lunedì 9 dicembre 2013

pc 9 dicembre - Dal Comitato per la liberazione dei prigionieri politici, India



Verso la 2° Conferenza del Comitato per la Liberazione dei Prigionieri Politici
14-15 dicembre, Muslim Institute, Rafi Kidway Road, Kolkata


Status di prigionieri politici per tutti quanti sono stati incarcerati per le loro convinzioni politiche e l’amore disinteressato per il bene del popolo!
Liberazione incondizionata di tutti i prigionieri politici!
Abrogazione di tutte le leggi repressive, comprese cui AFSPA & UAPA!


Quelle sulle sbarre della mia cella non sono solo croste di ruggine,
Quelle scaglie sono le ferite della sospirata libertà.
--Pinpin, dalla prigione di Camp Vicente Lim, Filippine

Dalla stretta finestra della mia piccola cella,
... vedo gli alberi sorridermi e
Le cime affollate dalla mia famiglia.
E le finestre piangono e pregano per me.
Dalla stretta finestra della mia piccola cella
Posso vedere la vostra grande cella!
--Samih al Qasim - End of a Talk with a Jailer

Ci avviciniamo alla Seconda Conferenza del CRPP a Calcutta il 14-15 dicembre 2013, un momento significativo per la lotta per i diritti dei prigionieri politici in particolare e della più ampia lotta per i diritti civili e democratici per il popolo del subcontinente indiano in generale. La situazione attuale nel subcontinente è caratterizzata da due aspetti: in primo luogo, la crescita della miseria del popolo per gli attacchi aggressivi delle politiche varate dai vari governi, sotto forma di liberalizzazione, privatizzazione e globalizzazione (GPL) fin dagli anni 90 in nome dello sviluppo; in secondo luogo, la risposta dello Stato alle crescenti istanze di protesta dei popoli per la propria vita e sostentamento, per la dignità, per un tetto, per le loro aspirazioni politiche, contro le politiche di bottino e il saccheggio delle risorse del popolo. Quale che fosse il motivo delle proteste, la risposta dello Stato è stata fondamentalmente e principalmente la repressione, armata da leggi draconiane della peggiore specie, probabilmente nella convinzione e, quindi, politica che il pugno di ferrò avrebbe assicurato le proteste sempre più attenuate e la quasi totale attuazione delle già dette politiche del regime che badano più al mercato che al popolo. Questo ha portato a sempre più casi di impunità che passano inosservato – sempre in nome degli ‘interessi nazionali’ – e, nonostante i numeroso interventi della Corte Suprema dell'India, nella forma di direttive alla polizia e paramilitari, quando si tratta di gente comune, quasi nessuna garanzia è rispettata. Livelli allarmanti di morti in carcere, di stupri e torture sono segnalati anche dalle agenzie statali, come le commissioni per i diritti umani. È in aumento anche la violenza sulle donne detenute o in custodia preventiva. Inutile dire che la condizione di adivasi e dalit nelle carceri è andata di male in peggio.

Centinaia di migliaia di persone sono dietro le sbarre. Molti imputati trascorrono anni in carcere a causa della criminale lentezza dei processi. Molti sono stati implicati in montature solo perché si sono rifiutati di uscire dalla loro terra, dalle loro foreste, dai loro campi; ghetti, colline, fiumi, per aver protestato per difendere non solo le loro terre, l’acqua, colline e foreste, ma anche per la loro cultura, il loro modo di vita, e molti anche per aver sognato un futuro migliore, senza sventramento delle loro colline, inondazione delle loro foreste, devastazione delle loro terre, dove l'etica e la bellezza della vita era nella condivisione, per dirlo con le parole del poeta, di vivere in libertà come un albero singolo, e in fraternità come gli alberi di una foresta. Ogni aspirazione politica e desiderio del popolo di pensare e vivere per un mondo che assicuri loro benessere, dignità, e un futuro nelle proprie mani è considerato dallo Stato un ‘atto di guerra’ ‘l’interesse nazionale’. Perfino la memoria di tutte le dure lotte combattute per i loro diritti viene calpestata. Con l’apertura di tutti i settori strategici dell'economia agli investimenti diretti stranieri, la vita del cittadino comune nel subcontinente indiano è esposta all’arbitrio speculativo del mercato azionario. Ogni diritto del popolo è subordinato ai capricci speculativi del mercato azionario. La sempre più profonda crisi economica e la proiezione del’India come destinazione ideale dei super-profitti per il capitale speculativo ha sprofondato sempre nella miseria e penuria tutto il popolo, nelle zone rurali come nei ghetti urbani. In nome della crescita e dello sviluppo, sono negati non solo i diritti fondamentali del popolo, ma anche il diritto a riunirsi, organizzare e agire contro questa negazione delle loro libertà, cose che sono criminalizzate e bollate come ‘atto di guerra’ contro lo Stato.

La politica e l'ideologia di questa criminalizzazione e denigrazione hanno trovato un interlocutore ideale nella cosiddetta ‘guerra al terrorismo’ lanciata dagli Stati Uniti. Sotto l'ombrello della ‘guerra al terrorismo’ lo Stato indiano ha adottato una quantità esagerata di normative, in forma di leggi di sicurezza interna, che hanno ulteriormente violentato la vita di centinaia di migliaia di persone. Le politiche di criminalizzazione, comunitarizzazione e denigrazione sono diventate un’arma micidiale nelle mani dello Stato indiano per dividere e dominare il popolo, attaccando in particolare intere comunità, per stigmatizzare screditarle e isolarle. Il resto della popolazione diventa quelli di cui ‘conquistare’ cuori e menti devono. Ogni legge repressiva, ogni atto di impunità viene presentato al popolo come atto legittimo dello Stato per il bene del popolo. Orientare la percezione, grazie ai media sempre servizievoli, diventa così strumento utile per rappresentare i bersagli della denigrazione e per fabbricare il consenso per ogni atto di impunità dello Stato. Lo straordinario diventa normale, l'impunità diventa la legge, la violenza strutturale diventa senso comune.

