decisivo all’art. 18, non basta. E in sintonia con esponenti del PdL dice che bisogna passare dallo Statuto dei lavoratori allo Statuto dei lavori. Vale a dire allo Statuto dei padroni.

Ma come dicevamo, anche gli altri partiti sul fronte dei diritti dei lavoratori vanno sempre più assomigliandosi, chiaramente in negativo.
Il PD propone di usare il fisco per favorire l’occupazione delle donne - della serie: donne = esseri inferiori (spesso accomunati agli altri “disgraziati”, i giovani) per cui per trovare un lavoro bisogna dare soldi alle aziende, riducendo il carico fiscale; poi sulle pensioni, propone solo di introdurre “il principio di gradualità che renda più morbida l’abolizione delle pensioni di anzianità e il salto a… 70 anni”.
Il PDL punta a rendere più vantaggioso per i padroni l’assunzione del giovani, con contratti flessibili, e uso smodato dell’apprendistato: quindi contratti precari con retribuzioni ridotte ai giovani, soldi alle aziende; poi: ritorno al lavoro a domicilio (però, nella formula moderna del "telelavoro") che come tutti sanno porta a lavorare di più e non di meno, per pochi soldi; e “partecipazione agli utili da parte dei lavoratori”, che ccome sanno tanti lavoratori- falsi soci delle cooperativa, ma veri dipendenti, si traduce nel “metterla a quel posto ai lavoratori”, i quali con la scusa di partecipare agli utili, quindi di avere uno stesso interesse col padrone, devono farsi sfruttare di più, per, alla fine, non avere neanche un centesimo di “utile”, ma, al contrario, una partecipazione alle perdite.
GRILLO, non è diverso. Vuole garantire un “lavoro pieno e breve per tutti”. Soprattutto “breve”!
Poi prima ha proposto un reddito di cittadinanza per i giovani di tre anni, poi pensandoci meglio e cambiando un po’ il nome in “sussidio di disoccupazione” lo ha ridotto a due anni.
INGROIA, parla di abolizione della riforma Fornero e di ripristino dell’art. 18, ma le sue proposte occupazionali centrate soprattutto su “riconversione ecologica dell’economia” – messe nel suo programma in internet – sono appunto da “internet”.

pc 5 febbraio - CINA: ELEZIONE DEI RAPPRESENTANTI SINDACALI

Svolta in Cina, ok all'elezione dei sindacati
Foxconn promette: "Rappresentanti veri" 
 
Il gruppo è il primo prudottore mondiale di elettronica per conto terzi, tra cui marchi come Apple e Sony. Diventò tristemente celebre per l'ondata di suicidi tra gli operai. Ora l'apertura a rappresentaze dei lavoratori con corsi di formazione da metà febbraio.
di GIAMPAOLO VISETTI

PECHINO - Per la prima volta una grande azienda con sede in Cina consentirà agli operai di eleggere i propri rappresentanti sindacali. Per il mondo del lavoro cinese è una svolta storica. Lo è però anche per il resto del pianeta, perché il gruppo asiatico che si appresta a dire sì al sindacato è la Foxconn, la "fabbrica più grande del mondo", con oltre 1,2 milioni di dipendenti solo in Cina. La "caduta del muro" anti-sindacale nella seconda economia globale, in allarme per la diminuzione senza precedenti della forza-lavoro, oltre che per piccole e medie imprese nazionali, annuncia enormi cambiamenti anche per le multinazionali, che assieme ai bassi costi produttivi per trent'anni hanno contato sull'assenza di conflittualità sindacale. L'annuncio di prossime elezioni dei rappresentanti dei lavoratori alla Foxconn è stato anticipato informalmente da tre manager del colosso taiwanese, primo produttore mondiale di elettronica per conto terzi, tra cui marchi come Apple, Sony, Nokia, Dell e i brand di maggior successo di telefonia e computer.

Al termine delle ferie previste per il capodanno lunare cinese, verso metà 
febbraio, all'interno degli stabilimenti Foxconn cominceranno i corsi per 
spiegare agli operai come e perché potranno eleggere liberamente, e a scrutinio segreto, i propri sindacalisti. Secondo le fonti aziendali, "la carica del presidente e dei venti membri del comitato della federazione dei sindacati del lavoro Foxconn, saranno decise attraverso elezioni ogni cinque anni". Tra la fine del 2013 e il 2014 scadranno circa 18mila comitati aziendali del gruppo e i loro colleghi, sotto il controllo esterno dell'americana "Fair Labor Association", saranno chiamati a rinnovarli. Secondo l'azienda del magnate Terry Gou, basato ad Hong Kong, i nuovi delegati "saranno giovani e non proverranno dal management". In Cina, fino ad oggi, i rappresentanti dei lavoratori sono 
scelti tra gli stessi proprietari aziendali, tra i manager, oppure tra i 
funzionari locali del partito comunista. Di fatto, azionisti privati e Stato 
esercitano sia il ruolo di datori di lavoro, che quello di difensori dei diritti dei dipendenti. Il risultato dell'assenza sostanziale di un sindacato libero, è stato e resta drammatico. Ad essere tutelati, risultano solo gli interessi della proprietà.