Il Centro Nazionale Antiterrorismo (NCTC), la National Investigation Agency (NIA) e gli ampi poteri attribuiti a questi organi hanno fatto del subcontinente indiano uno stato caserma, uno Stato penale. Musulmani, musulmani kashmiri, Manipuri, Naga, Assamese, dalit e adivasi, bollati come maoisti o altrimenti, hanno riempito le prigioni nel subcontinente indiano. Diventano bersagli specifici per le loro convinzioni politiche, per l’amore per il loro popolo, le loro azioni disinteressate per il bene della società, per il benessere di tutti – tutti questi principi, l'etica e la sua pratica per un mondo nuovo – sono diventati la maggiore minaccia per sicurezza interna, espressione di disaffezione, sedizione, tradimento, e perciò ‘anti- nazionali’. Questi sono i prigionieri politici, incarcerati per le loro convinzioni e attività politiche tra le masse per costruire un nuovo mondo libero da ogni forma di oppressione, sfruttamento, abuso e discriminazione. Un mondo libero da ogni forma di violenza, sopraffazione e assassinio. Le peggiori leggi repressive mai adottate, come la UAPA e AFSPA – come leggi di sicurezza specifiche adottate dai diversi stati – sono spudoratamente utilizzate per incarcerare tutta questa gente. Anche i difensori dei diritti umani che si fanno avanti per difenderli sono presi di mira. Molti dei giornalisti onesti che hanno osato scrivere di loro si sono guadagnati l'ira dello Stato. Neanche gli avvocati che li rappresentano vengono risparmiati. In Jharkhand, Chhattisgarh, Orissa, Bihar, Andhra Pradesh, West Bengal, non meno di 25.000 adivasi sono dietro le sbarre, la maggior parte di loro accusati di essere maoisti / naxaliti. Oltre a loro, ci sono anche centinaia di migliaia i musulmani, dalit e gente delle nazionalità oppresse. Contro ognuno di loro pende più di un procedimento, cosi da assicurarsi che non verranno mai fuori dalle quattro mura in cui sono reclusi. Per le loro convinzioni politiche sono discriminati rispetto agli altri detenuti. I cittadini anziani detenuti soffrono una discriminazione particolare legata ai problemi di età e salute. La loro vita in prigione è ulteriormente minacciata a causa del trattamento disumano con nessun riguardo per la loro età e fragile costituzione. Le prigioniere politiche subiscono condizioni più pesanti in quanto donne, figuriamoci per le loro convinzioni politiche. La maggior parte delle carceri nel subcontinente indiano sono sovraffollate e malsane. Le carceri indiane sono considerati tra le peggiori al mondo. La rivendicazione del diritto a essere riconosciuti come prigionieri politici è nella tradizione di Shaheed Bhagat Singh e compagni, che nel carcere centrale di Lahore erano iniziarono lo sciopero della fame contro l'amministrazione coloniale per ottenere lo status prigioniero politico. Bhagat Singh ed i suoi compagni seguivano l’esempio del digiuno fino alla morte fatto allora dai nazionalisti irlandesi per i loro diritti. Infatti, il digiuno fino alla morte dei nazionalisti irlandesi avevano guadagnato 'attenzione a livello mondiale. Nel 1970 anche i detenuti naxaliti chiesero lo status di prigionieri politici contro l'isolamento e la tortura.

Mentre la crisi dell'economia del subcontinente indiano peggiora di giorno in giorno, anche la condizione di prigioniero politico si va ampliando, con diversi settori di popolo che affollano le carceri. Ciò accade in un momento in cui la classe dirigente del subcontinente indiano cerca di spendere l'immagine di ‘grande democrazia’ della regione, favorevole agli investimenti internazionali. In questa situazione, la Seconda Conferenza del CRPP assume maggiore importanza come evento decisivo per raggiungere una posizione comune contro la crescente tendenza all’illegalità da parte dello Stato indiano, per dimostrare oltre ogni dubbio che una vera democrazia non può disprezzare o sopprimere le sincere aspirazioni politiche del popolo, la sua visione di un mondo migliore, la sua determinazione ad assumere il controllo del proprio destino, non si può trasformare il subcontinente in una prigione delle aspirazioni del popolo per erigere una casa di vetro per pochi ricchi sfondati protetta da una classe consumista nella fede di emulare i suoi padroni. Fin dalla sua nascita, per aver levato la sua voce in nome dei poveri, degli oppressi e discriminati, per dato l’immagine delle lotte del popolo così come le viveva, contro la propaganda dominante che lo Stato vorrebbe far credere a tutti, il CRPP è divenuto oggetto di denigrazione e criminalizzazione da parte dello Stato e dei suoi apparati. Questa è un'ulteriore prova che le questioni sollevate dal CRPP riflettono la volontà generale del popolo lavoratore del subcontinente e la lotta per i diritti del prigioniero politico è indissolubilmente legata al grande disegno di esercitare la volontà generale dei popoli del subcontinente!

Basta galere!
Lottiamo per un mondo libero dalle prigioni
!


COMMITTEE FOR THE RELEASE OF POLITICAL PRISONERS
Contact: 983631854 9810149990 9810081228

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