La Foxconn, prima di essere riconosciuta come la fucina pressoché unica di 
telefoni cellulari, pc portatili e tablet, è diventata universalmente famosa 
tra il 2009 e il 2010. Gli stabilimenti di Shenzhen furono sconvolti da 
un'ondata di suicidi, con una ventina di giovani operai che a causa di turni di lavoro massacranti e trattamenti umilianti, scelsero di uccidersi gettandosi dai tetti dei capannoni. Altre inchieste hanno portato alla scoperta di un diffuso sfruttamento del lavoro minorile, di stipendi da fame e di un generale clima da caserma, con migliaia di operai impossibilitati per mesi ad uscire dai reparti. Lo scorso autunno, l'ultima rivolta in fabbrica, con l'azienda costretta a chiudere per giorni.

L'indignazione dell'opinione pubblica mondiale, unita a richieste di 
boicottaggio dei prodotti di Foxconn, tra cui iPhone e iPad, ha costretto i 
committenti stranieri a rivedere importanti contratti, e cominciare a spostare fuori dalla Cina alcune produzioni e a minacciare l'interruzione dei rapporti di business con il colosso di Terry Gou. Di qui, secondo gli analisti, la mossa disperata Foxconn di aprire al sindacato e di darsi un'immagine di normalità economica imternazionale. Il problema è che la maggioranza degli operai cinesi, da sempre dominati da datori di lavoro e partito, non ha la più pallida idea delle potenzialità sindacali e teme al contrario di essere penalizzata da un'eventuale disponibilità alla rappresentanza.

Secondo Foxcoon, già oggi oltre il 70% dei 188 sindacalisti interni di Shenzhen sarebbe costituito da lavoratori della catena di montaggio. Fonti indipendenti rivelano invece che gli attuali rappresentanti non sono stati scelti in modo democratico, né trasparente, e che oltre la metà è espressione del management. Il presidente del sindacato Foxconn, per fare un esempio, è la signora Chen Peng, ex braccio destro dello stesso Terry Gou. Resta ora da vedere, iniziato l'anno del Serpente d'Acqua, se e come realmente avverranno le prime vere elezioni sindacali della storia cinese. E quali saranno le conseguenze: economiche, per quanto riguarda il costo del lavoro, ma soprattutto politiche, con la nuova leadership comunista già in allarme per un pericoloso precedente elettorale di democrazia applicata.

pc 5 febbraio - tortura ad atene

-1Pubblichiamo questi due brevi articoli tradotti dal blog atenecalling che fanno il punto sugli arresti attuati dai corpi speciali greci contro quattro militanti accusati di rapina a mano armata. Nella Grecia dei governi tecnici e della Troika, dei governi che cadono perché propongono referendum sulle riforme dell'austerità, succede anche che quattro giovanissimi ragazzi accusati di rapina vengono torturati per ore dalla polizia. E succede che dagli uffici centrali della polizia dell'Attica ad Atene, l'ormai famosa GADA, vengano diffuse immagini (come la foto in basso che pubblichiamo nell'articolo) dei quattro arrestati completamente photoshoppate, dove i segni del pestaggio vengono ridotti al minimo. Non appena svelata la grave contraffazione il ministro degli interni ha avuto anche il coraggio di dichiarare che "il ritocco è stato necessario per rendere gli arrestati riconoscibili".  

Dopo un contatto telefonico con i genitori dell'arrestato Andreas-Dimitris Bourzoukos informiamo che tutti gli arrestati sono stati portati già da sabato sera (2 febbraio) a GADA (uffici centrali della polizia dell’Attica).
Oggi è stato il primo giorno, dopo una serie di dinieghi da parte della polizia, in cui i genitori hanno potuto contattare i propri figli, così come anche gli avvocati. Avevano 15 minuti a loro disposizione, al dodicesimo piano di GADA.
Per quel che riguarda Andreas-Dimitris Bourzoukos, è rimasto ammanettato a una sedia durante tutti i 15 minuti.  Ci ha informato che dentro le celle di Kozani, mentre era incatenato con le mani indietro, gli hanno messo un cappuccio sulla testa, lo hanno fatto inginocchiare e lo hanno picchiato per quattro ore sulla testa, sul viso, sul ventre. Gli hanno anche strappato i capelli. Questo è successo senza che lui mostrasse in alcun modo resistenza e, si intende, accompagnando il tutto con minacce, insulti e bestemmie. Le conseguenze di queste torture sono: lividi diffusi, stordimenti forti, dolori in testa, gonfiori su tutto il viso, ematomi in entrambi gli occhi, lividi e graffi dappertutto.
I genitori riportano che il suo viso era irriconoscibile e la sua voce cambiata dal pestaggio alla mascella. Inoltre, per tre giorni consecutivi gli hanno dato da bere solo acqua, mentre hanno vietato ai genitori di dargli qualsiasi cosa confezionata, come cibo o succhi.
Tutto questo non viene pubblicato per vittimizzare gli arrestati, ma per sottolineare le torture e la violenza "legale" degli apparati dello stato.da athens.indymedia
03/02/2013
Tradotto da atenecalling

arrests-kozani

Due parole su Andreas-Dimitris Bourzoukos da un suo professore.
Mi chiamo Christos Ioannidis. Sono professore nelle scuole superiori da 23 anni. Sono il responsabile della rivista "Schooligans" e del festival studentesco "Schoolwave".
Ho conosciuto Andreas-Dimitris Bourzoukos per tre anni (2005-2008). Era un mio studente nella scuola Musicale di Pallini.
Sono scioccato dalla notizia della sua partecipazione in una rapina a mano armata. Non so cosa lo abbia portato fin là. Voglio però parlare dei tre anni in cui l'ho conosciuto come studente, ma anche come volontario della rivista studentesca. Era un enorme piacere per me avere in classe ragazzi come Andreas-Dimitris. Era sensibile, intelligente, preoccupato.  No, non ascoltava heavy metal. Ascoltava il rock, Hadjidakis, Motzart. No, non era asociale. Al contrario, era molto amato dagli altri studenti. E ovviamente aveva anche lui una rabbia dentro, come tutti i ragazzi veri che scoprono durante l'adolescenza la società disumana ed ipocrita in cui viviamo. No, non era un cattivo studente, era uno studente bravo. Ha superato anche lui gli esami di ammissione all’università, scrivendo una tesina di quelle che il sistema chiede. I suoi genitori erano due persone molto dignitose. Venivano spesso a scuola per informarsi del suo rendimento.
Ad un certo punto ho saputo che suo padre era rimasto disoccupato. Me l’aveva detto amareggiato ed arrabbiato. Non so quante cause di rabbia si siano aggiunte da allora. Posso però immaginarne molte, visto che vivo anch'io in questa Grecia. Per il resto, mi dispiace e mi vergogno. Mi dispiace per Andreas-Dimitris che ha creduto, o almeno così sembra, alla violenza come risposta alla violenza del sistema. Mi vergogno però di più per la Grecia, che costringe ragazzi come Andreas-Dimitris ad arrivare a questo punto. Mi vergogno per i poliziotti che lo hanno torturato. Mi vergogno per i giornalisti che lo hanno già condannato. E mi vergogno per tutti quei cittadini insospettiti che terranno nella loro mente la sua immagine come un quella di un "terrorista", mentre ignoreranno il suo viso deformato dal pestaggio per passare alla prossima notizia.
La deformazione è tutta nostra però.
Tratto da lifoTradotto da atenecalling

pc 5 febbraio - Cesenatico: corteo antifascista. "No ai busti di Mussolini e Re Pippetto


Il sindaco e la Destra vorrebbero riportare in città i busti del Duce e di Re Vittorio Emanuele III, per esporli nella biblioteca che all'epoca era la casa del Fascio. Ma contro la contestata decisione ieri hanno sfilato in corteo più di cinquecento antifascisti.


Alcune centinaia di persone - circa 500 - hanno sfidato ieri il maltempo e si sono date appuntamento sul porto canale di Cesenatico per manifestare contro la decisione adottata nei giorni scorsi dalla giunta comunale del centro emiliano-romagnolo di riportare in città due busti raffiguranti Benito Mussolini e re Vittorio Emanuele III per esporli in un museo. I busti in questione furono rimossi nel 1945 dall'ingresso dell'allora ospedale Eca di Cesenatico, spostati più volte e finiti poi dal 1990 in un magazzino dell'Asl a Cesena. Nonostante sabato il sindaco Roberto Buda avesse fatto un parziale passo indietro annunciando che per il momento non avrebbe esposto in pubblico i due busti, il corteo di protesta ha espresso comunque il proprio dissenso contro una scelta di fondo contestatissima. Partito dal porto canale di fronte al Municipio, la manifestazione ha raggiunto la vicina piazza Ciceruacchio al grido di 'siamo tutti antifascisti'. In testa la bandiera dell'Anpi (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia), la bandiera tricolore e uno striscione che recitava “No nazi in my town”. In piazza è intervenuto il presidente provinciale Anpi di Forli'-Cesena, Carlo Sarpieri: ''Siamo contrari - ha detto - ad ogni forma di neofascismo e ci opporremo sempre ad iniziative scellerate come quella di esporre in un museo i busti di Benito Mussolini e Vittorio Emanuele III, non hanno nemmeno valore artistico''. Alla manifestazione hanno aderito esponenti di tutti i partiti di sinistra e centrosinistra e del Movimento 5 Stelle, oltre a numerose realtà sociali e territoriali non solo di Cesenatico. Tra i presenti la presidente dell'associazione parenti delle vittime della strage di Ustica, Daria Bonfietti. Nei giorni scorsi l’attore Ivano Marescotti aveva minacciato di far saltare lo spettacolo previsto per il primo marzo in caso di esposizione dei busti.